Scarface - Marco Amato

Transcript

Scarface - Marco Amato
Scarface
di Marco Amato
1
(Nella penombra un uomo è seduto su una poltrona, di fronte a un tavolo.
Imbraccia un fucile. Sul tavolo una bottiglia di liquore, delle cartucce, una
pistola e un monticello di polvere bianca. Ha gli occhi chiusi. Poi apre gli
occhi, a fatica inizia a parlare, mentre prova a caricare un fucile, visibilmente
"fatto", ogni tanto tira su col naso, è in un crescendo di rabbia, ma non arriva
mai ad urlare.)
Volete la guerra? E va bene. Finalmente vedremo chi ha la pelle più dura,
volete la guerra? facciamo la guerra. Vediamo chi viene a trovarmi. I negri di
Marsiglia? Accomodatevi, siamo qua apposta. I sicari del Gaetano da Novara,
quelli col mitra, perfetto: piombo anche per loro. Volete la guerra, avanti
vediamo che sapete fare. Ok, ragazzi, dunque tra un po' ci sarà un bel po' di
gente qua fuori, un bel po' di casino, vogliono venirci a prendere, ci vogliono
ammazzare. A noi? Ah! Facciamogli vedere, come sparano quelli di Corsico.
Ragazzi? Dove siete, forza venite qua. Ora bisogna che mi organizzi, dunque
bisogna che, dove siete? (Prova ad alzarsi) Hei!!! Mario? GINA! (Si blocca
immobile e improvvisamente sul suo volto scompare la sicurezza sprezzante,
per lasciare posto allo sconforto. Come una fitta alla testa, sale il ricordo di
quello che ha fatto. Ha un cedimento, sta per cadere a terra, stramazza sulla
poltrona, ricorda) Cazzo ho ammazzato Gina! Come cazzo ho fatto? Mario...
che hai fatto. (come se rivedesse la scena) Che ti è saltato in mente, Mario?
Gina è mia sorella...., ti sei scopato mia sorella, tu, Mario? Mia sorella Mario,
la posso scopare solo io. Mia sorella, Mario, è mia, era tutto mio Mario,
l'organizzazione, la casa, tu Mario eri mio, chi l'ha fatto tutto questo Mario?
Io. Te la sei cercata, Mario è solo colpa tua. (si guarda le mani, se le butta in
faccia) Mi hai fatto ammazzare mia sorella, ma come caz... (alza la testa
rabbioso, e si colpisce con dei pugni in testa, si asciuga gli occhi. Raccoglie
ancora altra polvere sul tavolo portandola al centro, ad ingrandire la
montagnola. Poi si china e inspira profondamente col naso: inarca la schiena,
reclina la testa all’indietro, riprende energia).
Va bene. Da solo. Non importa. È finita? Bravi. È finita dite, ce l’avete fatta?
Bravi, l'avete fottuto Tony Camonte, eh? Ve lo faccio vedere io. Ora lo potete
ammazzare, Tony Camonte, ora l'avete messo spalle al muro, ora potete
fotterlo a Tony Camonte. (inizia a girare nervoso per la stanza, barcolla)
A me, che nessuno riusciva a guardarmi negli occhi senza che quelli intorno
non si allontanassero per la puzza di merda.
A me... Voi? Voi pensate di aver fottuto me? AhAhAhAh! Sì, bravi! Voi?
(sprezzante) Avanti venite, venite a farmi vedere come avete fottuto Tony
2
Camonte, avanti!
(Si alza e va verso il fondo scena, imbraccia di nuovo il mitra o il fucile a
pompa e si rivolge a qualcuno di quinta o dietro il fondale, sempre
camminando incerto) Hei! C’è nessuno là fuori. Avanti, che aspettate, a
fottermi, avanti venite, volete la guerra? Portate pure i bambini ad
accopparmi: lì dentro, lì dentro c'è l’uomo cattivo…potete ammazzarlo, avanti
che aspettate, entrate venite ce n'è anche per loro.
Volete la guerra! (Punta deciso verso il proscenio.) Avanti ve la faccio vedere
io cos'è la guerra. (Carica il mitra, è sul punto di cadere, poi si ferma in
ascolto)
Beh? Chi c’è? Nessuno? Nessuno ha il coraggio di affrontare il muso di Tony
Camonte, nessuno neanche ora, ora che sono solo, neanche ora che sono qua
per farmi ammazzare?
Ah! (Ritorna al tavolo, lascia il fucile, abbassa la testa sulla coca. Fa un altro
tiro. Poi tira su la testa, si passa un dito sotto le narici e poi si lucida un
dente, aspira di nuovo, si siede, rivolto al pubblico, calmo.).
Non ce l’avete il coraggio voi, mai l'avete avuto, voi. Siete gli stessi, gli stessi
vero? Vi riconosco, sì, gli stessi di quando avevo sedici anni? Siete cresciuti
comodi, pochi soldi, poche soddisfazioni, chiusi in casa a mangiare, chili di
terrore schiacciati sul divano. Chiusi a chiave, a tremare. Fuori ci stanno i
cattivi, la notte, le strade sono dei cattivi. Anche allora facevo paura. Quando
non ero nessuno. Quando non avevo niente. Niente proprio come ora. Ma io
ho avuto il mondo, io.
Il mondo è tuo Tony. (sarcastico) Ah!
Però te lo puoi giocare, il mondo. Un attimo solo e il mondo puoi perderlo, più
niente, un cazzo di niente, non lo sapevo io.
Avanti non volete sapere come è andata? Manco voi? …giornalisti della
minchia. Quante ne avete scritte di stronzate. Sulla mia infanzia, la mia
famiglia. Così tante cazzate che a qualcuno ho dovuto staccargli la lingua con
le mie mani, mentre mi strillava come un porco. Come ne vorrei uno qui
adesso (come se tenesse la testa di qualcuno sotto il braccio e gli tirasse la
lingua) "smettila di strillare, stai fermo, ora passa, stai fermo che fa più male
se urli". Ah, Ah. E mi è dispiaciuto certe volte, io rispetto chi sa usare bene le
parole. Ma le menzogne! Su Tony Camonte le menzongne non si scrivono.
Perché non siete venuti a chiedermi? Mi sono mai nascosto, io? Io sono
incensurato, sono un imprenditore, ho delle attività, perchè non siete venuti al
bar, come i cristiani, ho un emporio d’auto, io. Ci rispondevo alle vostre
domande. Magari Mario vi spezzava qualche dito, e si capisce, con le dita
3
spezzate, non è facile scrivere. Almeno però potevate prendere un po' di
rispetto, ai nostri occhi, no? E invece no. Voi potete vivere senza regole, vero?
è per questo che avete paura, non sapete quando state facendo la cosa giusta.
Ora però venite, prego, stasera non vi ammazzo. Vi do la mia parola.
Accomodatevi, stasera ho voglia di parlare. Avanti… La storia di Tony
Camonte. Il bandito di Corsico. La scalata di un gangster calabrese a Milano.
EH? Che ne dite? Mica male come titolo, che pensate stronzi, che solo voi le
sapete trovare le belle parole. Avrei potuto fare anch'io il giornalista! Se avessi
potuto farci i soldi, tutti i soldi per la fame che avevo, o se avessi studiato
anche io al Parini, forse sarei diventato ingegnere, se avessi trovato qualche
bravo maestro, forse sarei saltato anche io da quella parte della barricata. Ma a
Corsico, dove sono cresciuto, non c’erano buoni maestri, neanche gli fregava
ai maestri se ci andavi a scuola.
A scuola andavi a imparare a fare il pezzente, e chissenefrega se un muratore
conosce Leopardi. La politica! Anche noi ci intendiamo di politica, questioni
sociali, diritti della classe operaia, sì, sì, belli concetti, occupare le università e
farsi le canne, noi ve le vendevamo le canne, vi ricordate, anche la robba,
quella rendeva di più.
Quando ho cominciato io però, la droga non si sapeva neanche di che colore
era. Quando ho cominciato io, altro che esproprio proletario era la fame e
qualche rapina per comprarsi i vestiti, pagare il cinema alle ragazze al sabato,
quando arrivavamo con l’autostop fino in via Torino, io e Mario. Pura feccia
calabrese. Ce l’avevamo scritto in faccia, nei capelli troppo ricci, a Milano a
quell’epoca un calabrese faceva puzza, da lontano. Ma faceva anche paura.
Io e Mario: da subito, da sempre, fratelli. Un taglio nel braccio, il giuramento
col sangue, sopra la santa che brucia, come i mafiosi veri, fatto tra di noi.
Siamo arrivati a Milano che io avevo sei anni e parlavo solo il dialetto, non
sapevo bene neanche dov’ero, la gente era tutta la stessa, sembrava che
eravamo andati tutti al pic-nic, prima stavamo a Platì e poi un giorno ci
troviamo a Corsico, che ancora nemmeno era la periferia di Milano, era oltre,
e con noi c'è tutto il resto del paese. All'inizio mi sembra tutto uguale, c’è solo
il freddo e i tram, ma poi scopro che non è una gita. è mio padre a farsi il culo,
muratore, sedici ore al giorno.
"Per mangiare", dice lui, "bisogna spaccarsi la schiena". E a me che non
lavoro la spacca tutte le sere, quando torna a casa, mia madre gli riempie la
testa, Tony ha fatto questo e Tony ha fatto quello, mio padre mi sdraia sulle
sue ginocchia e il mio culo diventa lo show del sabato sera: applausi,
bastonate, cinghiate, dopo un po' di Milano non piangevo neanche più,
4
perdevo solo sangue, e mia madre mi diceva che dovevo diventare buono. è da
lei che ho iniziato ad odiare gli infami, se ti stavi zitta non me le prendevo. Poi
mi bocciano e mio padre che non vuole ammazzarmi mi dice che devo
trovarmi un lavoro, come lui. Ho iniziato a fare il garzone per un negozio
d’alimentari, ma avevo già deciso che la vita di mio padre non l’avrei fatta
mai. E così ho iniziato anche a rubare.
Andavo nelle case a consegnare la spesa, e con le signore ero sempre gentile,
mi facevano mettere la spesa in dispensa, e appena si distraevano intascavo
quello che potevo. Spiccioli, sigarette, oggetti d’argento. E poi dite… chissà
da chi ha preso quel delinquente…, da nessuno, ho preso da me, quello che
potevo e l'ho preso subito a chi ce l'aveva, solo perchè io non ce l'avevo,
perchè lo volevo, perchè volevo il mondo. Perchè deve essere vostro per
sempre, eh? La prima carbona è stato un appartamento sul Naviglio, con
Mario. Allora eravamo precisi, memoria lucida, neanche un appunto scritto,
sapevamo a memoria i minuti e gli spostamenti, sapevamo quando agire. I
pezzi per aprire la porta li avevamo rubati uno per volta ai magazzini e pure i
passamontagna per fare la scena, come dei deficienti. Sapevo dove la signora
teneva i soldi, in camera da letto, l’avevo spiata decine di volte quando andava
a prenderli per pagarmi. A passi silenziosi, la serratura che scatta, il comò e i
soldi stanno lì, e poi di corsa fuori e poi dietro il muro del cortile dei porci, col
fiatone, a ridere come pazzi. 2.000 lire contanti e un bel po’ di gioielli da
ricettare. Quanto pagherei oggi per quelle due mila lire, per l'odore che
facevano. Era il profumo di un'altra vita. Là nella porcilaia non vedevo la
paura, la prigione, la morte. Per la prima volta vedevo la speranza di un'altra
possibilità, di un'occasione e sapevo che non me la sarei fatta scappare.
All’inizio era solo per il cinema e le sigarette, poi quando i soldi entrano facili
inizi a prenderci la mano, vuoi rischiare di più, vuoi sempre di più, di più.
"Guardali", ti dici per strada guardando la gente, "sono tutti dei vincenzoni,
senza speranza, tu sei più furbo", e dentro inizia a montare una voce che
sussurra: il mondo, non se lo meritano loro, prendilo, prenditi il mondo, il
mondo è tuo, il mondo è tuo.
