Porte girevoli per i «cervelli» italiani

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Porte girevoli per i «cervelli» italiani
34 Commenti e inchieste
Il Sole 24 Ore
Venerdì 21 Ottobre 2016 - N. 290
Lettere
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Le risposte
ai lettori
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GIOVEDÌ
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(coordinatore), Vito Lops e Francesca Milano
PROPRIETARIO ED EDITORE: Il Sole 24 Ore S.p.A.
PRESIDENTE: Carlo Robiglio
VICE PRESIDENTE: Luigi Abete
AMMINISTRATORE DELEGATO: Gabriele Del Torchio
La priorità italiana
nell’Europa multi-crisi
L’EDITORIALE
Gianfranco Fabi
Fabrizio Galimberti
Guido Gentili
Adriana Cerretelli
Salvatore Carrubba
Le lettere vanno inviate a:
Il Sole-24 Ore Lettere al Sole-24
Via Monte Rosa, 91
20149 Milano
email: [email protected]
includere per favore nome,
indirizzo e qualifica
L’Europa che non decide
accentua la disaffezione
e perde terreno nel mondo
riuscirà ad inculcare ai cittadini di
questa traballante unione,che o
indossiamo la stessa “divisa” o altrimenti
saremmo relegati ai margini dell’ordine
mondiale.Varrebbe la pena di “mettersi
in gioco”e di rischiare!Buone cose.
Carlo Caldironi
Rimini
G
entile dott.ssa Cerretelli,le confido
di essere assai preoccupato come
“cittadino europeo”,per il
protrarsi di uno stato di “asfissia
politica” che sta attanagliando le
istituzione di questo ambito e
lungimirante progetto di unione di popoli
e Stati.
Noto l’esigenza di autorevoli iniziative di
alta politica,volte a contrastare
problematiche epocali come il fenomeno
migratorio ,la flebile ripresa economica
,la disoccupazione,la precaria solidità
del sistema bancario,lo stallo dei
negoziato sull’accordo ttip..ect,ma il
tutto sembra ingessato e condizionato, a
causa delle prossime consultazioni
politiche previste nei paesi fondatori
dell’unione europea come
Germania,Francia.
Si ha timore di parlare “d'europa” per
Domenico Rosa
paura di perdere il “consenso politico
interno”,sembra incredibile ma potrebbe
essere proprio così.
Chiaramente ,le frange populiste
s'incuneano in tali fertili contesti,con
vigore e illusoria
autorevolezza,trascinando verso l'ignoto
i numerosi seguaci di tali pericolose
politiche “fuori dai tempi”.
Chissà se qualche “ben pensante”
Caro Caldironi,
purtroppo l’Europa di oggi, prigioniera
delle sue irrisolte poli-crisi, è costretta a
navigare tra Scilla e Cariddi, tra le verifiche elettorali l’anno prossimo in Francia
e Germania, i suoi due maggiori paesi, e la
perdita di consenso popolare che in democrazia è un’arma letale. Naturalmente
l’Europa non può permettersi il lusso del
suo fragoroso immobilismo.
La paralisi decisionale le fa perdere
terreno sulla scena globale e accentua la
disaffezione interna. Nulla però al momento sembra in grado di scuoterla e ridarle capacità e volontà di iniziativa. Il
momento è pessimo. Non resta che sperare che dopo le elezioni la musica cambi.
In caso contrario il futuro dell’Unione
amputata da Brexit si annuncia più precario che mai prima bella sua storia.
G
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Dove vanno gli investimenti esteri diretti in Africa
C
ome ha affermato il presidente
degli Stati Uniti Barack Obama
allo US-Africa business forum
svoltosi recentemente a New
York, l’Africa è «on the move» e questo ne
fa una regione decisiva nella competizione globale, cooperativa o meno, fra Cina e
Stati Uniti. Tanto più in una fase di inversione della globalizzazione caratterizzata
come ora da spinte protezioniste e rallentamento degli scambi.
L’Africa sub-sahariana è una delle regioni a più rapida crescita del mondo. Malgrado la sua economia sia stata messa a dura prova da bassi prezzi delle commodity,
stretta monetaria americana, siccità, carenza di infrastrutture, corruzione, minacce terroristiche, conflitti, disordini sociali e politici, ben sette delle economie
contraddistinte da una consistente performance nel mondo sono africane. Nel
2016, pur rallentata rispetto all’anno precedente, la crescita del Pil regionale (+
3,2%) risulta seconda soltanto a quella dell’Asia. Con Paesi come l’Etiopia che si sono sviluppati a un ritmo superiore (+ 10%)
a quello di colossi quali Cina e India.
