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04/10/12 14:49: Rapide
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Intervista a Boosta 24/04/12 Onstageweb.com
Subsonica Istantanee Tour Intervista a Boosta
I Subsonica hanno deciso di celebrare i quindici anni del loro primo disco con una serie di date – Istantanee
Tour – che ripercorrono (con la scenografia, la scaletta e persino la strumentazione) la loro storia dal 1997
a oggi. Dall’uscita di SubsOnicA il mondo è profondamente cambiato e con esso la musica. Sono cambiati
anche i torinesi, che pure non hanno smarrito l’antico amore per il loro mestiere, che è soprattutto una
grande passione. Poco prima che la band partisse per l’Europa, Boosta (Davide Di Leo) ci ha parlato di
tutto questo.
Sotto il cielo di Torino si nascondo misteri, leggende e sussurri mescolati con formule geometriche,
movimenti geografici e beat elettronici. La città è il vertice di due triangoli: il primo – di magia bianca – la
unisce a Praga e Lione, mentre il secondo – di magia nera – la lega in una ragnatela esoterica con Londra
e San Francisco. Qui, nell’estate del 1996 si ritrovano i migliori esponenti della scena musicale alternativa
torinese. Max Casacci, ex componente degli Africa Unite, Ninja, batterista della Vanoni forte delle esperienze
con Karamamma e Base, Pierfunk, già collaboratore della Bertè e di Marcella Bella, Samuel e Boosta, che
suonavano negli Amici di Roland. Cinque musicisti, come le cinque punte della stella che si forma unendo gli
edifici sabaudi di Torino: la basilica di Superga, il castello di Rivoli, quello di Moncalieri, le palazzine di
Stupinigi e Venaria.
All’ombra della Mole, Samuel propone di chiamare il super gruppo Sonica come la canzone dei Marlene
Kuntz. Casacci, invece, Subacqueo, già titolo di un brano degli Africa Unite. La spunta la ragazza di Max,
con Subsonica. Nel 1997 esce il primo album della superband, eponimo, anticipato dal singolo Istantanee.
Centinaia di demoni sono saliti a Torino in questi 15 anni per comprare i sei album della band, da Microchip
emozionale a Eden, passando per Amorematico, Terrestre e L’eclissi. Ora, i Subsonica si sono messi in
testa di riportare dal vivo i brani recenti e le prime storiche canzoni, su un palco spettacolare in cui
riprenderanno i vecchi strumenti del primo tour, per una serie di date che toccheranno l’Italia e l’Europa. È
Boosta a parlarci del nuovo progetto dei Subsonica.
Nel 1997 uscivano Ok Computer dei Radiohead, Dig Your Own Hole dei Chemical Brothers, Home Work dei
Daft Punk. Moriva Lady Diana e un computer vinceva una partita a scacchi contro un essere umano. In
mezzo a tutto questo usciva il vostro primo lavoro, SubsOnicA. Come è cambiato il mondo in questi quindici
anni? Tutto è cambiato, tutto scorre molto più veloce. I tempi si stanno accorciando drammaticamente. La
percezione è grave, sembra che ogni cosa si bruci in fretta, che non ci sia futuro. Mentre negli anni Settanta
il “no future” era una scelta – chi era punk sceglieva di non avere futuro ed era una forma di ribellione – ora
è un dato di fatto, perché la situazione sociopolitica è quella che è. L’unica nostra speranza sono le
rivoluzioni portate dalle primavere (quella araba su tutte), in grado di scatenare ancora scintille. Magari una
prende fuoco e genera un cambiamento radicale.
Certo questo cambiamento ha toccato anche la musica. Cosa resta? La musica è privilegiata rispetto alle
altre forme d’arte. Puoi passare una vita intera senza entrare in un museo ma è improbabile che passi una
vita intera senza avere qualche canzone che ti ha cambiato la vita. Inoltre, penso che il mercato discografico
regolato con i contratti del secolo scorso e con le registrazioni fonomeccaniche stia andando decisamente a
morire: quel tipo di industria è destinato a cambiare, anche le percentuali di download si stanno ribaltando
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con l’aumento del download legale. Un altro aspetto secondo me fondamentale è l’esperienza live,
assolutamente irripetibile: puoi anche scaricare un disco ma non puoi downloadare il momento, la fisicità di
un concerto. Per un gruppo come i Subsonica, che hanno fondato la loro carriera sul suonare porta a porta,
palco dopo palco, è un dato che mette assolutamente di buon umore.
Con il primo album, SubsOnicA, avete fatto il grande salto, da esordienti a realtà importante della scena
alternativa italiana. Come è stato quel passaggio? E, soprattutto, com’erano i Subsonica nel 1997? Quindici
anni fa c’era la meraviglia di poter giocare i numeri della propria vita con la passione. Lo abbiamo realizzato
quando ci siamo resi conto che la nostra passione è il nostro mestiere. Quando abbiamo cominciato,
avevamo come obiettivo quello di fare la miglior musica che ci venisse in mente, era un periodo eccezionale:
negli anni Novanta, per la prima volta, la musica elettronica diventava mainstream, si andava nelle
discoteche, nelle sale da ballo rock e si potevano ascoltare i Rage Against The Machine e poi i Daft Punk.