Al Bar Milano, di Corsico, andavamo ad ascoltare i dischi, ma anche a spiare i
discorsi che facevano quelli più grandi, quelli del giro. Erano degli sfigati,
gente che poi ha lavorato per me o tipi che ho fatto ammazzare, ma allora per
noi erano il primo contatto con quel mondo che ci sembrava irraggiungibile.
Si vantavano di come rubavano auto, di come si erano presi questo e quello, ci
mostravano le pistole. A dieci anni c’è chi vuole fare l’astronauta, chi vuole
fare la ballerina, noi volevamo una pistola. E basta.
5
Mica per ammazzare, no, solo per essere uno di quelli con la pistola, e basta.
A casa però iniziavano a tenermi d’occhio e mia madre pregava dalla mattina
alla sera, mio padre non parlava, ma continuava a picchiarmi, senza motivo,
forse solo per sfogarsi, anche lui ormai rassegnato.
L'unica felicità in casa era mia sorella, bellissima, coi riccioli neri, ogni tanto
mia madre me la lasciava per andare a fare le commissioni, e io restavo solo
con lei: me la baciavo tutta e la stringevo forte, le dicevo che l'amavo e me la
sarei portata via per sempre. Io amavo mia sorella, era la mia vita. Qualcuno
deve aver parlato con mio padre, dall’alimentare dopo un po’ me ne dovetti
andare, io e Mario iniziammo a lavorare per un chiosco di panini e lì girava la
gente giusta. Ormai ci conoscevano, iniziavano a rispettarci, aspettavamo solo
l’occasione giusta, avevamo 14 anni, potevamo tenerla una pistola: e le nostre
mani sembravano fatte apposta.
(musica)
***
Al chiosco la notte arrivavano i papponi con le ragazze, gli sbirri in borghese e
i ricchi che frequentano le bische, conoscevamo tutti ormai, ascoltavamo e
prendevamo quello che c’era da fare, qualche lavoro extra: furtarelli,
riscossioni o minacce a chi non pagava, ogni tanto davamo fuoco a qualche
negozio, piccole cose: non eravamo nessuno, dovevamo fare qualche favore
nel giro per essere rispettati, ma dopo un po' questa gavetta iniziò a stancarci.
Più li guardavo arrivare con i loro vestiti eleganti, le facce sprezzanti, le
macchine grosse e lucide e più sentivo la nausea. Loro Chanel, io salsiccia e
cipolla, dalla mattina alla sera anche quando tornavo a casa, la puzza montava
sotto le narici e io montavo rabbia, contro il mondo, contro tutti, volevo essere
come loro e subito.
Una sera per poco mi stacco un dito nell’affettatrice, mando ‘affanculo il capo
e esco dal chiosco con Mario, bestemmiando, perdevo sangue come una vacca
al macello.
Passa uno di Corsico, un calabrese che faceva sempre lo sbruffone perché
lavorava con un boss di Porta Romana e dice a Mario “Che fa ora il tuo amico,
sviene?” Se non c'era Mario a trattenermi gli passavo un orecchio dentro
l'affettatrice, per fargli sentire un po' meglio. Quello vede che schiumo rabbia
e ride. è un codardo, mi mostra la pistola nella fondina, sotto la giacca.
“Dammene una che ti faccio vedere come funziona!” gli rispondo io con tono
arrogante. “E che ci fai con la pistola?”, “Quello che vuoi, facciamo”,
6
risponde Mario che in quella storia vedeva solo l'occasione di un nuovo
lavoro. Il tizio si chiama Tony, come me, e lavora per conto di Gianni Lovo,
gestore di bische nella zona sud e coinvolto in un paio di rapimenti. Ci guarda
un po' di traverso. "Giovani calabresi morti di fame, in effetti ci sarebbe
qualcosa per voi. Tra tre giorni torno con una persona, fatevi trovare qui, che
se andate a genio a chi dico io, vediamo quanto valete con la pistola."
Non ci credevo, ma tanto valeva provare. Restiamo tre giorni ad aspettare, poi
una sera vedo la sua macchina parcheggiata poco lontano. Con lui c'è un altro
tipo, parlottano un po' tra loro, ci guardano, poi Tony abbassa il finestrino,
"salite".
è un lavoro di merda, lo capisco subito. Vogliono iniziare a rompere i coglioni
a Mariolino, il napoletano che gestisce le bische del Sempione, roba di classe.
Ci procurano delle divise da bar e ci dicono che il tal giorno dobbiamo
consegnare del cibo all'Associazione "Amici della Musica" in Corso
Sempione con il furgone. Il cibo è avariato, vogliono che la gente del locale si
senta male e smetta di frequentare il posto. L'altro tipo in macchina con Tony,
si chiama Lello e ci farà da autista. Nessuno dei tre è dell'organizzazione,
quindi se ci beccano non possono risalire a Gianni Lovo, se ci catturano quelli
di Mariolino, sono cazzi nostri, se ci cattura la polizia ci proteggeranno loro. Il
compenso è di 5000 lire. Mi sembra un piano del cazzo dico, se vogliono le
bische di Mariolino perchè non vanno lì a prendersele col piombo. Tony e il
suo amico ridono e mi dicono che Mariolino è il più pericoloso figlio di
puttana di tutta Milano, avvicinarsi tanto da sparargli è impossibile, possono
solo sperare di scendere a patti. Mi sembrano discorsi da finocchi e penso che
se fossi io il capo già avrei provato a farlo fuori un paio di volte, comunque ci
danno le pistole, le divise e l'appuntamento. Per ora mi basta.
Ci alleniamo dietro la porcilaia, nessuno ci sente, possiamo sparare per giorni,
io e Mario e alla fine ci sentiamo abbastanza sicuri. Ci inventiamo dei codici
per l'azione. Se io dico "sbarra" lui deve iniziare a sparare sulle guardie del
corpo di qualche pezzo grosso mentre io penso a farlo fuori e trovare la via di
fuga. Se dico "riccia" bisogna catturare qualche donna come ostaggio e
proteggersi la fuga. Ci inventiamo decine di situazioni possibili, da tutte ne
usciamo sempre alla grande, ma siamo dietro la porcilaia, come quando
eravamo ragazzini, nella realtà non sappiamo come può andare a finire e
abbiamo tutti e due una fifa boia. Non ce lo diciamo e continuiamo a sparare:
questa volta almeno abbiamo una pistola vera, vorrà dire qualcosa. Sento che
ora dipende solo da me che tutto è possibile, che si tratta solo di lavorare,
sento che ce la posso fare. Gli altri volevano fare l'astronauta, io il gangster.
7
Arriviamo puntuali all'appuntamento, sbuchiamo dietro il vicolo all'ora
prevista per la consegna. Io e Mario suoniamo alla porta del retro, abbiamo un
carrello fumante, posate di argento, e bottiglie di vino. Ci aprono e ci
guardano storti per due minuti, poi aprono le vivande, annusano, assaggiano,
niente di sospetto. Non ci perquisiscono. Le pistole sono dentro le mutande. Ci
fanno passare con il carrello fino dentro la bisca. Io non ne avevo mai vista
una prima. Fumo nell'aria e poca luce, anche le signore che urlano e
bestemmiano. La Milano che va alla Scala ha la stessa fame della Milano di
Corsico, solo che loro la possono sfogare legalemente in cantine fumose, che
dimenticano presto. Si vede che hanno paura che qualcuno gli porti via quel
mondo che non hanno conquistato, sanno di non meritarsi nulla.
Riempiamo il tavolo del buffet, poi ad un tratto si apre una porta sopra la scala
ed esce urlando un uomo grasso e incazzato: "Voglio da mangiare!!" Non do il
tempo a nessuno di rispondere: "Eccoci qua signore, arrosto di manzo appena
cotto e un bordeaux degno di un re" e un gran sorriso mi riempie la faccia. Lo
scagnozzo di Mariolino mi molla un pugno che mi toglie il sorriso, cado a
terra e non mi rialzo solo perchè so che potrei rovinare tutto. Mariolino
scoppia a ridere e batte le mani: "Bravo maitre, ottimo abbinamento, fate
salire quello stronzetto, così si tratta il capo, avete visto il ragazzino che
riconosce il boss." Mentre Mariolino parla, nessuno mi guarda, ho il tempo di
togliermi la pistola da dentro le mutande e l'avvolgo in un tovagliolo, la do a
Mario e fingendo di dargli ordini per rientrare gli dico di aspettarmi fuori col
motore acceso e di fare presto. Lo sgherro di Mariolino non mi toglie gli occhi
di dosso un istante. Preparo il vassoio con l'arrosto, e nell'altra mano porto la
bottiglia di vino e un bicchiere. Mi sqaudrano, temo che possano fermarmi e
portare loro il cibo. Mi perquisiscono da cima a fondo prima di entrare nella
stanza del boss, poi si tranquillizzano. Entrano solo in due, con me e al divano
c'è una donna distesa . Mariolino non ha perso il buon umore. "Ecco qua il
mio maitre, sento puzza di terrone, o sbaglio?" "Calabrese di Platì", rispondo
io orgoglioso, Mariolino mi guarda schifato, "mi pareva, la razza peggiore di
tutte, ma se sono lavoratori si possono salvare dal procile in cui sono cresciuti.
Servimi, vediamo che sai fare". I due uomini di Mariolino ridono, io sono
freddo come il ghiaccio, so di avere una sola possibilità. Servo la costata sul
piatto, Mariolino prende le sue posate e assaggia, so che non può sentire
quello che ci abbiamo messo dentro, è insapore e l'effetto è lungo, comunque
al massimo lo farà vomitare, non servirà ad ucciderlo. "Ottimo, dice, sentiamo
il vino". Apro la bottiglia e gli servo un assaggio nel bicchiere. Mi fa cenno
con la testa e quando sto riempiendo tutto il bicchiere, la bottiglia non so come
8
mi cade dalle mani. Mi abbasso a raccoglierla. Mariolino e i suoi ridono
"Testa di cazzo, ve l'avevo detto che questi calabresi non sono buoni a nien.."
non gli lascio neanche finire la frase che gli apro un sorriso lungo tutta la
trachea. Gli esce una fontana di sangue sul tavolo, mi giro e pianto il resto
della bottiglia in mezzo agli occhi del tipo più vicino a me. è tutto così veloce
che quell'altro non ha nemmeno il tempo di tirare fuori la pistola, quando lo fa
io mi sono già gettato fuori dalla finestra. So esattamente quanto male mi farò,
ma è l'unica via: la lastra di vetro mi taglia la carne fino all'osso, quasi sotto
l'occhio e quando cado a terra sono sicuro di essermi rotto una gamba. Non
vedo niente, credo di avere sangue su tutta la faccia, ma so che devo scappare,
quello da dentro non spara, non so perchè. Sento il rumore di qualcuno che
sgomma, mi hanno beccato, mi preparo al piombo. Poi sento ridere a
crepapelle, Mario mi tira su gridando: "tu sei un animale, un pazzo animale",
ma capisco che è preoccupato. Riderei anch'io per tranquillizzarlo, se solo
sentissi la bocca e i denti. Riesco a controllare tutte le emozioni, eppure tra il
dolore e la paura, sento che qualcosa è cambiato, mi tocco la ferita sulla
faccia, ma non è solo quello.
Resto qualche giorno in un posto che non conosco, ci sono solo Lello e Mario
che vengono a trovarmi e mi aggiornano sulla situazione. Mariolino è morto
buttando fuori tutto il sangue marcio che aveva, quelli della sua
organizzazione sono impazziti, non sanno con chi prendersela, nessuno mi ha
riconosciuto. Gianni Lovo è pronto. Stanotte faranno il colpo e si prenderanno
tutte le bische della zona. Si è già accordato con le altre organizzazioni, sono
tutti d'accordo, non vogliono guerre. La notte stessa vuole festeggiare con me,
non sa chi sono, ma ho già un soprannome: lo sfregiato. Mario mi allunga uno
specchio. Qualcuno deve avermi dato dei punti di sutura alla faccia. è come se
sorridessi sempre, anche quando sto serio e quando rido sembro un matto. Ma
sembro più grande, può servire, la strada è ancora lunga.
