La radiazione cosmica di fondo e la sua anisotropia

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La radiazione cosmica di fondo e la sua anisotropia
Liceo cantonale di Locarno
La radiazione cosmica di fondo e la sua
anisotropia in cosmologia moderna
Lavoro di maturità −
Alberto Pedrazzini
Professore responsabile:
Christian Ferrari
Ringraziamenti
I miei ringraziamenti vanno in particolar modo al Prof. Christian Ferrari per aver risvegliato in
me l'interesse per questo tema tanto vasto e misterioso quanto aascinante e per aver dato prova
di grande diligenza oltre che di una non comune disponibilità a leggere, correggere il testo e ad
assistermi nella relativa stesura, anche fuori dall'orario scolastico.
Desidero inoltre ringraziare il Dr. Enea di Dio per l'importante aiuto che mi ha fornito durante l'approfondimento riguardante le anisotropie della radiazione cosmica di fondo, mio fratello
Francesco assieme a tutti quelli che mi hanno aiutato nella correzione del testo ed Emile Garbani
Nerini, per tutti i consigli ed i preziosi suggerimenti che mi ha dato.
3
Abstract
Questo testo si pregge l'obiettivo di analizzare gli aspetti chiave dell'Universo, soermandosi
sulla radiazione cosmica di fondo (in inglese Cosmic Microwave Background Radiation o semplicemente CMB ). Il fulcro di questo approfondimento consiste nell'osservazione e nell'analisi dell'immagine dell'Universo primordiale, che il fenomeno della radiazione cosmica di fondo permette
di osservare. In tal modo sarà possibile trarre delle importanti conclusioni.
Il percorso del testo comincia, dopo una breve introduzione, con lo studio dei principali elementi
di cosmologia moderna. Si parte dal Principio Cosmologico e da alcuni cenni storici sulla scoperta
della legge di Hubble, per poi introdurre i costituenti, i tre diversi tipi di geometria e l'evoluzione
nel tempo dell'Universo.
Si prosegue, passando ad un livello di approfondimento superiore, con l'analisi dei diversi parametri, fondamentali per poter eettuare uno studio quantitativo, che caratterizzano il nostro
Universo. Vengono inoltre introdotte diverse equazioni di fondamentale importanza per la sua
descrizione. Grazie alle conoscenze acquisite a proposito della cosmologia moderna, dei parametri
osservativi e di altre fondamentali relazioni, è possibile iniziare l'approfondimento riguardante la
radiazione cosmica di fondo.
Nel capitolo successivo vengono evidenziate l'importanza e la complessità di questo fenomeno,
attraverso lo studio delle sue caratteristiche, ponendo in particolar modo l'accento sulle anisotropie della radiazione cosmica di fondo. In tal modo si ottengono tutte le informazioni necessarie
per trarre le risposte alle domande che stanno alla base di questo testo, ovvero quali informazioni
sull'Universo si possono ricavare dallo studio della radiazione cosmica di fondo.
Nell'ultimo capitolo vengono esposte le conclusioni che è possibile trarre dagli approfondimenti
svolti nei capitoli precedenti. Dette conclusioni sono il fatto che l'Universo è caratterizzato da
una curvatura pressoché nulla, il fatto che esso si sta espandendo in modo accelerato e il fatto
che l'energia oscura gioca un ruolo fondamentale in questa espansione.
5
Indice
1 Introduzione
9
2 Elementi di cosmologia moderna
2.1 Il Principio Cosmologico . . . . . . . . . . . . .
2.2 La legge di Hubble e l'espansione dell'Universo
2.3 Costituenti dell'Universo . . . . . . . . . . . . .
2.3.1 Materia . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.3.2 Radiazione . . . . . . . . . . . . . . . .
2.3.3 Energia oscura . . . . . . . . . . . . . .
2.3.4 Distribuzione dei costituenti . . . . . . .
2.4 Geometrie dell'Universo . . . . . . . . . . . . .
2.4.1 Geometria euclidea . . . . . . . . . . . .
2.4.2 Geometria sferica . . . . . . . . . . . . .
2.4.3 Geometria iperbolica . . . . . . . . . . .
2.5 Evoluzione dell'Universo . . . . . . . . . . . . .
2.5.1 Cronologia del Big Bang . . . . . . . . .
2.5.2 Il futuro dell'Universo . . . . . . . . . .
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3.1 Il fattore di scala e la sua legge . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.1.1 L'equazione di Friedmann . . . . . . . . . . . . . . . .
3.1.2 L'equazione del uido . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.1.3 L'equazione di accelerazione . . . . . . . . . . . . . . .
3.2 La costante di Hubble H0 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.3 Il parametro di densità Ω0 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.3.1 Primo principio della termodinamica per la cosmologia
3.3.2 Il parametro di densità di radiazione Ωr . . . . . . . .
3.3.3 Il parametro di densità di materia Ωm . . . . . . . . .
3.3.4 Il parametro di densità di energia oscura ΩΛ . . . . . .
3.4 Il parametro di decelerazione q0 . . . . . . . . . . . . . . . . .
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3 Parametri osservativi
4 La radiazione cosmica di fondo
4.1 Scoperta della radiazione cosmica di fondo . . . . . .
4.2 La radiazione cosmica di fondo in dettaglio . . . . .
4.2.1 Origine del CMB . . . . . . . . . . . . . . . .
4.2.2 CMB oggi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.2.3 Stima della temperatura all'origine del CMB
4.2.4 Legame tra fattore di scala e temperatura . .
4.3 Anisotropie della radiazione cosmica di fondo . . . .
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5 Risultati ottenuti grazie alla radiazione cosmica di fondo
5.1
5.2
5.3
5.4
Eetti della gravità nello spazio-tempo della relatività generale
Geometria dell'Universo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Un Universo che accelera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
L'energia oscura Λ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Bibliograa
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Capitolo 1
Introduzione
Fin dalla sua comparsa sulla Terra, l'uomo è sempre stato fortemente aascinato da tutto ciò
che lo circonda. È stata la sua enorme curiosità, unita ad un'intelligenza superiore a quella di
qualunque altra specie animale, a permettergli di scoprire tutto quello che noi oggi sappiamo.
Era quindi inevitabile che, prima o poi, qualcuno volgesse lo sguardo verso l'alto per contemplare
ciò che stava sopra di noi. Purtroppo per i nostri antenati, l'Universo ha mantenuto, no ai primi
anni del ventesimo secolo, un'aura di mistero attorno a sé, lasciando tutti a brancolare nel buio
di fronte alla sda di comprendere i segreti di tutti quegli oggetti luminosi appesi sopra le nostre
teste. Questa sconfortante complessità portò quindi al concepimento di disparati miti, che spesso
erano dicilmente distinguibili dalle varie credenze religiose. L'uomo ebbe quindi bisogno di
molto tempo, per riuscire a superare questa enorme quantità di superstizioni: per dare un'idea
basti pensare che si dovette attendere no al XVI secolo per vedere la teoria geocentrica, che
no ad allora era comunemente accettata, venir messa seriamente in discussione, ed addirittura
no al 1904 perché si iniziasse a dubitare dell'eettiva posizione centrale del Sole.
Una volta acquisite queste consapevolezze, si assistette ad un'esplosione delle conoscenze riguardo
l'Universo. Esse segnarono la nascita della cosmologia moderna e portarono, nel giro di alcuni
anni, ad accumulare un'incredibile serie di scoperte.
È quindi obiettivo di questo testo ripercorrere brevemente le grandi scoperte della cosmologia
degli ultimi decenni ed analizzare più approfonditamente alcune questioni di grande spessore,
che sono ancora oggi al centro dell'attenzione della comunità scientica.
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Capitolo 2
Elementi di cosmologia moderna
2.1 Il Principio Cosmologico
Il Principio Cosmologico è la base di tutti i modelli proposti per descrivere l'Universo. Questo
signica che anche il modello del Big Bang, oggigiorno la migliore descrizione di esso, si basa
su questo principio. Il Principio Cosmologico consiste in due ipotesi su larga scala. La prima
è l'isotropia, che consiste nel considerare l'Universo uguale in qualsiasi direzione lo si osservi.
Semplicemente osservando il cielo stellato ad occhio nudo questa premessa può sembrare inappropriata, perché le stelle sono disposte in maniera eterogenea. Infatti essa diventa ragionevole
soltanto prendendo in considerazione delle porzioni più grandi e soprattutto profonde di Universo,
che sono osservabili grazie a potenti telescopi.
Figura 2.1:
La gura rappresenta la disposizione di 2 milioni di galassie secondo la APM Survey e mostra
quindi come su larga scala l'universo sia isotropo. [15]
Come evidenze sperimentali si utilizzano le rappresentazioni della distribuzione angolare delle
galassie. Ci sono tuttavia altre prove, che accertano l'ipotesi dell'isotropia su grande scala dell'Universo. La più importante tra queste è sicuramente la radiazione cosmica di fondo, che sarà
ampiamente trattata nel testo.
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CAPITOLO 2. ELEMENTI DI COSMOLOGIA MODERNA
La seconda ipotesi, che completa il Principio Cosmologico, è l'omogeneità, ovvero l'assunto secondo cui ogni punto dell'Universo è indistinguibile da qualunque altro e che quindi esso è uguale
in qualunque punto lo si osservi.
Figura 2.2:
L'immagine mostra i risultati ottenuti dall'esperimento chiamato 2dF
Survey e mostra quindi come su larga scala l'universo sia omogeneo.[16]
Galaxy Redshift
Questa omogeneità è stata vericata da alcuni esperimenti condotti negli ultimi anni. Il più
importante di essi è il 2dF Galaxy Redshift Survey, dove 2dF sta per Two-degree-Field, in quanto
lo strumento usato per la raccolta dei dati può osservare su una dimensione angolare di 2◦ alla
volta. Questo esperimento è stato condotto dall'Anglo-Australian Observatory e ha misurato
quasi 400000 oggetti tra il 1997 e il 2002. Nella gura 2.2 è riportata una rappresentazione
ricavata dai dati ottenuti grazie alle osservazioni.
Assieme, queste due premesse semplicano in maniera decisiva il modello matematico utilizzato
per la descrizione, perché si trascurano le dierenze su piccola scala. Il Principio Cosmologico
è quindi la conseguenza del disinteressamento per i dettagli locali e della focalizzazione sulle
caratteristiche generali.
2.2 La legge di Hubble e l'espansione dell'Universo
A tormentare gli astronomi del XIX secolo è la necessità di trovare un metodo per calcolare le
distanze dei vari oggetti disseminati nell'Universo. Il metodo della parallassi, conosciuto già ai
tempi dell'Antica Grecia, ma perfezionato a sucienza soltanto nell'800, è utilizzato per la prima
volta da Friedrich W. Bessel nel 1838. Esso permette di misurare distanze solo no a un certo
valore determinato dalla capacità dei telescopi di risolvere stelle sempre più distanti.
La soluzione a questo problema viene proposta da Henrietta Levitt (1868−1921), una calcolatrice
all'Osservatorio dell'Harvard College specializzata in fotometria fotograca, ovvero l'attività che
consiste nello stimare la magnitudine di una stella a partire dalla lastra corrispondente. Durante
la classicazione delle stelle la Levitt rimane colpita da un gruppo di stelle variabili caratterizzate
da una curva di luce periodica molto regolare, catalogandole giustamente come Cefeidi.
Le Cefeidi sono infatti stelle pulsanti le cui dimensioni mutano in maniera regolare nel tempo.
2.2.
LA LEGGE DI HUBBLE E L'ESPANSIONE DELL'UNIVERSO
13
La loro luminosità è data dalla relazione
L = 4πR2 σT 4 ,
(2.1)
dove σ è la costante di Stefan-Boltzmann, R è il raggio della stella e T la sua temperatura. Si può
quindi facilmente notare come la variabile più importante sia proprio quest'ultima. Nella fase di
contrazione di una Cefeide si ha infatti un incremento della temperatura del nucleo, che comporta
un aumento della luminosità. L'aumento dell'energia globale della stella provoca l'arresto della
sua contrazione; essa si raredda e di conseguenza la sua luminosità diminuisce. La crescita
termina una volta raggiunta una temperatura denita minima, provocando la ripetizione del
processo. Le deduzioni della Leavitt sono due. La prima riguarda il fatto che la dierenza tra le
magnitudini apparenti di due Cefeidi è uguale alla dierenza tra le magnitudini assolute di esse,
mentre la seconda consiste nel fatto che più una Cefeide è luminosa, più il suo ciclo di pulsazione
è lento. Grazie a queste due fondamentali osservazioni essa riesce a formulare una correlazione
tra periodo e luminosità (relazione P-L), che permette di ottenere la magnitudine assoluta di
una Cefeide anche molto lontana grazie unicamente al periodo di essa, che è facilmente ricavabile
attraverso alcune semplici misure. Queste particolari stelle si sono quindi rivelate fondamentali
per l'evoluzione della cosmologia costituendo le candele standard, che tanti problemi avevano
dato ad astronomi e cosmologi precedenti. Inoltre essendo molto grandi e brillanti permettono
di conoscere distanze su scala molto maggiore rispetto al metodo della parallasse (oggi anche
oltre 50 milioni di anni luce). L'ultimo ostacolo è costituito dalla calibrazione della relazione
P-L. Non esistono infatti Cefeidi abbastanza vicine la cui distanza può essere valutata tramite
la parallasse, dunque attraverso stime e misurazioni il valore dei parametri è stato sempre più
anato no alla formula matematica odierna
M = −1,43 − 2,81 · log(P ),
(2.2)
dove M è la magnitudine assoluta media e P è il periodo in giorni della stella in questione. Una
volta acquisito il metodo per calcolare le distanze stellari viene il momento di un altro fondamentale passo avanti, per sancire denitivamente la nascita della cosmologia moderna. Il ruolo di
protagonista questa volta lo gioca l'astronomo Edwin Hubble (1889 − 1953), grazie a due fondamentali scoperte. Partendo dalle intuizioni del collega astronomo Vesto M. Slipher (1875 − 1969),
riguardanti la possibile esistenza di oggetti esterni alla Via Lattea, Hubble comincia nel 1915
ad osservare e fotografare questi oggetti e nel 1923 scopre una Cefeide all'interno di uno di questi presunti ammassi extra-siderali. Ricavandone la distanza attraverso la magnitudine assoluta
grazie alla relazione (2.2) conclude che questo ammasso si trova ben oltre il conne della Via Lattea. Più precisamente si tratta di M31, conosciuto anche con il nome di Galassia di Andromeda.
Grazie a questa prima scoperta di Hubble si dimostra che nell'Universo vi sono numerosi sistemi
stellari come quello in cui ci troviamo noi, esattamente come vuole l'omogeneità del Principio
Cosmologico. Slipher, oltre ad aver intuito per primo l'esistenza di altre galassie, rileva anche
che lo spettro di esse è sempre spostato verso il rosso, per via del fenomeno chiamato redshift
cosmologico, ovvero la frequenza osservata era maggiore di quella emessa. Questo fatto viene
inizialmente interpretato come eetto Doppler, che consiste in una frequenza rilevata dierente
da quella emessa da una sorgente in movimento, ma è in verità dovuto all'espansione dell'Universo. Queste supposizioni ancora una volta catturano l'attenzione di Hubble, che assieme a
Milton Humason (1891 − 1972), continua sulla via intrapresa da Slipher utilizzando il telescopio
del Mount Wilson Observatory. Grazie a questo telescopio, più sosticato di quello che aveva a
disposizione Slipher, i due raccolgono dati riguardanti 46 galassie. Attraverso la teoria sul redshift cosmologico essi ricavano la velocità della sorgente; grazie alle Cefeidi essi determinano la
sua distanza. Quest'ultima era conosciuta però soltanto per 24 delle 46 galassie e quindi Hubble
e Humason decidono di attendere ulteriori veriche prima di pubblicare la loro scoperta. Infatti
14
CAPITOLO 2.
ELEMENTI DI COSMOLOGIA MODERNA
inserendo i dati relativi a distanza e velocità in un graco essi notano come tutte le galassie
si allineino su di una retta che permette loro di esprimere una relazione di proporzionalità tra
queste due variabili. Questa relazione, chiamata Legge di Hubble assume la forma seguente
v = H0 · d
(2.3)
dove v è la velocità, d la distanza e H0 la costante di Hubble, il cui valore è stato via via
perfezionato sino a raggiungere quello odierno: H0 = 72 ± 8 km s−1 Mpc−1 , grazie al Telescopio
Spaziale Hubble.
Figura 2.3:
Il graco mostra la velocità in funzione della distanza stimata per 1355 galassie dierenti. Si
nota facilmente come i risultati vanno a posizionarsi su una linea retta, dalla quale si ricava
il valore della costante di Hubble.[17]
Rimaneva soltanto da capire come interpretare questa fuga delle galassie. La soluzione è la
cosiddetta espansione dell'Universo, infatti se ogni punto di esso si espande in maniera isotropa,
ogni oggetto nello spazio vedrà gli altri oggetti allontanarsi da lui. Ovviamente questo eetto
è osservabile soltanto su larga scala, perché tra corpi vicini la forza gravitazionale è tale da
mantenere invariate le distanze. La conclusione a cui si giunge è un Universo costituito da una
moltitudine di galassie che si allontanano tra di loro, cosa che segna la ne della concezione di
Universo statico e eterno, che era ancora molto radicata nell'immaginario collettivo. Questi moti
comportano un'evoluzione e quindi un prima e un dopo nella storia dell'Universo. Su questo
aspetto si tornerà dopo aver arontato i suoi costituenti e le sue possibili geometrie.
2.3 Costituenti dell'Universo
In questa sezione saranno arontati i principali costituenti dell'Universo, che consistono in materia, divisa a sua volta in materia barionica e materia oscura, radiazione e energia oscura. Si
comincia con una premessa importante, ovvero che tutto il nostro Universo è composto da particelle, le quali, per denizione, possiedono una loro energia. L'energia totale di una particella è
data dalla relazione relativistica
E 2 = m2 c4 + p2 c2 ,
(2.4)
dove m è la massa della particella in questione e p la quantità di moto. Si nota quindi come
l'energia totale di una particella sia composta dalla somma della sua energia di massa e della
2.3.
COSTITUENTI DELL'UNIVERSO
15
sua energia cinetica. Grazie alla relazione (2.4) si può intuire come per alcune particelle il ruolo
dominante sia svolto dall'energia di massa mentre per altre dall'energia cinetica. Questa aermazione permette di separare queste ultime in particelle relativistiche (ovvero con poca massa e
una velocità prossima a quella della luce) e non relativistiche (ovvero con una massa importante
e una velocità molto più piccola di c).
2.3.1 Materia
Materia barionica
Con il termine barione si indicano quelle particelle costituite da tre quark, come ad esempio
protoni e neutroni, che compongono tutto ciò che noi possiamo osservare direttamente. Esistono
sei tipi di quark, che si dierenziano per massa e carica elettrica, chiamati up, down, charm,
strange, top e bottom. Una particolarità interessante consiste nel fatto che di tutte le combinazioni possibili di tre quark, solo il protone, formato da due quark up e uno down (in simboli uud),
e il neutrone, formato da un quark up e due down (udd), sono considerati stabili. Per questo motivo si ha ragione di credere che la materia barionica che compone l'Universo sia essenzialmente
formata da protoni e neutroni. Gli elettroni, che fanno parte della famiglia dei leptoni, come i
neutrini, vengono solitamente inseriti in questa classicazione, nonostante non siano composti da
quark. Visto che essi possiedono una massa molto minore rispetto ai protoni e ai neutroni non incidono particolarmente sul totale dell'energia di massa, ma giocano un ruolo fondamentale grazie
alla loro carica elettrica negativa, in quanto si sa che l'Universo è elettricamente neutro. Quindi
per ogni carica positiva ci deve essere una carica negativa. L'energia di massa di queste particelle
si misura in Megaelettronvolt1 ( MeV). Per un protone si ha un valore di 938,3 MeV, per un neutrone 939,6 MeV mentre per un elettrone soltanto 0,511 MeV, giusticando quindi l'aermazione
precedente. La caratteristica essenziale della materia barionica è che essa può emettere radiazione
e quindi essere osservata direttamente. Non sempre però questa riesce a garantire un'emissione
rilevabile dai nostri apparecchi e dunque quest'ultima viene chiamata materia oscura barionica.
Concludendo si aerma quindi che la materia barionica comprende tutti i pianeti, le stelle e tutto
ciò che si può osservare direttamente ma anche i gas non luminosi e gli oggetti massivi compatti
di alone (come ad esempio i buchi neri e le nane nere).
