diQuentin Tarantino - Lo Spettacolo del Veneto

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diQuentin Tarantino - Lo Spettacolo del Veneto
Federazione
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Italiana
Cinema
d’Essai
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wwww.spettacoloveneto.it
Tre candidature
Oscar 2016
Miglior Attrice Non
Protagonista,
Fotografia e
Colonna Sonora
Associazione
Generale
Italiana
dello Spettacolo
di Quentin Tarantino
PRESENTAZIONE E CRITICA
INTERPRETI:
Christopher Plummer,
Martin Landau,
Dean Norris, Henry
Czerny
SCENEGGIATURA:
Quentin Tarantino
FOTOGRAFIA: Robert
Richardson
MUSICHE: Ennio
Morricone
MONTAGGIO: Fred
Raskin
SCENOGRAFIA: Yohei
Taneda
DISTRIBUZIONE: 01
Distribution
NAZIONALITÀ: Usa,
2015
DURATA: 167 min
Nel Wyoming innevato, qualche anno dopo la fine della Guerra Civile,
il cacciatore di taglie John Ruth sta trasportando la fuorilegge Daisy
Domergue verso la città di Red Rock per consegnarla alla giustizia. I due,
mentre viaggiano su di una diligenza guidata da O. B., incontrano lungo il loro
percorso il maggiore Marquis Warren, un ex soldato nero dell’Unione divenuto
ora cacciatore di taglie, e Chris Mannix, un rinnegato del Sud che afferma di
essere il nuovo sceriffo di Red Rock. Il gruppo così composto decide, vista la
bufera di neve imminente, di trovare rifugio presso l’emporio di Minnie e di
aspettare che il tempo migliori prima di riprendere la strada verso la loro meta.
Arrivati al rifugio trovano altri quattro personaggi: Bob, messicano che si
occupa dell’emporio data la temporanea assenza dei proprietari; Oswaldo
Mobray, inglese che afferma di essere il nuovo boia di Red Rock; Joe Gage,
mandriano fermo nel rifugio per la bufera; Sanford Smithers, anziano generale
confederato. Bastano pochi minuti, e i primi scambi di battute tra i presenti,
per far capire come Red Rock si prospetti come una destinazione davvero
lontana… e forse irraggiungibile. Un elogio al cinema, alle sue storie e ai suoi
protagonisti: Quentin Tarantino rende il suo THE HATEFUL EIGHT un canto
d’amore per tutto ciò che ha avuto un profondo significato nel suo passato, da
spettatore prima e da regista poi. Con questa ottava pellicola, Tarantino fa
della sua professione – quella di creatore e di direttore di mondi – la causa
per e il mezzo con cui orchestrare un concerto da camera, dove i vari strumenti suonano note taglienti,
componendo una musica dalle tonalità cupe e allo stesso tempo dal ritmo incalzante (…). Nonostante la
scelta dell’ambientazione in una sola stanza, Tarantino ha voluto girare THE HATEFUL EIGHT in 70 mm,
formato ormai in disuso e solitamente utilizzato per grandi scene di insieme (lo si può trovare, ad esempio, in
The New World di Terrence Malick). Una decisione che mostra, ancora una volta, l’ammirazione e la
passione sconfinata di questo autore per la settima arte e per tutti i meccanismi che la riguardano. Optare
per la pellicola da 70 mm non è infatti una scelta esclusivamente formale: oltre che per l’amore artigianale
per la celluloide, una tale presa di posizione ha rappresentato per il regista un modo per celebrare il rito della
sala cinematografica. Quello di cui fa dono Tarantino non è infatti solo la possibilità di visionare il suo ultimo
lavoro: è un’esperienza. Un’esperienza che ha lo scopo di far rivivere una determinata modalità di fruizione
dell’oggetto film: l’overture iniziale, l’intervallo al centro, i titoli di testa e di coda, lo schermo adatto a un tale
formato… elementi appartenenti a un passato del culto a cui è dedito lo spettatore e che Tarantino ripropone
oggi a chi ha la fortuna di assistere alle apposite proiezioni (…). Nella modalità di ripresa è evidente
l’ossessione appassionata del cineasta per lo strumento con il quale trova la propria realizzazione artistica: i
giochi di messa a fuoco, i brevi long-take, le inquadrature di dettagli e gli articolati movimenti di macchina –
primo fra tutti il lento, lentissimo indietreggiare dal primo piano del Cristo ligneo sulla croce mentre scorrono i
titoli di testa… Non si tratta di un mero esercizio di stile: si tratta della continua esplorazione, fatta da
Tarantino, del mezzo filmico e delle sue potenzialità, quella ricerca del giusto connubio tra significato e
significante che traccia la linea di separazione tra cinema e cinema d’autore. A tutto ciò si aggiunge un uso
sapiente di una straordinaria colonna sonora (per la prima volta originale): le musiche di Ennio Morricone
riescono a dar voce all’animo nero della storia, a fungere da cassa di risonanza per ciò che sfugge allo
sguardo ma che in realtà è lì, poco sotto la superficie del visibile (…).