Tutto va come i piani, pochi morti. Molti uomini dell'organizzazione di
Mariolino, sono dei poveracci napoletani, hanno bisogno di lavorare per
campare la famiglia e si offrono spontaneamente al nuovo capo per non
perdere il lavoro.
Mario mi porta un vestito bianco, lo metto a fatica, la gamba non si è rotta, ma
fa ancora un male pazzesco. Lello guida la macchina fino a un garage in via
Manzoni, silenzio lì sotto e nessuno che controlli, siamo entrati nel cuore
dell'organizzazione, quella vera che lavora mentre Milano dorme. C'è un'aria
umida e puzza di gasolio, scendo e gli uomini di Lovo mi guardano un bel po',
9
ma senza sospetto. Forse sanno che è la prima volta che guardano in faccia il
loro prossimo capo.
***
Lovo aveva all'epoca un bell'appartamento con vista su Piazza alla Scala.
Quadri d'arte contemporanea, pezzi di design, non si limitava in nulla,
spendeva molto, si capiva subito che era un mollusco, non un vero boss. Si era
costruito da solo, una truffa dopo l'altra, poco sangue e molti accordi, era pure
in ottimi rapporti con la polizia. Non avrebbe mai fatto la guerra in città,
quella vera, quella di fiumi di sangue, ma sarebbe stato duro lo stesso
togliergli il potere, era un politico. Io all'epoca non pensavo a fotterlo, cercavo
solo di ottenere il massimo vantaggio da quella situazione, per me non era solo
un'occasione, quella sera era l'inizio della mia carriera.
Penso a questo quella sera quando entro nella sala e lui inizia ad applaudire,
da solo, "ecco il mio sfregiato, la mia macchina da guerra, vieni dal tuo papà,
Frankenstein." Resto sulle mie. Gli allungo la mano, ma lo considero solo per
quello che è: qualcuno che mi ha dato una possibilità. Io gli ho dato molto di
più. Gli ho tolto di mezzo il suo principale avversario e in cambio ho perso un
pezzo di faccia. Lui da solo non l'avrebbe fatto. "Se vuole trattarmi da
ragazzino sappia signore che non mi aspetto una mancia per il lavoretto di
Mariolino. " Fa la faccia stupita, ma si mette subito a ridere, come a dire avete
sentito, che tipo. mi dice che gli serve gente tosta come me, che Milano non è
più una passeggiata come quando lui ha iniziato ora la gente ammazza sul
serio e anche la polizia sta calando la mano pesante. Mi dice che in premio
gestirò una bisca intera, insieme al mio amico Mario. La stessa bisca dove ho
fatto fuori Mariolino, così almeno potrò uscire dalla porta senza sfondare di
nuovo la finestra, così mi dice Lovo e mi dice di chiamarlo Gianni. Ha il senso
dell'umorismo Gianni e mi offre un sigaro. Vorrei rilassarmi, ma ancora non ci
riesco, anche se è il primo posto dopo una settimana, dove mi sembra di essere
al sicuro. Beviamo qualcosa e poi andiamo al Babylon a ballare, mi dice che
abbiamo un tavolo riservato, prima però aspettiamo la signora.
è quando entra la signora, io capisco che fino a quel momento sono stato un
ragazzino che giocava alla guerra e ho sempre tralasciato il fattore femminile.
Caviglie sottili, occhi verdi e grandi, capelli biondi, lisci. Un vestito che
scintilla e non so di quale stoffa sia, ma sembra morbido, avvolge, mostra i
capezzoli duri e le natiche sode, vorrei stringere tutto e immergermi dentro di
lei, lasciando fuori tutti questi stronzi che la guardano sbavando. Ha lo
10
sguardo duro, sembra incazzata, mi stringe la mano e guarda dall'altra parte,
ma sono sicuro che qualcosa la scuote quando ci tocchiamo. Elvira, mi dice,
piacere, bel tatuaggio ti sei fatto ragazzino. Lasciala perdere Tony fa sempre la
stronza, ma quando fa così vuol dire che gli piaci. Ride Gianni ma io ne sono
convinto. Rido anche io. Già! Sono sicuro di piacergli e so che anche lei sarà
mia, prima o poi. Mi dispiace Gianni, è sempre una guerra.
Al Babylon entriamo con tappeti rossi e grande rispetto di tutti, Mario è più
rilassato, io ancora no, mi devo abituare a tutto questo, luci, musica poltrone
di velluto. Gianni mi dice che lavorerò con l'altro Tony e Lello sarà la nostra
guardia del corpo. Mi racconta chi sono i boss della città e praticamente sono
tutti seduti ai tavoli del locale. in mezzora conosco tutte le zone, come sono
divise e chi le gestisce. Mi spiega le sue regole, in sostanza si tratta di non
fotterlo mai. Sarà lo champagne, sarà che mi fa male la ferita, ma il mio
cervello non connette proprio bene. Ad un tratto Elvira chiede a Gianni di
ballare, ma lui dice che non ha voglia, lei accavalla le gambe e lo chiede a me.
"Vuoi ballare?"
(Musica)
Lei, chiede a me di ballare. La gamba mi fa ancora male e il dolore mi fa
pensare: fino ad una settimana fa facevo lo sguattero in un chiosco di panini
ed ora una bionda milanese dal fisico pazzesco mi chiede di ballare, nel covo
della malavita milanese. Penso che il mondo sta iniziando a girare per il verso
giusto: il mio. Gianni è di buon umore, si scurisce solo un attimo, "Ma sì Tony
rilassati un po' balla con Elvira, divertitevi." E scendo in pista a ballare.
(Musica)
Zoppico, sudo, ballare mi fa schifo, ma sarei uno scemo se la lasciassi sola.
Provo a parlare un po'. Penso di piacergli, ma lei fa la stronza, quando provo a
toccarla mi dice di non prendere troppa confidenza, sono solo un gregario e lei
non dà confidenza ai terroni. parla con puro accento milanese e mi arrapa da
impazzire: mi viene voglia di scoparla e picchiarla insieme. "Che cazzo hai le
dico, hai un corpo bellissimo, due gambe fantastiche, qui sono tutti innamorati
di te, eppure sembri sempre incazzata, sembri una che non se la scopa nessuno
da un pezzo". Ora l'ho fatta veramente incazzare, almeno sembra, ma secondo
me non è solo incazzata. Mi dice di farmi gli affari miei e che neanche se fossi
l'ultimo uomo sulla terra scoperebbe con me. (si passa una mano tra i capelli
11
e sorride) Ah! Se ci avessi creduto allora, se l'avessi lasciata perdere, forse la
mia vita sarebbe stata diversa, ora. Invece quando torniamo a casa dico a
Mario che quella lì prima o poi diventerà la mia donna. Lui mi chiede se
faccio sul serio, mi dice di stare tranquillo e non ricominciare a fare lo stronzo,
di accontentarmi. Dice a me di accontentarmi, a me, che quella è la moglie del
capo, mi ricorda che fino alla settimana prima stavamo a tagliare panini in un
chiosco puzzolente. Ricordatelo tu, Mario, ricordatelo tu, io me lo sono
dimenticato. Quel Gianni è un mollusco, uno senza palle. Io mi prendo tutto
quello che voglio. E cosa vuoi Tony. "Il mondo Mario; il mondo e tutto quello
che c'è dentro".
*****
Così diventai il principale assistente di Lovo. Eliminazioni, pressioni sui
pagamenti, estorsioni, rapimenti, nel giro di un paio d'anni diventai il
"trattore", dovevate sentire che si diceva di me in giro all'epoca, libri di
leggende sul treno di sangue mi aveva portato fino lì, sulla cima della città.
Ma nonostante i discreti successi nell'ambito della violenza fisica, io mi
sentivo più portato per gli affari. Diventò la mia attività principale. Tranne che
per le eliminazioni particolarmente delicate e per i sequestri, rigiravo i lavori
ai giovani di Corsico, che si facevamo ammazzare anche solo per mostrarmi il
loro valore. Stavo crescendo una generazione, dentro l'organizzazione di
Lovo: a me serviva avere uomini fidati, e loro erano miei, poi anche di Lovo.
Mario era il mio braccio destro, i miei due occhi di riserva. Il business, mi
veniva naturale, alla bisca si vedeva che iniziavano a girare bei quattrini.
Pochi clienti, ma da spennare bene, allora i ricchi si conoscevano tutti e noi
conoscevamo loro, i loro vizi, i loro desideri. Sei stanco della retta via? Vieni
da Tony che ti mostrerà la storta, la selvaggia, la lurida e mille altre strade di
perdizione che offre il nostro bel mondo. Io ero il loro serpente della Milano
da Bere, in cambio volevo solo il giusto prezzo. E loro impararono in fretta
che ogni cosa aveva un prezzo.
Quello che desideravo io invece, prezzo non ne aveva: Potere. C’è gente che
per l’amore pagherebbe qualsiasi cifra, ma questa gente non avrà mai il
mondo; a me interessa il mondo e con quello ero sicuro che avrei comprato
tutto il resto, anche l'amore. Comandare è sempre meglio di fottere! Ma per
fortuna ci si siete voi che credete all'amore, voi: i buoni. Senza di noi, i cattivi,
voi non potreste esserci, ricordatevelo. Abbiamo fatto le squadre, quando
eravamo piccoli e io sono capitato con la maglia nera, quella dei cattivi, quelli
12
che non si accontentano mai, quelli che hanno sempre fame. In quel periodo
avevo davanti a me un tavolo pieno, avevo un sacco di polli da spennare e la
mia bestia dentro stava più tranquilla. Milano cresceva, cresceva era il boom e
noi ce lo godevamo in pieno. La bisca fu la mia prima grande vittoria.
La copertura dell’associazione "Amici della Musica", quella che aveva
fondato il povero Mariolino, era rimasta, nonostante il cambio di presidente.
Ogni tanto organizzavamo anche qualche concerto per rendere tutto più
credibile, ma l’unica cosa che suonava veramente erano i soldi sul tavolo. Non
ne avevo mai visti così tanti, ma non mi spaventavo, ne servivano molti di più.
Quello era solo l’inizio. L’organizzazione dell’azienda era il mio pallino.
Avevo pianificato orari precisi per i turni di sicurezza e un sistema di controllo
a scatole cinesi: nessuno tra i miei uomini sapeva con esattezza da chi era
controllato, ma sapeva solo chi controllava. Lovo era contento e mi lasciava
quasi totale libertà d'azione, per questo iniziai presto a curare qualche piccolo
affaruccio extra. Non ho mai tradito nessuno io, ero solo un imprenditore e se
capitavano delle attività parallele, non potevo certo stare lì a guardarmele
passare sotto il naso.
Un bar, qualche banca, io e Mario eravamo dei professionisti; molto ricercati.
Abbiamo anche gestito diversi rapimenti, nella fase del sequestro, il resto lo
facevano altri gruppi meno attivi, più riservati, meno sotto controllo. All'epoca
a Milano, quello dei rapimenti era diventato un settore pieno di infami. Nei
primi rapimenti troppa gente sapeva dove stavano i sequestrati e potevano
ricattarti per uno scazzo qualunque, bisognava essere organizzati bene.
C'erano specializzazioni diverse: sequestro, trasferimenti, custodia, trattativa.
Il riscatto si divideva tra i gruppi che si prendevano un pezzo del lavoro, in
percentuale diversa: il sequestro era la fase più rischiosa, ma anche la più
redditizia e per questo la preferivo.
Tutto sommato ero felice. Mi rendevo conto che si stava realizzando tutto
quello che avevo pianificato dieci anni prima, tranne che in qualche piccolo
dettaglio, che all'inizio mi creava un po' di movimento nelle zone basse, ma
che presto divenne un'ossessione anche della testa e di tutto il resto del corpo.