Materia oscura
Le osservazioni delle galassie eettuate negli ultimi decenni hanno mostrato come la materia
visibile giochi soltanto un ruolo marginale per la distribuzione dell'energia complessiva dell'Universo, mentre la materia non direttamente visibile, no ad allora trascurata, sembra possa essere
molto più abbondante e rilevante. La prova a favore di questa aermazione consiste nel fatto
che la forza di gravità esercitata dagli oggetti visibili delle galassie è insuciente per mantenere
assieme queste strutture: se non ci fosse altra materia queste, trascinate dall'Universo in espansione, si frammenterebbero. Si è quindi giunti alla conclusione che questo tipo di materia debba
formare delle strutture sferiche molto più grandi della parte visibile delle galassie. Un'altra prova
che dimostra l'esistenza di qualcosa, che ha un'importante inuenza sulla forza gravitazionale,
è l'osservazione della luce proveniente da altre galassie, la quale a volte è deviata in maniera
anomala. Questo fenomeno, chiamato lente gravitazionale si può spiegare soltanto attraverso
una curvatura dello spazio-tempo, dovuta alla presenza di una grande quantità di materia. Il
problema riguardante la materia oscura è che essa è ancora quasi completamente sconosciuta.
Si sa unicamente che questa entità non emette radiazione di sorta e che interagisce con gli altri
costituenti dell'Universo soltanto gravitazionalmente. Essa dev'essere quindi stabile e formata da
particelle abbastanza pesanti, senza una velocità intrinseca troppo elevata.
1
1 MeV = 1,602 177 · 10−13 J
16
CAPITOLO 2.
ELEMENTI DI COSMOLOGIA MODERNA
2.3.2 Radiazione
La radiazione elettromagnetica è ciò che permette di percepire l'Universo visualmente, permeandolo completamente. Il pacchetto elementare di energia che costituisce questo tipo di radiazione
è chiamato fotone, solitamente indicato con il simbolo γ , ovvero la particella elementare responsabile dell'interazione elettromagnetica. Tutte le radiazioni dello spettro elettromagnetico, cioè
l'intera gamma di frequenze possibili, sono infatti formate da fotoni. I fotoni si propagano nel
vuoto a velocità c e, visto che hanno una massa nulla, dalla relazione (2.4) si ricava che la loro
energia è data unicamente dall'energia cinetica. L'energia di un fotone assume quindi il valore di
E = pc, ma visto che, secondo la sica quantistica, la quantità di moto vale p = λh si ottiene la
relazione
E = hν,
(2.5)
2
dove h è la costante di Planck e ν è la frequenza dell'onda elettromagnetica in questione. Dato
che i fotoni non hanno massa e non decadono spontaneamente, essi hanno una vita media innita
e, di conseguenza, un raggio d'azione illimitato. Queste particelle si muovono nell'Universo nché
non interagiscono con dei barioni o degli elettroni. Un fotone con un alto valore energetico (quindi
con un'alta frequenza e una bassa lunghezza d'onda) può colpire una particella, provocando il
fenomeno della ionizzazione, ovvero la generazione di uno o più ioni attraverso la rimozione o
l'addizione di elettroni da essa, oppure comportare altre conseguenze, che aumentano di entità
tanto più il fotone possiede energia.
2.3.3 Energia oscura
L'energia oscura è una forma di energia repulsiva che pervade tutto lo spazio, la cui vera natura
oggi rimane ancora un mistero. L'introdurre l'energia oscura negli odierni modelli cosmologici è
la maniera più diusa per dare una spiegazione all'espansione accelerata dell'Universo. Nel 1998
i tre sici Saul Perlmutter, Brian Schmidt e Adam Riess osservano delle supernovae, ovvero delle
esplosioni stellari molto luminose contraddistinte da un'emissione di radiazione estremamente
intensa. Grazie al fatto che dette esplosioni possono essere utilizzate come candele standard e
che quindi è possibile risalire alla loro distanza e alla loro velocità, essi notano come la velocità
in espansione dipenda dalla distanza spazio-temporale e riescono dunque ad evidenziare un'accelerazione nell'espansione dell'Universo. Per dare un fondamento teorico a queste osservazioni
è quindi necessario introdurre una forza che contrasti la forza di gravità, che altrimenti farebbe
collassare l'Universo su sé stesso. Nonostante siano pochissime le informazioni a disposizione,
sono state formulate alcune supposizioni per spiegare questa entità misteriosa. Di queste opzioni
si discuterà nelle fasi conclusive di questo testo.
2.3.4 Distribuzione dei costituenti
Dei costituenti analizzati nora solo materia e energia oscura sono rilevanti per quanto riguarda
la geometria e l'evoluzione dell'Universo. Oggi, grazie a stime e rilevazioni, si è giunti a questa
distribuzione dei costituenti: la materia barionica rappresenterebbe soltanto il 4% del totale. Essa
è composta da elementi pesanti3 , neutrini, stelle e particelle libere di idrogeno e elio. Il 26% dei
costituenti dell'Universo sarebbe invece composto da materia oscura mentre il restante 70% da
energia oscura.
Le stime odierne specicano anche le percentuali dei vari tipi di materia barionica. Interessante
notare come la maggioranza di essa sia composta da elio e idrogeno liberi (3,5%) mentre elementi pesanti (0,03%), neutrini (0,47%) e stelle (0,5%) rappresentano solo una minima parte del
complessivo.
2
3
h = 4,135 668 · 10−15 eV · s
Si intendono gli elementi più pesanti dell'elio.
2.4.
17
GEOMETRIE DELL'UNIVERSO
Materia barionica 4%
Energia oscura 70%
Figura 2.4:
Materia oscura 26%
Il graco mostra la distribuzione dei costituenti e evidenzia la predominanza dell'energia
oscura.
2.4 Geometrie dell'Universo
Una volta arontati i costituenti dell'Universo bisogna analizzare le conseguenze che essi comportano. L'idea fondamentale della relatività generale di Einstein consiste nel fatto che la materia
presente nello spazio-tempo modica le proprietà geometriche di quest'ultimo. Grazie al Principio Cosmologico, che impone l'omogeneità e l'isotropia dell'Universo, non ci si deve occupare
di come la geometria muti in zone diverse, ma soltanto di come tutta la materia la modichi in
generale. Sempre grazie al Principio Cosmologico le possibili geometrie spaziali sono ridotte a
tre e dipendono dalla quantità di materia presente nell'Universo. Questa quantità è misurata in
densità, ed inuenza sia la geometria sia l'evoluzione di esso (su quest'ultimo aspetto si tornerà
in 2.5). Si denisce perciò un valore specico della densità, detto densità critica, che discrimina
i tipi di geometria spaziale possibili. La densità critica è notata ρc e verrà approfondita nel prossimo capitolo. Per ora basti sapere che grazie al confronto della densità con la densità critica si
può risalire alle caratteristiche geometriche dell'Universo. Si denisce allora un altro parametro
detto parametro di densità, notato Ω0 , dato dalla relazione
Ω0 =
ρ
,
ρc
(2.6)
dove ρ è la densità dell'Universo4 , data dalla somma delle densità di materia (ρm ), radiazione (ρr )
e energia oscura (ρΛ ). Queste diverse possibilità trattano delle deformazioni delle tre dimensioni
spaziali dello spazio-tempo. Per poterle illustrare ci si basa quindi su uno spazio a due dimensioni
che si deforma in una terza.
2.4.1 Geometria euclidea
Se il parametro di densità Ω0 è pari a 1, signica che la densità dell'Universo è uguale alla densità
critica. In questa situazione specica la geometria assume una curvatura nulla. Si tratta quindi
di geometria euclidea. Questo è il caso più semplice perché la linea geodetica, ovvero la curva che
descrive localmente la traiettoria più breve fra due punti, corrisponde ad una retta ed è suciente
applicare le leggi standard della geometria per descrivere la struttura. Si ottengono infatti due
conclusioni fondamentali, ovvero che la somma degli angoli di un triangolo è uguale a 180◦ e il
valore della circonferenza di un cerchio di raggio r vale 2rπ .
La gura 2.5 mostra in due dimensioni le caratteristiche dell'Universo piatto, ovvero con curvatura nulla. Va ricordato che questa è la forma che un Universo con queste caratteristiche assume
in generale. Infatti andando ad analizzare le geometrie locali si noterebbero delle zone distorte
dalla presenza di materia.
4
ρ = ρm + ρ r + ρΛ
18
CAPITOLO 2.
Figura 2.5:
ELEMENTI DI COSMOLOGIA MODERNA
Rappresentazione qualitativa in due dimensioni di un Universo con curvatura nulla.[18]
2.4.2 Geometria sferica
Se il parametro di densità soddisfa la condizione Ω0 > 1, quindi la densità è maggiore della densità
critica, si ottiene un altro tipo di geometria, che corrisponde alla geometria sferica, ovvero ad
una curvatura positiva. Questa condizione denisce quindi un Universo chiuso dalla supercie
ben denita ma senza alcun tipo di conne. La supercie sferica è inoltre identica in ogni suo
punto, confermando quindi l'isotropia voluta dal Principio Cosmologico. La geometria sferica è il
caso più semplice di geometria non-euclidea. In questa circostanza la linea geodetica corrisponde
ad un arco di cerchio massimo. È evidente come queste curve violino il V assioma di Euclide,
quello del parallelismo, che recita
Se una retta che taglia altre due rette determina dallo stesso lato di ciascuna retta angoli interni minori di due angoli retti, prolungando le due rette, esse si incontreranno
dalla parte dove i due angoli sono minori di due retti.
Questo assioma signica infatti che per un punto P si può condurre una ed una sola retta
parallela ad una data retta r non passante per P, ma è chiaro che nel caso della geometria sferica
ad esempio due linee geodetiche possono essere parallele quando intersecano perpendicolarmente
un segmento che divide la sfera in due parti uguali, ed intersecarsi ai poli comunque, come
mostrato nella gura 2.6.
Σ
r
s
t
Figura 2.6:
Le geodetiche r e s sono parallele all'intersezione con t ma si intersecano ugualmente.
La negazione di questo particolare assioma dà luogo alle già citate geometrie non-euclidee, di
cui quella sferica è appunto un esempio. In questo particolare caso si arriva quindi a dierenti
conclusioni. La somma degli angoli interni di un triangolo è maggiore di 180◦ e il valore della
circonferenza è minore di 2rπ .
Non è possibile rappresentare gracamente una curvatura positiva in uno spazio a tre dimensioni,
perciò la sfera rappresentata nella gura 2.7 va immaginata soltanto come una supercie e non
come un volume.
2.5.
EVOLUZIONE DELL'UNIVERSO
Figura 2.7:
19
Rappresentazione in due dimensioni di un Universo a geometria sferica.[18]
2.4.3 Geometria iperbolica
L'ultimo caso si ha se Ω0 < 1, ovvero se la densità è minore del valore della densità critica. Ciò
che si ottiene è la cosiddetta geometria iperbolica. Questa condizione comporta una curvatura
negativa che risulta in un Universo aperto, la cui rappresentazione in due dimensioni consiste in
un paraboloide iperbolico (anche conosciuto come sella). La geometria iperbolica è un altro caso
di geometria non-euclidea, infatti anche in questa occasione è il V postulato di Euclide ad essere
violato. In questa circostanza invero due linee geodetiche parallele non solo non si incontrano
mai, ma addirittura divergono l'una dall'altra. Le conclusioni fondamentali a cui si giunge sono
ormai facilmente intuibili: la somma degli angoli di un triangolo è minore di 180◦ mentre il valore
della circonferenza risulta maggiore di 2rπ .
Figura 2.8:
Rappresentazione qualitativa in due dimensioni di un Universo a geometria iperbolica, quindi
con curvatura negativa.[18]
In questo caso specico l'isotropia è meno evidente ma è sempre valida, rendendo il modello
compatibile con il Principio Cosmologico. Inoltre, nonostante tutte e tre le geometrie rappresentino Universi inniti, solo questo e quello denito dalla geometria euclidea non possiedono
conni naturali. In un Universo con curvatura nulla o negativa si possono scoprire innite regioni
inesplorate, al contrario di uno con curvatura positiva.
2.5 Evoluzione dell'Universo
In questa sezione sarà trattato il modello sviluppato per descrivere l'Universo. Questo integra
le due premesse che costituiscono il Principio Cosmologico, spiega perfettamente le osservazioni
empiriche di Hubble e si basa sulle equazioni della relatività generale di Einstein, quindi sull'universalità delle leggi della sica. Nel corso degli ultimi decenni sono stati molteplici i tentativi
20
CAPITOLO 2.
ELEMENTI DI COSMOLOGIA MODERNA
di ideare un modello che descrivesse accuratamente lo sviluppo e l'espansione dell'Universo. Il
più predominante nella comunità scientica e confermato dal punto di vista delle prove e delle
osservazioni empiriche ha il nome di Modello del Big Bang caldo. L'idea di fondo consiste nel
fatto che l'Universo inizia la sua espansione partendo da uno stato iniziale a densità energetica5 ,
pressione e temperatura praticamente innite, e che questa espansione è ancora in atto adesso.
Questo modello deve molto al matematico e sico russo Alexander Friedmann (1888 − 1925), che
per primo mostra come la teoria sviluppata da Einstein permetta l'eventualità di un Universo in
espansione, nonostante molti cosmologi, tra cui Einstein stesso, si erano dati da fare per trovare
una soluzione statica. È già stato detto come questa ipotesi dell'espansione venga in seguito
confermata da Hubble e più tardi da Perlmutter, Schmidt e Riess. Ciò obbliga quindi a valutare
l'evoluzione dell'Universo, poiché, se quest'ultimo si espande, signica che in un tempo molto
remoto era un punto ideale con, come già accennato, densità, pressione e temperatura estreme.
2.5.1 Cronologia del Big Bang
Con il termine Big Bang caldo si indicano due avvenimenti: l'istante in cui comincia l'espansione
dell'Universo e il periodo in cui esso rimane denso e caldo. Il nome Big Bang viene coniato dal
matematico, sico e astronomo britannico Fred Hoyle (1915 − 2001), uno dei maggiori sostenitori
della teoria dell'Universo stazionario, per deridere l'idea abbozzata dell'ucraino George Gamow
(1904 − 1968). Quest'ultimo giunge infatti alla conclusione che le abbondanze cosmiche, ovvero le
quantità di un dato elemento nell'Universo non potevano essere frutto di situazioni di equilibrio
consolidatesi nel tempo, ma bensì di un evento breve e tremendamente potente. Da qui deriva la
grande esplosione schernita da Hoyle. Bisogna precisare che, in ogni caso, parlare di esplosione è
inesatto, perché un'esplosione avviene ad un dato istante ed in un dato luogo dello spazio-tempo,
mentre prima del Big Bang non esistevano né spazio né tempo, dunque è inutile interrogarsi su
cosa ci fosse prima del Big Bang. L'Universo si espande quindi con lo spazio, non nello spazio.
Sul momento della nascita dell'Universo esistono molte speculazioni, visto che si arriva ad un
istante in cui i valori di pressione, temperatura e densità energetica sono talmente alti, che le
leggi siche risultano inapplicabili. Grazie agli acceleratori di particelle oggi si può studiare come
si comporta la materia in condizioni di energie estreme, sempre più simili a quelle vericatesi alla
nascita dell'Universo, ma questi hanno ancora dei limiti oggettivi, che non permettono un'analisi
completa. L'istante, dal quale si può cominciare a descrivere l'Universo con una certa precisione,
coincide con l'inizio dell'Era di Planck, ovvero a 10−44 s dopo il Big Bang6 .
Era di Planck
L'Era di Planck avviene ad una temperatura di 1032 K e ad un'energia pari a 1028 eV. La particolarità di questo istante consiste nel fatto che la forza gravitazionale si separa dalle altre
interazioni, che invece sono ancora tutte unicate in un'unica forza.
Era GUT
L'Era GUT, anche detta Era della Grande Unicazione, avviene a 10−36 s dalla nascita dell'Universo ad una temperatura pari a 1028 K e ad un'energia di 1024 eV. Assieme alla separazione
dell'interazione forte dalle altre si verica l'evento più importante dei primi istanti di vita dell'Universo, l'inazione. Inazione è il termine usato dai cosmologi per descrivere l'impressionante
espansione dello spazio-tempo, che in un intervallo dell'ordine di 10−34 s vede il fattore di scala,
5
Con densità energetica si intende la quantità di energia di una data regione dello spazio per unità di volume
o di massa.
6 −44
10
s: tempo di Planck, il più piccolo intervallo di tempo misurabile con le attuali leggi siche.
2.5.
EVOLUZIONE DELL'UNIVERSO
21
ovvero la funzione crescente nel tempo che descrive come variano le distanze spaziali, aumentare
di circa 1050 volte.
L'idea dell'inazione è opera del cosmologo americano Alan Guth (1947−) e, vista la sua natura
tra l'ambito sico e quello metasico, non è vericabile, ma risolve alcuni problemi, che minacciavano il modello del Big Bang caldo. L'inazione spiega infatti l'assenza di monopoli magnetici,
che si sarebbero dovuti produrre in grande quantità con la ne dell'Era GUT e che consistono in
particelle stabili molto pesanti. Stranamente questi non sono però mai stati rilevati. Qui entra in
gioco l'intuizione geniale di Guth, in quanto la violenta espansione avrebbe abbassato la densità
dei monopoli magnetici, no a renderne il rilevamento praticamente impossibile.
Anche il cosiddetto problema degli orizzonti trova una soluzione grazie all'inazione. Questo
problema consiste nello spiegare come è possibile che due punti osservabili dalla Terra, con una
distanza angolare tale da non essere mai potuti venire in contatto tra loro, abbiano esattamente
la stessa temperatura, come provato dalla radiazione cosmica di fondo, della quale si parlerà in
seguito. Questo fenomeno si spiega infatti dicendo che l'equilibrio termico dell'Universo è stato
stabilito prima dell'inazione e di conseguenza oggi delle zone, che non hanno inuenza l'una
sull'altra, hanno comunque la stessa temperatura, poiché erano inizialmente sucientemente
vicine.
Al termine del processo di inazione, il cosmo è formato da un plasma contenente tutte le particelle elementari: quark e leptoni con le rispettive antiparticelle e bosoni mediatori delle interazioni.
Tutte queste sono in equilibrio termico e la temperatura è abbastanza elevata da permetterne il
moto casuale a velocità relativistiche, perciò l'energia è suciente per continuare a creare particelle per poi in seguito distruggerle attraverso collisioni. Le particelle si trovano in questo plasma
praticamente nello stesso numero, ma c'è una leggera asimmetria, che fa prevalere la materia sull'antimateria. Questa asimmetria sembrerebbe essere dovuta a una reazione chiamata bariogenesi
che viola la conservazione del numero barionico, portando ad una leggera sovrabbondanza dei
quark e dei leptoni sugli antiquark e sugli antileptoni. Ciò ha permesso lo sviluppo dell'Universo
come lo si conosce oggi, ma questa reazione non è stata ancora completamente chiarita.
Era dell'unicazione elettrodebole
A seguito dell'inazione bisogna attendere che l'interazione debole si distacchi da quella elettromagnetica, perché si assista ad un evento degno di nota. È infatti con questa separazione,
avvenuta 10−10 s dopo il Big Bang, ad una temperatura di 1015 K ed un'energia di 3,5 · 1011 eV,
che le particelle mediatrici dell'interazione debole7 acquistano una massa propria, dierenziandosi dai fotoni. La nuova caratteristica di queste particelle riduce drasticamente il loro raggio
d'azione, perciò esse smettono di esistere come particelle libere.
Transizione di fase quark-adroni
Bisogna aspettare no a 5 · 10−4 s dalla nascita dell'Universo, perché l'energia arrivi a 2 · 108 eV e
la temperatura a 7 · 1011 K, diventando quindi insucienti per mantenere i quark e gli antiquark
come particelle libere. Queste sono perciò costrette a combinarsi per continuare ad esistere, formando i cosiddetti adroni, ovvero particelle costituite da quark. Di questa categoria fanno parte
i barioni (formati da tre quark o tre antiquark) e i muoni (composti da un quark e un antiquark).
Protoni e neutroni sono gli esempi più importanti e stabili di questa famiglia. Visto che l'energia
non è più suciente per lasciare liberi quark e antiquark, questi si combinano a poco a poco,
rilasciando una grande quantità di fotoni nell'Universo. In questa maniera l'antimateria barionica
scompare e rimane una parte di materia, grazie all'asimmetria citata in precedenza.
7
Si parla qui delle particelle W + , W − e Z 0 , che appartengono alla categoria dei bosoni vettori, ovvero particelle
con valore di parità negativa e numero quantico di spin pari a 1.
22
CAPITOLO 2.
