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Etruscan Studies Journal of the Etruscan Foundation Volume 9 Article 12 2002 Nuovi Rinvenimenti in Toscana A. Rastrelli Follow this and additional works at: http://scholarworks.umass.edu/etruscan_studies Recommended Citation Rastrelli, A. (2002) "Nuovi Rinvenimenti in Toscana," Etruscan Studies: Vol. 9 , Article 12. Available at: http://scholarworks.umass.edu/etruscan_studies/vol9/iss1/12 This Article is brought to you for free and open access by ScholarWorks@UMass Amherst. It has been accepted for inclusion in Etruscan Studies by an authorized editor of ScholarWorks@UMass Amherst. For more information, please contact [email protected]. Nuovi Rinvenimenti in Toscana by A . R a s t r e l l i er documentare tutta l’attività della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana negli ultimi cinque anni il tempo a disposizione per questa comunicazione non sarebbe sufficiente che a esporre un elenco di interventi di natura diversa cospicuo, ma troppo scarno per apportare alla discussione una problematica concreta. Ho scelto pertanto di limitare questa relazione ad una sola area della regione, costituita dal bacino idrografico del medio e basso Valdarno, riservandomi di presentare adeguatamente le altre per la pubblicazione degli atti. Tra gli interventi nelle zone omesse cito solo a titolo di esempio per la gran quantità di novità emerse, ma anche per una forma di spleen vista la mia annosa frequentazione dell’area, la prosecuzione dello scavo delle necropoli della Pedata di Tolle-Castelluccio di Pienza nell’agro chiusino, di cui Giulio Paolucci ha già pubblicato la fase orientalizzante. I risultati degli scavi più recenti, per lo più ancora inediti, ma visibili nel nuovo allestimento del Museo Civico delle Acque di Chianciano Terme, offrono nuovi e importanti dati allo studio non solo , ma anche della ceramografia etrusca. Quale summa dell’attività della Soprintendenza Archeologica, e non solo negli ultimi anni, presento per il suo prestigio una iniziativa promossa in collaborazione col Touring Club Italiano e la Regione Toscana, cioè la pubblicazione della prima guida archeologica d’Italia, dedicata appunto alla Toscana etrusca e romana, edita quest’anno. L’area più settentrionale della regione, che negli ultimi cinque anni è stata oggetto non solo di numerosi rinvenimenti di notevole rilevanza scientifica e storica, insieme ad una cospicua serie di ritrovamenti meno consistenti, ma non per questo meno significativi ai fini della ricostruzione della storia del popolamento di questo territorio e dei suoi rapporti commerciali con le aree limitrofe e in particolare con l’Etruria padana, ma anche dalla edizione di ritrovamenti e ricerche precedenti e di opere di sintesi su aree culturali più o meno ampie. Va sottolineato come gran parte dei rinvenimenti più rilevanti che verranno elencati, tra cui alcuni dei più rilevanti, come quello dell’insediamento di Gonfienti, del popolamento antico della piana di Sesto Fiorentino e del padule del Bientina e delle navi di Pisa, sono P – 123 – –––––––––––––––––––––––––––––––– N u o v i R i n v e n i m e n t i i n T o s c a n a –––––––––––––––––––––––––––––––– frutto di interventi di tutela non più meramente burocratici, bensì realizzati in maniera scientifica, a seguito di vere e proprie indagini sistematiche preventive in aree a rischio per la ripresa dell’urbanizzazione legata alle trasformazioni di territori di pianura o per l’esecuzione di grandi opere pubbliche, sempre con la piena collaborazione degli Enti locali. Le fasi di vita etrusche delle due grandi città di Pisa e Fiesole, situate alle estremità dell’ area settentrionale della Toscana, sono state recentemente studiate con la consueta perizia dall’amico Stefano Bruni: se nel caso di Pisa egli ha effettuato significativi rinvenimenti, in quello di Fiesole, pur limitandosi a riesaminare dati disponibili da gran tempo, ma finora trascurati, è riuscito a restituire dignità urbana a questa città, che fino a non molti decenni fa si considerava sorta solo in epoca ellenistica, a partire almeno dal tardo arcaismo, con tutti i limiti imposti alla ricerca dalla crescita continua dell’abitato su se stesso. Il rinvenimento più significativo nei pressi della