Mangini Angelo - Seminario di Storia della Scienza
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Mangini Angelo - Seminario di Storia della Scienza
Cenni bibliografici Letteratura primaria: [con R. Ciusa] Sulla reazione di Doebner, Nota VIII e successive, «Gazzetta Chimica Italiana», 59 (1929). [con R. Ciusa] Influenza di alcuni derivati piridici sulla eliminazione dell'acido urico, «Annali di Chimica Applicata», 21 (1931) 12, pp. 554-58. [con G. Rodighiero, A. Breccia e alii] SkinPhotosensitizing Furocoumarins: Photochemical interaction between DNA and -O14CH3 Bergapten (5Methoxy-Psoralen), «Photochemichemistry and Photobiology», 5 (1966), pp. 739-45. [con G. Rodighiero] Mode of Photosensitizing Action of Furocoumarins, «Photophysiology», VII (1972), pp. 115-47. Letteratura secondaria: Sull'acido xanturenico, nuovo acido diossi-chinolin carbonico isolato nelle urine di ratti in seguito ad alimentazioni iperproteiche, in IX Congreso internacional de quimica pura y aplicada : Madrid, 5-11 abril 1934, C. Bermejo, Madrid 1934. Chiancone F. M., Ricordo di Luigi Musajo, «Atti e memorie dell'Accademia Patavina di Scienze Lettere e Arti», 90 (1976-77), pp. III-VI. [con M. Colonna] Ulteriori ricerche sulla sintesi di fenilpiridina, «Bollettino Accademia Pugliese delle Scienze», 12 (1937) 11. Chiancone F. M., L'Università e la Facoltà Medica: il primo decennio, «Archivio storico pugliese», 50 (1997), pp. 129-43. [con F. M. Chiancone] Genesi dell'acido xanturenico. Nota IV, «Gazzetta Chimica Italiana», 67 (1937), pp. 218 e segg.. Mangini A., Luigi Musajo. Discorso commemorativo pronunciato nella seduta ordinaria del 13 dicembre 1975, «Atti dell'Accademia dei Lincei. Celebrazioni Lincee», (1976), pp. 3-22. [con M. Minchilli] Lo spinocromo P, «Gazzetta Chimica Italiana», 70 (1940) pp. 287 e segg. Rodighiero G., Ricordo di Luigi Musajo, «Annuario dell'Università di Padova», (1976-77), pp. 67-83. [con D. Coppini], La determinazione degli acidi chinurenico e xanturenico, «Cellular and Molecular Life Sciences», 7 (gennaio 1951) 1, pp. 20-25. proprio a Padova, sotto la sua presidenza. Nel 1976 fu designato a presiedere il secondo Simposio Internazionale di Fotobiologica. Nell'ultimo periodo era riuscito ad isolare dalle urine umane normali, sostanze capaci di interferire (comportandosi come attivatori o come inibitori) con l'attività di vari enzimi implicati nel metabolismo del triptofano, scoperta che, come disse Rodighiero, poneva interessanti prospettive di studio. La morte lo colse a Modena, dove era tornato a vivere per ragioni di famiglia, e dove si preparava a trascorrere il periodo del “fuori ruolo”, la sera del 18 novembre 1974. BC Angelo Mangini e i misteri dei composti organici dello zolfo L'amico e collega Giovanni Battista Bonino (1899-1985) lo definì “bersagliere della chimica”, per aver condotto una battaglia vittoriosa in favore dell'eresia inglese (the English heresy), che introdusse in chimica organica la teoria elettronica. Infaticabile, brillante e rigoroso, era il primo a iniziare il lavoro in Viale Risorgimento, a Bologna, e l'ultimo a spegnere le luci a sera inoltrata. Immerso nella ricerca, sempre vicino agli studenti, che continuava a consigliare e a sostenere anche dopo la loro libera docenza, Mangini riusciva a trovare il tempo anche per se stesso. Il suo svago preferito era la caccia, che praticava accompagnato da allievi e assistenti. Amava festeggiare il compleanno con un gran buffet nei giardini della Facoltà, piacevolmente frequentato da amici, in un tripudio di sapori pugliesi ed emiliani. Nacque a Mola di Bari il 18 marzo 1905, ma fu registrato il 26 dello stesso mese. I genitori, Vito Oronzo, commerciante, e Cecilia Penna, casalinga, abitavano un palazzotto rosso nel centro del comune pugliese. Angelo Mangini rimase sempre profondamente attaccato al suo paese, che recentemente gli ha intitolato una strada. Studiò all'Istituto Tecnico FisicoMatematico di Arezzo; proseguì gli studi all'Università di Torino, laureandosi infine in Chimica a Roma. Nel 1927, ritornò a Torino come assistente volontario presso il Politecnico e conseguì una seconda laurea, questa volta in Mangini, Angelo