ELEMENTI DI COSMOLOGIA MODERNA
Disaccoppiamento dei neutrini
A 0,7 s dal Big Bang, con un'energia ormai ridotta a 5 · 106 eV ed una temperatura a 2 · 1010 K le
interazioni dei neutrini8 con i barioni e con la radiazione cessano quasi completamente, lasciando
i primi liberi di viaggiare nell'Universo. Essi vanno quindi a formare un cosiddetto fondo cosmico
che pervade tutto l'Universo, ad una temperatura di circa 2 K. Visto che i neutrini cessano di
fungere da fonte per la mutazione dei protoni in neutroni e dei neutroni in protoni, questo compito viene assunto interamente da elettroni e positroni. Quando l'energia scende però sotto 106 eV,
anche questi ultimi scompaiono, lasciando solo pochissimi elettroni che vanno a neutralizzare la
carica positiva dell'Universo dovuta ai protoni. Si ssa quindi il rapporto tra protoni e neutroni,
che a 1 s assume il valore di 13
3 . Le reazioni tra protoni e neutroni non riescono ancora a mantenere stabili i loro prodotti, a causa della troppa energia disponibile. Si deve aspettare infatti
che l'energia dell'Universo scenda al di sotto di quella di legame, ssata a 2,2 · 106 eV, perché il
deuterone, ovvero il nucleo del deuterio, formato da un protone e un neutrone, possa stabilizzarsi.
Nucleosintesi primordiale
All'incirca 200 s dopo la nascita dell'Universo, la temperatura è ormai ridotta a 109 K e l'energia a 3 · 105 eV. Queste condizioni permettono l'inizio della nucleosintesi primordiale, ovvero il
periodo della durata di circa 700 s, durante il quale viene sintetizzato deuterone stabile, che per
una reazione detta cattura neutronica9 , dà luogo al trizio10 . In seguito dal trizio, attraverso la
cattura di un protone, si forma l'elio (4 He) e dall'elio si forma, in bassa quantità, un isotopo del
litio, notato (7 Li). In questi 700 s si formano quindi tutti gli elementi provenienti dal Big Bang
caldo. L'abbondanza di elio presente oggi nell'Universo dà un importante risultato per cercare
di stabilire le eettive condizioni, come durata e temperatura, della nucleosintesi primordiale.
Infatti mentre nelle zone vuote dell'Universo la temperatura scende velocemente, nelle stelle essa
rimane alta permettendo quindi ancora reazioni nucleari per molto tempo. Si sa per l'appunto
che le stelle producono elio al loro interno, ma molte stelle lo consumano per produrre altri elementi più pesanti. La stabilità dell'elio permette però di aermare che oggi il 99% di esso presente
nell'Universo proviene dalla nucleosintesi primordiale. Questo dato è dunque molto utile per ricostruire i dettagli di questa fondamentale fase, durante i primi momenti di vita del nostro Universo.
Era della ricombinazione
Dopo la nucleosintesi primordiale si giunge quindi all'ultima fase del Big Bang, ovvero la ricombinazione. La prima parte di essa è contrassegnata dalla produzione di atomi neutri. Per far sì
che essi possano sopravvivere nell'Universo, è necessario che l'energia dei fotoni sia minore dell'energia del legame tra l'elettrone e il protone di un atomo di idrogeno. Questa energia corrisponde
a 13,6 eV e, perché i fotoni con un'energia maggiore possano essere trascurati, bisogna attendere
no a che la temperatura dell'Universo raggiunga circa 4/5000 K, il che corrisponde a un tempo
più o meno pari a 3000 000 anni dal Big Bang. Se l'energia dei fotoni è maggiore di quella di
ionizzazione dell'idrogeno, è infatti suciente un urto casuale per distruggere l'atomo e lasciare
protone e elettrone allo stato di plasma. Una volta raggiunte queste condizioni si nota quindi un
importante aumento della quantità di atomi neutri, di conseguenza cala il numero di elettroni
8
Particelle subatomiche elementari di massa molto ridotta e carica elettrica nulla, appartenenti al gruppo dei
leptoni.
9
La cattura neutronica è un tipo di reazione nucleare, nella quale un nucleo atomico si scontra e si fonde con
uno o più neutroni, formando un nucleo più pesante.
10
Il trizio (3 H) è un isotopo dell'idrogeno, che ha massa atomica 3.
2.5.
23
EVOLUZIONE DELL'UNIVERSO
liberi e, una volta raggiunta la temperatura di 3000 K, si dice che il processo di neutralizzazione
della materia è completato. I fotoni non incontrano più quindi nessuna particella carica con cui
interagire e iniziano un moto perpetuo, sempre nella stessa direzione. Essi danno quindi luogo
alla radiazione cosmica di fondo (in inglese Cosmic Microwave Background Radiation o CMB ),
che sarà ampiamente trattata in questo testo. L'ultimo punto da trattare è la formazione delle
galassie. Grazie ai progressi degli ultimi decenni il processo si può spiegare facilmente. Si tratta
infatti di grandi nubi di gas, composte per lo più da idrogeno, che si contraggono grazie alla
forza di gravità. Questo comporta un aumento locale di densità e temperatura, che dà luogo alle
reazioni nucleari, le quali producono tutti gli elementi che si possono osservare.
tempo (s)
temperatura (K) energia (eV)
Era di Planck
10−44
1032
1028
Era GUT
10−36
1028
1024
Era dell’unificazione elettrodebole
10−10
1015
3, 5 · 1011
Transizione di fase quark-adroni
5 · 10−4
7 · 1011
2 · 108
Disaccoppiamento dei neutrini
7 · 10−1
2 · 1010
5 · 106
Nucleosintesi primordiale
2 · 102
109
3 · 105
Era della ricombinazione
1013
3 · 103
1
Figura 2.9:
Schema che riassume i punti fondamentali della cronologia del Big Bang.
24
CAPITOLO 2.
ELEMENTI DI COSMOLOGIA MODERNA
2.5.2 Il futuro dell'Universo
Dopo questa breve descrizione delle fasi iniziali dell'Universo, si passa ad illustrare i possibili
scenari futuri di esso. Per trattare questi ultimi ci si deve legare al discorso fatto per le diverse
geometrie e per l'energia oscura, prima però è necessario introdurre un nuovo parametro. Questo
parametro, chiamato fattore di scala e notato a(t), denisce il rapporto tra due distanze nello
spazio in funzione del tempo. È quindi scontato che, per conoscere l'evoluzione dell'Universo,
bisogna prima conoscere l'evoluzione del fattore di scala e del suo tasso di variazione nel tempo.
Quest'ultimo è dato da una relazione, dove i ruoli fondamentali sono giocati dal parametro di
curvatura k e dal valore dell'energia oscura Λ. Il parametro di curvatura k può assumere tre
diversi valori, a dipendenza della geometria dell'Universo. Per la geometria euclidea si ha infatti
k = 0, per quella sferica k = 1, mentre per quella iperbolica k = −1. Il valore dell'energia oscura
Λ ha un'inuenza diversa a dipendenza se questo è maggiore, minore o uguale a 0. Poste queste
premesse si ottengono 11 possibili modelli teorici.
Se Λ è minore di 0 la teoria conclude che esistono tre modelli, che non dipendono da k, quindi
indipendenti dalla curvatura dell'Universo. Un valore negativo per l'energia oscura signica che
essa svolge la stessa funzione della forza di gravità, amplicando l'eetto dato da quest'ultima.
Questi tre modelli sono dunque tutti caratterizzati da un Big Bang iniziale seguito da un'espansione, che però si ferma, per poi invertire la tendenza. La conclusione è il cosiddetto Big Crunch,
ovvero uno scenario, in cui, sotto il peso della gravità (ed in questo caso dell'energia oscura)
tutto l'Universo collassa su sé stesso.
Se Λ = 0 si ottengono altri tre modelli. Al contrario dei tre precedenti questi sono dipendenti
dalla curvatura dello spazio. Nel caso della geometria euclidea (k = 0) si ottiene infatti un
modello, nel quale l'Universo si espande inizialmente ma, a causa della forza di gravità, la sua
espansione rallenta per tendere asintoticamente a 0. La situazione è dierente per la geometria
sferica (k = 1), infatti una densità maggiore della densità critica implica una forte predominanza
della gravità sulle altre interazioni. In questo modello si ha, dopo il Big Bang e l'espansione
iniziale, una situazione simile a quelli con Λ < 0, quindi con un rovesciamento dell'espansione,
che si conclude con un Big Crunch. La terza e ultima possibilità consiste nel caso della geometria
iperbolica (k = −1). Si tratta della situazione opposta a quella della geometria sferica e quindi si
assiste ad un'espansione che rallenta leggermente nel tempo, senza però mai tendere a 0. Questo
è comprensibile, poiché, visto che la densità è minore della densità critica, la forza di gravità è
insuciente per trattenere lo spazio.
a(t)
k = −1
k=0
k=1
t
Figura 2.10:
I tre scenari possibili dell'Universo ponendo il valore della costante cosmologica uguale a
0.
2.5.
25
EVOLUZIONE DELL'UNIVERSO
Interessante notare come questi modelli fossero ritenuti i più verosimili no alla ne del secolo
scorso, e soprattutto no alla scoperta dell'espansione accelerata dell'Universo, perché partono
dalla premessa che l'energia oscura sia trascurabile e quindi abbia un valore vicino allo 0.
Gli ultimi 5 modelli mancanti all'appello sono tutti contraddistinti da un valore positivo di Λ
e si dierenziano tra loro per il parametro di curvatura. Un'altra particolarità è che sono tutti
caratterizzati da un'espansione che accelera nel tempo, darebbero quindi fondamento teorico
alle osservazioni degli oggetti in moto accelerato, rilevati alla ne del XX secolo. È infatti in
quest'ultimo gruppo che si trova il modello, che oggi è ritenuto il più verosimile. Esso consiste in
un inizio ane a quello dei modelli con Λ = 0: si ha dunque un Big Bang seguito da un'espansione,
che si attenua per un certo lasso di tempo, per poi riprendere ad aumentare progressivamente.
a(t)
t
Figura 2.11:
Scenario previsto con un valore positivo di Λ, caratterizzato da un'espansione accelerata
nel tempo.
Questo modello è quello che raccoglie più consensi oggi, in quanto racchiude in sé Big Bang,
espansione accelerata e dà un ruolo importante all'energia oscura, che contrasta la forza di
gravità.
Capitolo 3
Parametri osservativi
3.1 Il fattore di scala e la sua legge
Il fattore di scala, già introdotto in 2.5.2, è il primo parametro che sarà approfondito in questo
capitolo. La funzione fattore di scala, notata a(t) è fondamentale per la cosmologia, in quanto
descrive l'evoluzione della distanza tra due oggetti distinti in funzione del tempo, ovvero il tasso
di espansione dell'Universo. Il fattore di scala è denito come il rapporto, quindi senza unità di
misura, tra la distanza d che separa i due oggetti al tempo t e quella al tempo t0 , notata d0 , che
per denizione corrisponde a quella attuale, di modo che a(t0 ) = 1. Si ha perciò
a(t) =
d(t)
.
d0
(3.1)
Esempio Siano
A e B due corpi celesti distinti, al tempo attuale t0 si denisce la distanza
−−→
−−→
d0 = kAB(t0 )k, mentre ad un dato tempo t si denisce la distanza d = kAB(t)k, che risulta
essere d = 1,5d0 . La funzione fattore di scala assume quindi il valore di a(t) = 1,5.
−→
kAB(t0 )k = d0
t0
A
B
−→
kAB(t)k = d =1,5d0
t
B
A
Figura 3.1:
Nell'immagine sono mostrati i due corpi assimilati come punti, notati A e B , con la distanza
che li separa al tempo attuale t0 e al tempo t.
3.1.1 L'equazione di Friedmann
Per conoscere l'andamento in funzione del tempo del fattore di scala a(t) si utilizza l'equazione
di Friedmann, la più importante equazione della cosmologia. Questa assume la forma
2
ȧ
8πG
kc2
=
ρ− 2 ,
a
3
a
oppure, meno frequentemente, la forma
27
(3.2)
28
CAPITOLO 3.
ȧ2 −
8πG 2
ρa = −kc2 ,
3
PARAMETRI OSSERVATIVI
(3.3)
dove a è la funzione fattore di scala, ȧ è la derivata rispetto al tempo della funzione fattore di
scala, G è la costante di gravitazione universale1 , ρ è, come già annunciato in 2.4, la densità
dell'Universo, data dalla somma delle densità di materia (ρm ), radiazione (ρr ) e energia oscura
(ρΛ ), mentre k è il parametro di curvatura che, come già aermato, può assumere tre valori
distinti ±1 oppure 0.
Le due varianti dell'equazione di Friedmann scritte qua sopra hanno una lieve dierenza formale,
rispetto a come viene scritta al giorno d'oggi. Questa dierenza riguarda la velocità della luce c.
Nella famosa relazione di equivalenza massa-energia di Einstein
E = mc2 ,
(3.4)
ρe = ρc2 ,
(3.5)
che si può anche utilizzare nella forma
dove ρe è la densità di energia, è infatti possibile scegliere particolari unità di misura in maniera
da ottenere c = 1, rendendo quindi energia e massa equivalenti. Ora, visto questo particolare
valore di c, l'equazione di Friedmann assume la sua forma più diusa, ovvero
2
ȧ
8πG
k
=
ρ − 2,
a
3
a
rispettivamente
ȧ2 −
8πG 2
ρa = −k.
3
(3.6)
(3.7)
Ricavare l'equazione di Friedmann
Alexander Friedmann ricava questa equazione dalla teoria sulla relatività generale di Einstein, ma
è però possibile giungere agli stessi risultati, senza ovviamente la rigorosità del sico e matematico
russo, utilizzando le leggi della sica newtoniana.
Prima di cominciare è necessario fare una premessa, possibile grazie al Principio Cosmologico.
Visto che ogni punto dell'Universo è indistinguibile da un altro, si può considerare semplicemente
una sezione sferica di Universo con un punto centrale che ha le stesse caratteristiche di tutti gli
altri punti. Questa sezione sferica, notata S , di centro O, raggio r e densità ρ, è in espansione.
A
S
r
O
Figura 3.2:
1
G = 6,67 · 10−11 m3 kg−1 s−2 .
Sezione sferica S .
3.1.
29
IL FATTORE DI SCALA E LA SUA LEGGE
Sul bordo di S si trova un oggetto A di massa m, il cui comportamento può essere capito tramite i
valori dell'energia cinetica, potenziale e quindi meccanica, che si andrà ora a calcolare. A possiede
infatti un'energia potenziale gravitazionale data da
GmS m
,
(3.8)
r
dove G è la costante di gravitazione universale e mS è la massa della sezione di Universo S . Visto
che S ha forma sferica e densità ρ, si può scrivere mS = VS ρ = 43 πr3 ρ. L'energia potenziale si
E pot = −
può quindi riscrivere come
4
E pot = −G πr2 ρm.
3
(3.9)
Come già detto in precedenza però, S è in espansione quindi r può essere derivato e A possiede
anche un'energia cinetica, data da
1
1
E cin = mv 2 = mṙ2 ,
2
2
(3.10)
dove appunto ṙ è la derivata della funzione, che descrive l'andamento del raggio di S in funzione
del tempo.
Una volta ottenute energia potenziale e cinetica, è possibile trovare l'energia meccanica, data
dalla somma delle due energie citate in precedenza. Si ha quindi
1
4
E mecc = E cin + E pot = mṙ2 − G πr2 ρm.
2
3
(3.11)
È necessario ora però compiere un ulteriore passo, per inglobare il fattore di scala nella relazione.
Si introducono a questo scopo le coordinate comoventi. La distanza comovente d è il divario che
due oggetti avrebbero in questo istante se non si muovessero, ed è quindi data dalla divisione
della distanza eettiva, notata r(t), per il fattore di scala a(t). Si scrive quindi
d=
r(t)
.
a(t)
(3.12)
Grazie al concetto di distanza comovente si possono denire le coordinate comoventi. Queste
sfruttano l'isotropia dell'Universo per descrivere lo spazio-tempo attraverso distanze comoventi
ed osservatori, anch'essi detti comoventi, in quanto si muovono con l'espansione di esso. Visto il
cambio di sistema di coordinate, si sostituiscono r e ṙ in (3.11), e si ottiene quindi la relazione
1
4
E mecc = md2 ȧ2 − G πd2 a2 ρm,
2
3
(3.13)
che può essere riscritta come
ȧ2 −
8πG 2
2E mecc
a ρ=
.
3
d2 m
(3.14)
Come si può notare il membro sinistro dell'equazione è identico a quello di (3.7), mentre nel
membro destro si ha qui il termine
2E mecc
.
d2 m
Visto che il sistema è isolato e che tutte le forze attive sono conservative, il teorema dell'energia
meccanica dice che ∆E mecc = 0, quindi il termine di destra è una costante indipendente dal
tempo, esattamente come k nell'equazione (3.7).
Confrontando le equazioni (3.7) e (3.8) si ottiene
30
CAPITOLO 3.
PARAMETRI OSSERVATIVI
2E mecc
= −k.
d2 m
(3.15)
Con questo ultimo passaggio si ottiene quindi un'equazione che coincide formalmente con quella
di Friedmann.
3.1.2 L'equazione del uido
Prima di poter utilizzare eettivamente l'equazione di Friedmann bisogna ancora chiarire un'incognita, ovvero la funzione della densità ρ(t), che non è costante, ma bensì varia con il tempo.
L'assenza di informazioni sulla densità rende impossibile ottenere dati riguardanti il fattore di
scala. È quindi necessario trovare la funzione che descrive l'andamento di ρ(t), come l'equazione
di Friedmann descrive quello del fattore di scala. Questa equazione è ottenuta a partire dal primo
principio della termodinamica che, per un processo innitesimale, si scrive
(3.16)
dE = δW est + δQest ,
dove dE è l'energia interna,
il lavoro svolto dalla forza esterna e
il calore scambiato.
est
Considerando un lavoro di compressione uniforme (δW = −p dV ) e sfruttando il secondo principio della termodinamica per un processo reversibile (δQest = T dS ) si può riscrivere l'equazione
(3.16) in questa maniera
δW est
δQest
dE + p dV = T dS.
(3.17)
Si applica ora questo risultato a un volume sferico V di raggio a, del quale si determina l'energia grazie, ancora una volta, alla relazione di equivalenza massa-energia di Einstein E = mc2 ,
sapendo che m = V ρ. Si ottiene quindi
4
E = V ρc2 = πa3 ρc2 .
3
(3.18)
È necessario ora trovare i tassi di variazione di energia e volume. Per ottenere la variazione
di energia in un intervallo di tempo innitesimale dt, è necessario derivare l'equazione (3.18)
rispetto al tempo. Si ha di conseguenza
dE
d
=
dt
dt
4
πa(t)3 ρ(t)c2
3
4
= 4πa(t)2 ρ(t)c2 ȧ + πa(t)3 ρ̇c2 .
3
(3.19)
La variazione di volume è determinata nella stessa maniera
dV
= 4πa(t)2 ṙ.
dt
(3.20)
4
4πa(t)2 ρ(t)c2 ȧ + πa(t)3 ρ̇c2 + p4πa(t)2 ȧ = 0,
3
(3.21)
Per ottenere l'equazione (3.17) è già stato aermato che il sistema è isolato e, sempre a partire
da questa supposizione, si ricava che la variazione di entropia del sistema è nulla, quindi dS = 0.
In questo modo, tornando all'equazione (3.17), si nota come il termine T dS scompaia. Unendo
le equazioni (3.17), (3.19) e (3.20) si ottiene la relazione
che attraverso la messa in evidenza assume la forma
ρ̇ + 3
p
ȧ ρ + 2 = 0.
a
c
(3.22)
Questa è la cosiddetta equazione del uido, che fornisce informazioni sull'andamento della densità
dell'Universo. Si nota però come anche questa equazione non possa essere sfruttata direttamente,
3.2.
LA COSTANTE DI HUBBLE
31
H0
ma è necessario prima stabilire quanto vale la pressione p. È fondamentale capire che nell'Universo
non esistono forze dovute alla pressione, infatti, grazie al Principio Cosmologico, si sa che ogni
punto dell'Universo ha le stesse caratteristiche di qualunque altro e di conseguenza anche la stessa
pressione. È specicando la pressione dell'Universo che si deve denire il genere di materia in
esso. In cosmologia è d'uso denire l'equazione di stato, ovvero una relazione che ad ogni densità
associa una certa pressione. Questa relazione assume una forma del tipo
p = p(ρ).