città, delle cui necropoli arcaiche finora ben poco si sapeva, è stato effettuato in località Poggio al Vento presso Vincigliata, ai margini del territorio comunale di Firenze, ma a soli due chilometri in linea d’aria a ovest di Fiesole, sono state indagate a cura di chi vi parla almeno una dozzina di tombe di tipologie diverse, tutte già devastate dai clandestini, databili solo indicativamente in età orientalizzante, dal momento che non vi sono finora stati rinvenuti materiali di corredo: si tratta di tombe a camera con dromos coperte da un tumulo munito di tamburo e di tombe a cassa di pietre, anch’esse coperte da tumuli non sempre con tamburi. Tali tumuli erano costituiti per lo più dalle scaglie di lavorazione delle pietre utilizzate per la costruzione delle tombe stesse, che venivano estratte nelle zone circostanti, in cui sono ancor oggi visibili cave di pietra serena, utilizzate fino al Rinascimento. La stele di tipo fiesolano, recuperata in passato nella vicina chiesa di S. Martino a Mensola, doveva essere pertinente ad una tomba di questa necropoli, una delle più antiche attribuibili a Fiesole, i cui nuclei sepolcrali di età orientalizzante finora erano attestati solo da alcune fibule conservate nel Museo civico. La sepoltura meglio conservata è una tomba a piccola camera: il breve dromos con pareti in filari di pietra serena, la cui copertura in grosse pietre è crollata, dà accesso mediante una bassa e stretta porta architravata ad un vano lungo e stretto, munito di tre nicchie sulle pareti, una su quella di fondo e due su quelle laterali, non in asse; il soffitto è costituito da lastre di arenaria disposte ad architrave, una delle quali è stata asportata dai clandestini per accedervi dall’alto. La tomba è coperta da un tumulo munito di tamburo in pietre, all’esterno del quale sono emersi i resti di un lastricato. Di una seconda tomba a camera sono conservati solo i resti del dromos e dell’accesso architravato alla camera, purtroppo distrutta. Nel territorio fiesolano l’area nord orientale del Mugello e della bassa Val di Sieve, interessata con ogni probabilità da una direttrice di traffico commerciale secondaria con l’Etruria padana, presenta per lo più insediamenti sparsi di piccole dimensioni a base economica prevalentemente agricola. Tra i rinvenimenti recenti in quest’area, oltre a quello di un santuario nelle vicinanze dell’insediamento di Poggio Colla presso Vicchio, per cui rimando alla comunicazione di Warden e Thomas, che ne hanno condotto lo scavo, va segnalata tra le testimonianze più antiche dell’area occidentale il rinvenimento negli anni 1996 e 2000 in loc. Podere Stecconata di due pozzi limitrofi, foderati di pietre a secco, al cui interno sono stati recuperati frammenti ceramici, talora riferibili a vasi interi, databili nel corso del V sec. a.C. Una mostra tenutasi tra il 1999 ed il 2000 nel museo di Doccia (“Lunga memoria – 124 – –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– A . R a s t r e l l i –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– della piana. L’area fiorentina dalla preistoria alla romanizzazione”) ha permesso di rendere noti al grande pubblico i risultati di quasi due decenni di ricerche archeologiche nella piana di Sesto Fiorentino. Se è vero che i risultati più cospicui riguardano il popolamento di età preistorica a partire dal Mesolitico, non sono mancate novità per l’epoca etrusca, che vanno a integrare il poco che si conosceva della storia dell’area fiorentina. L’area vicina al corso del fiume, come attestano anche le opere di bonifica della piana, costituite da drenaggi e canali di scolo, fu densamente e continuamente popolata a partire dall’Età del Ferro fino all’età romana da gruppi limitati di individui, da riferire presumibilmente a nuclei familiari, distribuiti in piccoli insediamenti, tracce dei quali sono state individuate anche a sud del corso dell’Arno: uno di questi, costituito da unità abitative di tipo capannicolo e riferibile ad un periodo compreso fra la fine dell’ VIII e la seconda metà del VII secolo, è stato individuato nell’area di Madonna del Piano, in cui già dal 1994 era nota una necropoli villanoviana, in cui si segnalano per il loro valore rituale le deposizioni di un bovino e un cane. Va inoltre citato il