(www.filmforlife.org)
L’ottavo film di Quentin Tarantino dichiara subito le sue intenzioni, fin dalla prima immagine: un
carrello all’indietro a partire da un crocefisso innevato, lentissimo e molto lungo: questo è un film in cui non si
corre da nessuna parte, mettetevi comodi perché il ritmo sarà quello di una camminata. Questa volta il
grindhouse Tarantino l’ha fatto sul serio, non per scherzo come in A Prova di Morte. Come quel film divideva
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di Quentin Tarantino
l’opera nettamente in una prima parte di dialoghi e una seconda d’azione per ridere e divertirsi con i luoghi
comuni del cinema da poco, anche qui ammassa tutti gli scambi verbali in una prima parte dal ritmo blando
eppure densa di momenti di clamorosa scrittura, per poi esplodere in violenza e far venire al pettine tutti i
nodi che aveva sistemato nella prima parte. Una sceneggiatura ad orologeria da giallo incontra i finali da
grindhouse. Con un pretesto Tarantino mette insieme 8 persone in una baita durante una tormenta, 8
persone i cui rapporti di forza cominciano a dipanarsi lentamente solo una volta dentro. Tutto all’insegna del
rimando del piacere.In THE HATEFUL EIGHT più che mai è evidente il piacere del fare cinema, il godimento
nello scrivere, mettere in scena e far interpretare un copione, uno di cui Tarantino vuole godere il più
possibile. Ogni scena è allungata, in ogni momento si avverte la calma e il piacere di assaporare ogni
dettaglio. Questo film lungo e largo (non solo per il 70mm) si siede comodo in poltrona e tira la sua storia
anche un po’ più in là di quanto il pubblico di Tarantino sia disposto a concedere al suo autore, esagera e
sconfina. Se un personaggio deve consumare un omicidio, invece che sparare e basta decide di imbastire
una lunga storia (probabilmente falsa), fare un racconto dentro al racconto, denso di dettagli ed intrerpretato
a dovere, con il solo scopo di arrivare ad un omicidio. Se in Pulp Fiction Jules recitava la Bibbia prima di
sparare qua la messa in scena è ancora più “larga” (…).
(www.badtaste.it)
(…) L'ex enfant terrible di Hollywood, oggi, è un regista che fa paura molto più per i temi e i contenuti
del suo cinema che per la violenza che ha sempre caratterizzato i suoi lavori: è un regista che non teme di
andare contro la Disney e Star Wars per difendere la (difficile) distribuzione del proprio film e forse, proprio
per questo, paga l'esclusione dalle nomination dell'Academy; è anche un autore che non si fa problemi ad
impegnarsi in prima persona per la protesta contro le violenze della polizia americana. Che il buon Quentin
lo voglia o no insomma - e che quella parte della critica, che ancora oggi non riconosce il valore e
l'importanza del suo cinema, lo voglia o no - Tarantino è oggi un autore maturo, un autore impegnato, un
autore molto più completo. Questo non vuol dire che sia meno tarantiniano di una volta, anzi, il grande
pregio di questo THE HATEFUL EIGHT è proprio la capacità di mantenere un equilibrio tra il film di genere,
esagerato ed esasperato, e la riflessione sulla (mancanza di) morale dell'America di ieri e di oggi. Tarantino
l'aveva già fatto brillantemente con Django Unchained e il tema dello schiavismo e in fondo anche Bastardi
senza gloria e il nazismo, ma questa volta non si "limita" ad una catartica, esilarante e giusta vendetta, ma
va inutilmente alla ricerca di una giustizia che non sembra esserci, così come la speranza (…). Guardando il
film nella sua interezza, però, si capisce anche che c'è molto di più: molti sanno che dopo varie difficoltà (tra
cui la denuncia ad un magazine online che aveva pubblicato illegalmente lo script del film) Tarantino aveva
portato questo suo nuovo progetto a teatro per un unico evento speciale di beneficenza; dopo aver visto il
film non è difficile capire il perché, visto che si tratta di un'opera perfetta per il palco e che una regia più
tradizionale non sarebbe stata in grado di rendere con la stessa efficacia. Da qui la scelta del 70mm, di
inquadrature molto ampie e profonde che effettivamente danno la sensazione anche al pubblico in sala di
assistere ad uno spettacolo unico e che - quasi paradossalmente, visto che il 70mm era stato pensato
soprattutto per gli esterni - rendono giustizia alla splendida scenografia dell'Emporio di Minnie in cui si svolge
gran parte dell'azione e anche alla recitazione corale del cast(…). Il cinema di Quentin Tarantino parte così
da persone che si chiamavano per colori invece che per nome e si conclude (per ora, ovviamente) con
persone che si uccidono in nome del colore della propria pelle. Quel cinema "violento e selvaggio" appare
oggi certamente preferibile alla ferocia ancora più spietata, insensata e priva di morale di quest'ultimo film,
ma talmente ben contestualizzata da essere non più solo grottesca e pulp, ma anche terribilmente vera. Non
si fa fatica quindi a credere che questo THE HATEFUL EIGHT abbia diviso, sconvolto e infastidito la critica
USA come mai era successo prima: perché pur rimanendo un piacevolissimo "divertimento" tarantiniano
grazie ai soliti dialoghi al fulmicotone ed almeno tre interpretazioni - Samuel L. Jackson, Jennifer Jason
Leigh e Walton Goggins - tra le migliori del suo pur impressionante ruolino da grande regista di attori, questo
THE HATEFUL EIGHT non è certamente un film che si può etichettare come un semplice divertissement, e
nemmeno la spregevole definizione di "solita accozzaglia di generi e citazioni" con cui troppo spesso e
troppo facilmente si è soliti minimizzare una filmografia che però col passare del tempo si fa sempre più
significativa, "pesante" ed impossibile da ignorare Perché THE HATEFUL EIGHT è tutto questo: è un thriller,
è un horror, è un western, è un omaggio ai grande classici del cinema americano e di quello italianissimo di
Sergio Leone e Sergio Corbucci, è un film divertente ed un film esaltante. Ma è anche e soprattutto un film
serissimo di un regista ormai inconsapevolmente maturo e politico; un regista che, anche quando vorrebbe
solo dedicarsi alla sua sana passione cinefila, non riesce a fare a meno di dire la sua. E, anche per questo,
non è mai banale.
(www.movieplayer.it)
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