(3.23)
Una volta denita l'equazione di stato si hanno a disposizione tutti gli strumenti necessari per
utilizzare l'equazione di Friedmann e l'equazione del uido, quindi per descrivere l'evoluzione
dell'Universo.
3.1.3 L'equazione di accelerazione
Prima di passare all'approfondimento riguardante gli altri parametri osservativi, si denisce una
terza equazione derivante dall'equazione di Friedmann e dall'equazione del uido, che concerne
l'accelerazione del fattore di scala.
Per ottenere l'equazione di accelerazione è necessario derivare, rispetto al tempo, l'equazione di
Friedmann ((3.6)), nella quale si hanno a, ȧ e ρ in funzione del tempo. Si trova quindi
ȧ äa − ȧ2
8πG
k
=
ρ̇ + 2 3 ȧ.
(3.24)
a a2
3
a
Dall'equazione del uido si ricava che ρ̇ = −3 ȧa ρ + cp2 e una volta eettuata la sostituzione la
2
relazione (3.24) diventa
ä
=
a
2
ȧ
p
k
− 4πG ρ + 2 + 2 .
a
c
a
ȧ 2
(3.25)
Si può ancora sostituire il termine a , grazie all'equazione di Friedmann, per ottenere la forma
denitiva dell'equazione di accelerazione, ovvero
ä
4
p
= − πG ρ + 3 2 .
a
3
c
(3.26)
È facile notare come un'eventuale accelerazione dell'evoluzione del fattore di scala e quindi
dell'Universo sia inuenzata dalla pressione, sottolineando l'importanza dell'equazione di stato.
3.2 La costante di Hubble H0
Il secondo parametro osservativo che viene qui trattato è la costante di Hubble. Visto che questa
costante è già stata arontata nell'introduzione, saranno qui riportati soltanto i concetti più
importanti non ancora spiegati. La costante di Hubble, notata H0 , è uno dei più importanti
parametri osservativi dell'Universo. Racchiude, come già detto nell'introduzione, informazioni
sull'espansione dell'Universo, nella misura in cui rappresenta il legame tra velocità e distanza dei
corpi celesti, che appunto è costante. Dal Principio Cosmologico si sa che ogni punto dell'Universo
è uguale a qualsiasi altro, quindi risulta ovvio che ogni regione del cosmo si espande esattamente
come ogni altra a un preciso istante. Questo però non signica che la costante di Hubble sia
costante anche nel tempo. Essa è infatti notata H0 , perché è riferita al tempo attuale t0 . È inoltre
errato considerare la costante di Hubble come il tasso di espansione dell'Universo, in quanto la
funzione H(t), che al tempo t0 vale H(t0 ) = H0 , rappresenta invece il tasso d'espansione relativo
del fattore di scala. Quindi
32
CAPITOLO 3.
H(t) =
PARAMETRI OSSERVATIVI
ȧ(t)
,
a(t)
(3.27)
dove a(t) è la funzione fattore di scala al tempo t e ȧ(t) è la derivata rispetto al tempo di a(t).
Il valore di H0 della costante di Hubble lo si trae però dalla legge di Hubble v = H0 · d, valida
solo no ad una certa distanza d dalla Terra, che si può riscrivere come
v
.
d
H0 =
(3.28)
Teoricamente quindi ricavare il valore preciso di questa costante è molto semplice, ma, come
già visto, calcolare velocità e soprattutto distanza in maniera sucientemente accurata non è
per niente facile, visto il bisogno di candele standard e della loro distanza eettiva. Grazie alle
tecnologie di cui si dispone oggi, è possibile ottenere dei buoni risultati, ma non abbastanza
precisi come vorremmo. Come già visto in 2.2, il valore assunto dalla costante di Hubble oggi,
grazie ai dati raccolti dal telescopio spaziale Hubble, è
H0 = 72 ± 8 km s−1 Mpc−1 .
(3.29)
Una volta conosciuto il valore, più o meno preciso, della costante di Hubble si possono ricavare
altri risultati fondamentali per lo studio dell'Universo, che saranno trattati nelle prossime sezioni.
Il redshift cosmologico
Ora che sono stati introdotti fattore di scala e costante di Hubble, si può fare un'analisi più
quantitativa ed accurata del redshift cosmologico, a cui si era già accennato in 2.2. Il redshift
cosmologico consiste nell'inusso dell'espansione dell'Universo sui fotoni, che si verica attraverso
una variazione della frequenza di essi alla sorgente e all'osservatore. Per spiegare questo fenomeno
ci si serve delle coordinate comoventi, introdotte in 3.1.1.
Si prendono quindi in considerazione due galassie, chiamate G1 e G2 . G1 è posta a x = 0, mentre
G2 a x = d, dove d è appunto una distanza comovente, quindi costante nel tempo. Si analizza
un fotone γ , emesso da G1 al tempo te con una frequenza νe , e ricevuto da G2 al tempo tr con
una frequenza νr .
Grazie alle conoscenze di relatività generale, si descrive il moto del fotone attraverso l'intervallo
spazio-temporale che, visto che il fotone si propaga a velocità c, si sa essere nullo. Si ha quindi
2
2
2
ds = 0 = −c dt + a(t)
2
dx2
2
2
2
+ x ( dθ + sin θ dφ) ,
1 − kx2
(3.30)
dove a(t) è la funzione fattore di scala, k è il parametro di curvatura, mentre θ e φ sono le
coordinate angolari. Si considera qui il caso di una curva radiale, quindi con θ e φ costanti, in
un Universo denotato da k = 0, ossia con curvatura nulla.
Queste supposizioni permettono di riscrivere l'equazione (3.30) nella seguente maniera
0 = −c2 dt2 + a(t)2 dx2 .
(3.31)
Se integrata, l'equazione (3.31), visto che dx è costante, permette di ottenere
Z
tr
te
dt
c
=
a(t)
Z
d
dx = d.
0
(3.32)
Si considera ora l'emissione in G1 di un ulteriore fotone γ̃ a un tempo te + dte , rilevato in G2
a tr + dtr . Trascurando il moto delle galassie nell'intervallo di tempo tra la prima e la seconda
emissione, dovuto all'espansione dell'Universo, si può scrivere
3.2.
LA COSTANTE DI HUBBLE
33
H0
Z
tr + dtr
c
te + dte
dt
= d.
a(t)
(3.33)
Eguagliando le relazioni (3.32) e (3.33) si ottiene
Z
tr
te
dt
c
=
a(t)
Z
tr + dtr
c
te + dte
dt
.
a(t)
(3.34)
Dalla relazione (3.34) si ricava facilmente che
Z
te + dte
te
dt
c
=
a(t)
Z
tr + dtr
c
tr
dt
,
a(t)
(3.35)
ma visto che si integra soltanto su un intervallo innitesimale dt, attraverso un'approssimazione,
si possono tralasciare gli integrali, ottenendo l'equazione
c
dte
dtr
=c
,
a(te )
a(tr )
(3.36)
dte
dtr
=
.
a(te )
a(tr )
(3.37)
che, una volta semplicata, dà
Poiché l'inverso dell'intervallo tra due fotoni denisce la frequenza, si può scrivere
νe
a(tr )
=
.
νr
a(te )
(3.38)
Si introduce quindi la denizione di parametro di redshift nella seguente maniera
1+z ≡
λr
.
λe
(3.39)
È possibile legare questa denizione all'equazione (3.38), ricordando la relazione tra frequenza ν
e lunghezza d'onda λ, in modo da ottenere
1+z =
νe
a(tr )
=
.
νr
a(te )
(3.40)
Si può dunque ora applicare questo risultato alla situazione dell'Universo. Visto che l'Universo è
in espansione, come accennato in 2.3.3, si conclude che il fattore di scala a(t) cresce nel tempo.
Si ha quindi
a(te )
< 1.
a(tr )
(3.41)
Grazie al risultato espresso in (3.41), dall'equazione (3.38) e dalla relazione tra frequenza e
lunghezza d'onda, si ricava che
νr < νe ⇔ λr > λe .
(3.42)
Si conclude quindi che le variazioni delle caratteristiche delle onde elettromagnetiche, dovute
all'espansione dell'Universo, consistono in quello che si chiama uno spostamento verso il rosso,
in inglese redshift, delle frequenze.
34
CAPITOLO 3.
Figura 3.3:
PARAMETRI OSSERVATIVI
L'immagine mostra lo spettro elettromagnetico, diviso in bande secondo la lunghezza d'onda,
evidenziando lo spettro visibile all'occhio umano. Si dice che si ha uno spostamento verso il
rosso perché, come si nota nella gura, esso è il colore che caratterizza la radiazione visibile
con la più alta lunghezza d'onda e di conseguenza la più bassa frequenza. [19]
3.3 Il parametro di densità Ω0
Il parametro di densità, notato Ω0 , è un altro parametro fondamentale per lo studio dell'Universo.
Prima di trattarlo esplicitamente, è necessario introdurre il concetto di densità critica, già citato
in 2.4. Il valore della densità critica corrisponde esattamente al valore della densità dell'Universo,
se questo avesse una curvatura nulla, quindi con un valore nullo del parametro di curvatura k = 0.
Per ottenere questo valore si parte ancora una volta dall'equazione di Friedmann, ricordando,
come visto nell'ultima sezione, che ȧa = H Si ha quindi
H2 =
k
8πG
ρ − 2,
3
a
(3.43)
ma se k = 0, l'equazione si può riscrivere come
H2 =
8πG
ρ,
3
(3.44)
permettendo quindi di ricavare la formula della densità critica
ρc (t) =
3H(t)2
.
8πG
(3.45)
Come si può notare ρc dipende da H , che a sua volta dipende dal tempo, quindi il valore della
densità critica non è costante ma varia. Per ottenere il valore odierno si utilizza la costante di
Hubble, ponendo H = H0 e si ottiene di conseguenza
ρc (t0 ) =
3H02
= 9,736 0 · 10−27 kg m−3 ,
8πG
(3.46)
dove, per ottenere il risultato in kg m−3 , si è utilizzato H0 = 2,333 12 · 10−18 s−2 e G = 6,673 84 ·
10−11 m3 kg−1 s−2 .
Una volta trattata la densità critica, è possibile nalmente introdurre il parametro di densità,
denito come
Ω0 =
ρ
,
ρc
(3.47)
dove ρ è la densità eettiva dell'Universo. Anche in questo caso è importante notare come la
funzione del parametro di densità sia notata Ω(t), mentre Ω0 indichi il parametro di densità al
tempo attuale.
3.3.
IL PARAMETRO DI DENSITÀ
35
Ω0
Per il momento non ci si può sbilanciare sul valore eettivo di k, quindi è necessario attendere
ulteriori informazioni, che saranno ricavate nei prossimi capitoli, prima di poter fare delle conclusioni su questo parametro. Si sa già però, da 2.3, che l'Universo è formato da tre principali
costituenti: la materia, la radiazione e l'energia oscura. Si sa inoltre che essi sono legati, grazie
alla densità, dalla relazione ρ = ρm + ρr + ρΛ . È quindi possibile calcolare il rapporto tra queste
densità e la densità critica, per ottenere tre nuovi parametri
Ωm =
ρm
ρc
,
Ωr =
ρr
ρc
,
ΩΛ =
ρΛ
ρc
Si denisce inoltre un quarto parametro, conosciuto come termine di curvatura, notato Ωc , che è
direttamente proporzionale a −k, ovvero meno il parametro di curvatura k, già visto nel capitolo
sugli elementi di cosmologia moderna. Ωc è fondamentale per legare il parametro di densità Ω0
all'equazione di Friedmann, come si vedrà nel capitolo 5.
Riassumendo si ha quindi
Si sa inoltre che
Ωc ∝ (−k).
(3.48)
Ωm + Ωr + ΩΛ + Ωc = 1.
(3.49)
Grazie a queste relazioni diventa quindi possibile studiare più a fondo questi tre parametri, come
si vedrà nelle tre sottosezioni dedicate a essi.
3.3.1 Primo principio della termodinamica per la cosmologia
Prima di passare all'analisi dettagliata dei tre sottoparametri è interessante introdurre brevemente il primo principio della termodinamica per la cosmologia, che permette di ottenere informazioni teoriche su densità energetica e pressione dei tre costituenti dell'Universo, ovvero materia,
radiazione ed energia oscura.
Per introdurre questo principio, si deve considerare un volume V , caratterizzato da un'energia2
E = ρV.
È necessario ricordare il primo principio della termodinamica, già esplicitato in (3.16),
dE = δW est + δQest .
La supposizione di isotropia non ammette dierenze di temperatura, quindi è possibile porre il
valore della dierenza di calore nullo δQest = 0. Questa assunzione, considerando un lavoro di
compressione uniforme (δW est = −p dV ), fa in modo che il primo principio della termodinamica
assuma la forma
dE = −p dV.
(3.50)
x(t) = x̃a(t),
(3.51)
Per poter analizzare densità e pressione dell'Universo in espansione è ancora utile considerare,
come in 3.1.1, le coordinate comoventi. Questa volta non viene però trattato un volume sferico,
bensì uno cubico. La relazione (3.12) si riscrive dunque nella seguente forma,
dove x(t) è la lunghezza eettiva dello spigolo del cubo in questione, a(t) è il fattore di scala,
mentre x̃ è il valore dello spigolo del cubo in coordinate comoventi.
2
L'energia si ottiene dalla relazione di equivalenza massa-energia, unita al fatto che si può eettuare una scelta
di unità di misura, per ottenere c = 1.
36
CAPITOLO 3.
PARAMETRI OSSERVATIVI
Visto che si analizza un cubo, è possibile esprimere il volume di esso in coordinate comoventi.
Sapendo che il volume V del cubo vale
V = s3 ,
dove s è lo spigolo, si può scrivere
V = x(t)3 = (a(t)x̃)3 = a(t)3 Ṽ ,
(3.52)
dove Ṽ è il volume del cubo in coordinate comoventi.
Ritornando ora all'equazione (3.50) si ottiene
d(ρa(t)3 Ṽ )
d(a(t)3 Ṽ )
= −p
.
dt
dt
(3.53)
Questa equazione può però essere ulteriormente semplicata, visto che il volume in coordinate
comoventi Ṽ è costante, nonostante l'Universo sia in espansione.
Si ricava dunque il primo principio della termodinamica per la cosmologia, che assume la forma
dρa3
da3
= −p
.
dt
dt
(3.54)
Si può utilizzare questo principio per evidenziare le caratteristiche singole di materia e energia
oscura, mentre il discorso relativo alla radiazione sarà rimandato a 4.2.4.
Per quanto riguarda la materia, si suppone per convenzione che l'Universo sia composto da
materia senza pressione e che quindi sia contraddistinto da un suo valore nullo pm = 0. Dalla
relazione (3.54) si deduce quindi che
d
(ρm a3 ) = 0.
dt
(3.55)
Visto che la derivata è nulla si ricava che
ρm (t)a(t)3 = cost,
e si ottiene
ρm (t)a(t)3 = ρm (t0 )a(t0 )3 = cost.
(3.56)
La relazione (3.56) può essere riscritta diversamente, permettendo di ricavare il risultato
ρm (t) = ρm (t0 )
a(t0 )
a(t)
3
.
(3.57)
A proposito dell'energia oscura il discorso è altrettanto interessante. L'energia oscura Λ si identica storicamente con la costante cosmologica, che è evidentemente costante nel tempo. Grazie
a questa supposizione, la relazione(3.54) riferita a Λ si semplica ancora, visto che si considera
ρΛ costante.
Si ottiene quindi
ρΛ
da3
da3
= −pΛ
,
dt
dt
(3.58)
da cui il risultato
ρΛ = −pΛ ,
che sarà vericato, e al quale sarà dato un signicato sico, in 3.3.4.
(3.59)
3.3.
IL PARAMETRO DI DENSITÀ
37
Ω0
3.3.2 Il parametro di densità di radiazione Ωr
Il primo dei tre sottoparametri di Ω0 che viene arontato in questo testo è Ωr , ovvero il rapporto
tra la densità della radiazione nell'Universo e la densità critica. Per ottenere il valore eettivo
di Ωr bisogna sapere solamente il valore della densità della radiazione nell'Universo in kg m−3 .
È quindi necessario recuperare dal prossimo capitolo il valore della densità di numero dei fotoni
della radiazione, ricavata dallo studio sul corpo nero. Si ha dunque
(3.60)
ρe,r = 4,168 6 · 10−14 J m−3 .
Per trasformare questo risultato in un risultato espresso in kg m−3 si ha bisogno della relazione di
equivalenza massa-energia di Einstein formulata in termini di densità ρe = ρc2 . Questa relazione
lega infatti massa e energia grazie al valore della velocità della luce c, permettendo di scrivere
ρr =
ρe,r
4,168 6 · 10−14
=
= 4,631 8 · 10−31 kg m−3 .
c2
(3 · 108 )2
(3.61)
ρr
4,631 8 · 10−31
= 4,757 4 · 10−5 .
=
ρc
9,736 0 · 10−27
(3.62)
Grazie a questo risultato è ora suciente rapportarla alla densità critica per ottenere il valore di
Ωr
Ωr =
Si nota immediatamente come il valore di Ωr sia caratterizzato da un fattore dell'ordine di 10−5 .
Ciò permette di concludere che la radiazione ha un'inuenza pressoché nulla sulla densità totale
dell'Universo. È quindi necessario concentrarsi sui parametri Ωm e ΩΛ , in quanto essi giocano un
ruolo più importante nel calcolo della densità Ω0 .
3.3.3 Il parametro di densità di materia Ωm
Come già visto nel capitolo sugli elementi di cosmologia moderna, quando si parla di materia
si intende l'insieme di materia barionica e materia oscura. Per descrivere al meglio la situazione
si introducono due nuovi parametri Ω, ovvero ΩB e Ωαm , che sommati danno Ωm , in modo da
avere indicazioni distinte sulla densità della materia barionica e su quella della materia oscura.
Si ha
ΩB =
ρB
ρc
Ωαm =
ραm
.
ρc
Per ottenere i valori di questi due parametri non saranno eettuati qui veri e propri calcoli, ma
ci si baserà perlopiù su teorie ed osservazioni. Per stimare la densità della materia barionica, si
utilizza il modello del Big Bang, ed in particolare ci si relaziona alla nucleosintesi primordiale.
Accurati calcoli hanno permesso di formulare dei modelli, che descrivono l'andamento delle abbondanze dei vari elementi leggeri (deuterio, elio-3, elio e litio) in funzione del parametro ΩB .
Questi modelli vengono rappresentati attraverso dei graci, che mostrano appunto l'evoluzione
dell'abbondanza degli elementi leggeri rispetto ai diversi valori che ΩB può assumere. Nella gura
3.4 è mostrato un esempio di rappresentazione graca, che riporta le abbondanze relative rispetto
all'idrogeno. Prima di ottenere il valore della densità della materia barionica è necessario fare
una precisazione. È fondamentale infatti sapere che, dopo la nucleosintesi primordiale, l'unico
luogo in cui si assiste alla formazione di nuovi elementi, è l'interno delle stelle. Solo all'interno
di esse è infatti possibile raggiungere le temperature necessarie per le reazioni nucleari, da cui
hanno origine gli elementi. Queste reazioni sono quindi molto rare, rendendo la produzione di
nuova materia irrisoria, se confrontata a quella avvenuta durante la nucleosintesi. Si conclude
quindi che la percentuale di materia barionica non proveniente dalla nucleosintesi primordiale
può essere trascurata, ed in questo modo è possibile trovare un valore abbastanza preciso di ΩB ,
38
CAPITOLO 3.
PARAMETRI OSSERVATIVI
basandosi sulle teorie di questo breve periodo del Big Bang. Questo valore è ottenuto partendo
appunto dalla supposizione appena enunciata che aerma che il 99% dell'elio osservabile oggi
proviene dalla nucleosintesi primordiale.
Abbondanza relativa
1
He
10−2
10−4
3He
10−6
Li
10−8
10−10
2H
10−3
10−2
10−1
1
ΩB
Figura 3.4:
In questa immagine si nota l'andamento delle quantità dei quattro elementi leggeri ragurati
(deuterio 2 H , elio-3 3 He, elio He e litio Li) in funzione del valore di ΩB .
Si giunge al valore dell'abbondanza relativa dell'elio grazie a delle osservazioni (compiute anche
dai satelliti COBE e WMAP) e si ottiene una percentuale (considerando le masse) di circa il
25%. Grazie ad ulteriori osservazioni si ottengono le percentuali anche degli altri tre elementi
presi in considerazioni. Relazionando questi quattro valori ai modelli sviluppati in precedenza si
ottiene il valore di ΩB , rappresentato nel graco dalla retta rossa, che corrisponde a
ΩB = 0,039.