Dovevo risolvere un problema: la femmina. Arrivato a Milano nessuna
milanese mi avrebbe mai preso in considerazione: io ero una nullità calabrese,
ma non volevo accoppiarmi con un'altra scimmia della Calabria. Ora era
diverso. Ora ero un uomo di potere, avevo imparato a parlare senza accento,
vestivo bene e all'apparenza non sembravo proprio meridionale. Gestivo una
bisca, potevo prendermi tutte le donne che lavoravano per me, quelle che
intrattenevano i clienti. Tra di loro c'erano anche studentesse di buona
13
famiglia, qualcuna ce la portavamo nei box di Corsico. Iniziava l'epoca della
libertà sessuale e loro diventavano zoccole in cinque minuti: bastava un po' di
droga. Alcune le abbiamo chiuse per giorni in stanzette dove nemmeno si
respirava. Le riempivamo di LSD e di Etile. Le scopavamo in quattro ognuna,
per cinque giorni e nessuna si è mai lamentata, erano eccitate, godevano
proprio. Si drogavano, stavano via da casa, povere sceme, non capivano un
cazzo. Quando le riportavamo a casa, i genitori se le riprendevano così, quasi
contenti che soltanto non le avessimo ammazzate o rapite. Potevo
accontentarmi, no? Eppure non mi bastava mai. Io volevo una tigre, una
femmina difficile da ottenere, una donna, la donna per un boss e nonostante il
tempo passasse, il mio cervello tornava sempre a lei: Elvira, la donna del capo.
Gianni non sospettava nulla quando mi chiedeva di andarla a prendere e
portarla in giro un po'. Secondo me era lei che gli chiedeva di uscire con me,
ma non le ho mai dato la soddisfazione di pensarlo. Mi trattava come una
bestia, ogni volta che la portavo in giro, mi faceva passare per uno zotico. Mi
umiliava ogni volta che poteva per quello che non sapevo, per come
commentavo la gente, la moda. Io non sapevo un cazzo e me ne vantavo, lei
dipingeva. Solo quando le offrivo della coca sembrava calmarsi. Allora rideva,
ogni tanto, ma quando provavo a baciarla, mi riempiva la faccia di sberle.
Quanto mi eccitava. Forse sperava che potessi diventare diverso. Ogni volta
che mi allontanavo un po', capitava che Gianni mi chiedesse di
accompagnarla, non poteva essere un caso.
Gianni era fortunato, soprattutto rispetto a quello che valeva, aveva un sacco
di potere. Gli volevo bene, ma non lo ritenevo un capo vero, di quelli capaci di
rivoltare il mondo e prenderselo per sè. Aveva paura degli affari seri e si
limitava alle situazioni che teneva sotto controllo. Nel giro di tre anni ero
ormai certo: se mi fosse capitata l'occasione di fottergli la donna e la banda,
l'avrei fatto. Questo ormai lo sapevo e secondo me lo sapeva anche lui.
Con i soldi potevo anche aiutare la famiglia. Mio padre se ne era andato di
casa da qualche tempo, aveva iniziato a frequentare un'altra donna e aveva
abbandonato la mamma e mia sorella Gina. Non lo più rivisto. Sapeva chi ero
diventato e che facevo, si teneva alla larga. Abbandonare mia madre e mia
sorella: non andavo a cercarlo per farlo fuori solo perchè era mio padre, ma se
l'avessi incontrato il giorno sbagliato, non so cosa avrei potuto fare.
Abbandonare mia sorella...Gina! (Torna al tavolo e fa un altro tiro di coca)
Mia madre non mi chiedeva mai niente, non voleva nemmeno i soldi,
piangeva ogni volta che mi vedeva.
A Gina invece mancavo tanto. Ogni volta che mi vedeva mi buttava le braccia
14
al collo e mi baciava ovunque, e ormai non era più una ragazzina. Io la
lasciavo fare. Lei era mia, e quello che facevo io con lei, non doveva
interessare a nessuno, io e lei e basta....
Ricordo ancora il giorno che l'ho presentata a Mario. gli avevo detto di non
sfiorarla neppure col pensiero, me ne sarei accorto. Lei era mia sorella, lui era
mio fratello. Se mi avessero ascoltato.
Voleva fare la parrucchiera, ma mentre io gestivo la bisca, lei lavava i capelli
alle vecchie di Corsico e scopava per terra. Iniziai ad aiutarla allora, dandole
dei soldi, di nascosto da mia madre. Veniva a trovarmi a casa , stavamo
insieme, dormiva con me e piangeva, mio padre l'aveva abbandonata. La
consolavo. Le avrei fatto cambiare vita. L'avrei portata via da quello schifo.
(musica)
***
Non mi bastava più lavorare per Lovo e questo, Lovo, l'aveva capito, non mi
toglieva di torno quel cane rognoso di Tony. Tony l'avevo odiato dal primo
momento che l'avevo conosciuto, al chiosco, ero stufo del suo fiato marcio, di
grappa e nazionali. Presto mi resi conto che in realtà ero stufo di tutti loro. Da
cinque anni ormai lo stesso giro, bisognava crescere, o saremmo morti. E poi
volevo togliermi definitivamente quell'aria di calabrese pezzente che campa di
delitti e rapine. Ormai potevo ripulirmi e il modo migliore era l'eroina.
Continuavo a ripetere che era la droga il settore su cui puntare, lo si capiva da
come stava iniziando a girare per le periferie. Nessuno però mi filava, tutti
pensavano che sarebbe stata una moda: il gioco d'azzardo non avrebbe mai
stancato. Ah! Idioti. Io ce l'ho sempre avuto il fiuto degli affari ed è allora che
ho iniziato a muovermi, a cercare informazioni, a capire dove iniziavano ad
esserci i personaggi più attivi. Non conoscevo niente del settore, per me tutte
le droghe erano uguali, ma era facile capire che qualcosa valeva di più e c'era
chi si specializzava. L'erba era zero, come l'hascisc, e ormai gli sbirri si erano
sgamati ne sequestravano quintali solo alla frontiera. Il vero business era la
roba, l'eroina. Sapevo che un buon punto di smistamento era a Monaco in
Germania e per un periodo provai a cercare contatti là. Ma scoprii presto che
si poteva raffinare senza troppa fatica e questo permetteva di controllare la
produzione, bastava qualcuno pratico.
Fu Libero l'Eritreo, un ricettatore che bazzicava a Porta Venezia, a darmi la
dritta giusta: Gaetano, di Novara. Lo conoscevo di vista, si muoveva più a
15
Torino e non veniva a rompere i coglioni a Milano, ma aveva delle cascine in
campagna dove in quel periodo teneva Marini, il sequestrato, il figlio
dell'avvocato fascista. E tra un sequestro e l'altro aveva iniziato a far bollire
dei bei pajoli di morfina.
Così vado da Gianni e mi invento che voglio andare a controllare come sta il
sequestrato, perchè l'ultima che avevo sequestrato io, era finita male e mi
scocciava che affidassimo persone sequestrate a gente che non sapeva gestire
queste cose. L'ultima volta avevamo preso una ragazza, anche carina, la figlia
di un imprenditore del Comasco. La spediscono in campagna nel pavese e a
controllarla ci mettono un mezzo pecorone calabrese, uno arrivato a Milano
scendendo direttamente dall'Aspromonte. Le trattative vanno a rilento,
passano i mesi, gli altri dell'organizzazione se ne fottono un po' della ragazza,
aspettano i soldi e intanto fanno altri affari. La lasciano lì la ragazza con il
contadino, mica possono stare lì ad aspettare i genitori una vita. Fatto sta che il
contadino passa tutto l'inverno con la ragazza, giorno e notte, giorno e notte,
da soli, nella campagna, al buio. A un certo punto è normale che inizia a
violentarla, no? è normale, che cazzo la lasci lì con quell'animale, che vuoi che
faccia? Lei ha sempre lo scotch sulla bocca, piange, non può urlare è legata:
lui la violenta praticamente ogni volta che ha voglia, per mesi. Alla fine resta
incinta. è solo in primavera che agli altri dell'organizzazione viene in mente la
ragazza e allora vanno a controllare come sta. Gli è toccato farla abortire, è
dovuta venire una zingara, e anche quella la devi pagare e tanto perchè stia
zitta. Al calabrese gli hanno tagliato le palle, fisicamente, ma non è così che si
fa. Bisogna organizzarsi meglio è un lavoro, cazzo, ha la sua organizzazione.
Comunque dico a Lovo che voglio andare a verificare come stanno trattando il
ragazzo. Lui si insospettisce ovviamente e mi attacca quel cane di Tony. Dico
che preferisco andare da solo, non voglio che Tony senta troppe cose. Per la
prima volta anche Tony è d'accordo e preferirebbe lasciarmi da solo. Gianni si
incazza più del solito e insiste. Ormai non si fida per niente di me, si capisce
che siamo alla frutta.
La cascina dove tengono il ragazzo è poco fuori Vigevano, andando a Novara.
Gaetano è più vecchio di me e mi sembra un tipo bello tosto, ci accoglie senza
troppe confidenze, ma in questa operazione noi siamo i capi e quindi dice
sempre di sì. Ci mettiamo i passamontagna e ci fa vedere il ragazzo. Sta dentro
un buco scavato sotto terra, si piglia un po' di pioggia su una gamba, è legato
ad una catena per il collo, è sporco e con un maglione tutto bucato, non piange
neanche più, saranno due mesi che è lì, ma mi sembra in buona salute. Gli
dico di lavarlo e coprirlo meglio, ma me ne sbatto se lo fanno, l'importante è
16
che non muoia.
Poi Gaetano ci invita a prendere un caffé. Ci dice che il settore dei sequestri
sta diventando troppo complicato, gli inquirenti sono sempre più duri e lui
propone di agire diversamente: con gli avvocati. Mandi dall’avvocato dalla
famiglia un altro avvocato che gli dice: mi è arrivata una busta per lei. Gli
mostra una busta con le foto della figlia giorno e notte, in tutti i luoghi
possibili, li spaventi e gli dici se dai un miliardo subito all'avvocato, la ragazza
te la proteggiamo noi, se no rischi che venga rapita domani quando va a Yoga
o dopodomani all'università occupata e poi la violentiamo e le solite minacce.
L'avvocato si piglia il 10% e tutto il resto te lo pigli tu. Non è scemo Gaetano,
e gli dico che se diventiamo avvocati, anziché delinquenti, mia madre non può
che essere contenta. Tony è l'unico che non si rilassa. Da quando siamo
arrivati si guarda le spalle e non ride nemmeno alle battute. Anche a me
sembra ci sia uno che ci segue con un po' troppo attenzione, ma non ci faccio
caso più di tanto. Mentre giriamo per la campagna butto lì a Gaetano questa
storia della droga, che mi hanno detto qualcosa, ma non so un cazzo, è vero
non è vero. Lui si scurisce un attimo, poi torna sereno e mi dice di seguirlo. Ci
avviciniamo ad un capannone, penso che finalmente ci mostrerà come si fa
questa cazzo di robba, ma quando si apre la porta ci troviamo tre tipi, mica
scemi che ci puntano un mitra alla palle. Fine della corsa.
"Chi vi ha detto questa cosa della droga?". Gli spiego di Libero Eritreo, sono
tranquillo, mi anche detto di salutarlo e se mi ha preso per il culo lo sa che lo
faccio fare fuori. Penso che quello che ci stanno facendo deve essere una
specie di controllo, roba di routine. Quando tocca a Tony inizia ad agitarsi di
brutto, è spaventato. Dice che non sa niente, che è tutta un'idea mia, che anche
Gianni Lovo non ne sa niente e che sono un tipo pericoloso ed è meglio non
fidarsi. Per fortuna non ce l'ho io il mitra se no lo faccio saltare in aria. I tre
tipi se lo portano via e io resto solo con Gaetano. "Informa gli sbirri il tuo
amico! Lo conosciamo già, e anche lui ci conosce, è stato proprio un coglione
a venire, e anche tu!" Per un attimo tremo, poi, mi riprendo e gli dico: "Senti
Gaetano, io manco so chi cazzo sei, io faccio business, come te. Un amico mi
ha detto che tu sei nel giro di questa robba. Io lavoro con Lovo, ma quello è un
mollusco, non ha voglia di provare giri nuovi e se si circonda di infami come
quello io non posso farci niente. Io ho già una rete organizzata solo mia, ti
copro tutta Milano in mezzora, dimmi quanti cazzo di soldi vuoi e se ti
interessa, ma se pensi che io sia un infame puoi andare a fare in culo".