Mario Giuseppe Mola di Bari 1905 Bologna 1988 Bari, Bologna, Perugia Chimica, chimica organica e industriale 551 Nel 1938 decise di seguire De Carli, il quale nel frattempo aveva ottenuto la cattedra di Chimica industriale a Bologna. Qui, nel 1940, divenne professore di ruolo di Chimica delle sostanze coloranti e collaborò direttamente con Bonino, noto chimico fisico, del quale aveva letto e confermato a Perugia la teoria del legame tricentrico per i composti aromatici. Applicò la teoria della sostituzione di Bonino all'anello benzenico e sviluppò lo schema “della triplice freccia”, con il quale spiegava le implicazioni che gli spostamenti di elettroni hanno nella formazione di nuove sostanze aromatiche. Su questo tema fece svolgere la tesi di laurea (Contributo alla conoscenza delle pirimidine, a.a. 1946-47) a Giorgio Modena, destinato a diventare uno dei suoi allievi prediletti e a formarsi, per volere del maestro, alla scuola inglese dell'University College di Londra. Da sinistra i Proff. Angelo Mangini, Sir Cristopher Ingold e Giovanni Battista Bonino Chimica industriale, l'anno successivo. Iniziò la carriera scientifica a Bari, nel 1929, lavorando con Riccardo Ciusa [vedi scheda] sull'utilizzazione dell'acqua di vegetazione delle olive. Si trasferì a Perugia, dove conobbe Cesare Finzi, chimico organico, e Felice De Carli (1901-65), dedito alla chimica applicata, i quali furono determinanti nella sua vita professionale. Con Finzi studiò le sostituzioni nei difenili, la reattività dei gruppi nitroaromatici e, più in generale, i fattori che regolano le sostituzioni nei benzeni poli-sostituiti. Nel 1934 Finzi “cedette” Mangini a De Carli, il quale aveva bisogno di un assistente per il suo Istituto di Chimica Generale. Il giovane si trovò quindi a insegnare Chimica fisica e a seguire gli studenti nelle esercitazioni di Chimica analitica; lavorò inoltre per cercare di chiarire il processo delle reazioni di sostituzione delle sostanze aromatiche. Sostenne per primo in Italia le nuove teorie della scuola anglosassone e tedesca, che collegavano la reattività chimica alle proprietà fisico-chimiche delle molecole. Nel 1943, nonostante l'isolamento e le difficoltà della guerra, pubblicò, insieme a Martino Colonna [vedi scheda], i risultati delle sperimentazioni nella raccolta Reazioni di sostituzione nei nuclei aromatici e loro applicazioni, che fu il primo tentativo di razionalizzare le reazioni organiche. Il dopoguerra vide uno sviluppo quasi esplosivo della Facoltà di Chimica industriale di Bologna, al quale Mangini contribuì cercando fondi e nuove tecnologie per far ripartire la ricerca. Giacomo Ciamician (1857-1922) prima e Riccardo Ciusa poi avevano indicato nella spettroscopia la strada per spiegare razionalmente i processi chimici; l'entusiasmo di Mangini per queste nuove tecniche rappresentò pertanto un elemento di continuità con i suoi predecessori. Acquistò così i primi apparecchi automatici per la spettroscopia. Mangini scrisse per gli studenti i «Quaderni di Chimica Industriale», che, come afferma Fernando Montanari, all'epoca erano probabilmente la trattazione più aggiornata e completa della disciplina; il volume sulla chimica delle David Craig e Angelo Mangini Il ricordo di Mangini nell'intervista di David Craig (chimico teorico e primo presidente della Australian Academy of Science), rilasciata al Prof. Bob Crompton per l'Accademia Australiana delle Scienze nel maggio del 1998, sottolinea lo stretto rapporto, caratterizzato da affinità d'intenti e sincera amicizia, che intercorse tra Mangini e Ingold. Fu grazie a Ingold, che Mangini portò a Bologna i finanziamenti del Piano Marshall, con i quali acquistò le attrezzature che gli servirono per far ripartire la ricerca scientifica nella Bologna devastata dalle bombe dalla guerra. Craig commenta così la foto che lo ritrae, probabilmente a Bologna, in compagnia di Mangini, Ingold e l'allievo di quest'ultimo, Allan Maccoll: “Ho una foto con Allan Maccoll, scattata probabilmente a Bologna, con Christopher Ingold e Angelo Mangini, uno dei famosi padri della chimica italiana del dopoguerra. Esisteva un rapporto molto interessante tra Mangini e Ingold. La