(3.63)
Per quanto riguarda la stima della densità della materia oscura ci si basa invece sulle sue probabili
caratteristiche e su alcune delle osservazioni, che ne lasciano intendere la presenza. Si sa infatti
che la materia oscura è molto più abbondante di quella barionica e che probabilmente è formata
da particelle pesanti con velocità intrinseche abbastanza basse. Le osservazioni empiriche più utili
per la stima sono due. La prima riguarda le curve di rotazione di alcune stelle situate ai bordi
delle galassie. Queste sono infatti caratterizzate da una tale velocità che, se tutta la materia
presente fosse soltanto quella visibile, le sradicherebbe dalla galassia lanciandole nello spazio.
È proprio la materia oscura che, con la forza di gravità associata ad essa, le tiene attaccate
nonostante l'elevata velocità.
3.3.
IL PARAMETRO DI DENSITÀ
Figura 3.5:
39
Ω0
Il graco mostra la velocità di rotazione delle stelle in funzione della loro distanza. La linea
tratteggiata (A) corrisponde all'andamento teorico, mentre quella continua (B ) mostra la
situazione reale, ottenuta grazie a delle osservazioni. È chiaro l'inusso di un'ulteriore entità,
di cui non si è tenuto conto nei calcoli teorici.[20]
La seconda osservazione si riferisce invece agli ammassi di galassie, ovvero i più grandi oggetti
tenuti assieme dalla forza di gravità nell'Universo. Questi ammassi presentano al loro interno le
diverse galassie con le rispettive stelle e una grande quantità di gas caldo, che fornisce parte della
forza di gravità necessaria. Raccogliendo informazioni su questo gas caldo si conclude che non è
possibile che esso sia responsabile di tutta la forza di gravità necessaria a tenere unito l'ammasso.
Secondo le stime sarebbe necessaria una forza di gravità di circa dieci volte maggiore a quella
del gas caldo, che può provenire soltanto dalla materia oscura. Grazie a queste osservazioni si
ottiene una stima abbastanza adabile della densità relativa della materia oscura, che sommata
a quella della materia barionica dà
Ωm = 0,3.
(3.64)
3.3.4 Il parametro di densità di energia oscura ΩΛ
L'ultimo sottoparametro di Ω0 che rimane da arontare è ΩΛ e descrive la densità relativa della
cosiddetta energia oscura. In questa sottosezione saranno fatti soltanto alcuni accenni a riguardo,
in quanto se ne discuterà ampiamente nell'ultimo capitolo.
In 3.3 è stato aermato che
ρ
ΩΛ =
Λ
ρcr
.
In cosmologia si usa attribuire a questo parametro l'eetto provocato dall'energia oscura, che viene storicamente identicato come l'eetto dovuto alla costante cosmologica. Nella parte restante
di questa sottosezione ci si riferirà quindi a Λ come la costante cosmologica, ovvero l'entità introdotta da Einstein, al ne di ottenere un Universo statico, che però ha oggi il ruolo di permettere
la descrizione di un Universo caratterizzato da un'espansione accelerata.
Si possono trarre alcune interessanti considerazioni introducendo la denizione di ρΛ , formulata
dal presbitero, sico ed astronomo belga Georges Lemaître (1894 − 1966) nel 1934. Visto che le
osservazioni hanno evidenziato un valore più o meno costante di Λ, è stato possibile dare una
denizione di ρΛ , attraverso la combinazione di Λ con altre costanti. La denizione assume quindi
la forma
ρΛ =
Λ
.
8πG
(3.65)
40
CAPITOLO 3.
PARAMETRI OSSERVATIVI
Da questa si può inoltre risalire ad un'espressione di ΩΛ in questa maniera
ΩΛ =
ρΛ
Λ 8πG
Λ
=
=
.
2
ρcr
8πG 3H(t)
3H(t)2
(3.66)
Grazie alle relazioni espresse in (3.65) e (3.66) si può facilmente dedurre come, visto che Λ è
costante, anche ρΛ sia costante, mentre ΩΛ dipenda invece dal tempo.
A questo punto dall'equazione del uido introdotta in 3.1.2, considerando singolarmente la
componente ρΛ , si ottiene
ρ˙Λ + 3
ȧ pΛ ρΛ + 2 = 0.
a
c
(3.67)
Da (3.65) si sa però che ρΛ è costante, quindi la sua derivata vale ρ˙Λ = 0.
Si può quindi concludere che
(3.68)
Questo risultato conferma ciò che era stato ottenuto in 3.3.1, sempre ricordando la possibilità
di eettuare una scelta di unità di misura per far assumere alla velocità della luce il valore
c = 1. La relazione trovata tra pressione e densità dell'energia collegata alla costante cosmologica
signica quindi che, a questa densità, si associa una pressione negativa, che risulta essere una
forza gravitazionale repulsiva. Con questa aermazione si rimanda il discorso dettagliato sulla
materia oscura Λ all'ultimo capitolo, nel quale sarà trattata in dettaglio.
pΛ = −ρΛ c2 .
3.4 Il parametro di decelerazione q0
Come già accennato in 2.3.3 l'espansione dell'Universo non è costante, ma bensì accelerata, infatti
la costante di Hubble, parametro che descrive l'andamento del fattore di scala, è variabile nel
tempo. Per studiare l'evoluzione del tasso di espansione dell'Universo, si denisce un ulteriore
parametro osservativo, il parametro di decelerazione, notato q0 . Per ottenere q0 è necessario
innanzitutto approssimare la funzione a(t) con una serie di Taylor (qui è riportato il polinomio
di Taylor di ordine 2). Si ha quindi
1
a(t) = a(t0 ) + ȧ(t0 )[t − t0 ] + ä(t0 )[t − t0 ]2 + ... .
2
In seguito si prosegue a dividere il tutto per a(t0 ) e, tenendo presente che
a(t)
1 ä(t0 )
= 1 + H0 [t − t0 ] +
[t − t0 ]2 + ... .
a(t0 )
2 a(t0 )
Da quest'ultima relazione si nota l'importanza del termine
dell'Universo. Si denisce quindi
1 ä(t0 )
2 a(t0 )
(3.69)
ȧ(t0 )
a(t0 )
= H0 , si ottiene
(3.70)
per l'andamento dell'espansione
1 ä(t0 )
q0
= − H02 ,
2 a(t0 )
2
(3.71)
in modo da poter riscrivere l'equazione (3.70) nel modo seguente
a(t)
q0
= 1 + H0 [t − t0 ] − H02 [t − t0 ]2 + ... .
a(t0 )
2
(3.72)
Da (3.71), sempre ricordando come è denito H0 , si ricava che
q0 = −
ä(t0 ) 1
a(t0 )ä(t0 )
=− 2
.
2
a(t0 ) H0
ȧ (t0 )
(3.73)
3.4.
IL PARAMETRO DI DECELERAZIONE
41
Q0
Grazie a quest'ultima relazione si nota come più è alto il valore di q0 , meno è rapida l'accelerazione. Si può inoltre trarre un'altra conclusione sempre dalla stessa relazione. Si richiama
l'equazione di accelerazione
ä
4
p
a
considerando
= − πG ρ + 3 2 ,
3
c
ρ = ρm + ρΛ ,
dove si trascura ρr , in quanto questo parametro è caratterizzato da un fattore dell'ordine di 10−5 ,
come visto in 3.3.2. Da 3.3.1 si sa che la pressione della materia è nulla pm = 0. Visto che anche
la radiazione non esercita pressione, si deduce che l'unica pressione di cui si deve tenere conto è
la pressione della costante cosmologica pΛ .
Si ha quindi
q0 = −
ä(t0 ) 1
4
pΛ 1
=
πG
ρ
+
ρ
+
3
.
m
Λ
a(t0 ) H02
3
c2 H02
(3.74)
Dall'equazione (3.68) si conosce però il valore di pΛ e dunque si può scrivere
1
4
1
4
q0 = πG (ρm + ρΛ − 3ρΛ ) 2 = πG (ρm − 2ρΛ ) 2 .
3
3
H0
H0
Da 3.3 si sa inoltre che
H02 =
(3.75)
8πG
ρc ,
3
e quindi la relazione (3.75) assume la forma
4
3
q0 = πG (ρm − 2ρΛ )
,
3
8πGρc
(3.76)
che, una volta semplicata, permette di ottenere il risultato
q0 =
ρm
ρΛ
Ωm
−
=
− ΩΛ .
2ρc
ρc
2
(3.77)
Questo signica che q0 è legato agli altri parametri osservativi e che quindi è possibile ottenere
il valore di un parametro conoscendone un altro.
Questo risultato verrà inoltre utilizzato per ottenere una fondamentale conclusione sull'andamento dell'espansione dell'Universo, come si vedrà nel capitolo 5.
Capitolo 4
La radiazione cosmica di fondo
In questo capitolo sarà trattata in dettaglio la radiazione cosmica di fondo, abbreviata in CMB
(dall'inglese Cosmic Microwave Background Radiation ).
4.1 Scoperta della radiazione cosmica di fondo
La scoperta di questo fondamentale fenomeno cosmologico risale al secolo scorso. Le prime supposizioni a riguardo di residui del Big Bang sotto forma di radiazione vanno attribuiti a Georges
Lemaître. Egli, già nel 1927, arriva a concludere che l'Universo si sta espandendo e, studiando
proprio la nascita di esso, si rende conto che ci devono essere tutt'ora dei resti di quell'evento. La
comunità scientica del tempo non dà peso alle sue considerazioni e quindi passano diversi anni,
prima che altri studiosi si impegnino ad approfondire la tesi di Lemaître. Bisogna comunque
annotare che negli anni '40 alcuni scienziati incappano nella radiazione cosmica di fondo durante
studi con obiettivi dierenti, ma nessuno di loro dà importanza o prova ad interpretare gli strani
risultati ottenuti. Perché le ricerche proseguano bisogna attendere George Gamow, già citato in
2.5.1. Egli introduce il concetto che l'atomo primitivo ipotizzato da Lemaître non sarebbe solo
molto denso, ma anche estremamente caldo. Gamow concentra i suoi sforzi sulla nucleosintesi
primordiale e, assieme allo studioso Ralph Alpher (1921 − 2007), mette a punto la famosa teoria
riguardante la formazione degli elementi durante il Big Bang. È proprio Alpher che, assieme a
Robert Herman (1914 − 1997), capisce che la nucleosintesi primordiale necessita di una grandissima quantità di radiazione che non può essere scomparsa improvvisamente. Per una quindicina
d'anni Gamow, Alpher e Herman, oltre a qualche altro studioso indipendente, provano a calcolare
e stimare la temperatura che questi fotoni residui debbano avere. I risultati non coincidono tra
loro, si va infatti da minimi di 1 a massimi di 50 K, e si deve quindi aspettare una nuova svolta
per ottenere il valore eettivo di questa radiazione.
La svolta decisiva avviene per mano di due radioastronomi statunitensi: Arno Penzias (1933−)
e Robert Wilson (1936−). Nel 1964 1964 essi sono impiegati presso la Bell Telephone e lavorano
con un'antenna radio di 6 metri, costruita per comunicare con i primi satelliti in orbita per telecomunicazioni. Nel tentativo di ridurre al minimo e calcolare il rumore interno dell'apparecchio,
ovvero i disturbi elettronici propri dell'antenna, incappano però in un rumore di fondo, che persiste nonostante gli sforzi per eliminarlo. Dopo aver escluso ogni tipo di interferenza proveniente
dalla Terra, Penzias e Wilson capiscono come il rumore non provenga dall'interno dell'apparecchio ma bensì dal cielo. Quello che ancora non riescono a spiegare è come la debole entità
che continuano a captare non provenga da oggetti celesti ma sia uguale in qualunque direzione
di puntamento. Senza riuscire a superare questo ostacolo i due studiosi calcolano comunque la
temperatura di questa radiazione e ottengono un risultato tra 2,5 e 4,5 K.
Nello stesso anno due sici sovietici, Andrei G. Doroshkevich (1936−) e Igor Novikov (1935−),
studiando il lavoro di Gamow, Alpher e Herman, ipotizzano la possibilità di misurare la radia43
44
CAPITOLO 4.
LA RADIAZIONE COSMICA DI FONDO
zione abbozzata da essi e considerano l'antenna usata anche da Penzias e Wilson l'apparecchio
ideale per questa misurazione. Mentre a Holmdel, New Jersey, i due radioastronomi non riescono
ad eliminare in nessuna maniera il rumore di fondo captato, a Princeton, New Jersey, un gruppo
di quattro scienziati composto da Robert Dicke (1916 − 1997), James Peebles (1935−), Peter
Roll (1935−) e David Wilkinson (1935 − 2002) cerca di captare dei fotoni residui, previsti dai
calcoli teorici eettuati da Peebles. Essi però cercano alla frequenza sbagliata, in quanto la teoria
su cui si basano presume che la temperatura di questi fotoni si aggiri sui 10 K.
L'ultimo passo avviene quando Penzias discute condenzialmente del proprio problema con un
collega del Massachusetts Institute of Technology (MIT), Bernard Burke. Quest'ultimo è a conoscenza del lavoro di Dicke e dei suoi collaboratori, che vengono contattati e incontrano Penzias
e Wilson. Essi controllano i risultati e capiscono che il rumore di fondo dell'antenna era dovuto
eettivamente ai fotoni risalenti all'Universo primordiale.
Figura 4.1:
Arno Penzias e Robert Wilson posano nel 1993 davanti all'antenna grazie alla quale tra il
1964 e il 1965 fu scoperta la radiazione cosmica di fondo.[21]
Su The Astrophysical Journal Letters escono due articoli. Il primo articolo, redatto da Penzias
e Wilson, parla di un eccesso di temperatura di circa 3,5 K, ma non interpreta questo dato,
facendo riferimento come possibile spiegazione a quello ad opera invece di Dicke, Peebles, Roll
e Wilkinson, nel quale è illustrata la teoria del CMB. Penzias e Wilson riceveranno nel 1978 il
premio Nobel per la sica grazie ai loro risultati. La scoperta della radiazione cosmica di fondo è di
importanza fondamentale, in quanto conferma, lasciando ben pochi dubbi, le ipotesi del modello
cosmologico del Big Bang caldo. Essa è infatti considerata, assieme al redshift cosmologico, la
prova più chiara ed eloquente a favore di questo modello ed è proprio grazie a questa scoperta,
che la cosmologia viene nalmente consacrata, nel 1965, come disciplina osservativa a tutti gli
eetti.
4.2 La radiazione cosmica di fondo in dettaglio
4.2.1 Origine del CMB
Per analizzare l'origine della radiazione cosmica di fondo è necessario tornare al periodo conosciuto come era della ricombinazione. Nell'Universo le condizioni cominciano a permettere la
4.2.
LA RADIAZIONE COSMICA DI FONDO IN DETTAGLIO
45
formazione di atomi di idrogeno, fenomeno detto appunto ricombinazione. L'energia di ionizzazione dell'idrogeno vale 13,6 eV, dunque basta questa energia per staccare l'elettrone dal nucleo,
ma a quel tempo la maggior parte dei fotoni possiede ancora un'energia maggiore di quel valore. Quindi ogni volta che un fotone interagisce con un atomo appena formatosi, quest'ultimo
perde il proprio elettrone. Il fotone viene deesso e questa interazione è descritta dal fenomeno
chiamato scattering Thomson, responsabile dell'aspetto opaco dell'Universo di allora. Per questo
motivo il cammino libero percorso dai fotoni tra una collisione e l'altra è estremamente breve
e impedisce appunto la formazione di atomi stabili. Con il passare del tempo però l'Universo
si espande, la temperatura cala e di conseguenza anche l'energia dei fotoni diminuisce, facendo
decrescere sempre più il numero di essi in grado di ionizzare gli atomi di idrogeno. Al termine
di questo processo si hanno gli elettroni nel loro stato fondamentale e i fotoni ormai non più in
grado di interagire con essi. Cessa dunque il fenomeno di scattering e l'Universo passa da uno
stato opaco ad uno trasparente. Si parla quindi di disaccoppiamento tra materia e radiazione,
perché da questo momento in poi i fotoni sono liberi di propagarsi in moto perenne nell'Universo, senza essere più deessi, costituendo ciò che oggi è conosciuto come radiazione cosmica di
fondo. Importante notare come ricombinazione e disaccoppiamento sono fenomeni distinti e non
avvengono contemporaneamente.
Visto che il CMB ha origine durante il disaccoppiamento, è chiaro come si misura dunque la
radiazione proveniente dalla supercie sulla quale è avvenuto questo evento. Questa supercie è
chiamata supercie di ultimo scattering e questo fa quindi capire come si osserva un'immagine
che appartiene al passato, più precisamente all'evento del disaccoppiamento.
4.2.2 CMB oggi
A partire dal 1983 sono stati condotti diversi esperimenti per ottenere più informazioni, tra cui
soprattutto l'eettiva temperatura dei fotoni della radiazione cosmica di fondo. Sono tre le missioni spaziali più famose a questo riguardo: COBE, acronimo di Cosmic Background Explorer,
del 1992, WMAP, ovvero Wilkinson Microwave Anisotropy Probe, del 2001 e Planck, lanciato nel
2009. Quest'ultima nasce con gli obiettivi di misurare con grande precisione il CMB, osservare
strutture dell'Universo come alcuni ammassi di galassie, studiare l'eetto chiamato lente gravitazionale e stimare i parametri osservativi. Questi obiettivi, uniti alla tecnologia utilizzata nella
realizzazione dell'esperimento, rendono questa missione la più importante delle tre. Grazie ai dati
raccolti, soprattutto da Planck, si sono fatti importanti passi avanti in questo campo. Oggi si sa
infatti che la radiazione cosmica di fondo corrisponde esattamente alla radiazione emessa da un
corpo nero, che sarà approfondito in 4.2.2, a una temperatura
T0 = 2,725 ± 0,001 K.
(4.1)
Corpo nero
Un corpo nero è, sicamente parlando, un radiatore ideale, ovvero un oggetto che assorbe ogni
tipo di radiazione elettromagnetica da cui viene colpito, senza riettere energia. Il principio di
conservazione dell'energia tuttavia non permette di assorbire semplicemente energia e quindi un
corpo nero riemette tutta l'energia che ha ricevuto sotto forma di radiazione. Questa radiazione
prende il nome di radiazione del corpo nero, mentre la densità di energia irradiata è detta spettro
del corpo nero. È proprio sullo spettro che ci si concentra, visto che esso possiede alcune caratteristiche importanti. Questo spettro ha infatti una caratteristica forma a campana che dipende
esclusivamente dalla temperatura del corpo nero e non dal materiale o da altri fattori. Le missioni COBE e WMAP hanno confermato le ipotesi che erano state fatte sul CMB. È stato infatti
dimostrato come lo spettro della radiazione cosmica di fondo corrisponda esattamente a quello
di un corpo nero.
46
CAPITOLO 4.
Figura 4.2:
LA RADIAZIONE COSMICA DI FONDO
A sinistra è mostrata la forma a campana tipica dello spettro di un corpo nero per diverse
temperature, mentre a destra sono riportati i dati raccolti dalla missione COBE in un graco
che, come si può notare, ha le stesse caratteristiche di uno di un corpo nero.[22] [23]
Concentrandosi sul graco dello spettro del corpo nero, si nota facilmente come ci siano pochi
fotoni agli estremi, ovvero con lunghezze d'onda molto alte o molto basse, ed il picco sia leggermente spostato a sinistra rispetto al centro. È possibile descrivere la densità di energia della
radiazione ρe,r , cioè l'energia per unità di volume, in un intervallo di frequenza dν attraverso
l'equazione
ρe,r (ν)dν =
8πh
ν 3 dν
,
c3 exp(hν/kB T ) − 1
(4.2)
dove h è la costante di Planck e c la velocità della luce.
Si possono quindi sfruttare le caratteristiche del corpo nero per ottenere, a partire dalle frequenze
misurate, la sua temperatura. In particolare si può risalire ad essa, grazie al valore della frequenza
massima νmax registrata, ovvero quella a cui corrisponde l'intensità massima della radiazione
totale. È necessario quindi trovare il massimo assoluto dell'equazione (4.2) scritta in funzione
della frequenza.
Derivando (4.2) si ha
dove α =
h
kB .
ν
ν
d 8πh ν 3
8πh 3(eα T − 1) − α Tν eα T 2
= 3
ν ,
ν
ν
dν c3 eα T −1
c
(eα T − 1)2
Si pone dunque
dρe,r
dν
= 0 e si ottiene (supponendo ν > 0)
ν
ν
0 = eα T 3 − α
− 3.