rinvenimento di una terracotta architettonica a testa di pantera, forse un gocciolatoio, dalla loc. Olmicino, che potrebbe indiziare la presenza di una regia, cui poi si sarebbe sostituita un’area sacra, come attesterebbe il rinvenimento di un bronzetto votivo a figura umana. É recente l’edizione preliminare dello scavo nella seconda metà degli anni 80 del secolo scorso di una necropoli villanoviana dell’area di Quinto, in loc. Palastreto, in cui sono venute alla luce quarantadue tombe a pozzetto e a cassone, forse un’area cimiteriale comune ad una serie di villaggi limitrofi, che presenta tracce di pianificazione a carattere familiare. Come in altre necropoli della zona vi sono state rinvenuti pozzetti “gemelli” per la sepoltura della coppia maritale. Uno dei rinvenimenti più significativi effettuati in Toscana negli ultimi anni è certamente l’insediamento tardo arcaico messo in luce presso Prato, in loc. Gonfienti, cioè in un’area vicinissima alla zona di Pizzidimonte, dove fu rinvenuto un deposito votivo connesso ad un’area santuariale etrusca, in gran parte disperso, di cui faceva parte il noto offerente conservato fin dal 1899 qui nel British Museum. L’area finora scavata è interessata da una serie di complessi abitativi che in parte si estendono ortogonalmente ai lati di una grande strada larga circa m. 10, analoga alle platèiai di Marzabotto, costituita da un selciato irregolare di piccole pietre pressate su una massicciata composta da pietre di dimensioni maggiori: il drenaggio era garantito dal profilo convesso e dalle canalette laterali, la cui copertura con grosse lastre di alberese aveva funzione anche di marciapiede. Gli edifici sono costituiti da muri interni più esigui con fondazione in piccoli blocchi irregolari e ciottoli di fiume legati con argilla, mentre quelli perimetrali hanno un doppio paramento regolare con un riempimento interno a sacco, in cui talora sono presenti ampie cavità circolari, che dovevano alloggiare elementi lignei di sostegno per l’alzato in incannicciato. La copertura era a tegole e coppi. Recentemente sono state rinvenute tre antefisse a testa femminile con nimbo a lobi, di produzione locale, che dovevano decorare l’atrio di una di queste abitazioni. L’impianto urbanistico risulta ordinatamente pianificato, come quello di Marzabotto, con cui l’abitato di Gonfienti presenta più di una analogia. In corrispondenza del margine occidentale dello scavo è venuta alla luce una struttura in ciottoli, parzialmente addossata al terreno, che sembra costituire una sorta di limite dell’insediamento. Tra i materiali rinvenuti, con la costante presenza di ceramica da mensa e da dispensa in impasto e in – 125 – –––––––––––––––––––––––––––––––– N u o v i R i n v e n i m e n t i i n T o s c a n a –––––––––––––––––––––––––––––––– argilla depurata vanno segnalati alcuni vasi di bucchero di produzione locale e ceramica attica figurata; fuseruole d’impasto attestano l’attività della filatura e della tessitura, mentre scarti di lavorazione ceramici documentano l’esistenza di una fornace; assai significativo è anche il rinvenimento di scorie della lavorazione del ferro. I risultati dello scavo di Gonfienti confermano i contatti con la zona a nord dell’Appennino, cui il centro era collegata dalla strada che metteva in comunicazione Fiesole con l’Etruria padana, attraverso Quinto, la piana di Sesto e Settimello da una parte, proseguendo attraverso il corso del Bisenzio verso i valichi montuosi e le valli del Limentra e del Reno. Il territorio di Artimino più che da scavi recenti (se si eccettua il rinvenimento di due tombe a camera nella necropoli di Prato Rosello, una a tramezzo con le pareti costituite da grandi monoliti di pietra ben connessi, della cui suppellettile sono stati recuperati solo parte dell’ossuario e un grande coltello di ferro, e l’altra mal conservata, in cui il crollo del soffitto in lastre di pietra ha preservato gran parte del ricco corredo funebre, di cui fanno parte oltre al cinerario d’impasto decorato a stampiglia con figure di sfingi, coppe su alto piede ricoperte di stagno e un vaso decorato con elementi plastici a testa di grifo) è stato interessato da una serie di pubblicazioni, sia pur parziali, delle necropoli e degli insediamenti noti da tempo, tra i