chimica italiana soffrì terribilmente durante la guerra. Il bombardamento di Bologna fu spaventoso - chilometri di ferrovia furono ridotti in frammenti - così, dopo la guerra, non c'era più niente. Ma grazie al Piano Marshall, tramite il quale l'Europa doveva essere ricostruita con i fondi americani, con il supporto di Ingold, Mangini riuscì a prendere un bottino considerevole di attrezzature. C'era una profonda amicizia tra loro. Quando venni per la prima volta a Bologna, la prima cosa che vidi fu una grande pila di apparecchiature ancora imballate in scatole sotto la dicitura Pano Marshall. Ingold ed io andammo insieme in quell'occasione. Arrivammo in aereo a Milano e Mangini mandò il suo autista e la sua grande auto Fiat a prenderci. Partimmo alla volta di Bologna, attraverso i paesi, su e giù (allora non esisteva l'autostrada). Il nostro autista aveva guidato nella Mille Miglia, la più grande corsa per veicoli a motore di quei giorni, ed era matto da legare. Su e giù per le colline, con gli abitanti che si sparpagliavano a destra e a sinistra. Quando finalmente arrivammo a Bologna (l'autista) disse: Oh, perbacco, avevo detto al capo che sarei stato qui cinque minuti fa e siamo arrivati solo ora”. 552 Angelo Mangini, cacciatore gentiluomo Così ricorda il Prof. Alessandro Dondoni le battute di caccia vissute al fianco del maestro: “Insieme alla chimica, l'altra grande passione del Professor Mangini è stata la caccia, l'ars venandi. Praticò e coltivò questa attività con la stessa intensità, determinazione ed entusiasmo con le quali condusse la ricerca scientifica. Salito al Nord dell'Italia dalla nativa Puglia, dove si praticava la caccia ai piccoli migratori alati, soprattutto quaglie e tordi, conobbe nelle paludi dell'Emilia e del Veneto il fascino della caccia alle anatre selvatiche e ne rimase affascinato. Entusiasta, con la pienezza di sentimenti che sapeva provare per tutte le cose che amava, il Professore puntò sempre, nella caccia come nella ricerca scientifica, alle grandi conquiste. Era quindi fiero e pimpante quando tornava dalla Valle di Campotto con un lauto bottino di anatre, che esibiva nel retro del cortile dell'Istituto di Viale Risorgimento, dove abitava. A marzo si doveva aspettare la fine della migrazione delle marzaiole, piccole anatre provenienti dall'Africa, affinché il Professore iniziasse le sue lezioni di Chimica Organica II parte, con le quali introduceva studenti ed assistenti (conquistati da tanta dovizia di informazioni e chiarezza) nei dettagli della reattività e della struttura elettronica delle molecole organiche. La caccia riprendeva nell'autunno; allora il Professore raggiungeva paesi ancora sconosciuti alla massa dei cacciatori italiani: Yugoslavia, Ungheria, Polonia e Cecoslovacchia. Accompagnavo spesso il Professore in quelle gite venatorie, per cacciare i fagiani e, soprattutto, le pernici. I ricordi sono moltissimi: lunghe ed estenuanti camminate nei campi sconfinati di granoturco dell'Ungheria, dove i fagiani, nel fulgore dei loro colori rosso ed oro, si alzavano in volo a decine e decine. Perdevamo veramente la testa! Ed il Professore più di tutti noi. Dico noi, perché a volte ci accompagnavano anche altri dell'Istituto, un po' per passione un po' per compiacere il Professore, che amava avere un largo seguito”. Ma al seguito di Mangini c'era un personaggio indimenticabile: Riccardo, l'autista factotum che non lasciava mai il Professore. Continua Dondoni: “Ricordo che, oltre alla caccia, c'erano due momenti conviviali di grande importanza: la colazione del primo mattino, ricchissima, come si usa nei paesi dell'Est Europa, e il rito della cena serale. Quest'ultimo era il momento per fare bilanci e commenti sui fatti della giornata. Quando il Professore aveva fatto un buon bottino, la cena non aveva termine. Poi, si andava per una passeggiata e ciascuno di noi faceva a gara per stare accanto al maestro. Erano quelli i momenti in cui si mostrava amabile, ti faceva sentire importante, quasi un amico. Poi, la gita venatoria finiva e si ritornava a casa, a Bologna, e al lavoro in Istituto, dove il Professore riprendeva la sua veste di scienziato”. materie coloranti fu