Gaetano ride di gusto: "Così si parla. Sapevo di te, l'Eritreo mi aveva avvisato,
ma volevo sentire come te la cavavi. Faremo strada io e te, Tony, non provare
17
a fottermi però, te lo dico una volta sola". Mi da una pacca sulla spalla e mi
porta a vedere come i suoi ragazzi torturano l'altro Tony. Me la godo di brutto
è una vita che avrei voluto farlo io, non penso che un giorno potrebbe
succedere anche a me.
(musica)
***
Quando torno a Milano vado da Gianni da solo. Visto che pezzi di carne di
Tony sono sparpagliati in giro per i cani che controllano la cascina di Gaetano,
non posso raccontargli cazzate. Ma lui è uno che non sa apprezzare la verità.
Gli racconto tutto per filo e per segno, dai miei contatti a Milano, i dettagli
della trattativa, quanto ci guadagnamo, come dividiamo. Per me è un affare
senza precedenti. Ma lui? Cazzo, vado lì da amico, voglio dividere un
business che potrei farmi benissimo da solo e questo che fa? Come un pazzo.
Inizia ad urlare, che mi sono fidato di questo Gaetano, che è un serpente che lo
sanno tutti. Sono il solito calabrese del cazzo, non crescerò mai....
Calmo... mi dico, stai calmo, mi ripeto, gliela farai pagare quando merita...ora
stai calmo mi ripeto.
Tony era con lui da vent'anni, figuriamoci se parlava con gli sbirri...sono
proprio un coglione...non so cosa vuol dire fiducia nella gente...
Calmo... mi dico, stai calmo, mi ripeto, Tony era uno stronzo lo sanno tutti.
Gli dico: Gianni: quale è il problema? Ti mancano dei soldi da anticipare? li
metto io? venti milioni? non c'è problema, qui guadagnamo almeno un
miliardo nel giro di un anno? Ti rendi conto!! Che cazzo ti prende Gianni hai
paura del giro grosso?
"Paura" mi risponde lui "Io non ho paura, ma ci sono delle regole, qui ci fanno
la guerra se iniziamo a metterci troppo in mostra."
E noi la facciamo, gli rispondo io, che problema c'è, non vedo l'ora di fare la
guerra! Ammazzare un po' di sbirri e far fuori qualche banda qua e là, quale è
il problema? E già mi immagino i fiumi di sangue che scorreranno di nuovo
per le strade, come ai vecchi tempi, i tempi della guerra!
"Tu sei pazzo, Tony, io sono il boss! Io decido e qui non si fa nessuna guerra.
Se non ti va bene vattene pure, ne trovo cento di pazzi come te che credi?"
Ah! Rido, poi mi blocco e lo gelo con lo sguardo. Che cazzo credi Gianni che
mi puoi licenziare? Credi che siamo alla Standa? Credi di parlare con un
cassiere?
In quel momento avrei potuto staccargli la testa con le mani. "Quello che sei
18
oggi lo devi anche a me, gli dico. L'organizzazione è mia quanto tua. L'ho
fatta crescere io, senza di me eri solo un mollusco, senza di me sei solo un
mollusco.
Mi guarda e prova a fare il duro, ma lo sento che ha paura.
"No, Tony, io dico che si fa così."
Ha paura. Non dico niente, guardo i suoi due scagnozzi, loro abbassano lo
sguardo. Esco, con Mario.
è finita con Lovo lo sappiamo bene tutti e due, abbiamo poco tempo dobbiamo
organizzarci. I miei giri ce li ho, devo solo capire come gestire la bisca senza
gli uomini di Lovo, capire se la tengo io, se mi conviene, se devo fare la
guerra anche a Lovo. Non è bene rompere così col capo, la gente può pensare
che sei un traditore e anche per lui non è bene farmi la guerra, sarebbe un
massacro per tutti. Devo organizzarmi un nuovo giro, in fretta, mi devo
buttare sulla robba con Gaetano, mi deve proteggere dagli altri giri di spaccio
a Milano, devo parlare con i miei ragazzi, capire chi sta con me, chi con Lovo,
chi con tutti è due, c'è un casino da organizzare, c'è poco tempo, ma.... in tutto
questo casino, non riesco a non pensare ad Elvira. In tutto quel casino la mia
mente fa ping-pong tra la bisca, la robba e la guerra, ma in verità penso
soltanto che se perdo Lovo non posso perdere anche Elvira e così inizio a
pensare di portarla via. Passo la notte sotto casa di Lovo ed è sempre piena di
gente, però Elvira ha un suo studio da pittrice, inizio a farla pedinare da
Carletto, uno dei ragazzi che lavora con Lovo, almeno per adesso, ma è pronto
a passare con me, ad un fischio, l'ho svezzato io nella banda.
Tutti i mercoledì sera Elvira è sempre lì nello studio e così un mercoledì ci
trova anche me, nel giardino del suo studio, al buio.
(musica)
Mi fai un quadro? Lei si spaventa, ma non troppo. Mi dice che sono stato uno
stronzo, che Gianni è dispiaciuto veramente. Gli dico di non raccontarmi
cazzate. Lei lo sa meglio di me che doveva finire tra me e Lovo. Gli chiedo le
piacciono i bambini. Mi dice di non fare il coglione, certo che le piacciono,
ma è la vita che fa che non piacerebbe ai suoi bambini.
Ma se succede qualcosa, Elvira? Tu sei pronta a cambiare vita? Si spaventa
allora, e mi dice: se succede qualcosa tu ci sei?
In tutti questi anni non ho mai capito se Elvira mi abbia mai amato, ma da
quella sera comunque era mia, e quello mi bastava: era un altro pezzo del
mondo che volevo che iniziava a girare dalla mia parte. Ora dovevo
19
organizzare la mia vita, che sarebbe diventata anche la sua.
***
Ora è finita. è tutto finito. Il mondo sta scivolando lentamente, crollerà
insieme a me, ma per un lungo pezzo l'ho tenuto in piedi, da solo. Mi hanno
tradito, hanno voluto fare di testa loro, Mario, Gina, Elvira, dovevano fare
come dicevo io, non sarebbero morti.
Morti, idioti, senza combattere. Puoi prenderlo il mondo e costruirlo come
vuoi tu, ma ci vuole controllo. Scegliere, prendere, chi vuoi, chi ti serve,
organizzare, decidere, chi vuoi, chi ti serve, per quello che è giusto, senza
passioni e alla fine ho sbagliato anche io. Un notte però è stato tutto perfetto,
quella notte sono caduto a terra e potevo non rialzarmi più e invece mi sono
tirato su di nuovo, con in mano tutto quello che c'era sul piatto. Perchè così
andava fatto e basta.
Ero andato al Babylon, dovevo fare politica, incontrare gli altri boss, stavo per
diventare un collega. Tutti dovevano sapere che stavo andando avanti da solo.
Nessuno si stava muovendo nel terreno della "robba", mi avrebbero lasciato
spazio, anzi mi credevano un pazzo. Sono un imprenditore, questa è la verità,
avevo trovato un mercato vergine e l'avevo trovato prima degli altri. Non
avevo un dubbio: li avrei fregati tutti nel giro di un paio danni. Dentro ero
eccitato come un animale e fuori calmo come un prete, quando mi accorgo che
c'è Elvira, seduta a un tavolo. Ha fatto finta di non vedermi. Mi avvicino. "Vai
via sta arrivando Gianni", mi dice, bruciandomi con gli occhi mentre provo a
sedermi. Io rido, "perchè fai finta di non vedermi? Non ho paura di quel
mollusco". E il mollusco arriva e inizia ad essere veramente incazzato, anche
se non è il tipo da scenate di fronte ad altri boss e al Babylon c'è tutta la mala
che conta. "Non puoi trovarti una donna come tutti gli altri, Tony?" "è quello
che sto facendo, Gianni." "Tu vuoi provocare, ma non ha capito che puoi farti
veramente male, Tony." Arriva Mario e tiene a bada Nuccio, il tirapiedi di
Gianni, non si sa mai. Gianni continua non è che hai iniziato a farti di questa
"robba" di cui tanto parli?" Allora sono costretto a spiegargli due cose: "Vedi
Gianni, gli uomini si distinguono per due cose: le palle. Tu ce le hai le palle?"
e come dire colpiscimi, o sparami, fai qualcosa. E invece lui manda giù e dice
ad Elvira di alzarsi. E lei se ne va. "Quando imparerai Elvira, quando
cambierai vita?" le strillo mentre se ne va e rido. Tutti hanno visto, tutti sanno
chi è più forte ora, anche quelli di Baggio e di Sesto San Giovanni, è nato un
nuovo boss.
20
AhAh!Ah!
(cambio improvviso di espressione) ma siccome gli orgasmi sono brevi per
natura, ecco che arriva qualcosa a disturbare la perfezione del mio mondo. è
sempre un sentimento a fottere tutto, a rovinare il controllo, l'invidia, la rabbia,
la gelosia: Mia sorella Gina con un tipo, un mezzo ladro di galline, che ride
troppo forte e che se la fa con della gentaglia di Porto di Mare. Mario mi dice
di lasciare perdere che quello è un tipo tranquillo." Sta zitto Mario, sta zitto,
quel verme intanto sta ballando, ed è troppo vicino per i miei gusti. "Dai Tony
non fare così, ormai è una ragazza, si deve divertire anche lei" Sta zitto Mario,
sta zitto, ecco ora allunga le mani, il braccio, i fianchi, le sta per toccare il
....AHHH! Mario prova a trattenermi, ma salto come una bestia, sono in
mezzo alla pista, lo stronzo sta ballando e io gli mollo un calcio così forte che
il ginocchio gli si gira dall'altra parte, mia sorella inizia ad urlare, la prendo e
la strattono via di forza. Fuori! Deve capire subito, deve imparare la lezione.
Farsi sbattere in mezzo alla pista da quel verme. Lei? Deve stare a casa e
lavorare e non pensare ad altro. Lei piange mentre le chiudo la portiera della
macchina. Continua a singhiozzare, quando la porto a casa, non mi sono
calmato per niente. Prova a scappare quando la sto portando dentro, le mollo
un ceffone in faccia, perde sangue, la sbatto nel letto. Deve imparare, deve
stare in silenzio, devo obbedire. Lei urla come una pazza, chiede di lasciarla
stare, che lei ha la sua vita, lei non è mia. La picchio ancora un po', poi mi ci
sdraio sopra, smette di urlare, piange piano. L'accarezzo su tutto il corpo.
Piano. Mia sorella si calma. Si calma. Brava. Anche lei deve fare quello che
dico io, è mia.
Quando esco dorme sul suo letto chiudo a chiave la porta. Salgo in macchina,
è una notte di merda. Mia sorella mi preoccupa, non voglio che prenda il mio
giro, voglio che frequenti solo brave persone, non voglio che vada in giro con
gente che...
(rumore di spari, luci intermittenti, l'attore si ripara come può)
Sbando con la macchina, e mi abbasso più che posso, ma non riesco neanche a
capire da dove vengano gli spari. Raffiche su tutta la portiera, anche il
parabrezza sta per esplodere, devo trovare la pistola devo trovare la pistola.