più recenti dei quali si segnalano il catalogo della mostra “Artimino: il guerriero di Prato Rosello” del 1999, “Archeologia 2000. Un progetto per la provincia di Prato,” Atti della giornata di studio, Carmignano 1999; un’edizione parziale di materiali dei corredi dei tumuli principeschi è nel catalogo della mostra “Gli Etruschi” tenutasi a Venezia nel 2000. Il Bruni ha espresso perplessità sull’esistenza o meno di un grande centro abitato nella zona di Artimino sin dal periodo arcaico, se non addirittura orientalizzante, ipotizzata dal Nicosia. Nei pressi della necropoli di Prato Rosello sono emerse tracce di un piccolo insediamento ad essa coevo, ma solo a partire da IV sec. a.C. si può parlare di un sinecismo dei piccoli insediamenti della zona in un abitato nell’area della villa medicea. Sono ancora in corso i lavori di scavo e restauro nell’insediamento etrusco di Pietramarina, munito di una cinta muraria di età ellenistica con paramento in lastre e blocchetti di arenaria locale a secco, conservata per oltre due metri d’altezza, all’interno della sono state identificate almeno tre fasi edilizie: l’abitato più antico, di tipo capannicolo, attestato da buche di palo e intagli nella roccia, è databile in base ai materiali ceramici tra il VII secolo e l’inizio dell’arcaismo. La prima fase edilizia di tipo stabile è costituita da edifici con muri a secco in piccoli blocchi di arenaria, databili in età arcaica, che subirono numerosi rifacimenti, prima di essere distrutti in un incendio nel V sec. a.C. Vi sono stati rinvenuti numerosi reperti ceramici, alcuni dei quali trovano confronti significativi nelle produzioni dell’Etruria padana. Tra i materiali della fase ellenistica, che si imposta direttamente sulle strutture perimetrali precedenti, si segnalano frammenti di ceramica suddipinta e a vernice nera. Non ha trovato conferme l’ipotesi della destinazione santuariale dell’area, mentre sembra più probabile, almeno per il periodo ellenistico, l’identificazione con un insediamento fortificato d’altura. Questa tipologia insediativa è presente nello stesso periodo in altre aree dell’agro fiesolano, come quella del Chianti, a sud dell’Arno, compresa tra i corsi della Greve e della Pesa, dove non sono state rinvenute le cosiddette “pietre fiesolane” (il che potrebbe testimoniare una certa autonomia dei gruppi familiari che seppellivano entro tumuli utilizzati – 126 – –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– A . R a s t r e l l i –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– sino in età arcaica), bensì i fossili guida sono rappresentati almeno per l’età ellenistica dalla ceramica acroma e a vernice nera a pasta grigia e dalla cosiddetta granulosa chiara. Un insediamento di tipologia e cronologia diverse è enuto alla luce presso Mercatale Val di Pesa, in località Poggio la Croce, dove su un’altura a cavallo tra le valli del Greve e della Pesa, è in corso di scavo dal 1997 un’area sacra, circondata almeno in parte da un grosso muro. I resti del santuario, di cui sono state individuate almeno due fasi, e che purtroppo sono stati oggetto di una sistematica opera di spoliazione, hanno obliterato una necropoli di tombe a pozzetto e a pozzo, databile in base ai pochi materiali attribuibili con certezza ai corredi ad un periodo compreso tra l’VIII e la prima metà del VI sec. a.C. Al centro del sepolcreto, che doveva occupare tutta la sommità dell’altura, è stata individuata un’area di rispetto, in mezzo alla quale era stata scavata una grande fossa, entro cui sono stati rinvenuti solo i frammenti di una grande pietra di forma vagamente semicircolare. Non è escluso che questi resti siano da attribuire ad un eidolon monolitico, riferibile alla utilizzazione più antica di quest’area come zona di culto, risalente forse all’epoca eneolitica. La prima fase dell’edificio sacro, che ebbe breve vita (costruito nella seconda metà del VI sec. a. C. fu distrutto da un incendio tra la fine dello stesso secolo e l’inizio del successivo), era costituita da una struttura a pianta rettangolare, con fondazioni in pietra, alzato in incannicciato e copertura in cotto. I resti del tempio furono sepolti in larghe fosse circolari, sigillate dalla nuova struttura, più grande della precedente, connessa con una