forse il più riuscito. Rigoroso e puntuale, Mangini, direttore del Dipartimento, volle nuovi laboratori per Chimica industriale organica e inorganica e si occupò della perfetta organizzazione di corsi, congressi e meeting. Collaborò dal 1947 con strutture afferenti a molte prestigiose università straniere, tra cui il Dipartimento di Chimica dell'University College di Londra diretto da Sir Christopher Kelk Ingold (1893-1970) e l'Istituto di Matematica di Oxford diretto da Charles Alfred Coulson (1910-74), dove spesso si recava con Riccardo Passerini. I principi sviluppati da Ingold furono utili a Mangini per avviare la classificazione, su base razionale, della reattività chimica. I rapporti con l'estero gli permisero di inviare i suoi collaboratori a specializzarsi presso istituti scientificamente accreditati, per poi tornare a Bologna con idee ed esperienze innovative. Tra i suoi discepoli, Carlo Zauli poté frequentare l'ambiente di Oxford, a contatto con Coulson e David P. Craig e introdurre a Bologna la chimica quantistica. Mangini fu, come afferma Giuseppe Leandri, per la chimica bolognese, “uno spirito innovatore e un trascinatore di giovani, che portò la chimica organica italiana a livelli mondiali”. Mangini nel 1954: “Questo è un altro tassello a favore della tesi generale della Scuola di Mangini, che spettri complessi possono essere interpretati in termini di cromofori localizzati modificati, quando sono abbastanza simili, dall'analogo elettronico della risonanza di Fermi”. Infatti, dall'indagine era emersa la complessa interazione generata da un sistema eterociclico condensato sulle bande benzeniche di assorbimento degli ultravioletti. Esempio dello schema a freccia triplice disegnato da Angelo Mangini, che costituì l'impostazione della tesi di laurea di Giorgio Modena sulle pirimidine (1946-47) All'inizio degli anni Cinquanta, intraprese la ricerca spettroscopica sui sistemi benzo-eterociclici, che portò a stabilire che l'influenza dell'anello eterociclico sulla parte benzenica della molecola è piuttosto piccola. Ingold scrisse a 553 Cenni bibliografici Letteratura primaria: [con R. Ciusa e D. Massimeo] Sulla utilizzazione delle acque di vegetazione delle olive, «L'Industria Chimica Il notiziario chimico industriale», f. 12 (1930). Appunti alle lezioni del corso di chimica organica industriale (coloranti), La Grafolito, Bologna 1946. Cloruro sodico e industrie collegate [dalle lezioni tenute dal Prof. Angelo Mangini; raccolte e coordinate dal dott. R. Andrisano], Patron, Bologna 1947. [con R. Passerini] Contributo alla conoscenza di alcuni composti solforati organici. Nota VI e precedenti, «Gazzetta Chimica Italiana», 84 (1954) 606. La bandiera dello zolfo, disegnata da Angelo Mangini per l'International Symposium on the Organic Chemistry of Sulphur, esposta al congresso di Tokyo dell'agosto 2006. Archivio privato del Prof. Alessandro Degl'Innocenti La ricerca sui composti organici dello zolfo, che ebbe risonanza internazionale, iniziò nel 1950 e fu centrata inizialmente sulla spettroscopia UV (ultravioletta) di ogni classe di composti dello zolfo. Questi studi e quelli sugli eterocicli azotati furono poi estesi alle altre tecniche spettroscopiche. Dai lavori sperimentali scaturì la sintesi di centinaia di composti, spesso sconosciuti. Mangini estese le sue ricerche anche in cinetica, stereochimica, chimica dei radicali liberi e chimica teorica. Negli anni Sessanta ripubblicò il volume sulle materie coloranti come parte del Trattato di Chimica industriale di Michele Giua (1889-1966), il collega allontanato durante il periodo fascista dall'insegnamento di Chimica organica del Politecnico di Torino. Aveva iniziato nel 1935 a studiare i coloranti neri allo zolfo, derivati dal furfurolo, fino ad arrivare negli anni Sessanta e Settanta ad interessarsi alla nuova classe dei coloranti reattivi e di quelli per fibre poliammidiche, come testimoniano i numerosi brevetti. Alla fine degli anni Sessanta fondò a Ozzano Emilia un Istituto del CNR, attualmente trasferito a Bologna, come Istituto di Sintesi organiche e Fotoreattività. Negli ultimi anni, trascorsi nella tranquillità di Ozzano, si dedicò alla chimica