T
(4.3)
(4.4)
La soluzione numerica di questa equazione è
ν
= 5,878 932 7 · 1010 ,
T
che corrisponde alla legge dello spostamento di Wien 1 , la quale assume la forma
νmax
= 5,878 932 7 · 1010 s−1 K−1 ,
T
1
Legge formulata nel 1893 dal sico tedesco Wilhelm Wien (1864 − 1928).
(4.5)
4.2.
LA RADIAZIONE COSMICA DI FONDO IN DETTAGLIO
47
dove T è la temperatura della radiazione e νmax è appunto la frequenza, per la quale l'intensità
della radiazione è massima.
Sapendo, grazie alle osservazioni, che il valore della frequenza massima vale νmax = 1,602 0 ·
1011 Hz, dalla legge di Wien si trova
T =
νmax
= 2,275 K.
5,878 932 7 · 1010
(4.6)
Per trovare l'intensità totale della radiazione è invece necessario integrare l'equazione 4.2. Si ha
quindi, ponendo x = α Tν ,
ρe,r
8πkB 4 T 4
=
h3 c3
Sapendo che
Z
∞
0
si ottiene
ρe,r =
∞
Z
0
x3 dx
.
ex − 1
x3 dx
π4
=
,
ex − 1
15
(4.7)
(4.8)
8π 5 kB 4 T 4
π 2 kB 4 T 4
=
,
15h3 c3
15~3 c3
(4.9)
dove ~ = h/2π è la costante di Planck ridotta.
Inne, denendo
α=
4
π 2 kB
4σ
=
,
c
15~3 c3
si risale all'equazione della densità di energia della radiazione
(4.10)
ρe,r = αT 4 .
Immettendo i dati si giunge al risultato numerico
(4.11)
Questo risultato permette di calcolare un ulteriore dato, ovvero l'energia media di un fotone. Per
ottenere questa informazione si utilizza il metodo della media integrale, prendendo in considerazione arbitrariamente2 soltanto l'intervallo di frequenze da 0 a 3,7 · 108 Hz. Per trovare il valore
medio di una funzione con questo metodo si usa la relazione
ρe,r = αT 4 = 7,56 · 10−16 · (2,725)4 = 4,168 6 · 10−14 Jm−3 .
1
c=
b−a
Z
b
(4.12)
f (x) dx,
a
dove c è il valore medio cercato. In questo caso si ha quindi
Emedia,γ
1
=
3,7 · 108 − 0
Z
3,7·108
ρe,r (ν)dν.
0
(4.13)
Approssimando l'integrale da 0 a 3,7·108 all'integrale da 0 a ∞, ed inserendo il risultato esplicitato
in 4.10, si ottiene
Emedia,γ =
1
4,168 6 · 10−14
4
αT
=
= 1,126 6 · 10−22 J.
3,7 · 108
3,7 · 108
(4.14)
Grazie a questi risultati è ora possibile calcolare la temperatura stimata, alla quale sono avvenuti
ricombinazione e disaccoppiamento.
2
Scelta arbitraria per ottenere un risultato plausibile, in quanto, considerando tutti i valori da 0 a ∞, il valore
medio tende irrimediabilmente a 0.
48
CAPITOLO 4.
LA RADIAZIONE COSMICA DI FONDO
4.2.3 Stima della temperatura all'origine del CMB
Per stimare il valore della temperatura necessario in modo da permettere a ricombinazione e
disaccoppiamento di vericarsi, è possibile usare l'equazione di Saha 3 , grazie alla quale si può
calcolare la frazione della ionizzazione di un gas in equilibrio termico. Utilizzando questa equazione si assume solamente la presenza dell'idrogeno come gas, inoltre idrogeno, protoni e elettroni
liberi sono considerati in equilibrio termico e chimico4 .
Si nota nB la densità di numero5 dei barioni, np quella dei protoni liberi, che comprendono gli
atomi ionizzati, e nγ quella dei fotoni. È necessario denire inoltre una frazione che indichi la
quantità di protoni liberi rispetto agli atomi stabili. Si utilizza X = nnBp . Fatte queste premesse
l'equazione di Saha assume la seguente forma
nB
1−X
' 3,8
2
X
nγ
kB T
me c2
3/2
exp
ε
kB T
,
(4.15)
dove kB è la costante di Boltzmann, T è la temperatura, me è la massa di un elettrone, c è la
velocità della luce e ε è l'energia di ionizzazione, in questo caso dell'idrogeno. È chiaro che, più
X si avvicina al valore X = 1, più si va verso una completa ionizzazione degli atomi di idrogeno,
mentre più si avvicina a X = 0 più si è vicini alla situazione, che permette la ricombinazione e il
disaccoppiamento. Restano da calcolare i valori di nB e nγ per ottenere la temperatura cercata.
Le densità di numero dei barioni e dei fotoni sono denite dal rapporto tra la densità di energia
e l'energia media. Quindi per quanto riguarda i barioni, visto che ρe = ρc2 e che ρρc = Ω, si ha
ρe,B = ρB c2 = ΩB ρc c2 .
(4.16)
Grazie ai risultati ricavati in 3.3 e 3.3.3, si può ottenere l'eettivo valore della densità di energia
dei barioni, notata ρe,B . Infatti, visto che ΩB = 0,039 e ρc = 9,736 0 · 10−27 kg m−3 , segue che
ρe,B = 0,039 · 9,736 0 · 10−27 · (3 · 108 )2 = 3,384 · 10−11 J m−3 .
(4.17)
Dato che la densità di numero è il rapporto tra densità di energia e energia media, e quest'ultima
per quanto riguarda protoni e neutroni6 vale Emedia = 939,18 MeV = 1,504 7 · 10−10 J, si ottiene
nB =
ρe,B
Emedia,B
= 0,224 9 m−3 .
(4.18)
Per ottenere invece la densità di numero dei fotoni, basta utilizzare i risultati già trovati in 4.2.2.
Da (4.10) si sa che
mentre da (4.14) si sa che
ρe,r = αT 4 = 4,168 6 · 10−14 Jm−3 ,
(4.19)
Emedia,γ = 1,126 6 · 10−22 J.
Grazie a questi due risultati si calcola la densità di numero dei fotoni
3
Introdotta nel 1920 dall'astrosico indiano Meghnad Saha (1893 − 1956).
L'equilibrio chimico consiste nella situazione, dipendente dalla temperatura, in cui la concentrazione delle
specie chimiche prese in considerazione e interessate da una reazione chimica non variano nel tempo.
5
La densità di numero è una grandezza intensiva che descrive il grado di concentrazione di oggetti numerabili
(molecole, particelle, ...) nell'ambiente tridimensionale. Come unità di misura si utilizzano nel SI i m−3 .
6
Emedia,B = (Ep + En )/2 = (938,79 + 939,57)/2 = 939,18 MeV.
4
4.2.
LA RADIAZIONE COSMICA DI FONDO IN DETTAGLIO
nγ =
ρe,r
Emedia,γ
= 3,700 2 · 108 m−3 .
49
(4.20)
Paragonando nB e nγ , si nota facilmente come i fotoni abbiano una densità molto maggiore ai
barioni, addirittura di un fattore dell'ordine di 109 . Il rapporto tra essi dà infatti
nB
= 6,078 0 · 10−10 .
nγ
Una volta ottenuto questo rapporto, si torna all'equazione 4.15, che può essere ora risolta. L'ultimo passo è scegliere il valore da attribuire a X = nnBp , perché a dipendenza della scelta, varia lo
stadio di completamento del processo. Chiaramente non si può porre X = 0, perché l'equazione
non sarebbe risolvibile e perché nemmeno al termine del processo tutti gli elettroni liberi sono
legati a un nucleo, in quanto essi diventano talmente rari da non riuscire ad incontrarsi. Secondo
gli standard in uso si parla di ricombinazione quando Xric = 10−1 , e, considerate le premesse
appena fatte, si può denire il disaccoppiamento a Xdis = 10−6 . Ora non resta che inserire i dati
nell'equazione, sapendo che me c2 = 0,511 0 · 106 eV e ε = 13,6 eV.
Risolvendo rispetto a T si ottiene, per quanto riguarda la ricombinazione
Tric ∼
= 3632, K
(4.21)
mentre per quanto riguarda il disaccoppiamento
Tdis ∼
= 3003 K.
(4.22)
Quest'ultimo risultato è molto soddisfacente, in quanto la stima della temperatura relativa al
disaccoppiamento, e dunque all'origine della radiazione cosmica di fondo, è T = 3000 K, come
già esplicitato in 2.5.1.
4.2.4 Legame tra fattore di scala e temperatura
Si è già parlato in 2.5.1 dell'andamento della temperatura dell'Universo durante l'espansione
di esso, evidenziando come la temperatura diminuisca man mano che esso cresca di dimensione. Questa aermazione è facilmente dimostrabile supponendo che l'Universo primordiale possa
essere descritto utilizzando la termodinamica dei uidi. Visto che non c'è niente al di fuori dell'Universo, questo si può considerare adiabaticamente chiuso, ovvero senza scambi né di calore né
di materia con l'esterno. È quindi chiaro come le particelle in esso perdano gradualmente energia
con l'espansione, provocando un abbassamento generale della temperatura.
Per ottenere la relazione precisa, che lega fattore di scala e temperatura, si utilizza la teoria sul
corpo nero, trattata in 4.2.2, e l'equazione del uido, introdotta in 3.1.2.
Dall'equazione (4.10) si sa che
ρe,r = αT 4 ,
dove
α=
4
π 2 kB
.
15~3 c3
Si introduce quindi la relazione tra pressione della radiazione pr e densità di energia della radiazione ρe,r per un corpo nero ideale. Queste due grandezze sono infatti legate nella seguente
maniera
1
pr = ρe,r .
3
(4.23)
50
CAPITOLO 4.
LA RADIAZIONE COSMICA DI FONDO
È necessario ora richiamare l'equazione del uido, nella quale si tralascia il termine c2 grazie alla
scelta dell'unità di misura. Si ha dunque
ȧ
ρ̇e,r + 3 (ρe,r + pr ) = 0.
a
Si sostituisce (4.23) nell'equazione del uido e si ottiene
1
ȧ
ρ̇e,r + 3 (ρe,r + ρe,r ) = 0,
a
3
(4.24)
ȧ
ρ̇e,r + 4 ρe,r = 0.
a
(4.25)
che può essere riscritta come
Ora, moltiplicando per a4 entrambi i membri dell'equazione (4.25), si ha la relazione
a(t)4 ρ̇e,r (t) + 4ρe,r (t)ȧ(t)a(t)3 = 0,
(4.26)
che è possibile scrivere nel modo seguente
d 4
(a ρe,r ) = 0.
dt
Dato che la derivata è nulla, si conclude che
(4.27)
a4 ρe,r = cost.
e quindi si ricava la relazione
a(t)4 ρe,r (t) = a(t0 )4 ρe,r (t0 ) = cost,
(4.28)
dove t0 indica il tempo attuale.
Si può dunque ora inserire l'equazione (4.10) in (4.28), al ne di ottenere
a(t)4 αT (t)4 = a(t0 )4 αT (t0 )4 .
(4.29)
Semplicando l'equazione e utilizzando la notazione a per a(t), a0 per a(t0 ), T per T (t) e T0 per
T (t0 ), si ha
aT = a0 T0 ,
(4.30)
T
a0
= .
T0
a
(4.31)
da cui si ricava il risultato cercato
In questa maniera si dimostra dunque come, con l'espandersi dell'Universo, i fotoni del CMB
perdano energia e di conseguenza subiscano un abbassamento della temperatura.
4.3 Anisotropie della radiazione cosmica di fondo
Nel primo articolo riguardante la radiazione cosmica di fondo redatto da Penzias e Wilson si
parla di un eccesso di temperatura di 3,5 K isotropo, nei limiti dell'osservazione. Questa isotropia
corrisponde ad una forte omogeneità diusa nell'Universo primordiale e porrebbe, se vericata,
diversi problemi riguardanti la spiegazione della formazione delle strutture dell'Universo, che si
possono oggi osservare.
4.3.
ANISOTROPIE DELLA RADIAZIONE COSMICA DI FONDO
51
Bisogna subito ammettere che l'antenna di Penzias e Wilson presentava diversi limiti tecnici, non
era infatti in grado di rilevare dierenze nelle onde con precisione e, inoltre, aveva lo svantaggio
di essere posta sulla Terra, dovendo quindi fare i conti con le interferenze dovute alle radiazioni
provenienti da essa. Già pochissimi anni dopo la scoperta del CMB cominciano a sorgere idee su
una possibile natura disomogenea dell'Universo primordiale, che si rietterebbe nella radiazione
cosmica di fondo, per spiegare appunto la formazione dei grandi complessi celesti, caratterizzati
da una forte attrazione gravitazionale.
Queste eventuali dierenze nel CMB hanno diverse possibili spiegazioni siche.
• La prima possibilità aonda le sue radici negli eetti della gravità in relatività generale.
La forza gravitazionale deforma le caratteristiche geometriche dell'Universo, originando
due eetti che in parte si compensano. La teoria sul redshift gravitazionale dice che, per
dei fotoni che rimontano un campo gravitazionale, la frequenza diminuisce e si ha uno
spostamento verso il rosso a dipendenza dell'intensità del campo gravitazionale. Si ottiene
quindi
δT
δν
δΦ
=
= 2,
T0
ν0
c
(4.32)
dove (δT /T0 ) indica la variazione di temperatura, (δν/ν0 ) la variazione di frequenza e δΦ
la variazione del potenziale gravitazionale tra due regioni dalle quali sono partiti altrettanti
fotoni. Nel caso specico del CMB si riscontra come, a causa delle onde acustiche, le zone
più dense abbiano un campo gravitazionale più intenso rispetto a quelle meno dense. Questo
comporta delle dierenze nel redshift gravitazionale subito e dunque i fotoni provenienti
dalle zone più dense saranno caratterizzati da una temperatura minore.
Il secondo eetto, sempre legato alla relatività generale, è dovuto al fatto che una sovradensità causa una dilatazione del tempo. Per questo motivo, osservando zone più dense e più
calde, si ottengono informazioni di un'epoca più primordiale. Sapendo che la dilatazione
del tempo si può esprimere come
δt
δΦ
= 2,
t0
c
(4.33)
e che durante il periodo dell'Universo primordiale
t2/3 ∝ a
a−1 ∝ T,
si conclude che
δT
δa
2 δt
2 δΦ
=−
=−
=− 2.
T0
a0
3 t0
3c
(4.34)
Sommando questi due eetti si ottiene
δΦ 2 δΦ
1 δΦ
−
=
,
2
2
c
3c
3 c2
(4.35)
ovvero il fenomeno denominato eetto Sachs-Wolfe, che corrisponde complessivamente ad
una temperatura minore nelle zone caratterizzate da una sovradensità.
52
CAPITOLO 4.
LA RADIAZIONE COSMICA DI FONDO
• Si possono anche giusticare delle disomogeneità nella radiazione cosmica di fondo tenendo
conto di perturbazioni nel plasma dell'Universo primordiale. Con la formazione di zone
denotate da una densità maggiore, vengono generati dei campi con delle velocità v particolari. I fotoni che, al momento del disaccoppiamento si trovano in regioni caratterizzate da
delle sovradensità subiscono l'eetto Doppler, che causa delle dierenze nella temperatura
rilevata. Si ottiene dunque
δT
δν
v
=
= .
T0
ν0
c
(4.36)
• La terza ed ultima possibile spiegazione sica delle dierenze nel CMB ha origine dal
fatto che durante le prime fasi dell'Universo questo è un plasma composto da materia
e radiazione. Questo plasma è inoltre caratterizzato da delle perturbazioni adiabatiche,
ovvero delle perturbazioni nelle quali densità di radiazione ρr e densità di materia ρm
variano, mantenendo sempre costante l'entropia dell'Universo. Si nota S l'entropia, che si
può esprimere come
S=
nm
,
nr
(4.37)
dove nm è il numero di particelle, mentre nr è il numero di fotoni.
Sapendo inoltre che
nm ∝ ρ m
per un processo adiabatico, si ottiene che
nr ∝ Tr3 ∝ ρr3/4 ,
δS
δnm
δnr
δρm
3 δρr
=
−
=
−
= 0.
S0
nm,0 nr,0
ρm,0 4 ρr,0
(4.38)
Da queste relazioni si ricava
δρm
3 δρr
δT
=
=3 ,
ρm,0
4 ρr,0
T0
(4.39)
δT
1 δρm
=
.
T0
3 ρm,0
(4.40)
e quindi
Si possono esprimere dunque le variazioni di temperatura della radiazione cosmica di fondo
attraverso una sola espressione, che considera la somma dei tre eetti, ottenendo
δT
1 δΦ v 1 δρm
=
+ +
,
T0
3 c2
c 3 ρm,0
(4.41)
dove i tre diversi termini corrispondono alle tre diverse possibilità appena elencate.
Queste dierenze nella temperatura del CMB vengono chiamate anisotropie, e, grazie alle prove
teoriche sviluppate, vengono accettate dalla comunità scientica e integrate nel modello del Big
Bang. Per ottenere conferme pratiche bisogna però attendere che la tecnologia faccia dei passi
avanti, perché era impensabile riuscire a cogliere queste anisotropie con un'antenna simile a quella
con la quale si scoprì la radiazione cosmica di fondo.
La conferma dell'esistenza di anisotropie nello spettro del CMB arriva nel 1992, con la pubblicazione dei risultati del satellite COBE (lanciato nel 1989), che aveva appunto come obiettivo
4.3.
ANISOTROPIE DELLA RADIAZIONE COSMICA DI FONDO
53
quello di misurare dallo spazio la temperatura dei fotoni con maggiore precisione. Con questa
missione si verica che lo spettro del CMB corrisponde con grandissima precisione a quello di
un corpo nero di temperatura T = 2,725 K e vengono inoltre rilevate delle anisotropie dal valore
compreso tra lo 0,000 1% e lo 0,001% del valore medio.
Grazie alla scoperta delle anisotropie del CMB, ai principali responsabili della missione COBE
John Mather (1946−) e George Smoot (1945−) viene attribuito il Premio Nobel per la Fisica
nel 2006.
A seguito di COBE vengono lanciati altri satelliti con lo scopo di raccogliere dati sempre più
precisi sulle anisotropie. I più importanti sono, oltre appunto a COBE, i satelliti WMAP (Wilkinson Microwave Anisotropy Probe ), lanciato nel 2001, e Planck, lanciato nel 2009. Quest'ultimo
ha raccolto dati che hanno permesso di realizzare l'immagine nora più precisa della radiazione
cosmica di fondo.
Figura 4.3:
L'immagine mostra le mappe della radiazione cosmica di fondo tratte dai dati ottenuti
grazie ai tre satelliti COBE, WMAP e Planck. Si nota facilmente come la precisione cresca
costantemente e come queste mappe permettano di osservare le anisotropie con facilità. La
forma caratteristica è data dal fatto che le mappe rappresentano ogni porzione di cielo che
avvolge la Terra. [24] [25] [26]
Queste mappe evidenziano le anisotropie del CMB e, soprattutto grazie alla mappa ottenuta
dal satellite Planck, è possibile osservare la dimensione angolare apparente delle macchie dovute
a queste variazioni di temperatura. Le dimensioni reali di esse possono invece essere ottenute
con grande precisione attraverso dei calcoli teorici basati sulla velocità, con la quale le onde si
propagano nel plasma primordiale. Come si vedrà, questa informazione sarà molto utile in 5.2.
È fondamentale precisare che però non tutte le anisotropie rilevate sono dovute a caratteristiche
dell'Universo primordiale. Durante la rappresentazione graca dei dati dei vari satelliti, più precisamente durante l'analisi delle variazioni sulla scala dei millikelvin mK, si ottiene una mappa
in cui una metà appare chiaramente più calda dell'altra, come mostrato nell'immagine 4.4.
Figura 4.4:
La gura di sinistra rappresenta la mappa del CMB, evidenziando le anisotropie sulla scala
dei millikelvin mK, mentre a destra si ha un'immagine generata al computer dello stesso
fenomeno. [27] [28]
È evidente come in questo caso non siano responsabili delle anisotropie né regioni più dense, né
perturbazioni del plasma primordiale. Si è infatti scoperto che queste variazioni di temperatura
54
CAPITOLO 4.
LA RADIAZIONE COSMICA DI FONDO
sono semplicemente dovute all'eetto Doppler, causato dal moto della Terra rispetto alla radiazione cosmica di fondo. Questo permette di concludere che la Terra si muove verso la parte calda.
L'unico problema di questa aermazione è che, eettuando i dovuti calcoli, risulta che la Terra si
stia muovendo eettivamente con una velocità di all'incirca 300 km
s , ma nella direzione opposta
a quella reale.