Peraltro, l’Etiopia è emblematica della
posta in gioco nel confronto in atto fra
Washington e Pechino. Ossia fra l’affermazione di un modello di sviluppo che garantisca anche libertà politiche e diritti
umani e un modello di crescita dirigistico,
gestito da un regime autoritario di ispirazione marxista come è quello al potere ad
Addis Abeba da venticinque anni. Infatti,
la Cina è stata, fino a oggi, il maggior driver
della crescita economica del Corno
d’Africa con forti investimenti nel settore
delle costruzioni e delle grandi infrastrutture quale la linea ferroviaria che congiunge la capitale al porto di Gibuti in cui Pechino ha una partecipazione strategica.
Il passaggio da un modello politico autoritario a uno democratico, se sorretto
ANSA
San Pietro sotto una nuova luce
Il colonnato di piazza san Pietro e via della Conciliazione da ieri
brillano sotto una luce diversa, grazie a un nuovo e più
ecologico impianto di illuminazione a Led.
I
cervelli devono entrare e uscire. Un
Paese avanzato con una classe dirigente forte e preparata alle sfide del
mondo deve favorire la mobilità dei
propri migliori talenti, facendo in modo
che si preparino nelle migliori università
internazionaliecheauncertopuntotornino a lavorare nel loro Paese. Come riporta
il recente rapporto della Fondazione Migrantes, dall’inizio della crisi c’è stato un
deflusso netto di 150mila persone dal nostro Paese, in gran parte giovani qualificati. Farli ritornare è una priorità assoluta.
Le 500 cattedre Natta, che il governo
sta varando in questi giorni, hanno
l’obiettivo di far rientrare un buon numero di professori meritevoli nelle università italiane, a condizioni che si avvicinino a
quelle del mercato internazionale. Condizioni da cui il nostro sistema universita-
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3,2
2 - 2,9
1 - 1,9
0,5 - 0,9
<0,5
Marocco
-11,2%
Egitto
6,9
+49,3%
3,2
Ghana
-4,9%
8,7
+351,7%
Angola
TOP 5 ECONOMIE OSPITANTI
Paese
Entità dei flussi (mld $)
Cambiamento su 2014
Mozambico
3,7
-24,3%
Fonte: ©UNCTAD
da consistenti investimenti occidentali,
potrebbe rafforzare notevolmente lo sviluppo dell’Etiopia rinsaldando i legami
con gli Stati Uniti e la Ue. Tuttavia, l’invito
in tal senso espresso dal presidente Obama l’anno scorso è stato lasciato cadere
dal governo di Addis Abeba. Così, la cancelliera Angela Merkel, nel recente tour
fra Mali, Niger ed Etiopia per trovare op-
portunità di investimento e per ridurre i
flussi migratori verso il Vecchio continente, ha dovuto perorare ancora una
volta la causa dei diritti umani e delle libertà politiche per le opposizioni.
Di fronte alla incapacità della Ue di gestire unitariamente la crisi dei migranti,
Merkel ha inoltre annunciato che l’Africa
sarà l’obiettivo prioritario del prossimo
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>3
FLUSSI FDI
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G20 a presidenza tedesca.
Va detto che in Africa, sinora, l’Ue con
3,5 miliardi di euro di investimenti (e un
piano Junker che prevede 44 miliardi per il
futuro però da definire per quanto riguarda i capitali privati) è ben al di sotto sia dell’impegno finanziario cinese (oltre 200
miliardi di dollari più 60 stanziati nel dicembre 2015) che di quello americano.
Negli ultimi otto anni, gli Stati Uniti
hanno enormemente ampliato la loro presenza economica in Africa con una serie di
leggi, misure e istituzioni che mirano a rafforzare i legami commerciali, finanziari,
produttivi e tecnologici fra le due regioni.
Perché sinora solo il 2% dell’export americano è stato diretto in Africa. Il progetto
più ambizioso è “Power Africa” che ha destinato oltre 52 miliardi di dollari per raddoppiare l’accesso all’elettricità nell’Africa sub-sahariana. Gli investimenti Usa sono cresciuti del 70% e recenti, nuovi accordi hanno destinato altri 9 miliardi per
incrementare gli scambi fra le due aree.