Gli spari continuano poi si fermano. Allora provo ad alzare la testa ma non
vedo niente, buio e il vetro rotto. Nuova raffica (di nuovo rumore di spari) e
stavolta rischio la faccia, perchè il parabrezza salta e i proiettili iniziano a
piantarsi sull'imbottitura dei sedili. Mi stavano aspettando, mi sembrano due
dagli spari, uno mitra, l'altro pistola. Finiscono alzo la testa di colpo e sparo
senza guardare due pistole, qualcosa si muove dietro una Fiat. Sparo al motore
21
e dopo un po' la macchina esplode. Booomm! escono come conigli, uno è
ferito. Allora esco anche io, prendo l'altra pistola. Quello ferito corre piano, lo
stendo quasi subito l'altro scappa. Quando arrivo vicino a quello a terra è
morto, gli prendo il fucile, provo a farlo parlare, ma l'altro è ancora lì e mi
becca. Un colpo solo, col fucile, sulla spalla. (sparo) Prendo il mitra del tipo
da terra e inizio a sparare e correre come un pazzo. Gi faccio saltare il cervello
per aria mentre ancora sta provando a puntarmi il fucile contro. Non saprò mai
chi sono quei due stronzi, ma almeno li ho fatti fuori. Prendo la macchia che
ancora funziona e vado a casa di Mario.
Facciamo diverse ipotesi io e Mario, mentre il medico mi toglie il proiettile,
ma c'è poco da raccontarsela: Gianni Lovo, si è incazzato e basta. Dobbiamo
avere la prova, prima di ammazzarlo. Allora piglio Carletto è sveglio il
ragazzo viene da Platì come me. Lavora ancora con Lovo, ma è un mio uomo
e Lovo non lo sa. Sono le due di notte, gli dico che ora noi andiamo dal porco
e lui deve telefonare in ufficio da Lovo alle 2 e 20 e dirgli che vi hanno
fregato e io sono scappato. Che devi dire? "Ci hanno fregato, Tony è
scappato" alle 2 e 20 precise. Bravo Carletto. Piglio Mario e altri due di
Corsico, gente fidata, e andiamo da Lovo a chiarire. Fa male il braccio, ma
sono incazzato e non sento niente. Le armi in mano brillano come non mai,
quella è la notte in cui bisogna prendersi tutto e loro servono: fanno più luce
delle stelle.
(musica)
(prende in mano la pistola è molto rigido e freddo al centro del palco guarda
dritto davanti a sè)
Lovo è nel suo ufficio, le luci sono accese, entriamo dal garage, non se ne
accorge nessuno. Lo sentiamo parlare al telefono e quando entriamo, il primo
a vederci è Nuccio, che sta fermo, immobile. Ho il vestito lercio di sangue e la
pistola in mano, Mario lo tiene di mira con il mitra. Capisce. Non tira fuori le
armi. Gianni sta di spalle al telefono. Sta ridendo come un matto parla di
calcio, poi si gira, si blocca, mette giù.
"Che è successo Tony? Che ti hanno fatto?"
"Non ti preoccupare Gianni, mi hanno solo rovinato il vestito nuovo. Bisogna
farle meglio le cose, non ti pare?"
"Ma chi è stato, hai un'idea?"
"Non lo so erano gorilla, non li ho mai visti, ma erano lì per me."
"Scommetto che sono stati quelli di Baggio. Ce l'hanno ancora per quella
22
storia della rapita."
"Forse hai ragione Gianni, forse hai ragione".
Poi mi dice che ci penserà lui a farli fuori per me, che li riempirà di piombo,
ma suda, mentre parla, suda il porco e non gli sparo subito in bocca solo
perchè devo avere una prova, per farlo fuori, devo avere la prova che sta
mentendo.
(suono del telefono)
le 2 e 20 Carletto telefona. è stato puntuale, è sveglio il ragazzo. Gianni non
risponde. Silenzio tutti fermi ad aspettare. "Perchè non rispondi Gianni?" "No,
sarà Elvira, lascia perdere". "Le parlo io se vuoi?", Mario quasi scoppia a
ridere, Gianni diventa serio, "Le parlo io, le parlo io."
Guardo la sua faccia i suoi muscoli, Carletto nel telefono gli sta dicendo che
sono vivo, che non sono riusciti a farmi fuori, se lui non c'entra niente può
tranquillamente dire Carletto che cazzo stai dicendo? Invece sta zitto e dice.
"Ok, ci sentiamo dopo, ne parliamo dopo" e mette giù. Questo figlio di puttana
è stato veramente lui, non voglio crederci. Gianni, sei uno scarafaggio, sei
proprio uno stronzo. tu provi a fare fuori me? Lui si difende, dice di che
diavolo stai parlando, ti ho messo io nel giro, secondo te adesso provo a farti
fuori?"
"Io sono stato leale con te Gianni, mi sono fatto anche i miei affari, ma non ti
ho mai tradito e tu? Sei un porco, non hai neanche il coraggio di ammettere
che me li hai mandati tu?" Carico il cane della pistola per farlo saltare in aria.
(disgustato) Allora lui fa la cosa più spregevole che un uomo possa fare, mi
implora di salvarlo, mi offre prima due miliardi di lire che si trovano in una
cassetta di sicurezza in Spagna, poi Elvira, la sua donna, poi si butta a terra e
piange, ai miei piedi.
Questo era l'uomo per cui lavoravo, questo verme strisciante, che piange ai
miei piedi. Non riesco neanche a sparargli mi faccio schifo anche io per essere
stato dietro per tutti questi anni a un coglione così. "Io non ti ammazzo
Gianni"
(butta a terra la pistola) Mario? Uccidilo tu, questo pezzo di merda. (si gira e
se ne va mente si sente uno sparo).
Nuccio è pietrificato. Che ne facciamo di lui? mi dice Mario. Trema come un
bambino ora, ma è uno tosto di solito. Vuoi un lavoro, Nuccio? Portami a casa
di Lovo e andiamo a prenderci Elvira. Grazie Tony.
Entro nell'appartamento di Gianni e penso che potrei prendermi tutto: quadri,
23
mobili, gioielli, ma io voglio solo la sua tigre: Elvira.
è nel letto, dorme, quando sta così sembra un angelo. L'accarezzo prima che si
svegli, mi amerà credo.
"Che è successo, Tony?" ho ancora il vestito tutto sporco di s. "Stai tranquilla,
prendi la tua roba andiamo via." E a Gianni che è successo? "Secondo te,
Elvira? Secondo te." Non parla più, si alza e inizia a fare la sua borsa, piange
piano. Finalmente, la vedo solo come una donna.
Poi mi affaccio alla finestra. Tutto è tranquillo, questa notte finalmente sta
finendo. Cambiamo vita, quella stessa notte. In cielo non c'è nemmeno una
stella. Io mi sono preso tutto quello che c'era da prendere sulla terra, per il
momento, per quella notte, ma io ho sempre fame. Anche le stelle hanno
paura, per quello scappano, hanno paura che mi venga voglia di salire la sopra,
e fottermi anche loro. Il mondo è tuo Tony, il mondo è tuo! AhAhAhAh!
(ride, musica)
***
Soldi, soldi, soldi, allora iniziò a girare il vero denaro. Gli altri della banda
non aspettavano altro che il cambio della guardia: passarono tutti a lavorare
con me, con lo stesso stile e da bravi delinquenti si adattarono subito al nuovo
lavoro.
Per gente abituata a rapine, sparatorie, sequestri, portare in giro dei panetti di
droga era quasi squalificante. Ogni tanto dovevo organizzare delle sparatorie,
inventarmi delle rapine inutili, giusto perchè non si demotivassero più di tanto.
Ma soprattutto per evitare che iniziassero a farsi loro, di "robba". Alcuni dei
miei hanno iniziato a bucarsi e poi hanno provato a fottermi le dosi: quando li
pizzicavano li ammazzavo io: personalmente. Li ho sempre ammazzati io
quelli della mia banda, nessun altro. In due anni ero riuscito a gestire il traffico
di tutta Milano Sud, quello più grosso, e quando nascevano nuove piccole reti
di spaccio, allora tutti...tutti quelli che iniziavano, prima venivano a chiedere il
permesso a me, a Tony Camonte. Il mercato era in forte espansione, i nostri
clienti spuntavano ad ogni angolo: i tossici come i funghi, e più cresceva
l'attenzione dei giornali, della Chiesa, dello Stato, più crescevano i clienti.
Potevo permettermi qualsiasi lusso, non ero appagato mai, ma allora mi sarei
anche accontentato per un po' di quello che avevo, e invece, come sempre,
quando hai la pancia piena arriva la vera occasione. Quasi senza cercarlo ... (si
avvicina al tavolo) arrivò un business ancora più grande, candido, profumato,
pareva scendere dal cielo. Un fiume di soldi era pronto a inondare chi avesse
24
avuto il coraggio di buttarsi, e questo accadde quando a Milano iniziò a
scendere la neve. (va al tavolo e fa un tiro)
Cocaina: la droga dei ricchi. E Tony Camonte anche questa volta fu più veloce
di tutti. C'ero d'entro anche senza volerlo, tutto era già cominciato tempo
prima, appena entrato nel giro della robba. Avevo legato con una grossa
organizzazione che gestiva i trasporti a Marsiglia; per i carichi via mare era
meno pericoloso far sbarcare la robba fuori dall'Italia. E quando arrivò la coca
loro furono i primi ad averla: io li fornivo di robba direttamente
dall'Afganistan e in cambio loro mi riempivano i camion con la migliore coca
di Cochabamba, Bolivia. La neve di Tony Camonte arrivava fresca in tutta
Milano, come il pesce, ogni mattina, direttamente negli uffici di piazza affari,
nelle sedi delle multinazionali, negli uffici dei consolati: più sicura e puntuale
di un pony express!
Avevo in mano tutto e iniziai a investire anche in altri business, sia per
riciclare denaro sia perchè ci tenevo a dire che ero un imprenditore vero.
Comprai il negozio a Gina, il centro di bellezza più chic di Milano, in piena
San Babila, lo sanno tutti che è il migliore, puoi tagliarti i capelli anche di
notte e tutti i tagli di classe niente shampiste invadenti o rivistacce, massima
privacy e nel priveè servizio coca, compreso con la manicure, per le signore
che gradissero. Gina mi adorava, aveva capito che doveva fare quello che
dicevo io e mi rispettava come e più di un marito.
Avevo un sacco di carne sul tavolo, ma la mia fame non si esauriva, mai.
C’era una pubblicità allora, sopra porta Venezia, con una scritta lampeggiante:
"Il mondo è tuo!” e una zoccola di 6 metri si gingillava con un martini in
mano. Nel bicchiere, al posto dell’oliva c’era un mondo, piccolo, da bere. Era
una pubblicità di merda, per quegli sfigati che speravano di diventare ricchi
con la pubblicità, lavorando in un ufficio di merda, 12 ore al giorno. Quel
messaggio invece era per me, era possibile. Mi fermavo a guardarlo la notte,
finito il giro per raccogliere i soldi tra i ragazzi della zona. Milano me la
potevo bere come un martini, ma era il mondo che mi volevo prendere, come
quella piccola oliva, mangiarmelo. Il mondo è tuo! E io ci credevo. Me lo feci
anche tatuare sulla spalla il mondo, con la scritta che ci girava intorno.