teorica e, grazie alla collaborazione con i gruppi di teorici canadesi, guidati da Imre Csizmadia e Saul Wolfe, il suo allievo Fernando Bernardi introdusse in Italia la chimica computazionale. Mangini fu un ottimo organizzatore di eventi. Diede l'avvio ai ongressi internazionali sullo zolfo, il primo a Venezia, nel 1970, International Symposium on the Organic Chemistry of Sulphur. Desiderò stabilire una continuità tra i convegni che sarebbero seguiti, mediante una bandiera, da lui stesso pensata, che sarebbe stata consegnata dagli organizzatori dell'ultimo congresso a quelli del successivo. Il contributo fondamentale del chimico pugliese fu l'introduzione in Italia della “chimica organica degli elettroni”, che rompeva con la tradizione “mnemonica”, per creare filoni di ricerca innovativi: ciò è provato, tra l'altro, dalle 554 [con G. Leandri G.] The near U.V. spectra of thionylamines, Pergamon Press, Londra 1959. Quaderni di chimica industriale. Dalle lezioni di Angelo Mangini, R. Patron, Bologna 1977. [con F. Bernardi, I. G. Csizmadia] (a cura di), Organic sulfur chemistry: theoretical experimental advances, Elsevier, Amsterdam 1985. Summary of some of my research on organo-sulphur compounds, «Sulphur Reports», 7 (1987) 313. Letteratura secondaria: Cerruti L., Chimica, in C. Stajano (a cura di), La cultura italiana del Novecento, Laterza, Roma-Bari 1996, p. 149. Crompton B., Interview with Professor David Craig, Australian Academy of Science, maggio 1998, www.science.org.au/scientists/dc.htm Leandri G., Ricordo di Angelo Mangini, «La Chimica e l'Industria», v. 71, n. 7-8 (luglio-agosto 1989), pp. 501. Montanari F., In memory of Angelo Mangini, «Gazzetta Chimica Italiana», Società Chimica Italiana, 119 (1989), pp. I-VIII, con l'elenco completo delle pubblicazioni, delle patenti e dei libri. Società Chimica Italiana, Dedicated to Angelo Mangini (1905-1988): reprinted papers from «Gazzetta Chimica Italiana»: an international journal of chemistry, «Gazzetta Chimica Italiana», Roma 1991c, 1992c. Todesco P. E., Quel chimico così schietto. A ricordo di Angelo Mangini, «Il Resto del Carlino», 6 agosto 1988. Le nove lavagne Mangini preparava le lezioni con molta cura. I suoi schemi avevano titoli e sottotitoli scritti in colori diversi per una maggior comprensione; i suoi assistenti li trascrivevano alla lavagna la sera prima o la mattina molto presto, in modo che fosse tutto pronto quando il professore, puntualissimo, chiudeva le porte dell'aula e non ammetteva ritardatari. La lavagna dell'Aula 1 era straordinaria: sei parti attaccate al muro e altre due o tre aggiunte lateralmente. Veniva tutta riempita con disegni perfetti e si racconta che il prof. Fernando Montanari riuscisse a scrivere con due mani contemporaneamente su due lavagne vicine… Le lezioni si tenevano a giorni alterni ed erano affollate di studenti, obbligatoriamente con la cravatta, sistemati nell'anfiteatro, mentre gli assistenti, tutti in camice bianco, dovevano disporsi nella prima fila di sedie. A fine corso, con un cerimoniale molto formale, Mangini riceveva nel suo studio gli studenti, i quali andavano a prendere le firme per sostenere l'esame. strade intraprese dai suoi numerosi allievi. Una simile esperienza fu portata anche a Bari dai discepoli Giuseppe Leandri, Giorgio Modena, Paolo Edgardo Todesco e Marcello Tiecco, l'eredità dei quali fu raccolta e consolidata, sul piano nazionale ed internazionale, da Francesco Naso e dal suo gruppo di ricerca. Tra le numerose cariche che ricoprì, fu nominato commendatore della Repubblica, accademico dei Lincei, membro dell'Accademia Benedettina di Bologna, dell'Accademia dei XL, dell'Accademia Ungherese delle Scienze, dell'Accademia delle Scienze di Torino, socio onorario dell'Accademia Ligure di Scienze e Lettere. Inoltre, per aver promosso scambi culturali tra Italia e Ungheria e per i suoi meriti scientifici, fu insignito della laurea honoris causa in Chimica dall'Ateneo Ungherese di Veszprém nel 1980. Ancora, ricevette il premio dei Lincei e della città di Bologna, la medaglia “Ciamician”, la medaglia d'oro dei Benemeriti della Cultura e dell'Arte. Fu presidente e, per 20 anni, il promotore