D’altronde, molte economie africane
sono dipendenti dall’export di commodity. Ma importanti trasformazioni nelle
specifiche strategie di crescita di Cina e
Stati Uniti, più le difficoltà del ciclo internazionale hanno smorzato parecchio la
domanda per diverse materie prime. Malgrado le potenzialità e lo sviluppo di Paesi
come Nigeria, Sud Africa, Angola e Kenya
che da soli contribuiscono ai tre quarti del
Pil regionale, l’intero Pil dell’Africa raggiunge appena quello della Francia.
Un importante cambio di passo in campo civile e culturale deve, pertanto, essere
compiuto innanzitutto dalle stesse élite
africane:perdarespazioallagioventùafricana e per abbattere le molte barriere che
frenano gli scambi all’interno del continente. Alla Ue resta il compito di favorire
in concreto un modello di crescita che non
sia esclusivamente economico come
quello proposto finora da Pechino.
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Associazione Marco Fanno. Il governo pronto a varare 500 cattedre Natta per il rientro di professori meritevoli nei nostri atenei
di Giorgio Barba Navaretti
Città del Vaticano
I primi 5 Paesi africani per investimenti diretti dall’estero, anno 2015. Dati in mld di $
Il responsabile del trattamento dei dati raccolti in banche dati di uso
redazionale è il direttore responsabile a cui, presso il Servizio Cortesia, presso Progetto Lavoro, via Lario, 16 - 20159 Milano, telefono (02
o 06) 3022.2888, fax (02 o 06) 3022.2519, ci si può rivolgere per i diritti
previsti dal D.Lgs. 196/03.
Manoscritti e fotografie, anche se non pubblicati, non si restituiscono.
rio, a parte qualche eccezione, è ancora
molto lontano. È una misura importante e
corretta, con paletti chiari e oggettivi per
evitare rientri clientelari.
Il processo, però, non può essere uni-direzionale. Un efficace rientro dei cervelli
sidevefondaresuunmeccanismodiporte
girevoli, ossia con numeri elevati di persone che sia escano, sia rientrino nel Paese.
Una classe dirigente senza una buona
esperienza internazionale oggi ha le gambe corte. E chi ha questa esperienza non
rientra in un Paese dove non ci sia un
network di persone che abbiano condiviso un percorso simile. Infine, soprattutto
chi fa ricerca, non rientra in un Paese che
non sia anche capace di attrarre stranieri
qualificati nei migliori posti di lavoro.
L’Associazione Marco Fanno, raccoglie tutti coloro che nel corso degli ultimi
cinquant’anni hanno ricevuto una borsa
di studio per fare un dottorato o un master
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in economia all’estero prima dal Mediocredito Centrale e ora dalla Fondazione
UniCredit & Universities. Queste borse
(381 dal 1963), insieme a quelle della Banca
d’Italia e a poche altre, sono un canale di finanziamento degli studi internazionali di
molti di coloro che poi sono tornati e hanno costituito la classe dirigente del nostro
Paese, nelle istituzioni, nell’accademia e
negli affari: gli ultimi due governatori della Banca d’Italia, Mario Draghi (che dell’associazione è presidente onorario) e
Ignazio Visco; manager importanti come
Gabriele Galateri e Mario Greco e accademici, a cominciare da Michele Salvati,
fino a Lucrezia Reichlin, Alessandro Penati, Marco Pagano, Tito Boeri.
Oggi le borse Marco Fanno continuano
a essere erogate dalla Fondazione UniCredit & Universities. Nello spirito delle
porte girevoli, la Fondazione oltre a finanziare dottorati e master (13 all’anno), fi-
C.A.P. /LOCALITÀ / TELEFONO e FAX/EMAIL. Altre offerte di abbonato
sono disponibili su Internet all'indirizzo www.ilsole24ore.com/offerte. Non
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N
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Quale modello di crescita per l’Africa
di Adriana Castagnoli
di Franco Debenedetti
L’autore è presidente dell’Associazione Marco Fanno
SCENARI GLOBALI
u Continua da pagina 1
li altri due, Francia e Germania, da tempo legati da
un’intesa fragile, indeboliti dalle incognite del voto
elettorale dell’anno prossimo, per questo profondamente allergici a imprevisti e scossoni nell’Europa che
di crisi da gestire ne ha già in abbondanza.