Quando arrivano gli anni '80 Milano è nostra. Renè, quelli della Comasina, e
tutti quelli che non sono riusciti a salire sopra il carro della cocaina, si sono
fatti fuori da soli. La polizia inizia a pescare i piccoli spacciatori, ma noi ormai
siamo troppo organizzati, per prenderci certi scrupoli, paghiamo le nostre
tangenti e li prendiamo in considerazione solo quando qualche agente troppo
zelante inizia a darci fastidio direttamente. Con le altre bande ormai c'è la
25
tregua perenne, tutti in pratica abbiamo troppi soldi. Allora dovevo iniziare a
preoccuparmi, quando tutti mi dicevano : rilassati Tony, inizia a spenderli quei
soldi, tutti mi dicono le stesse cazzate, ma mica è facile spendere i miliardi,
soprattutto se sono soldi in nero. E poi io voglio investire. Il problema è che
non c'è più nessuna cazzo di banca disposta ad ospitare i denari di un preciso
narco-trafficante come me, che arriva ogni settimana con sacchi di denaro
sporco e contante da riciclare, puntuale e sempre più abbondante. Dobbiamo
trovare modi giusti per girarli questi soldi e così ci inventiamo finanziamenti
di ogni genere e un giro d'auto a prezzi gonfiati. Compriamo una cinquecento
al prezzo di una Ferrari, la società che compra è intestata a me, quella che
vende è intestata a Mario, così Mario intasca con fattura i soldi che io spendo
e i soldi diventano puliti. Se sono così coglione da buttare via centinaia di
milioni per la cinquecento sono solo che affari miei. Forse avrei potuto trovare
altri metodi, più ingegnosi, ma non mi fidavo di nessun consulente se non di
Mario, in fondo eravamo sempre una famiglia e poi mi sentivo sicuro, con le
tangenti che pagavo agli sbirri, pensavo che non mi sarebbe successo mai
niente. Elvira stava con me e questo mi bastava. Non mi ponevo problemi
come la nostra felicità o il rapporto di coppia. Lei aveva iniziato a pippare
cocaina, ma la cosa non mi dispiaceva più di tanto, quando pippava aveva più
voglia di fare l'amore, non si inventava scuse. Mi piaceva fare l'amore con lei,
la sua passera profumava e sapeva pure fare la porca. E poi era una donna di
classe. Fu naturale, dopo un po', chiedergli di sposarmi. Era la donna giusta,
ero sicuro che prima o poi l'avrebbe capito anche lei.
E sono passati anni, da allora e tutto sembrava potesse durare per sempre,
invece è durato solo fino a un mese fa. Sono stato felice e anche Elvira credo
lo sia stata, poi... poi... chi ci capisce un cazzo. Non te ne accorgi quando sei
all'apice. (continua a parlare, ma intanto ha un attacco di panico, sembra fare
fatica a respirare, sembra avere la nausea, si tiene la gola, poi va verso il
tavolo della cocaina) Credi di poter avere tutto in mano poi tutto inizia a
squagliarsi e non ti servono più le mani, ti cola tutto da tutte le parti, come se
si stesse squagliando tutto, anche le mani e ti casca addosso il mondo
velocemente e mentre ti sporchi capisci che non sarà più come prima e anche
tu, diventerai più sporco e....(si riprende) ma di che cazzo sto parlando? è
andato tutto a puttane, ecco come è andata. Colpa di un dettaglio, una
stronzata e in un attimo crolla tutto, tu te ne accorgi solo alla fine. Ti chiedi
come sia iniziato tutto questo disastro, e scavi, scavi, fino ad accorgerti che è
stato un sasso piccolo, a far crollare il mondo, è sempre stato così.
26
***
E il mio mondo ha iniziato a crollare non più di un mese fa: tutto ha iniziato a
rotolare allora, fino a stanotte e ancora non si è fermato.
Le auto del salone dovevano stare ferme in esposizione ed essere usate il
meno possibile e invece un qualche stronzo, appena arrivato nella banda, un
giorno ha preso la macchina per andare a casa. Gli sbirri lo fermano,
controllano e iniziano a insospettirsi, perchè l'auto risulta intestata alla mia
società e il tipo non ha una scusa pronta, non dice niente neanche a noi, anche
quando gli sequestrano l'auto. Nessuno di noi se ne accorge cha manca una
500 e per lui finisce tutto lì. Gli sbirri iniziano a starci dietro, perchè nessuno
va a ritirare la macchina. Io sono incensurato e ho i miei informatori dentro la
polizia. Mi arriva la soffiata, mi dicono stai attento che mi stanno seguendo e
tengono d'occhio il salone. Mi incazzo perchè capisco che qualcuno deve aver
fatto una stronzata, ma non so chi è, quindi cerco solo di far girare la droga più
lontana possibile da qualsiasi collegamento col salone. Ma quelli che indagano
sulla macchina, di droga non sanno niente, e nemmeno quando mi denunciano,
la droga c'entra niente: mi vogliono arrestare per frode fiscale. Un giorno
entrano nel salone, prendono i registri e scoprono le fatture della mia società,
ma che cosa faccia la mia società per fatturare questi soldi non lo sa nessuno.
Nessuno mi vuole arrestare per lo spaccio, o per aver ammazzato la gente, mi
vogliono arrestare per non aver pagato le tasse. Mi viene da ridere, ma è
proprio così. Allora pianto un casino pazzesco con tutti e per poco non vado a
parlare con i giornali: sono anni che pago milioni per corrompere carabinieri e
poliziotti, perchè nessuno venga a ficcare il naso nei miei affari, e ora mi
fottono per questa stronzata? Il mio avvocato mi dice che tutto questo non era
prevedibile, che è stata un'ispezione finanziaria che non c'entrava niente con la
droga, che lui non può farci niente, apriranno sicuramente un processo e
almeno un anno in galera me lo dovrò fare. In pratica sono affari miei. Non
può farci niente il mio avvocato, neanche quando gli sbatto la testa contro il
posacenere di marmo, tante di quelle volte che alla fine mi serve un altro
avvocato, uno con più resistenza; ho fretta io e in galera non ci voglio andare:
c'è un sacco di gente a San Vittore che muore dalla voglia di fare qualche
scherzetto pesante con la mia testa.
Giro i migliori avvocati della città, sputtanandomi praticamente con mezza
Milano, però nessun avvocato riesce a fare niente, nonostante gli metta sul
tavolo i soldi che bastano a cambiare la vita a lui e ai nipoti, al massimo
possono fare in modo di patteggiare, ma tutti mi dicono che almeno qualche
27
mese, dentro, me lo devo fare. Mi fanno intendere che l'unico modo è
corrompere qualche pezzo grosso nel ministero, che a suo rischio infossi la
pratica, ma io non ho contatti di questo genere: la politica non l'ho mai
praticata più di tanto.
Passo un periodo di odio totale, non riesco più a lavorare, a dormire, sogno la
prigione e mi sveglio urlando di notte, quasi tutte le notti, fino a una notte in
cui mi sveglio e accanto a me c'è Elvira con gli occhi aperti, mi guarda, ma
non guarda me, respira, ma potrebbe smettere da un momento all'altro: la sua
faccia è verde, schiuma bava dalla bocca: è in overdose da cocaina.
(musica)
***
E un altro pezzo di mondo è crollato così, una notte di due settimane fa. Ci ha
messo un po' a riprendersi Elvira, anche perchè non si può portare
all'ospedale, una cocainomane sposata con un gangster, neanche ora.
L'abbiamo curata a casa e per giorni non è riuscita neanche a parlare, è stata a
letto senza nemmeno riconoscermi. Allora ho cercato di non pensarci e nel
frattempo mi sono mosso per trovare questi agganci col ministero ed è stato
Gaetano a propormi un accordo, per tirarmi fuori dai casini.
Mi dice che lui ha le sue conoscenze, potrebbe infossare tutto, ma questa cosa
mi costerà e per andare a pari io devo fargli fuori un giornalista, uno che sta a
Roma. Uno che inizia a rompere con l'inchiesta anti-eroina, uno che vuole
pubblicare un articolo su
Gaetano, come il più grande boss della droga di Milano. Gli dico che allora è
un piacere anche per me e ci mettiamo d'accordo per la settimana prossima.
Con me ci sarà anche un americano di origine siciliana, specialista nel
piazzare le bombe. Io praticamente devo solo accompagnare il bombarolo
siculo-americano e poi tornare a casa dopo che il giornalista è saltato per aria
con la sua macchina: e questo deve avvenire al più presto possibile, perchè tra
un po' il tipo farà uscire l'articolo su un importante giornale romano.
Decidiamo di agire nel giro di massimo dieci giorni, ci mettiamo d'accordo sui
dettagli, poi torno a casa.
C'è Mario a casa che parla con Elvira, sdraiata sul letto. Sembra essersi
ripresa, sembra. Spiego la situazione di Roma, le dico di stare tranquilla che
questa storia finirà e quando sarà finita poi potremo rilassarci un po' e pensare
magari a fare un figlio.
28
Lei scoppia a ridere, eppure non mi sembra fatta, anche Mario la guarda come
una pazza. Elvira, mia moglie, mi ride in faccia, mi dice che un figlio con me
non lo farà mai, che piuttosto di mettere al mondo un figlio con me si uccide .
Dice che non mi ha mai amato e non ce la fa più di questa vita e poi scoppia a
piangere.
Non so perchè non la uccido io subito con le mie mani, forse perchè c'è Mario
che mi trattiene e mi porta nell'altra stanza mentre schiumo rabbia e dice che
sono stanco, io che non mi sono mai sentito stanco in vita mia. Mario dice che
dovrei riposarmi, magari dovremmo ritirarci a vivere in un isola deserta. Dice
che sono stanco, che dovrei cerare di essere felice.
Stanco… Felice…sono parole che non capisco... Se sei stanco muori! Che
cazzo me ne frega a me che sei stanco, c’è altra gente dietro di te pronta a
prendere il tuo posto, ma che credi di fare in un’isola deserta? L’eremita? Vai
a imbottirti di martini e carne arrostita fino a scoppiare. A questo si riduce
tutto? Eh? A fumare sigari di marca e stare sdraiati a prendere il sole? Per
questo abbiamo scannato la gente, rubato, lavorato come animali col rischio di
saltare in aria ogni giorno? Per restare poi sdraiati su una spiaggia a prendere
il sole con qualche ragazzina che te lo succhia? Il mio mondo non è questo, io
questo non l'ho mai sognato. No. Fino alla fine…fino alla fine… combattere,
se il mondo non vuole essere mio, allora avrà la guerra, fino alla fine.
*****
E la fine sta per arrivare, sta venendo qui a prendermi. Stanotte il mondo
finisce di rotolare, perchè l'attentato non è andato come doveva andare, perchè
alla fine, diranno di me quello che vorranno dire e non me ne frega niente, ma
la verità è che Tony Camonte è un uomo d'onore e l'onore non se lo vende
Tony Camonte, neanche per comprarsi la libertà.
L'attentato a Roma era previsto per ieri: io sono arrivato a Roma cinque giorni
fa. Pensavo al mio mondo che stava rotolando, a mia moglie che è solo una
drogata fuori di testa, che non vuole avere dei figli con me, pensavo questo a
Roma e che volevo finire in fretta quella storia. E invece devo stare per
quattro giorni interi a pedinare questo giornalista del cazzo che esce tutte le
mattine da solo, alla stessa ora, prende una Dyane scassata e va al giornale, a
scrivere di me e di Gaetano, che siamo i signori della droga. Penso che mi fa
pena ed è giusto che muoia anche lui, perchè sta solo come un cane e alla fine
io non gli ho rotto i coglioni sul suo lavoro e lui non doveva fare altrettanto
con me. Per far fuori questo coglione devo stare quattro giorni in macchina
29
con questo americano che puzza e parla troppo, senza che si capisca un cazzo
di quello che dice e fuma sigarette tutto il tempo. La quarta notte piazziamo la
bomba sotto la macchina del giornalista, per farlo saltare in aria la mattina
dopo, quando arriverà davanti alla redazione, per far capire anche ai suoi
colleghi che è meglio occuparsi di sport. Abbiamo un telecomando per farlo
saltare a distanza e lo dobbiamo pedinare, bastano cento metri, e quando
schiacci il tasto, sentirai un bel BOOOOM!
Eravamo pronti, sarebbe stato ieri, stavo riprendendo un po' di buon umore,
anche se l'americano puzzava ancora come una bestia e ogni volta che parlava
avrei voluto fare saltare in aria lui, sapevo che presto sarebbe finito tutto.