C’era quella sorta di commistione di generi che ha permesso all’elettronica di avere lo stesso impatto del
rock. Il presupposto dei Subsonica è sempre stato quello di provare come cinque musicisti possano
rievocare le stesse suggestioni di una dancehall. Ci trasformiamo in “non-musicisti” per campionare i nostri
strumenti e creare la forma canzone, con strofa e ritornello, facendo riferimento alla musica dei club.
In questi 15 anni c’è mai stato un momento in cui vi è sembrato che le speranze e i sogni iniziali avessero
lasciato il posto a qualcosa di diverso? Io non ho mai voluto fare altro, suono con grande passione e sono
felice che tante persone possano ascoltarmi. Verso la commerciabilità ho sempre avuto un approccio laico,
come i Subsonica. In generale abbiamo la coscienza di fare quello che ci piace, ed è frutto di una crescita di
noi cinque, anche se naturalmente le dinamiche sono cambiate: all’inizio scrivevamo in tre, ora scriviamo
tutti, si è allargato il nucleo e le interazioni sono a più mani. Ma resta la meraviglia, come le influenze.
Conosco molti scrittori che non leggono niente perché temono di essere troppo contaminati nella scrittura.
Io, invece, quando scrivo ascolto un casino di musica perché spero che m’influenzi: secondo me, la capacità
dovrebbe essere quella di rimodellare a seconda della tua personalità quello che sei e quello che ascolti.
D’altronde è la storia della musica, nessun musicista dice di essersi ispirato o di aver copiato qualcuno, ma
è la bugia più grossa che si possa dire: tutti ascoltano e rimodellano, è la capacità di metabolizzare a essere
fondamentale.
Adesso cosa gira nel tuo lettore? Un po’ di dubstep. Non è un genere che apprezzo particolarmente, ma nel
suo linguaggio ci sono delle cose che riconosco e che mi affascinano: potrebbe in qualche modo modificare
il mio DNA. Per il resto ho fatto un’indigestione di suoni elettronici, davvero di tutto. Anche se l’ultimo disco
che ho comprato è quello di Brunori Sas: lo trovo davvero bravo, mi piacciono le sue canzoni e mi piace
proprio come suona.
Ho letto che in questo Istantanee Tour il palco integra due strumentazioni complete e differenti: una
contemporanea e una vintage. È un modo per rappresentare i vostri 15 anni di carriera? La scenografia è
stata curata da Massimo “Mamo” Pozzoli, che si occupa di alcune delle migliori produzioni italiane. Mamo ha
praticamente inventato un palco che nella sua semplicità è geniale, ha un impatto visivo clamoroso con luci
eccezionali. La struttura è modulare, con degli scaloni che permettono di creare tre stage
contemporaneamente. Anche visivamente è un concerto diviso in tre parti: si entra da un lato e si vede uno
show che ricorda quello di 15 anni fa, molto semplice ma efficace, come eravamo agli inizi. Credo sia bello
per le persone che sono cresciute con noi rivivere quelle sensazioni. D’altra parte è fantastico riviverle e
anche farle vivere a chi all’epoca era troppo piccolo per venire ad un nostro concerto. Nelle altre due parti
dello spettacolo, invece, il palco si allarga e diventa quello che sono i Subsonica oggi. È uno show molto
divertente: ci auguriamo che i pubblico possa avere la sensazione di assistere a più concerti
contemporaneamente.
In questa tournèe c’è anche l’Europa: Bruxelles, Berlino, Londra, Parigi, Barcellona e Madrid. Cos’hanno di
diverso dalle città italiane? Sicuramente la differenza principale risiede nella sovrastruttura e nel rapporto
con la libertà cittadina: in Europa ci sono molti posti, locali, club e una legislazione più leggera. In Italia,
invece, quando vuoi investire in un locale è tutto molto farraginoso, complesso. E poi c’è un fatto culturale.
Ti racconto un aneddoto. Un mesetto fa ho suonato in un club e in pista c’era gente che mandava messaggi
e beveva. In quindici anni di dj set non mi era mai successo di vedere disinteresse totale, né di avere la
sensazione che la musica fosse semplicemente l’accompagnamento della serata. Ho notato una profonda
ignoranza e poco rispetto per la musica stessa. In Europa, invece, c’è più cultura musicale e maggiore
melting pot: s’incontrano identità diverse, ci sono più serate e più luoghi dove scambiarsi idee. C’è una
mentalità più aperta.
Come si libera l’ltalia dal prodotto interno lurido? Occorrerebbe una classe dirigente in grado di affrontare
delle riforme che sicuramente poi scontenterebbero – la lobby, il sindacato, il popolo. Ma ci vorrebbero delle
persone con senso etico e civico, che poi è quello che manca davvero in Italia: per noi la democrazia è il
fatto di cercare di farla franca il più possibile. Se fossimo un paese civile come diciamo di essere non ci
comporteremmo così. La nostra è una classe dirigente anziana, assolutamente seduta, senza una fascia di
ricambio cresciuta in questi mesi. E, soprattutto, nella nostra classe politica c’è decisamente mediocrità:
manca il profilo alto, oltre alla totale assenza di senso civico, e questo è il dato più preoccupante.
Cosa c’è nella valigia di Boosta in un tour? Ultimamente mi sono dato all’e-book. Non sono un purista
assoluto del libro, adoro l’odore delle pagine ma ancor di più quello c’è scritto soprat. Per questo tour, ad
esempio ho messo in valigia il Dizionario del ’900 di Enzo Biagi.
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