della sezione emiliana della Società Chimica Italiana, presidente del Comitato per la “Il pazzo sulla collina” di Paolo Edgardo Todesco Il Prof Paolo Edgardo Todesco, che è stato preside della Facoltà di Chimica industriale di Bologna, fu discepolo di Mangini. Il “Pazzo sulla collina” è l'immagine trasfigurata del Professore, che viveva sulla collina di Bologna, nel “suo” Istituto di Chimica, in Viale Risorgimento 4, dove abitava e lavorava, al tempo stesso direttore e “custode” delle preziose attrezzature, faticosamente messe insieme dopo la guerra. Il Pazzo sulla collina Suona sottile lo zufolo dolce del pazzo sulla collina su strani sentieri inerpicandosi e lasciandosi dietro una tenera melodia incantatrice. E forse piccoli animali ancora selvaggi sentono la musica e corrono rapidi per strani sentieri. Ma troppo tempo oramai sono state suonate le più pazze solitarie melodie ed ora poco resta delle colline poco dei sentieri quasi niente del folle consumato, consumate dal tempo, dall'inerzia, dall'indifferenza, dal monotono ripetersi del già visto, del già detto. Ma non era quello che suonava il pazzo delle colline anche se ora ognuno sa motivi da cantare e dicono tutti: "il mondo nuovo è già arrivato, è già qui". Così ci vorrebbero ancora pazzi sulle colline a suonar melodie disprezzate e consunte fraintese e oscurate, perché sono diverse, diverse, ed il futuro che viene non è ancor cominciato. E forse è bello avere ancora cose da suonare anche se non sente nessuno solo un piccolo pazzo sulla collina incapace di fare qualunque altra cosa... 555 Felice De Carli, docente di Chimica applicata a Bologna Cesare Finzi, docente di Chimica farmaceutica a Perugia. Dovette abbandonare l'incarico nel '38 a causa delle leggi razziali Chimica nel CNR, e, per 23 anni, preside della Facoltà di Chimica industriale dell'Università di Bologna, il cui Dipartimento di Chimica organica è stato intitolato a lui. Fu autore di libri didattici e scientifici e di oltre duecento pubblicazioni su riviste nazionali e internazionali, oltre che organizzatore di congressi internazionali nel campo della spettroscopia molecolare e della chimica teorica. Nell'87 scrisse il suo ultimo lavoro Summary of some of my research on organo-sulphur compounds. Morì l'anno successivo, a Bologna, il 4 agosto. Aveva 83 anni. BC L'Accademia Nazionale delle Scienze, detta dei XL In Italia, la tradizione delle accademie risale al XVII secolo, ma non ebbe carattere nazionale fino alla fondazione della Società Italiana delle Scienze, successivamente rinominata Accademia Nazionale delle Scienze, detta dei XL. Essa nacque all'insegna dello spirito del Risorgimento, che propugnava un rinnovamento e un allargamento dei confini culturali. ingegnere idraulico di Verona, enfatizzava lo “spirito nazionale” che la Società avrebbe dovuto avere. Ad essa avrebbero dovuto aderire i quaranta più illustri scienziati di ogni parte d'Italia, (i primi consensi, nel 1781, vennero da Alessandro Volta, Lazzaro Spallanzani, Luigi Lagrange, Ruggero Boscovich), animati non solo dall'amore per la scienza, ma anche da quello per la patria. Nei secoli XVII e XVIII, infatti, le accademie, sia scientifiche sia letterarie, erano spesso legate al sovrano dello stato nel quale risiedevano; le loro attività, regolate da rigidi statuti, erano volte alla promozione, alla diffusione e alla discussione dei risultati scientifici in un ambito ancora molto elitario, specialmente nel Regno di Napoli. Nel XIX secolo (in realtà, dalla fine del XVIII), complice lo spirito del Positivismo, gli accademici cercarono di “aprirsi al mondo”. Venne potenziata la pubblicazione di periodici, ora intesi come luogo ideale di aggregazione intorno ad interessi specifici nonché come mezzo di divulgazione capace di raggiungere un numero sempre maggiore di persone. La stampa di periodici si rivelò anche un oggetto di scambio con accademie di rilevanza internazionale, efficace per aumentare la visibilità italiana nel campo scientifico. Lorgna considerava fondamentale l'unione di tutte le forze scientifiche presenti in Italia, per recuperare lo svantaggio nelle scienze accumulato rispetto agli altri stati europei. Come