serie di edifici di servizio del santuario, di cui rimane solo un’unica assise delle fondamenta in grosse pietre lavorate disposte a secco. In una fase non anteriore alla metà del II sec. a.C., come attesta un frammento pertinente quasi certamente ad un rilievo frontonale, anche questo secondo edificio fu smantellato ed i resti furono deposti ritualmente entro una serie di trincee scavate tutt’intorno. Nell’ultima campagna di scavo sono stati messi in luce i resti di una imponente struttura semicircolare di pietre, al cui interno sono stati individuati due filari paralleli, culminanti in una depressione ancora non esplorata, la cui natura è da accertare. Immediatamente all’esterno di questa struttura, ad un livello più basso, è stato individuato un lastricato, sigillato da uno strato uniforme ricco di resti carboniosi e di materiali ceramici databili tra la fine del VII e gli inizi del VI sec. a. C. Nel 1998 sui fianchi della collina è stata scavata una grande tomba a camera a pianta rettangolare, purtroppo già violata, costruita in lastre di pietra e munita di vestibolo e lungo dromos a cielo aperto. Indagini georadar ne avrebbero individuata una seconda al suo fianco (non vi sono tracce sicure dell’esistenza di un tumulo), mentre resti di strutture affini affioranti immediatamente a valle hanno permesso di individuare una necropoli di tipo gentilizio, sviluppatasi tra la fine del VII e i primi decenni del VI sec. a.C. Sono invece villaggi fortificati d’altura, non diversi da quello di Pietramarina, quelli tuttora in corso di scavo a Cetamura, nel comune di Gaiole, da parte della Florida State University e a Radda in Chianti, loc. Poggio la Croce, e le ricognizioni di superficie in loc. Salivolpi nel comune di Castellina in Chianti e S. Romolo nel comune di Scandicci. L’indagine in corso a Poggio la Croce ha messo in luce un insediamento pluristratificato, delimitato da una cinta muraria di forma indicativamente circolare, costituita da un muro di terrazzamento esterno con funzione di contenimento e un muro di fortificazione inter– 127 – –––––––––––––––––––––––––––––––– N u o v i R i n v e n i m e n t i i n T o s c a n a –––––––––––––––––––––––––––––––– no, fondato su una preparazione in terra e piccole pietre con la funzione di regolarizzare il piano insediativo. Dell’abitato, sviluppatosi tra la seconda metà del IV e la fine del III sec. a.C., sono stati individuati diversi edifici caratterizzati da planimetrie articolate, muniti di spazi ad uso abitativo, drenati da complesse opere di canalizzazione sottofondate, che suggeriscono una pianificazione organica dell’insediamento stesso, ed aree destinate ad attività produttive e artigianali: si segnala in particolare il rinvenimento di un torchio vinario e di residui della lavorazione del ferro. I materiali, a parte alcuni frammenti di skyphoi del tipo Ferrara T 585, sono per lo più di fabbrica locale: tra le presenze più significative, oltre alla ceramica a pasta grigia, va segnalata quella della ceramica d’impasto chiaro granuloso, che come l’altra è caratteristica del territorio fiesolano. Non si può escludere che questo riassetto del territorio del Chianti in epoca ellenistica sia stato pianificato proprio da un centro urbano prevalente da identificare appunto con Fiesole, perché lo ritroviamo in altre aree dell’agro fiesolano come la Valle della Sieve, quella della Pesa e il territorio del Montalbano. Questo modello insediativo, che prevede un contrarsi degli abitati sparsi a favore di villaggi fortificati a scopo difensivo non è comunque esclusivo di quest’area, integrandosi in maniera articolata con un sistema di abitati di pianura posti in prossimità di vie d’acqua, che sfruttavano sia le opportunità offerte dalla vicinanza a queste importanti arterie di traffici, sia le risorse agricole del territorio circostante. E’ di questa natura l’abitato di epoca ellenistica parzialmente indagato tra il 1997 ed il 1998 nella periferia di Scandicci, in loc. Casellina. L’edificio con pianta ad L a più vani aperti su una corte centrale scoperta, situato a metà strada tra i torrenti Greve e Vingone nei pressi del corso dell’Arno, era verisimilmente una ricca fattoria, legata allo sfruttamento agricolo dell’area circostante, come attesterebbe il rinvenimento