Questo stronzo di giornalista morto e io di nuovo libero di tornare al mio
lavoro e libero di conquistare di nuovo Elvira e farla diventare la madre dei
miei figli. E penso che il mondo potrà smettere di cadere a pezzi, ma poi
quando quel cazzo di giornalista esce di casa capisco che non sarà così, perchè
non è da solo. Dopo cinque giorni per la prima volta ieri il giornalista è uscito
con una bambina in braccio. Il giornalista ha una figlia? L'americano non sa
rispondere e nemmeno si pone il problema accende il telecomando e mi dice
di seguire il giornalista. Io metto in moto, ma dico che così non si fa, che non
c'entra un cazzo la bambina. Seguiamo la Dyane, ogni tanto rallento, sono
incazzato con l'americano, che mi dice di stare più vicino e ora parla poco e
non sento più quanto puzza, ma vedo solo il suo dito sul tasto pronto a fare
BOOOM! Io continuo a dire che la bambina non c'entra niente, che dobbiamo
rinviare a un altro giorno, l'americano mi dice che non è possibile, che la
bambina pagherà per suo padre. Gli dico che è un discorso del cazzo che gli
uomini d'onore non ammazzano i bambini. Lui si mette a ridere e mi dice di
stare zitto, che se non voglio finire dentro, devo guidare a meno di cento metri
e stare zitto. Guido a meno di centro metri e sto zitto, ma dentro sono una
bestia. Io ho avuto il mondo, io non ho mai chiesto niente a nessuno e questo
americano del cazzo vuole dire a me di stare zitto, mentre accoppa una
bambina? Siamo a cinquecento metri dalla redazione del giornale, l'americano
attacca il circuito e si accende una spia verde. Trecento metri. Sto per far
ammazzare una bambina. L'americano ha la sua mano sopra il tasto. Duecento
metri. Non si può fare, dobbiamo rinviare. Stai zitto coglione, mi dice
l'americano e vedi di non perderlo ora. Cento metri. Dentro sto bruciando dalla
rabbia. Per guidare piano mi basta una mano, l'altra la uso per toccare
qualcosa di freddo, sotto la giacca che mi calma subito. Cinquanta metri.
L'americano suda e puzza ancora di più, questo porco non l'ucciderà quella
bambina. Dieci metri, poi due, uno e BOOOOOM! (rumore di sparo, pausa).
30
Il giornalista con la Dyane parcheggia e scende con la sua bambina, io
continuo a guidare piano e gli passo accanto. Mi guarda sconvolto. Sul sedile
accanto a me c'è un americano con il cervello schizzato di fuori e il finestrino
rosso di sangue. Sorrido e penso che mi sarebbe piaciuto avere una bambina,
ma che avrei dovuto pensarci prima che il mondo iniziasse a rotolare. Si torna
a casa.
***
Milano alla fine mi è sempre piaciuta come città, anche se la Calabria sarebbe
stata più calda, mi è sempre piaciuto tornare a Milano. Anche oggi sono
tornato in treno e ho subito sentito l'aria di casa e sono stato sereno per un po',
anche se sapevo che sarebbero venuti a prendermi. Quando sono tornato qui
però, a casa mia, ad accogliermi c'erano solo i ragazzi della banda, i selvaggi,
quelli che dovrebbero proteggermi. Gli dico di prepararsi alla guerra, gli dico
che arriveranno quelli di Marsiglia, quelli di Gaetano da Novara, che ci
ammazzeranno tutti e lo dico ridendo, e i miei ragazzi credono che stia
scherzando e dicono che sono pronti alla guerra. Mi dispiace per loro,
moriranno tutti. In camera mia non c'è nessuno e allora mi torna un po' di
tristezza, poi si capisce perchè la gente diventa pazza, perchè sta da sola tutta
il tempo. C'è solo un messaggio di Mario: "Elvira è andata in una clinica a
curarsi e non vuole più sentirti, ma stai tranquillo, Tony, vedrai che tornerà tu
cerca di riposarti che sarai stanco. Mario."
Ormai Mario si è fissato con 'sta storia che sono stanco, secondo me quello
stanco è lui. Chiamo Carletto e gli chiedo: "Dove è Mario?" Mi dice che da
quando sono partito ed Elvira è andata in clinica Mario non si è più fatto
vedere e che il telefono è staccato.
Penso che sarà come al solito con qualche puttana delle sue, ma stavolta ho
voglia di stare un po' con lui senza rompergli, come gli amici veri, dobbiamo
preparaci alla guerra, penso che andrò a prenderlo a casa.
Prima però devo dare la notizia a Gaetano, gli telefono. "Che è successo
Tony? l'avete ammazzato? domani quello voleva far uscire l'articolo..."
Gli dico che non l'abbiamo ammazzato, che c'è stato un contrattempo, che
dobbiamo rinviare, che il suo amico americano è un pezzo di merda e che
voleva uccidere la bambina e io l'ho fatto fuori.
Gaetano sta zitto, Gaetano non dice niente al telefono, per un minuto tace. Poi
mi dice che non posso permettermelo di fare lo stronzo così, che troveranno la
bomba sotto la macchina, che andranno a cercare lui, che ora rischia grosso
31
per colpa mia, mi dice che per me è finita e questa volta non sarà il carcere,
ma saranno i suoi ragazzi e quelli di Marsiglia a farmi stare zitto per sempre,
stanno già arrivando, stai pronto. Gli dico che non scappo, che sto aspettando
e se vuole la guerra l'avrà e gli dico di venire pure lui, che tanto ce n'è per
tutti.
Sbatto il telefono in faccia a quello stronzo e mentre so che ho firmato la mia
condanna a morte, finalmente mi calmo, perchè altrimenti non sarei riuscito ad
ammazzarmi da solo.
Ora vado a prendere Mario e lo porto qui, dobbiamo andarcene insieme.
Entrerò a casa sua e gli dirò Mario eccoci qua, siamo al capolinea sei stato un
fratello. Se dobbiamo morire morirermo in guerra, giusto? Mi dispiace solo
per mia sorella che rimarrà sola, se fossi morto da solo saresti rimasto tu a
proteggerla, per evitare che qualcuno provasse a toccarla in mia assenza.
Questo penso quando salgo le scale della casa di Mario, questo penso quando
suono alla porta e mi apre, Mario con una faccia strana, è impaurito. Penso
che abbia già capito quello che ci succederà forse ha avuto una soffiata.
(improvvisamente cambia espressione, resta con lo sguardo fisso davanti a se,
praticamente in catalessi, parla monotono, parte una musica).
Invece Mario non ha paura di morire per quello. Alle sue spalle c'è una donna
che si nasconde, e mi chiedo perchè una donna di Mario si nasconde a me?
Sposto Mario di forza e dietro di lui non c'è una donna: c'è mia sorella, Gina.
Mezza nuda, si nasconde il corpo, si vergogna di mostrarsi a me, lei che mi
appartiene. Mario prova a spiegarmi, dice che si amano da tanto, di nascosto
da me perchè non riesco a capire cosa vuol dire..., TACI! (alza la pistola) In
quel momento lui non è Mario, non è più mio fratello, non è niente, è solo uno
scarafaggio che ha sporcato di merda il corpo di mia sorella e io gli scarafaggi
li ammazzo (rumore di sparo)
(descrive la scena come se la vedesse in una sequenza fotografica a scatti)
Mia sorella ha scopato con Mario! Mario è morto! Mia sorella si butta sopra il
suo cadavere e urla come una pazza e piange mentre prende il sangue di Mario
e se lo strofina sulle guance, sulle labbra, si lecca il sangue di Mario. Dice che
Mario è suo marito, si sono sposati, ieri, dice che è una sorpresa per me. Mia
sorella mi odia. Dice che sono il male del mondo. Mia sorella, la mia Gina
adorata, ha scelto Mario e non me, mia sorella prende la pistola di Mario, si
alza tremando e tutta piena di sangue, mi viene contro e me la punta al cuore.
(si punta la pistola al cuore sempre guardando fisso davanti a sè) Mia sorella
dice che vuole spararmi, mia sorella, l’altro pezzo di me, sta per ammazzarmi.
32
Allora capisco che è finita. Non c’è più niente, mi odia anche lei ora, oggi,
non ho più niente, mi uccideranno e nessuno sarà con me a combattere fino
alla fine…allora penso che è meglio finirla subito...è giusto che mi uccida lei
…pagare per quello che le ho fatto…è giusto…ma poi... penso a me morto e
lei da sola, senza più nessuno al mondo a proteggerla, morirebbe lo stesso.
Allora le sparo: (punta la pistola verso l'esterno, rumore di sparo) L’ammazzo
io.
Quando cade a terra la vedo così nel sangue, gli occhi chiusi e desidero che lei
torni in vita per stringerla e baciarla, farla tornare mia per sempre, ma è un
desiderio che dura un attimo. Ormai lei non mi appartiene più, come il resto
del mondo, nulla è più mio e finalmente non voglio più nulla. Il mondo ha
smesso di rotolare.
(rumore di uno sparo, poi rumori di altri spari fuori scena. Si sveglia come da
un sogno, fa un altro tiro di coca, poi inizia a raccogliere altra polvere sul
tavolo e ammonticchiarla in un gesto meccanico e insensato).
Questo, questo è mio, e anche questo Mario, avevo preso tutto quello che c'era
da prendere, Mario, non avevo lasciato niente. Era tutto mio Mario. Anche tu
e mia sorella eravate miei non dovevate farlo, non dovevate farlo. (ora sembra
avere un crollo anche di pianto, ma poi si trattiene. continua fuori scena il
rumore di spari e di urla, che durerà fino alla fine. Voci di persone che
corrono e bussano alla porta, gli dicono di fuggire che è pieno di sicari e poi
lamenti di morti ed esplosioni, si accavallano al monologo finale.
è un monologo simile a quello iniziale solo che qui è estremamente agitato,
isterico e urlante, quasi alle lacrime, pronto alla violenza estrema).
Sì, sì. la guerra. Va bene. Che pensavate che sarebbe stato facile? Eh! che
pensavate che sarei morto di vecchiaia? Lo sapevo, come lo sapevate voi che
prima o poi sarebbe finita, ma io, io sono quello che voi avreste voluto essere,
io non ho più niente ora, ma ho toccato tutto, ho preso tutto quello che volevo,
e davanti a me ho fatto inchinare tutti. TUTTI! Io sono stato dio! per voi.
Tutti mi hanno servito, tutti mi hanno adorato.
Io ho avuto quello che voi avete sempre solo sognato e a voi che resta? La
vita? E tenetevela se vi piace così tanto la vostra vita di merda! Pensavate che
avrei potuto tenerlo per sempre il mondo? No. Io non ci speravo, io lo sapevo
che sarebbe finito, se mi avessero ascoltato, se Mario e Gina, se....ma
vaffanculo. Sono pronto. (inspira profondamente e prende il fucile si prepara
ad uscire di quinta) Sono qui per restituirvi quello che vi ho preso, ma sarà
dura, credetemi, sarà dura riprendervelo. Sta bene! Se deve finire così, sta
bene! Prima però, prima, sappiate che verranno tempi in cui i cattivi non
33
saranno più quelli come me, ma quelli come voi. Saranno così simili a voi che
non riuscirete nemmeno a riconoscerli. I nuovi cattivi avranno le vostre stesse
facce, le vostre stesse case, i vostri vestiti. E quando lo scoprirete, vi
ricorderete di quelli come me, e direte: Tony Camonte, lui si che era un uomo
d'onore. Lo direte, perchè è un mondo d'ipocriti, e quelli che ammazzano la
sera, la mattina vi salutano dalla televisione, perchè grazie a quelli come me,
voi sarete sempre i buoni, e potrete perdonarvi tutti i peccati del mondo. A noi
non ci perdonerà nessuno, ma gli uomini veri siamo noi, i cattivi, gli uomini
veri saremo sempre noi.
AhAhAhAh! (corre verso il fondo urlando e ridendo come un pazzo, si ferma
davanti al fondale e inizia a sparare fuori scena. Con un effetto di luci
stroboscopiche, lo vediamo cadere crivellato di colpi, sommerso dal rumore
della sparatoria).
34