spiega Giuseppe Penso, nella sua storia dell'accademia, il progetto della Società fu al tempo stesso culturale e politico. Infatti, Lorgna parlò per primo di “un principio motore degli uomini sempre attivo”, che avrebbe riportato l'Italia alla dovuta gloria scientifica: “L'amor di Patria”. L'aspirazione all'Unità d'Italia era, come sostiene Penso, la necessaria conseguenza ideologico-politica della manifesta intenzione degli scienziati di contribuire direttamente o indirettamente allo sviluppo della propria nazione. La Società rappresentò, dunque, all'epoca, un Italia unita almeno nelle scienze; scrisse Lorgna: “La bella e gloriosa risoluzione degl'Italiani di formare corpo scientifico nazionale finalmente dopo tanta separazione che pareva minacciasse di perpetuare oscurità al nome d'Italia”. Nelle parole del fondatore della Società Italiana delle Scienze, Antonio Mario Lorgna (presidente dal 1787 al 1796), si legge lo spirito nazionale che animò fin dall'ideazione la formazione del consesso: “Una Società di uomini letterati - con lo scopo - di formare di tutti i Letterati italiani un'Accademia”, e ancora una “Compagnia libera […] di tutta l'Italia”. Lorgna, matematico e La Fenice, simbolo dell'Accademia dei XL La Società fu fondata nel 1782 con il nome di Società Italiana e raccolse i quaranta scienziati più stimati da ogni parte d'Italia. Nello stesso anno fu pubblicato il primo numero delle «Memorie» dell'Accademia o «Atti liberi d'Italia», che doveva costituire, secondo le intenzioni espresse da Lorgna fin dal 1766, un periodico di portata nazionale in cui tutti gli scienziati d'Italia potessero inserire i propri lavori. Le «Memorie» servirono per intraprendere scambi culturali con altre accademie straniere, come la Royal Society di Londra e l'Accademia delle Scienze di San Pietroburgo, a partire dal 1822, e l'Académie Royale des Sciences di Parigi, dal 1833. La società, che aveva sede a Verona, ebbe la risonanza internazionale desiderata dal suo fondatore e, per il numero di soci, fu appunto chiamata Società dei XL. A Lorgna successe Antonio Cagnoli (presidente dal 1796 al 1815), astronomo, e la Società Italiana prese il nome di Società Italiana delle Scienze, detta dei XL. Cagnoli ottenne un finanziamento di diecimila franchi da Napoleone, favorevole alle iniziative scientifiche e a quelle volte a rendere l'Italia (moderatamente) più coesa. Dal 26 ottobre 1797, per decreto napoleonico, la sede della Società fu trasferita a Milano, poi a Modena, dove rimase anche sotto Ferdinando IV, che considerò la presenza della Società un elemento di prestigio per la città, poiché rappresentava il centro dell'Unione nazionale degli scienziati italiani. Agli inizi del 1860, Terenzio Mamiani, ministro dell'Istruzione pubblica, avanzò la proposta di trasformare la Società, che godeva 556 di grande prestigio, sia per i soci ordinari sia per quelli stranieri, ed era considerata l'unica associazione di scienziati a carattere nazionale, in un Istituto Nazionale Italiano, in cui far confluire le principali accademie degli Stati preunitari. Il presidente della Società, Stefano Marianini (dal 1844 al 1866), insieme con gli altri membri, rifiutò questa trasformazione. Nel 1874 il nuovo presidente, Francesco Brioschi (dal 1868 al 1874), con l'appoggio dei soci, propose di fondere la Società con l'Accademia dei Lincei, che nel frattempo era stata individuata a Roma come possibile accademia atta ad assumere il ruolo di accademia nazionale. La Società dei XL avrebbe, così, costituito la classe di scienze fisiche dei Lincei. Per vari motivi la proposta non ebbe seguito; fu pertanto l'Accademia dei Lincei, opportunamente allargata a nuovi soci, a diventare l'accademia del Regno d'Italia. e il finanziamento del governo e con il nuovo nome di Accademia Nazionale delle Scienze, detta dei XL, venne eretta in ente morale. All'inizio prevedeva una classe di dodici soci stranieri di fama internazionale (tra cui vi fu anche Albert Einstein, a partire dal 1925); attualmente è stata ampliata fino a venticinque. Nel tempo i nomi illustri si sono susseguiti, annoverando anche diversi Premi Nobel come: Guglielmo Marconi, Camillo Golgi, Enrico