di grandi recipienti, bacili e dolia. Le pareti erano costituite da uno zoccolo di laterizi murati a secco o con poca malta magra con l’elevato in mattoni crudi, il pavimento era in terra battuta e la copertura in tegole e coppi. Questa struttura, databile in base ai materiali rinvenutivi, tra la prima metà del II sec. a.C. e la prima metà di quello successivo, aveva sostituito un insediamento precedente, frequentato nel corso del III secolo e distrutto da un incendio, e fu a sua volta ricostruito in epoca romana. Se da una parte resti di scarti di lavorazione fanno ipotizzare la presenza in loco di una fornace, che avrebbe prodotto tra l’altro ceramica a pasta grigia, fortemente influenzata dalle produzioni di Fiesole, e anfore avvicinabili al tipo Dressel I A e una fuseruola e un certo numero di pesi da telaio documentano l’attività della tessitura, attestando che la fattoria era autosufficiente, dall’altra la presenza di ceramica a vernice nera importata da Arezzo e Volterra e di anfore greco italiche attestano la vivacità dei commerci nella zona. In loc. Olmo, sempre nel comune di Scandicci, sono venuti alla luce i resti di una necropoli databile tra il IV e il II sec. a.C., di cui sono state recuperate una quindicina di tombe a incinerazione entro ollette coperte da piatti o ciotole. Le sepolture etrusche di questa necropoli, in cui sono stati recuperati tra l’altro frammenti di almeno cinque crateri di tipo volterrano, quattro orecchini d’oro, uno dei quali a testa di leone di tipo magnogreco e gli altri ad anello semplice desinente in un globetto di pasta vitrea e uno strigile di ferro, sono purtroppo state sconvolte da una necropoli tardoromana (III - V sec. d.C.), costituita anche da sepolture entro anfore da trasporto, per lo più tipiche delle aree costiere aperte ai traffici, merntre più rare sono quelle come la nostra rinvenute in un territorio dell’interno; – 128 – –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– A . R a s t r e l l i –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– anche l’insediamento etrusco doveva essere relativo ad un approdo fluviale sull’Arno: non è forse casuale il fatto che una delle strade che circondano il cantiere si chiami appunto viuzzo del Porto. Lo scavo effettuato recentemente nella Piazza della Propositura ad Empoli, che ha messo in luce una stratigrafia monumentale completa delle fasi di vita di un insediamento organizzato di età romana, nato tra la fine del II e la prima metà del I sec. a.C. come scalo portuale sull’Arno, da identificare con ogni probabilità con la statio In Portu della Tabula Peutingeriana, ha restituito anche, sia pure in giacitura secondaria, numerosi materiali di età etrusca, che fanno presupporre l’esistenza in loco di un insediamento di natura non ancora precisabile, ma sicuramente legato come quello romano ai traffici lungo l’Arno, totalmente obliterato dalle fasi di vita successive: ne fanno parte una gran quantità di frammenti di ceramica databile in epoca ellenistica, acroma, a pasta grigia, a vernice nera, riferibili in piccola parte a vasi di notevole qualità di fabbricazione volterrana, ma anche a produzioni locali, tra cui una a pasta grigia, che trova i confronti più stretti in area fiesolana. Non mancano però rinvenimenti databili a periodi anteriori, come alcuni frammenti di vasi di bucchero di buona qualità, tra cui alcuni attribuibili ad uno o più kantharoi, gli unici venuti alla luce finora ad Empoli, mentre ceramica a vernice nera è stata raccolta sporadicamente anche in altri sondaggi effettuati nel centro abitato. Un insediamento d’altura di età ellenistica è indiziato dal rinvenimento di numerosi frammenti di ceramica a vernice nera sulla sommità del colle in località Monterappoli. Non lontano da Empoli, in loc. Martignana, sono venuti alla luce i resti di una necropoli etrusca, purtroppo saccheggiata fino ad un passato piuttosto recente e sconvolta dai lavori agricoli per l’impianto di un uliveto. Sul terreno sono stati raccolti numerosi frammenti ceramici di epoche diverse (dal bucchero: un’ansa di kantharos, alla vernice nera), un pendente in oro e resti di lamina d’oro, che rendono più credibile la notizia raccolta in loco del rinvenimento di un pettorale d’oro, disperso sul mercato