Senza contare la variabile americana sullo sfondo, i
grandi punti interrogativi sull’imminente cambio della
guardia alla Casa Bianca, sul futuro delle relazioni transatlantiche, la tenuta degli accordi di sicurezza collettiva e
del modello di sviluppo fondato sul libero scambio. Tralasciando la Russia di Putin che lucra sui vuoti di potere altrui mentre la Cina programma con metodo il cambio degli equilibri globali. Troppe le incognite aperte.
Per questo un corto circuito anglo-italiano potrebbe
scatenare il disastro. Da prevenire accuratamente.
Pur non risparmiandogli critiche, l’Europa che conta
vota dunque per la tenuta del Governo e segue con ansia la partita del 4 dicembre. «Se abbandoniamo Renzi,
abbandoniamo l’Europa» avrebbe affermato JeanClaude Juncker, il presidente della Commissione Ue,
in una riunione interna. Proprio perché a sua volta teme la catena dell’instabilità europea, forse più di quella
siriana, anche l’America di Barak Obama gli ha regalato
pubblico e pieno sostegno.
L’obiettivo è chiaro, i mezzi per raggiungerlo meno. Nasce anche da qui il grande imbarazzo di Bruxelles sul giudizio da dare alla Finanziaria italiana 2017 e, al tempo stesso, la sua ricerca di una copertura politica dal vertice in
corso per uscire ancora una volta dal seminato del patto di
stabilità. La manovra espansiva dell’Italia ha la sua ragion
d’essere nell’esigenza vitale di stimolare crescita, investimenti, competitività e lavoro per ritrovare uno sviluppo
robusto e assicurare alla lunga la sostenibilità dell’iperdebito. Ma costruzione e contenuti suscitano diversi dubbi e perplessità. Aggravati dalla disinvoltura con cui il deficit strutturale non cala ma aumenta, il debito non si muove nonostante le regole del patto e gli impegni presi.
Se per l’Europa oggi la stabilità italiana è davvero la
priorità superiore, i margini per richiamarla all’ordine
sono strettissimi. Anche se di recente con Spagna e Portogallo si è usata la manica larga e prima, più che mai, con
la Francia. Si avvicinano però le elezioni tedesche e Angela Merkel è debole: per questo va salvata la faccia se
non proprio la sostanza, del rigore. Pressochè ineludibile, quindi, la richiesta di qualche correttivo, magari quasi
tutto simbolico, ma solo previo il tacito avallo politico
della massima istanza europea. La salvaguardia della
stabilità del terzo Grande dell’eurozona val bene qualche spericolato equilibrismo all’italiana. Tanto più che
sull’emergenza migranti gli si concede poco, su Cina e
patti commerciali ancora meno e con danni evidenti: ma
in ossequio ai superiori egoismi del fronte del Nord. Tra
un do ut des e l’altro l’Europa conclude poco, ai suoi vertici saltella di crisi in crisi spesso girando in tondo. Ora
però è costretta a scomodarsi agendo in punta di piedi
per disinnestare la mina italiana.
Sui migranti
servono equità,
regole certe
e confini sicuri
el 2015, in tutto il mondo, 60
milioni di persone hanno
abbandonato la propria casa
contro la propria volontà:
significa uno ogni 122 abitanti del pianeta.
Dall’altro lato, cioè nei Paesi verso cui si
dirige, questo flusso migratorio viene a
incidere sul potere di decidere a chi viene
consentito di vivere all’interno dei propri
confini, elemento fondante della sovranità
statale ancor più per l’Europa degli Stati
nazione. È necessario dotarsi di strumenti
per comprendere le “Conseguenze
economiche e politiche della migrazione
dei rifugiati”, come recita il titolo della
lezione tenuta la scorsa settimana alla
Bocconi da Christian Dustmann per la
Fondazione Rodolfo Debenedetti.
Prima di tutto conviene ricordare
quadro giuridico ed entità del fenomeno. Il
diritto di asilo si fonda sulla Dichiarazione
dei diritti dell’uomo ed è incardinato dalla
Convenzione di Ginevra del 1951 e dal
protocollo del 1967: offre copertura
universale, vieta il respingimento nel
Paese di origine, definisce rifugiato chi
teme di poter essere oggetto di
persecuzione per motivi nazionalistici,
razziali, religiosi. Successivamente forme
di protezione umanitaria sono state estese
ai civili minacciati dai conflitti in Africa e
in Asia. Quanto all’entità: nel 2015, di quei
60 milioni totali, 44 si sono spostati
all’interno del proprio Paese, 16 in Paesi
terzi. Da lì oltre 2 milioni ha cercato asilo in
Paesi che hanno firmato la convenzione di
Ginevra; in Europa è giunto il 12% dei
rifugiati del mondo.