Fermi, Giulio Natta, Daniel Bovet, Carlo Rubbia e Rita Levi Montalcini. L'ultimo riconoscimento dell'accademia è stato l'alto patronato permanente della Presidenza della Repubblica, conferitole dal Presidente Carlo Azeglio Ciampi, per la collabora-zione sulle tematiche ambientali. La Società rimase a Modena fino al 1875, quando si trasferì a Roma, divenuta capitale dell'Italia unita. Ottenne il riconoscimento Antonio Mario Lorgna, fondatore della Società Italiana delle Scienze Martino Colonna e la chimica dei radicali liberi Pur avendo raggiunto gli onori della cattedra universitaria a Bologna e pur avendo fama internazionale di chimico industriale, Martino Colonna non rinnegò mai le sue origini molesi né il suo dialetto, che parlava perfettamente. Proprio come vuole la tradizione storica molese, che ha dato origine al canto Séime de Máule [siamo di Mola], Colonna dimostrò tenacia e spirito di sacrificio, tanto da continuare il suo lavoro con la stessa dedizione anche dopo il pensionamento. Si diplomò presso l'istituto tecnico “Pietro Cuppari” di Iesi (sezione Fisico-Matematico), nel luglio del 1925. Si laureò in Chimica pura all'Università di Pavia nel luglio 1931. Si diplomò alla Scuola di Farmacia, divenuta poi Facoltà, dell'Università di Bari nel novembre del 1932, perché, non trovando subito impiego con la laurea in Chimica a causa dello scarso sviluppo delle industrie chimiche all'epoca, pensò: “Se non mi riesce di fare il chimico farò il farmacista”. Nacque a Mola di Bari il 30 gennaio 1905 e fu iscritto all'anagrafe il 10 del mese successivo. Il padre, Francesco Paolo, era un proprietario benestante di Mola. Martino Colonna rimase legato affettivamente al suo paese, dove tornava ogni anno per le vacanze estive, che trascorreva nella contrada di Cozze. Ricordava con nostalgia il suo maestro elementare, don Antonio Mancini, e gli inizi della sua carriera scolastica, che erano stati turbolenti, come lui stesso descrisse ironicamente nella conferenza tenuta in suo onore a Mola il 12 ottobre 1973: “Tutto mi era facile, ma non mi impegnavo troppo, dovevo pur divertirmi un poco […], studiavo quel tanto da superare l'esame un po' al di sopra della sufficienza”. Nonostante le aspettative, iniziò subito come assistente, nel 1933, la carriera presso la Facoltà di Farmacia dell'Università di Bari e l'anno successivo ebbe l'incarico di Chimica organica. Nel 1935 fu trasferito a Perugia, dove rimase fino al '40 come assistente del Prof. Cesare Finzi, quindi come incaricato di Chimica organica presso la Facoltà di Chimica e Farmacia. Iniziò in quel periodo il fortunato sodalizio con il compaesano Angelo Mangini, [vedi scheda] già assistente di Finzi; tra tante difficoltà avviarono insieme le ricerche sulle reazioni di sostituzione nucleofila aromatica. Nel 1938, sposò Rosa Susca, dalla quale ebbe “una piridina di figli”, come amava commentare. Colonna, Martino Mola di Bari 1905 Bologna 1994 Bari, Bologna, Pavia, Perugia, Trieste Chimica, chimica organica industriale Una piridina di figli Negli anni della Guerra Mondiale, Angelo Mangini e Martino Colonna studiarono la reattività nucleofila nella serie piridinica. Mangini stabilì l'analogia tra l'effetto attivante di un nitro-gruppo e quello dell'atomo di azoto della piridina nell'anello benzenico. La piridina era stato il risultato della sorprendente reazione ottenuta, nel 1881, da Giacomo Ciamician, maestro di Riccardo Ciusa, a sua volta Maestro di Colonna e Mangini, come passaggio da un anello a cinque atomi, il pirrolo, ad un anello a sei atomi, la piridina appunto. L'approfondimento e la conoscenza della sintesi e della reattività della piridina e dei suoi derivati furono oggetto degli studi di Martino Colonna negli anni successivi. Colonna fece della piridina il suo emblema, un distintivo d'argento, che portava sempre sulla giacca e spesso commentava scherzosamente che la sintesi più riuscita della sua carriera era “la piridina di figli”, che aveva avuto. Infatti, durante il periodo della guerra ebbe sei figli, che paragonava agli atomi dell'anello piridinico: cinque maschi e una femmina come i cinque atomi di carbonio e uno di azoto della piridina. 557