antiquario, numerosi frammenti di bronzo, tra cui anse pertinenti a situle, colini e almeno uno specchio, alcuni alabastra di alabastro forse di fabbrica greco orientale, uno dei quali ancora conservato in una collezione privata sul posto, etc. Frammenti di ziri e tegole sono da riferire presumibilmente alla presenza del rito inumatorio accanto a quello incineratorio. La descrizione di un cinerario che si dice recuperato in una delle tombe, ma poi disperso, farebbe supporre la presenza di tombe di età villanoviana, finora non confermata da rinvenimenti in supericie. L’ampio excursus cronologico della necropoli, attestata ancora nel periodo imperiale romano, fa presupporre l’esistenza di un insediamento la cui lunga prosperità può essere riferibile sia allo sfruttamento delle risorse agricole del territorio che a quello di una posizione strategica all’interno di una rete di commerci. Uno degli oggetti più significativi rinvenuti nella necropoli di Martignana è una kylix a figure rosse del Gruppo di Chiusi - Volterra attribuibile al pittore di Montediano, le cui opere sono distribuite fino a Carmignano e S. Martino ai Colli, su cui sono raffigurati Eracle e Athena, un soggetto assai raro. Altri frammenti rinvenuti nella stessa area sono da attribuire ad una seconda coppa dello stesso gruppo. Spostandoci verso ovest, ancora nella parte settentrionale dell’agro Volterrano, – 129 – –––––––––––––––––––––––––––––––– N u o v i R i n v e n i m e n t i i n T o s c a n a –––––––––––––––––––––––––––––––– nella bassa Val d’Elsa va citata la segnalazione nel territorio comunale di Montaione, in loc. S. Stefano, di una collinetta dal profilo emisferico (d. m. 60), che ha tutto l’aspetto di un tumulo; in una villa nelle vicinanze sono conservati almeno tre cippi emisferici di arenaria forse locale del diam. di 40-60 cm., mentre non lontano sulla collina su cui sorgono la chiesa dedicata a santo Stefano e un castello medievale, sono venuti alla luce i resti di un insediamento d’altura etrusco, il cui sviluppo cronologico è ancora da verificare. In una recente pubblicazione (Legoli, un centro minore del Volterrano, Quaderno Pecciolese II, 1999) edita nell’ambito dell’iniziativa “Percorsi archeologici dell’Alta val d’Era” (di cui fa parte anche l’edizione di una breve guida “Percorsi archeologici dell’Alta e media Val d’Era dalla Preistoria al Medioevo” nel 2001) in collaborazione con la Provincia di Pisa e numerosi comuni dell’area, il Bruni nel suo contributo sulla storia del più antico popolamento del distretto di Peccioli, appartenente al territorio settentrionale di Volterra, ma in cui, a differenza dell’area di Montaione, sono più evidenti gli influssi pisani, ricostruisce un quadro insediativo sostanzialmente caratterizzato dall’assenza di consistenti aggregazioni di tipo urbano, in cui l’assenza di resti anteriori all’età arcaica è da imputare piuttosto alla fase ancora preliminare delle ricerche, che non ad una reale situazione storica. La più significativa scoperta archeologica in quest’area è certamente quella di una favissa ad Ortaglia, dove dal 2000 è in corso uno scavo, i cui primi risultati sono stati già presentati in una mostra. Lo scavo ha interessato un grande pozzo, al cui interno erano stati deposti ritualmente i materiali relativi alle offerte votive e ai resti di un edificio templare di dimensioni relativamente grandi, distrutto da un violento incendio intorno alla metà del IV sec. a.C., ma le cui prime testimonianze risalgono alla metà del VI secolo. Nessuna traccia rimane del santuario, che doveva occupare la parte settentrionale del rilievo che sovrasta il casale di Ortaglia, interessato da consistenti fenomeni franosi che hanno cancellato ogni traccia del tempio; questo doveva essere decorato sulla fronte da un altorilievo in terracotta, di cui sono stati rinvenuti alcuni frammenti, tra cui quello del muso di un cavallo. Tra i materiali rinvenuti nella favissa, oltre alla cospicua presenza di ceramica attica, tra cui si segnala una grande kylix di Makron, vanno ricordati una kylix etrusca a figure rosse di produzione sttentrionale, i frammenti di un candelabro di bronzo, alcune fibule, elementi di monili in pasta vitrea, dadi d’avorio, due orecchini d’oro, numerosi vasetti miniaturistici, alcuni