Si ricava quindi che non solo i vari oggetti all'interno delle galassie si muovono, ma bensì anche
le galassie stesse e addirittura gli ammassi di galassie hanno un moto proprio. Questo risultato
cambia quindi in maniera importante la concezione dell'Universo, diusa prima della scoperta
delle anisotropie
Le anisotropie dovute alle caratteristiche dell'Universo primordiale sono invece da ricercare sulla
scala dei microkelvin µK e danno i risultati già mostrati nella gura 4.3.
Analisi dettagliata e caratterizzazione matematica delle anisotropie
Per poter trarre ulteriori informazioni sulle anisotropie del CMB, è necessario esporre un'analisi
più precisa e tecnica.
È possibile esprimere matematicamente queste anisotropie grazie a delle particolari funzioni chiamate armoniche sferiche. Esse sono particolarmente adeguate, poiché dipendono dalle variabili
(θ, φ) che descrivono i punti sulla sfera celeste. L'insieme di queste funzioni forma una base
ortonormata dello spazio delle funzioni denite su una sfera.
La variazione di temperatura è sviluppata dunque come combinazione lineare delle armoniche
sferiche Y`m (θ, φ), ed è denita nel seguente modo.
∞
`
δT
T (θ, φ) − T0 X X
(θ, φ) =
=
a`m Y`m (θ, φ),
T0
T0
(4.42)
`=1 m=−`
dove a`m indica i vari coecienti della combinazione lineare, detti di multipolo, che sono dei
numeri complessi. L'indice ` è associato alla dimensione angolare, nel senso che più cresce ` più
la dimensione angolare diminuisce. Si ha infatti
`≈
π
.
θ
(4.43)
L'indice m inuisce invece sull'orientamento e vale −` ≤ m ≤ `. Si deduce dunque che per ogni
` si hanno 2` + 1 valori per l'indice m.
Osservando la gura 4.5 vi è un'altra importante considerazione da fare, prima di poter proseguire. È evidente che per ` = 1 si ottiene una rappresentazione delle anisotropie come quella
mostrata nella gura 4.4. Si capisce quindi che per questo valore di ` sono mostrate le conseguenze dell'eetto Doppler e per questo motivo si considera solamente la sommatoria a partire
da ` = 2, al ne di descrivere esclusivamente le anisotropie legate all'Universo primordiale.
Analizzando più attentamente i coecienti di multipolo a`m , dall'equazione (4.42) si capisce
che questi sono associati a delle leggere variazioni della temperatura del CMB. Sapendo che la
distribuzione dell'anisotropia è gaussiana, quindi si concentra attorno al valore medio, si deduce
che il valore medio di questi coecienti vale
ha`m i = 0.
(4.44)
Questo signica che per ogni zona caratterizzata da una temperatura sopra la media, ce n'è una
che invece ha una temperatura sotto la media.
Non è quindi la media ad essere interessante nello studio delle anisotropie, quanto piuttosto le
proprietà statistiche dei coecienti di multipolo. Si introduce dunque a questo riguardo lo spettro
di potenza angolare, notato C` , che permette di rappresentare le variazioni di temperatura rispetto
alla temperatura T0 = 2,725 K.
4.3.
55
ANISOTROPIE DELLA RADIAZIONE COSMICA DI FONDO
Figura 4.5:
L'immagine mostra la rappresentazione graca di un'armonica sferica casuale per diversi
valori del multipolo `. Partendo dall'alto a sinistra si ha ` = 1 per poi proseguire con i valori
2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12.
Lo spettro di potenza angolare viene formalmente denito considerando la media del prodotto
tra un coeciente di multipolo a`m e il complesso coniugato associato ad altri indici, notato a∗`0 m0 .
Si pone dunque
(4.45)
ha`m a∗`0 m0 i = δ``0 δmm0 C` ,
dove si è introdotto il simbolo del delta di Kronecker, che può assumere due valori {1, 0} secondo
il criterio
δi,j
(
1 se i = j
:=
.
0 se i 6= j
(4.46)
Si capisce quindi che la relazione espressa in (4.46) può assumere due risultati dierenti
(
C`
ha`m a∗`0 m0 i =
0
se ` = `0 e m = m0
.
se ` 6= `0 o m 6= m0
(4.47)
Di conseguenza, poiché per denizione ha`m a∗`m i = |a`m |2 , si ricava il risultato
(4.48)
C` = |a`m |2 .
Visto che i vari a`m corrispondono a variabili aleatorie, |a`m |2 rappresenta la varianza dei
coecienti legati alle uttuazioni di temperatura. La varianza statistica è la funzione che indica
56
CAPITOLO 4.
LA RADIAZIONE COSMICA DI FONDO
di quanto il quadrato dei risultati si discosta dal valore atteso, che in questo caso è la temperatura
T0 = 2,725 K.
L'aver introdotto una media in senso statistico pone però un problema: essa necessita infatti, per
denizione, di più realizzazioni, ma gli eventi che caratterizzano l'Universo non possono essere
ripetuti. È di conseguenza impossibile realizzare una media in maniera classica. Questo aspetto rende quindi necessaria l'introduzione dell'ipotesi ergodica, la quale consiste nel considerare,
invece che la media su diversi eventi, la media su diverse zone spaziali. È possibile assumere
questa ipotesi grazie al Principio Cosmologico, che aerma come l'Universo sia omogeneo e isotropo e che permette di concludere come due regioni casuali possano essere considerate uguali.
Eettuando questa supposizione è quindi possibile sostituire la media statistica con una media
spaziale, basata su più regioni dell'Universo.
Matematicamente si rende questa media attraverso
una sommatoria su m da −` a ` di |a`m |2 . Si ottiene quindi lo spettro di potenza C` , denito
come
C` =
`
X
1
|a`m |2 .
2` + 1
(4.49)
m=−`
Lo spettro di potenza angolare C` è particolarmente interessante perché, visto che a`m può
essere sia positivo che negativo, fornisce un'indicazione sul valore medio della dierenza tra le
temperature registrate e la temperatura media T0 . Questa funzione racchiude in sé tutto quello
che si può ottenere a partire dalla teoria sulle anisotropie del CMB. È quindi attraverso lo studio
di questa funzione C` , che è possibile analizzare queste uttuazioni di temperatura.
La denizione comprendente la sommatoria e la divisione per 2` + 1 è quindi una conseguenza della caratteristica dell'Universo di essere un evento unico. L'ipotesi ergodica è infatti una
supposizione necessaria, che però ha alcuni svantaggi. Infatti durante l'analisi con valori di `
molto bassi, dunque considerando grandi dimensioni angolari, si ottengono pochi dati per trarre
una media veritiera. Questo conduce a degli errori, che pongono alcune dicoltà per lo studio
e la rappresentazione graca di C` . Inoltre si hanno delle leggere dierenze tra il risultato delle
osservazioni del CMB dalla nostra posizione e quello che si otterrebbe facendo la media tra tutti i
risultati ricavati, osservando da tutte le regioni dell'Universo. Da tutto ciò deriva un errore statistico, che si ripercuote nello studio delle anisotropie della radiazione cosmica di fondo, chiamato
varianza cosmica, che risulta particolarmente importante per piccoli valori di `.
Nonostante questo C` rimane il parametro fondamentale per lo studio delle anisotropie del CMB
e, ora che è stata introdotta la denizione, è possibile continuare l'analisi delle variazioni di
temperatura. Si prosegue infatti aermando che, come visto nell'equazione (4.44) per i coecienti
di multipolo a`m , anche il valore medio di δT /T0 vale
δT
T0
(4.50)
= 0.
Grazie alla funzione (4.42) si può esprimere la varianza delle uttuazioni di temperatura nella
seguente maniera
*
δT
T0
2 +
=
*∞ `
X X
0
a`m Y`m (θ, φ)
∞
`
X
X
`0 =1
`=1 m=−`
+
a∗`0 m0 Y`∗0 m0 (θ, φ)
.
(4.51)
m0 =−`0
È possibile modicare l'ordine dei termini nella relazione, per unire a`m e il suo complesso
coniugato, in modo da ottenere
*
δT
T0
2 +
=
∞ X
∞ X
`
X
0
`
X
`=1 `0 =1 m=−` m0 =−`0
Y`m (θ, φ)Y`∗0 m0 (θ, φ) ha`m a∗`0 m0 i .
(4.52)
4.3.
ANISOTROPIE DELLA RADIAZIONE COSMICA DI FONDO
57
A questo punto, grazie all'equazione (4.47), si può riscrivere (4.52) come
*
δT
T0
2 +
=
∞
X
C`
`=1
`
X
m=−`
|Y`m (θ, φ)|2 .
(4.53)
Per eettuare un'ulteriore semplicazione dell'equazione (4.53), è necessario introdurre una
proprietà matematica delle funzioni armoniche sferiche. Questa specica proprietà si chiama
relazione di chiusura e consiste nel seguente risultato
`
X
m=−`
|Y`m (θ, φ)|2 =
2` + 1
.
4π
(4.54)
Inserendo (4.54) in (4.53), si arriva al risultato nale
*
δT
T0
2 +
=
∞
X
2` + 1
`=1
4π
(4.55)
C` .
Questa è la relazione che denisce la funzione, che viene rappresentata sul graco dello spettro
di potenza angolare delle anisotropie. Si ha infatti
∞ X
`
1
C` =
+
C` ,
4π
2π 4π
∞
X
2` + 1
`=1
(4.56)
`=1
ma, per praticità, si eettua un'approssimazione valida per dei valori di ` alti, che consiste nel
sostituire il termine 1/4π con 1/2π . Si ottiene perciò
Z Z
∞ X
`
1
`
1
`(` + 1)
+
C` ≈
+
C` d` =
C` d(ln `).
2π 4π
2π 2π
2π
(4.57)
`=1
Per via delle caratteristiche assunte dall'equazione originale (4.51) in (4.57), è possibile rappresentare il graco dello spettro di potenza angolare delle anisotropie, che mostra con quale
intensità le onde partecipano alla composizione dello spettro complessivo a dipendenza della loro
lunghezza d'onda, attraverso
`(` + 1)
C`
2π
in funzione di
ln `,
ovvero ponendo sulle ascisse ` in scala logaritmica. Questa scelta permette di evidenziare i dati
per dei bassi valori di ` ed è stata sfruttata soprattutto durante i primi esperimenti per misurare
lo spettro di potenza angolare, in quanto non era ancora possibile eettuare osservazioni con
un'alta risoluzione angolare.
Si può comunque utilizzare una scala lineare, rappresentando quindi il graco di
`(` + 1)
C`
2π
in funzione di
`,
andando dunque ad evidenziare tutti i picchi che caratterizzano il CMB.
È interessante come, ponendo dei valori specici per i diversi Ω e alcuni altri parametri osservativi,
si possa ottenere, grazie alla teoria, il graco relativo allo spettro di potenza angolare della
radiazione cosmica di fondo. Sono state sviluppate delle applicazioni per elaborare i dati e ottenere
questo genere di graco. Un esempio è Code for Anisotropies in the Microwave Background,
abbreviato in CAMB, programmato da Antony Lewis e Anthony Challinor e basato su un altro
codice scritto in precedenza per lo stesso scopo, chiamato CMBFAST.
58
CAPITOLO 4.
Figura 4.6:
LA RADIAZIONE COSMICA DI FONDO
La gura mostra il graco dello spettro di potenza angolare delle anisotropie della radiazione
cosmica di fondo per un Universo piatto, ottenuto grazie ai dati ricavati con CAMB. Si ha
T02 `(` + 1)C` /2π in funzione di `, dove il termine T02 è stato aggiunto per dare un'unità di
misura a ciò che si ottiene per i vari `. [29]
Questa applicazione è tuttora disponibile ed è stata utilizzata in questo lavoro dall'autore per
ricavare il graco mostrato nella gura 4.6, che mostra la rappresentazione graca dei dati ricavati
teoricamente, supponendo un Universo con curvatura nulla, dunque con k = 0, ed inserendo i
valori dei vari Ω compatibilmente a questa supposizione.
Il risultato è un primo picco fondamentale, corrispondente a circa ` ≈ 200. Dall'equazione (4.43),
si ottiene che questo picco equivale circa ad una dimensione angolare di
θ≈
π
π
=
≈ 1◦ .
`
200
(4.58)
Questo dato è molto importante in quanto informa indicativamente sulla dimensione angolare
delle macchie, che ci si deve aspettare osservando il CMB, se i valori dei parametri osservativi
dell'Universo sono uguali a quelli usati nella simulazione.
Questo primo picco è seguito da due picchi secondari facilmente riconoscibili e, con l'aumentare
del valore di `, da altre uttuazioni minori.
Il risultato ottenuto è strettamente legato ai valori dei vari parametri osservativi, tant'è vero
che inserendo valori dierenti da quelli reali si ottengono rappresentazioni molto dierenti. Dalla
teoria si sa infatti che il primo picco dipende sostanzialmente dalle caratteristiche geometriche
dell'Universo, mentre il secondo è determinato dalla quantità di materia barionica, quindi dal valore di ΩB . La gura 4.7 mostra chiaramente queste importanti relazioni, in quanto, modicando
i valori dei parametri dell'Universo, si ottengono rappresentazioni dierenti.
4.3.
ANISOTROPIE DELLA RADIAZIONE COSMICA DI FONDO
Figura 4.7:
59
I tre graci mostrano le variazioni graco dello spettro di potenza angolare, a dipendenza
dei valori attribuiti ai parametri osservativi. Il graco blu mostra infatti la situazione che si
ottiene mantenendo il parametro di curvatura k nullo (k = 0) con la combinazione (ΩB =
0,1; ΩΛ = 0,646 2).
Il graco rosso rappresenta invece il risultato ricavato con k < 0, considerando quindi una
curvatura negativa, utilizzando i valori (ΩB = 0,046 2; ΩΛ = 0,5).
L'ultimo graco, in verde, mostra la rappresentazione ottenuta con k > 0, che risulta in un
Universo con geometria sferica, ponendo (ΩB = 0,15; ΩΛ = 0,7). [29]
In questo modo sono quindi state raccolte le informazioni teoriche sulle anisotropie della radiazione cosmica di fondo necessarie per relazionarsi alle osservazioni riguardanti questo fenomeno.
Capitolo 5
Risultati ottenuti grazie alla radiazione
cosmica di fondo
In questo capitolo si andrà quindi a sfruttare tutto il materiale raccolto nora, per trarre alcune
conclusioni molto signicative riguardanti l'Universo.
5.1 Eetti della gravità nello spazio-tempo della relatività generale
Prima di poter eettuare le conclusioni desiderate, è necessario fare delle precisazioni riguardanti
delle particolarità della teoria della relatività generale sviluppata da Einstein. Di questa teoria
sarà infatti brevemente trattata la parte relativa alla gravità. In relatività generale infatti la
gravità non è intesa come una forza, ma bensì come la deformazione della struttura metrica
dello spazio-tempo, che ha origine dalla massa. Si tratta quindi di un fenomeno che si manifesta
attraverso un'alterazione della normale forma dello spazio-tempo, il quale è dunque il mediatore
della forza gravitazionale.
Figura 5.1:
L'immagine mostra chiaramente come la struttura metrica attorno a un corpo di una certa
massa (in questo caso la Terra) risulti deformata. Le linee evidenziate rappresentano infatti
il sistema di coordinate usato per descrivere lo spazio-tempo, che risentono chiaramente
della presenza della Terra.[30]
61
62
CAPITOLO 5.
RISULTATI OTTENUTI GRAZIE ALLA RADIAZIONE COSMICA DI FONDO
Le linee geodetiche, utilizzate per descrivere la struttura dell'Universo, sono inuenzate dalle
deformazioni di quest'ultimo. Esse, in una regione con curvatura nulla, sono rettilinee, ma se ci
si trova in una zona, in cui la geometria applicata non è euclidea, allora le geodetiche seguono le
deformazioni risultando curvate. Il punto fondamentale da capire è che, ricordando che una linea
geodetica è la curva che descrive la traiettoria più breve tra due punti distinti, la materia e i fotoni
in movimento seguono sempre queste traiettorie. Si capisce quindi come, se una zona attraversata
da materia è deformata, anche il movimento di questa risulti deviato. Un esempio sono le orbite
dei pianeti: classicamente la forza di gravità è considerata responsabile del moto ellittico, ma
in relatività generale essi non fanno altro che andare diritti, poiché l'eetto di accelerazione
tangenziale è dato dalle caratteristiche locali dello spazio-tempo. Per quanto riguarda la luce le
novità introdotte grazie alla relatività generale sono molto importanti. Finché infatti la forza
gravitazionale è dovuta alle masse dei vari corpi la luce, priva di massa, non è soggetta a questa
forza. Grazie a Einstein si giunge a dire che, se lo spazio-tempo attorno ad un determinato oggetto
è curvo, tutti risentono di questa caratteristica, fotoni compresi. Anche la luce subisce quindi delle
deviazioni se transita in regioni dell'Universo descritte da una geometria non euclidea. Questo
fatto è quindi responsabile del fenomeno chiamato lente gravitazionale, di cui si è già parlato in
2.3.1, che può causare una dierenza tra posizione reale e posizione percepita di alcuni oggetti
luminosi presenti nell'Universo, quando nella traiettoria tra noi, osservatori, e questi vi sono altri
corpi.
Figura 5.2:
Nell'immagine si mette in evidenza la dierenza tra posizione reale e posizione percepita di
una stella, dovuta ad una deformazione della struttura dello spazio-tempo, in questo caso
causata dalla massa del sole nei pressi della traiettoria che congiunge la stella e la Terra.
Questo fenomeno è appunto chiamato lente gravitazionale.[31]
Ora che sono stati chiariti gli eetti della gravità su scala regionale sulla struttura dello spaziotempo, si può studiare il comportamento complessivo dei moti di corpi e fotoni a dipendenza della
geometria dell'Universo. Quello che accade localmente è infatti identico a quello che si osserva su
scala cosmologica. Come già visto in 2.4, la componente spaziale dello spazio-tempo può assumere
tre diversi tipi di geometria, a dipendenza del valore assunto dal parametro di curvatura k. Questo
signica che, a dipendenza della densità dell'Universo, la curvatura di quest'ultimo può essere
nulla, positiva o negativa, ed esso può essere descritto rispettivamente attraverso una geometria
euclidea, sferica o iperbolica.
È evidente come, se l'Universo è caratterizzato da una geometria non euclidea, risultino deformate
anche le linee geodetiche, che ne seguono la forma e di conseguenza anche le traiettorie dei corpi
e della luce. È soprattutto interessante il comportamento dei raggi luminosi, a dipendenza del
tipo di curvatura dell'Universo, e si sfrutta il fatto che, considerando distanze sucienti, una
deviazione della traiettoria della luce può essere rilevata, in quanto un oggetto luminoso osservato
appare di dimensioni dierenti.
5.2.
63
GEOMETRIA DELL'UNIVERSO
5.2 Geometria dell'Universo
Come già accennato in 5.1, la curvatura dell'Universo può deviare i raggi di luce, rendendo la
dimensione apparente di un oggetto che emette radiazione, ovvero la dimensione che si osserva,
non proporzionale a quella reale. Visto che si hanno tre distinte possibilità di curvatura, ci sono
di conseguenza tre diversi comportamenti dei raggi di luce nell'Universo, riportati gracamente
nella gura 5.3.
dimr
dima
A
curvatura positiva (geometria sferica)
Figura 5.3:
A
curvatura nulla (geometria euclidea)
A
curvatura negativa (geometria iperbolica)
Si nota A l'osservatore, dimr la dimensione reale e dima la dimensione apparente dell'oggetto preso in considerazione. È evidente come nel caso della geometria euclidea la dimensione
apparente sia proporzionale a quella reale, mentre nella geometria sferica e in quella iperbolica le proporzioni non siano rispettate. Considerando le dimensioni osservate, nel primo caso
la dimensione reale calcolata risulterebbe più grande di quella eettiva mentre nel secondo
risulterebbe più piccola.
La situazione standard è quella che tratta un Universo descritto dalla geometria euclidea, ovvero
a curvatura nulla. In questo caso non si ha infatti alcuna deformazione strutturale e quindi i raggi
di luce si propagano in linea retta. La dimensione apparente rispecchia dunque in proporzione
la dimensione reale. Un'altra possibilità riguarda un Universo a curvatura positiva, la geometria
utilizzata è dunque quella sferica e le linee geodetiche sono concave e tendono a convergere. Viste
queste caratteristiche, anche i raggi di luce convergono verso l'osservatore e di conseguenza la
dimensione apparente porta a concludere che un oggetto è più grande di quello che è in realtà.