Posto che diritto d’asilo non vuole dire
diritto alla residenza permanente, quali le
soluzioni stabili? Per l’Onu lo sono o il
ritorno nel Paese d’origine, o lo
spostamento in un Paese terzo, o
l’integrazione, in pratica trovare lavoro. E
qui si deve fare una distinzione tra
immigrati economici e rifugiati, perché
affatto diverse sono le loro storie passate e
le loro prospettive future. I primi hanno
deciso loro di emigrare e scelto il Paese di
destinazione, i secondi si sono mossi per
eventi estranei dalla loro volontà.
Specularmente i Paesi di accoglienza
scelgono gli immigrati economici,
accettano i rifugiati. Il migrante
economico decide quanto lavorare,
quanto consumare, quanto investire in
capitale umano, se e quando ritornare al
Paese d’origine. Il rifugiato vive
nell’incertezza sul suo futuro, e questo
induce a ridurre l’investimento iniziale e
quindi di prestazioni seguenti: le decisioni
più importanti sul proprio futuro si
prendono all’inizio della nuova vita
lavorativa, e dipendono dalle aspettative.
Se il permesso di residenza viene concesso
solo dopo un certo periodo e solo a una
frazione di ogni fascia di età, che
investimento personale ci si deve
aspettare da un rifugiato di 20 anni che sa
di avere solo una probabilità di essere
accettato dopo 5 anni? Che contributo ne
deriverà all’economia del Paese ospitante?
Il tema dei rifugiati ha polarizzato il
dibattito politico, ha favorito l’emergere
di nuovi partiti. Come variano i risultati
elettorali al variare della presenza di
rifugiati? Ci sono politiche che possono
ridurre questo effetto? La Danimarca nel
1986 aveva disperso sul suo territorio
oltre 76mila rifugiati; le elezioni che si
tennero tra il 1989 e il 1998, tre politiche
generali e tre municipali, forniscono
alcuni spunti. A un aumento di un punto
percentuale del numero di rifugiati in
rapporto alla popolazione, corrispose un
aumento dei voti dei partiti anti
immigranti pari a 1.4 punti; con risultati
opposti tra città (dove aumentò di quasi il
3 punti il voto del centrosinistra) e
campagna (dove furono quelli degli anti
immigranti ad aumentare, di oltre 1 punto.
La pressione migratoria sull’Europa
non diminuirà: la popolazione dell’Africa
crescerà nei prossimi 45 anni da 1,1 miliardi
a 2,8 miliardi; dei 20 Stati considerati
“fragili” dall’Ocse, 14 sono in Africa, 3 in
Medio Oriente. Ci vuole un nuovo quadro
regolatorio, accettato da tutti. Due
dovebbero esserne i pilastri: una politica
coordinata che renda sicuri i confini
esterni, per consentire di esaminare le
richieste di asilo prima dell’ingresso in
Europa; e un meccanismo per distribuire
con equità il carico dei migranti tra i Paesi
d’Europa ma che al tempo stesso sia
abbastanza flessibile per tener conto delle
situazioni specifiche di ogni Paese.
Obbiettivo non facile, ma se non lo si
raggiunge le conseguenze potrebbero
essere devastanti per la Ue, per non
parlare dei singoli Stati.
L’Europa deve favorire uno sviluppo civile e culturale oltre che economico
di Adriana Cerretelli
SFIDE EUROPEE
nanzia borse di ricerca e top up di stipendio per le università italiane che riescono
a chiamare ricercatori dall’estero (almeno 5 all’anno). Oggi l’Associazione Marco
Fanno insieme alla Fondazione UniCredit & Universities celebra il suo Alumni
meeting con un intervento del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Tommaso Nannicini, anche lui figlio delle porte girevoli e in qualche modo inventore
delle cattedre Natta.
Le Natta, come i finanziamenti UniCredit & Universities, sono iniziative che dovrebbero essere rafforzate e ampliate.
Detto questo, il problema di fondo del nostro Paese non si risolverà solo con eccezioni alla via ordinaria. Un sistema universitario ingessato, con procedure di concorso lente e incerte e stipendi uguali per
tutti, non riesce neppure a presentarsi sul
mercato del lavoro internazionale per farereclutamento.Leportegirevolidovrebbero essere la regola e non l’eccezione, per
quanto nobile e indispensabile.
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