frammenti di coppe del gruppo Sokra e due skyphoi suddipinti di fabbrica falisca, che segnano il termine più recente del deposito. Spostandoci nell’agro pisano a nord dell’Arno, vanno segnalati i rinvenimenti di insediamenti preistorici e protostorici, etruschi e di età romana effettuati nel padule del Bientina formatosi nella Valle del Serchio, l’antico Auser, emersi nel corso dei secoli e oggetto più recentemente di una esplorazione sistematica, i cui risultati sono stati pubblicati dal Ciampoltrini in un volume di sintesi, che segue i resoconti già comparsi sulla rivista di Studi Etruschi. Pur senza novità di rilievo rispetto a quanto già edito, la ricerca è proseguita col rinvenimento di due nuovi insediamenti: il primo è pluristratificato a partire da un villaggio palafitticolo dell’età del bronzo finale, in cui sono stati rinvenuti fra l’altro vaghi d’ambra di fattura padana, rioccupato da una comunità etrusca intorno al 500 a.C. e poi in età romana, mentre il secondo è una fattoria fortificata tardo repubblicana del 200-175 a.C. Rimando al già citato il volume del Bruni su Pisa etrusca (2000) per i rinvenimenti – 130 – –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– A . R a s t r e l l i –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– nel centro urbano, ma, anche se ormai è largamente noto in tutto il mondo scientifico, non posso esimermi dal parlare del rinvenimento più importante effettuato in Toscana negli ultimi anni, quello delle strutture relative al porto della città etrusca e della colonia romana di Pisa con i relitti di sedici navigli, oltre ai resti di numerose altre imbarcazioni distrutte con i loro carichi e corredi di bordo: questo ritrovamento è ben documentato a partire dal catalogo della mostra “Le navi antiche di Pisa. Ad un anno dall’inizio delle ricerche,” Firenze 2000, attraverso una serie di atti di convegni, fino ad una pubblicazione miscellanea in più volumi dal titolo “Pisa nei secoli” ancora in corso di stampa, il che giustifica lo spazio inadeguato che gli riserva questa relazione giunta ormai alla fine. Nei pressi di strutture abitative databili in un periodo compreso tra l’Età del Ferro e quella orientalizzante sono venute alla luce in loc. S. Rossore le strutture superstiti delle varie fasi di vita del porto etrusco, interrato sullo scorcio del I sec. a.C. Le più antiche consistono in una palizzata ancora in situ, costituita da una fila di ventotto tronchi infissi verticalmente nel terreno sabbioso, dietro i quali sono venuti alla luce altri pali infissi ortogonalmente ai primi. A otto metri da questa palizzata, che, in mancanza di dati archeologici, è databile in seguito alle analisi al radiocarbonio ancora entro l’età arcaica, e parallela ad essa, è stata messa in luce per una lunghezza di m. 16 una poderosa banchina, collassata negli anni intorno al 400 a.C., realizzata con un poderoso muro rettilineo, largo circa m. 1,70, costruito con blocchi di pietra murati a secco, cui si addossava un avancorpo di forma quadrangolare costruito con pietre più piccole, da cui si sviluppava una palizzata, anch’essa crollata in antico. Dopo l’interramento di quest’area furono realizzate nuove strutture portuali, cui deve essere pertinente una porzione di passerella o pontile, realizzato in assi di abete a incastro, privi di chiodature, distrutto nei primi decenni del II sec. a.C. dal naufragio di una grande nave, il più antico dei relitti recuperati, presumibilmente originario dell’area campana, che smistava a Pisa anche un carico di materiali punici provenienti dall’Africa. Di questa nave sono state recuperate solo le ordinate sciolte, la cui lunghezza permette di affermare che lo scafo era di notevoli dimensioni. Tra i materiali rinvenutivi si segnalano numerosi frammenti di anfore di tipologie diverse (greco italiche, puniche, massaliote), di ceramica a vernice nera di fabbrica volterrana, sombreros de copa iberici, quattro thymiateria di area punica, un frammento di fibula d’oro, etc. Particolarmente significativi sono i resti ossei di una leonessa, che, con quelli relativi a tre cavalli, sono da attribuire al carico della nave, come animali da utilizzare in spettacoli circensi, piuttosto che destinati ad uso alimentare da parte dell’equipaggio. – 131 –