L'ultima situazione è quella in cui si considera una curvatura negativa, ovvero un Universo
descritto dalla geometria iperbolica. Anche in questo caso le linee geodetiche sono deviate ma,
al contrario della geometria sferica, esse sono convesse e hanno la tendenza a divergere. La luce
segue le geodetiche e attraverso le dimensioni apparenti degli oggetti fa risultare loro più piccoli
delle loro eettive dimensioni.
Grazie a queste informazioni si conclude che sarebbe teoricamente possibile risalire al tipo di
curvatura mettendo a confronto dimensione reale e dimensione apparente. Si intuisce quindi che
studiando i raggi di luce che attraversano l'Universo si possono ottenere informazioni sulle sue
caratteristiche geometriche. Mettere in pratica questo metodo non è però elementare, perché non
tutte le radiazioni permettono di osservare l'eetto desiderato. Considerando dei fotoni, il cui
percorso è breve, le conseguenze di alterazioni geometriche si rivelano minime e questo può essere
quindi trascurato.
Per rilevare una deviazione bisogna infatti studiare fotoni che hanno percorso una lunga traiettoria nell'Universo. Qui entrano in gioco i fotoni della radiazione cosmica di fondo, che hanno
percorso gran parte dell'intero Universo. Su questi fotoni un eetto di deviazione, causato dalla
forma dello spazio-tempo, può essere infatti rilevato con maggiore facilità, come si vede nella gura 5.4, poiché la distanza percorsa dal fronte d'onda è in stretta correlazione con le peculiarità
geometriche dello spazio-tempo.
Visto che, sfruttando la velocità delle onde acustiche nel plasma primordiale, si può risalire
teoricamente a delle informazioni sulle dimensioni reali delle macchie, diventa possibile eseguire
questo tipo di confronto.
A livello quantitativo è però possibile fare un'analisi tenendo conto soltanto dei dati statistici,
come visto in 4.3. Per avere delle informazioni sulla dimensione angolare indicativa delle macchie
64
CAPITOLO 5.
RISULTATI OTTENUTI GRAZIE ALLA RADIAZIONE COSMICA DI FONDO
Geometria sferica
Figura 5.4:
Geometria euclidea
Geometria iperbolica
L'immagine mostra molto chiaramente come la curvatura dell'Universo inuenzi la dimensione apparente delle macchie. Qui risaltano soprattutto le macchie fredde, ovvero le regioni
con una temperatura leggermente inferiore alla media, evidenziate in blu. Si nota infatti
come nella geometria iperbolica esse siano più piccole, mentre in quella sferica risultino più
grandi rispetto alla geometria euclidea (al centro) che mostra macchie proporzionali alle loro
dimensioni reali. [32]
si rappresentano i dati raccolti attraverso le osservazioni satellitari di missioni come COBE,
WMAP e Planck, per ottenere dei graci dello spettro di potenza angolare in funzione della
dimensione angolare considerata e quindi del multipolo `.
Si confrontano dunque i dati provenienti dalle osservazioni con quelli teorici. Così facendo si
ricava che le informazioni raccolte sperimentalmente combaciano con grande precisione con quelle
ottenute attraverso i calcoli teorici, come è mostrato nella gura 5.5.
Figura 5.5:
Nella gura è mostrato il confronto tra i dati teorici (curva verde), come quelli ottenuti
in 4.3, e i dati sperimentali (punti rossi), nel caso specico dalla missione Planck. L'area
azzurra evidenzia le curve ottenibili con valori dei parametri compatibili con un Universo con
curvatura nulla, ed è quindi evidente l'eetto, sulla rappresentazione graca, della varianza
cosmica, che incide per bassi valori di `, per i quali si ha un più ampio margine di errore.
[33]
Si conclude quindi che dimensione reale e apparente delle macchie sono proporzionali e, di conseguenza, i valori dei parametri che descrivono l'Universo sono in buona approssimazione uguali
a quelli utilizzati per ottenere i dati teorici. Si dimostra dunque che la curvatura dell'Universo è
nulla, con un limitato margine di errore.
5.3.
65
UN UNIVERSO CHE ACCELERA
Conseguenze di un Universo a curvatura nulla
Aver dimostrato che la curvatura dell'Universo è nulla permette di fare importanti conclusioni e di
continuare ad approfondire il discorso cominciato in 3.3. Matematicamente infatti una curvatura
nulla corrisponde ad un valore del parametro di curvatura pari a zero k = 0. Ricordando che la
densità critica ρc assume il valore che la densità dell'Universo dovrebbe avere se avesse curvatura
nulla, ora che ciò è stato vericato, si può aermare che ρ = ρc . È quindi possibile denire il
valore del parametro di densità Ω0 come
Ω0 =
ρ
ρ
= = 1.
ρc
ρ
(5.1)
Questo signica, ricordando la relazione esplicitata in (3.49), che
Ω0 = Ωm + Ωr + ΩΛ + Ωc = 1.
(5.2)
In questa relazione appare ancora il termine di curvatura Ωc , di cui si riprende la denizione da
(3.48), ottenendo
Ωc ∝ (−k) = 0,
(5.3)
Ωm + Ωr + ΩΛ = 1.
(5.4)
dove α è uno scalare.
Se il termine di curvatura Ωc è nullo si può aermare, dalla relazione (5.2), che
Sempre da 3.3 è possibile però ottenere altre informazioni, che permettono di fare ulteriori passi
avanti. Si sa infatti, da (3.62), che Ωr è caratterizzato da un fattore dell'ordine di 10−5 . È quindi
possibile tralasciarlo nel calcolo della densità dell'Universo e, di conseguenza, la relazione (5.4),
assume la forma
Ωm + Ω Λ ∼
= 1.
(5.5)
Si nota quindi come rimangano in gioco solamente le densità relative della materia e della più
ostica energia oscura. Visto che però, sempre da 3.3, si conosce la stima di Ωm , il cui valore, già
esplicitato in (3.64), è
Ωm = 0,3,
(5.6)
si può nalmente ricavare una stima abbastanza precisa del valore di ΩΛ , ovvero
ΩΛ ∼
= 1 − Ωm ∼
= 0,7.
(5.7)
Questa è la conclusione che si ottiene, grazie a tutto il lavoro svolto in questo testo. Non è
però abbastanza attribuire semplicemente un valore alla densità dell'energia oscura senza dare
un'interpretazione suciente. A questo discorso è dunque dedicata la sezione 5.4.
5.3 Un Universo che accelera
Per trattare l'espansione accelerata dell'Universo ci si lega al discorso già fatto in 2.3.3. Come
già anticipato, nel 1998 Perlmutter, Schmidt e Riess riscontrano un'accelerazione nell'andamento
in funzione del tempo del fattore di scala, attraverso i dati ottenuti osservando le Supernovae
Ia. Con il termine supernova (abbreviato SN) si indica un'esplosione stellare, il cui risultato è
un'emissione in un breve lasso di tempo di una grande quantità di radiazione. Queste esplosioni
sono quindi molto luminose e vengono classicate in tipo I e tipo II, a dipendenza dell'assenza
66
CAPITOLO 5.
RISULTATI OTTENUTI GRAZIE ALLA RADIAZIONE COSMICA DI FONDO
(tipo I) o della presenza (tipo II) delle linee di assorbimento dell'idrogeno nel proprio spettro.
Queste due grandi classi si dividono ancora a seconda della presenza o meno di altri elementi
nello spettro e delle caratteristiche della curva di luce, ovvero la curva ottenuta riportando la
magnitudine apparente in funzione del tempo.
Le supernovae utili per lo studio dell'accelerazione dell'Universo sono però soltanto quelle di tipo
Ia, ovvero che non presentano linee dell'idrogeno nel loro spettro, ma che sono caratterizzate da
una singola linea del silicio ionizzato. Questa tipologia di SN è originata da un sistema binario,
ovvero due stelle che orbitano l'una attorno all'altra, composto da una nana bianca e da un'altra
stella, le cui caratteristiche possono variare.
Una nana bianca è una stella di dimensioni relativamente ridotte, che non presenta più il fenomeno
di fusione nucleare e che quindi non può più contrastare il proprio peso. Per questo motivo le
nane bianche possiedono una massa limite, il cui valore è conosciuto con il nome di limite di
Chandrasekhar, che equivale a 1,44 masse solari1 . Se questo limite viene superato dalla massa
della stella, quest'ultima diventa una stella di neutroni.
Figura 5.6:
L'immagine mostra il modello principale, che descrive l'origine di una supernova Ia. Si ha
quindi un sistema binario stretto di due stelle normali, di cui una diviene una nana bianca,
dopo un processo durante il quale diventa una gigante rossa. In seguito questa, attraverso
un trasferimento di massa, accumula sulla propria supercie materiale proveniente dall'altra
stella, no ad esplodere, provocando la supernova di tipo Ia. [34]
Nel sistema binario si nota come la nana bianca accumuli materia proveniente dall'altra stella attraverso un trasferimento di massa, aumentando di conseguenza la propria massa e avvicinandosi
sempre più al valore limite. Più la massa della stella si avvicina al limite di Chandrasekhar, più
aumenta la temperatura e di conseguenza iniziano ad avvenire alcuni fenomeni, come la fusione
del carbonio, che provocano l'esplosione della nana bianca, permettendo di assistere dunque ad
una supernova. È importante sottolineare che la massa limite non viene mai superata, poiché
non si assiste al collasso della stella, ma bensì soltanto ai fenomeni citati prima, come le varie
combustioni, che causano la detonazione.
Visto che questa tipologia di supernova non è originata dal collasso del nucleo di una stella,
essa viene denita supernova termonucleare, avendo la caratteristica di non lasciare alcun tipo
di residuo.
1
Massa solare M = (1,988 55 ± 0,000 25) · 1030 kg.
5.3.
67
UN UNIVERSO CHE ACCELERA
I modelli dettagliati, che spiegano come si arriva ad ottenere una supernova, sono diversi ma
hanno tutti in comune le particolarità che sono state descritte nora. Quello più accreditato è
denotato da un sistema binario composto da due stelle normali, di cui una in seguito diviene una
nana bianca, per poi inne esplodere, come si vede in 5.6.
Si è in seguito osservato come tutte le SN di tipo Ia avessero dei tratti comuni nell'andamento
della magnitudine apparente in funzione del tempo. Questo, unito al fatto che fossero molto
luminose e quindi visibili da molto lontano e che venissero innescate dall'avvicinamento della
massa ad un valore limite uguale per tutte le stelle, ha permesso l'utilizzo delle SN come candele
standard. Grazie alle SN sono stati quindi raccolte misure di lontananza e redshift per corpi
celesti a distanza molto maggiore rispetto a quelli considerati da Hubble, che sono stati trattati
in 2.2.
Rappresentando gracamente i dati raccolti si nota facilmente come essi non si dispongano più
su una retta, ma bensì su una curva. Si usa rappresentare il modulo della distanza m−M , ovvero
la dierenza tra magnitudine apparente e magnitudine assoluta, in funzione del redshift z .
Si ottiene quindi il graco mostrato nella gura 5.7, grazie al quale si possono già trarre conclusioni qualitative sull'andamento dell'espansione dell'Universo, in quanto il modulo della distanza
è legato alla distanza d, in parsec, dalla relazione
d = 100,2(m−M )+1 .
Figura 5.7:
(5.8)
Il graco rappresenta i valori del modulo della distanza in funzione del redshift. Interessante
sottolineare che non si ottiene più una retta, come nel graco ricavato dai dati di Hubble,
ma i risultati si allineano su una curva. [35]
Questo graco è fondamentale, perché si sa come i valori dei parametri Ωm e ΩΛ inuenzino le
caratteristiche dell'Universo. Con la teoria si possono tracciare le curve di m − M in funzione del
redshift z per diversi valori dei due parametri ed i risultati ottenuti sperimentalmente confermano
le stime già riportate in precedenza per questi due parametri in 3.3.3 e 5.2.
Utilizzando questi valori è possibile ricavare un'informazione quantitativa sull'espansione dell'Universo tramite il parametro di decelerazione, già trattato teoricamente in 3.4.
Si utilizza il risultato esplicitato in (3.77) e si ottiene
68
CAPITOLO 5.
RISULTATI OTTENUTI GRAZIE ALLA RADIAZIONE COSMICA DI FONDO
q0 =
Ωm
0,3
− ΩΛ =
− 0,7 = −0,55.
2
2
(5.9)
Un valore di q0 negativo corrisponde ad una decelerazione negativa, che quindi risulta in un'accelerazione. Ciò permette di dedurre che l'Universo si sta espandendo in modo accelerato.
Questa scoperta, eettuata dai tre sici Perlmutter, Schmidt e Riess nel 1998, è valsa loro il
premio Nobel per la sica nel 2011.
5.4 L'energia oscura Λ
L'energia oscura Λ è già stata brevemente introdotta in 2.3.3. Si sa perciò che si possiedono
pochissime informazioni sulla sua natura eettiva, in quanto praticamente tutto quello che si
conosce riguarda la sua funzione repulsiva, opposta alla forza gravitazionale. L'introduzione di
questa entità ha vantaggi e svantaggi. Tra i vantaggi risalta il fatto che, attribuendo questo valore
alla densità relativa dell'energia oscura, matematicamente tutto combacia e si ottiene un Universo
a curvatura nulla il cui modello, dal punto di vista puramente teorico, non mostra problemi o
insicurezze di sorta. Lo svantaggio principale riguarda invece la scarsissima conoscenza che si
ha di questa energia oscura e consiste nel fatto che non soltanto bisogna inserire nel modello
un qualcosa che ancora non si conosce, ma si deve convenire che questo qualcosa rappresenti
addirittura il 70% della densità dell'intero Universo, come ottenuto in 5.2.
Nonostante la scarsità di informazioni a riguardo, è importante capire che la vera sda per i
cosmologi non è capire da cosa è costituita l'energia oscura, ma bensì come funzioni e quali
eetti abbia.
Come già accennato in 2.3.3, esistono tre principali possibilità per spiegare questa entità e le sue
conseguenze.
• La prima, anche in ordine cronologico, è la costante
cosmologica introdotta da Einstein nel
1917 nella teoria della relatività generale per ottenere un Universo statico. Questa entità è
il risultato della densità di energia del vuoto. Si fa quindi strada l'idea che il vuoto non è
soltanto vuoto, ma può essere associato a dell'energia.
La costante cosmologica, così come formulata da Einstein, corrisponde ad un termine
aggiuntivo Λ nell'equazione di Friedmann, se con il termine ρ si considerano soltanto
radiazione e materia. L'equazione, già vista in (3.6), assume quindi la forma
2
ȧ
k
8πG
Λ
=
ρ− 2 + .
a
3
a
3
(5.10)
Questa aggiunta viene però ritrattata dallo stesso sico, dopo la scoperta da parte di
Hubble dell'Universo in espansione, ma il termine Λ ritorna, soprattutto dopo la scoperta
dell'espansione accelerata dell'Universo nel 1998, per spiegare appunto l'accelerazione. La
costante cosmologica è, come dice il nome stesso, costante ed è una proprietà intrinseca
dello spazio. Questo signica che espandendosi, dato che aumenta lo spazio, aumenta anche l'energia associata a questa costante e di conseguenza la forza repulsiva, garantendo
un'espansione accelerata.
• La seconda possibilità consiste nell'attribuire il ruolo dell'energia oscura alla cosiddetta
quintessenza, ovvero un campo scalare, che pervade tutto l'Universo ma che non è né costante nel tempo né uniforme nello spazio. Questo spiegherebbe perché l'espansione non
è caratterizzata da un andamento uniforme, dato che questo campo può assumere valori
sia positivi che negativi. Il nome quintessenza deriva dal fatto che questa dovrebbe essere
5.4.
L'ENERGIA OSCURA
69
Λ
una quinta interazione fondamentale (le altre quattro sono interazione gravitazionale, elettromagnetica, nucleare debole e nucleare forte). Si sottolinea dunque come la principale
dierenza tra questa e la costante cosmologica consista nel fatto che la quintessenza sia
un'equazione dinamica, che cambia nel tempo e che quindi può essere sia repulsiva che
attrattiva.
• Inne l'ultima opzione per l'energia oscura potrebbe essere un'energia del vuoto, da ricer-
care in scale subatomiche.
Per analizzare questo tipo di energia, bisogna far uso delle nozioni di sica quantistica, in
particolare del principio di indeterminazione di Heisenberg, applicato a tempo e energia.
Grazie ad esso si deduce infatti che il vuoto non è completamente vuoto, come si credeva,
ma presenta uttuazioni quantistiche di energia e rotture spontanee di simmetria a livello
subatomico, dovute alle continue apparizioni e sparizioni di particelle virtuali. È quindi
possibile ricavare una stima dell'energia associata a queste particelle tramite la formula
ρΛ ≈
MP c2
,
lP3
(5.11)
dove MP è la massa di Planck2 e lP è la lunghezza di Planck3 . Si ottiene dunque il risultato
ρΛ ≈
1,220 9 · 1019
(1,616 2 ·
10−35 )3
= 2,892 0 · 10123 GeV m−3 .
(5.12)
Dato che però si è dedotto che l'Universo ha curvatura nulla, dall'equazione (3.46) si ricava
che, dopo le dovute trasformazioni di unità di misura,
ρ ' ρc = 5,461 4 GeV m−3
(5.13)
e dal risultato esplicitato in (5.7) si sa che
ΩΛ =
ρΛ
= 0,7.
ρc
(5.14)
Si ottiene dunque
ρΛ = ΩΛ ρc = 0,7ρc = 3,823 0 GeV m−3 .
(5.15)
Con la sica quantistica si ricava quindi un risultato che si discosta da quello per così dire
classico addirittura di un fattore dell'ordine di 10122 .
Il fatto di ottenere un errore così grande è signicativo e indica la carenza di informazioni
sull'energia oscura. Fare un discorso dettagliato su questa misteriosa entità resta quindi ancora
impossibile e lo resterà nché non saranno scoperti dati migliori a riguardo.
2
3
MP = 1,220 9 · 1019 /c2 GeV.
lP = 1,616 2 · 10−35 m.
Conclusione
A prima vista, può apparire frustrante il fatto di portare a termine una ricerca senza ottenere
una risposta chiara e denitiva in merito ai quesiti posti sulle caratteristiche del nostro Universo.
Anzi, alla luce degli sforzi intrapresi, può esserci addirittura sconforto nel dover ammettere che,
anziché una risposta chiara, si ottiene in realtà un quesito di ancor più dicile soluzione.
Si è infatti costretti a riconoscere che l'energia oscura rimane tutt'oggi uno dei grandi misteri
della cosmologia e che si è ancora lungi dall'essere in grado di spiegare adeguatamente questa
entità
Non bisogna però arrendersi di fronte agli enigmi che l'Universo ancora ci riserva. È in denitiva
anche errato aermare che una nuova domanda è tutto ciò che ci rimane. Infatti, negli ultimi
anni è stata raccolta un'importante quantità di informazioni a riguardo della radiazione cosmica
di fondo, della geometria dell'Universo e di molti altri aspetti. Dette informazioni sono da considerare un successo e devono renderci duciosi in vista delle sde che il futuro ci riserva. Nella
sua storia l'uomo si è infatti sempre ritrovato a doversi confrontare con problemi inizialmente
dall'aspetto ermetico; poco a poco l'uomo è comunque spesso riuscito a trovare delle risposte ed
a compiere progressi oltre ogni più rosea aspettativa.
L'errore ottenuto in 5.4 per la densità di energia oscura dev'essere quindi recepito come un
segnale ed uno stimolo, perché per proseguire è necessario continuare a porsi degli interrogativi.
L'impossibilità, per ora, di poter dare una risposta denitiva ai quesiti posti va dunque vista da
un lato, come limite reale ed attuale della conoscenza scientica. D'altro canto, essa deve essere
presa anche come sda, giacché stimola ed incuriosisce lo studente ed ogni ricercatore. Vi sono
ancora parecchi aspetti legati all'Universo che meritano di essere approfonditi!
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[29] http://lambda.gsfc.nasa.gov/toolbox/tb_camb_form.cfm
[30] http://i.huffpost.com/gen/935625/thumbs/o-GRAVITYPROBEB-facebook.jpg
[31] http://eltawil.org/sciencewonders/wp-content/uploads/2011/11/pic11.jpg
[32] http://wmap.gsfc.nasa.gov/media/030639/030639_2_1280.jpg
[33] http://sci.esa.int/science-e-media/img/63/Planck_power_spectrum_625.jpg
[34] http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/c/ce/Progenitor_IA_
supernova.svg/640px-Progenitor_IA_supernova.svg.png
[35] http://wfirst.gsfc.nasa.gov/learn/de/de_sne.jpg