Mangini Angelo - Seminario di Storia della Scienza

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Mangini Angelo - Seminario di Storia della Scienza
Cenni bibliografici
Letteratura primaria:
[con R. Ciusa] Sulla reazione di Doebner, Nota VIII e
successive, «Gazzetta Chimica Italiana», 59 (1929).
[con R. Ciusa] Influenza di alcuni derivati piridici sulla
eliminazione dell'acido urico, «Annali di Chimica
Applicata», 21 (1931) 12, pp. 554-58.
[con G. Rodighiero, A. Breccia e alii] SkinPhotosensitizing Furocoumarins: Photochemical
interaction between DNA and -O14CH3 Bergapten (5Methoxy-Psoralen), «Photochemichemistry and
Photobiology», 5 (1966), pp. 739-45.
[con G. Rodighiero] Mode of Photosensitizing Action of
Furocoumarins, «Photophysiology», VII (1972), pp.
115-47.
Letteratura secondaria:
Sull'acido xanturenico, nuovo acido diossi-chinolin
carbonico isolato nelle urine di ratti in seguito ad alimentazioni iperproteiche, in IX Congreso internacional de
quimica pura y aplicada : Madrid, 5-11 abril 1934, C.
Bermejo, Madrid 1934.
Chiancone F. M., Ricordo di Luigi Musajo, «Atti e
memorie dell'Accademia Patavina di Scienze
Lettere e Arti», 90 (1976-77), pp. III-VI.
[con M. Colonna] Ulteriori ricerche sulla sintesi di fenilpiridina, «Bollettino Accademia Pugliese delle
Scienze», 12 (1937) 11.
Chiancone F. M., L'Università e la Facoltà Medica: il
primo decennio, «Archivio storico pugliese», 50
(1997), pp. 129-43.
[con F. M. Chiancone] Genesi dell'acido xanturenico.
Nota IV, «Gazzetta Chimica Italiana», 67 (1937), pp.
218 e segg..
Mangini A., Luigi Musajo. Discorso commemorativo
pronunciato nella seduta ordinaria del 13 dicembre 1975,
«Atti dell'Accademia dei Lincei. Celebrazioni
Lincee», (1976), pp. 3-22.
[con M. Minchilli] Lo spinocromo P, «Gazzetta
Chimica Italiana», 70 (1940) pp. 287 e segg.
Rodighiero G., Ricordo di Luigi Musajo, «Annuario
dell'Università di Padova», (1976-77), pp. 67-83.
[con D. Coppini], La determinazione degli acidi
chinurenico e xanturenico, «Cellular and Molecular
Life Sciences», 7 (gennaio 1951) 1, pp. 20-25.
proprio a Padova, sotto la sua presidenza. Nel 1976 fu
designato a presiedere il secondo Simposio Internazionale di
Fotobiologica.
Nell'ultimo periodo era riuscito ad isolare dalle urine umane
normali, sostanze capaci di interferire (comportandosi come
attivatori o come inibitori) con l'attività di vari enzimi
implicati nel metabolismo del triptofano, scoperta che, come
disse Rodighiero, poneva interessanti prospettive di studio.
La morte lo colse a Modena, dove era tornato a vivere per
ragioni di famiglia, e dove si preparava a trascorrere il periodo
del “fuori ruolo”, la sera del 18 novembre 1974.
BC
Angelo Mangini e i misteri dei composti organici dello zolfo
L'amico e collega Giovanni Battista Bonino (1899-1985) lo
definì “bersagliere della chimica”, per aver condotto una
battaglia vittoriosa in favore dell'eresia inglese (the English
heresy), che introdusse in chimica organica la teoria elettronica.
Infaticabile, brillante e rigoroso, era il primo a iniziare il lavoro
in Viale Risorgimento, a Bologna, e l'ultimo a spegnere le luci a
sera inoltrata. Immerso nella ricerca, sempre vicino agli
studenti, che continuava a consigliare e a sostenere anche
dopo la loro libera docenza, Mangini riusciva a trovare il
tempo anche per se stesso. Il suo svago preferito era la caccia,
che praticava accompagnato da allievi e assistenti. Amava
festeggiare il compleanno con un gran buffet nei giardini della
Facoltà, piacevolmente frequentato da amici, in un tripudio di
sapori pugliesi ed emiliani.
Nacque a Mola di Bari il 18 marzo 1905, ma fu registrato il 26
dello stesso mese. I genitori, Vito Oronzo, commerciante, e
Cecilia Penna, casalinga, abitavano un palazzotto rosso nel
centro del comune pugliese. Angelo Mangini rimase sempre
profondamente attaccato al suo paese, che recentemente gli ha
intitolato una strada. Studiò all'Istituto Tecnico FisicoMatematico di Arezzo; proseguì gli studi all'Università di
Torino, laureandosi infine in Chimica a Roma. Nel 1927,
ritornò a Torino come assistente volontario presso il
Politecnico e conseguì una seconda laurea, questa volta in
Mangini,
Angelo Mario Giuseppe
Mola di Bari 1905
Bologna 1988
Bari, Bologna, Perugia
Chimica, chimica
organica e industriale
551
Nel 1938 decise di seguire De Carli, il quale nel frattempo
aveva ottenuto la cattedra di Chimica industriale a Bologna.
Qui, nel 1940, divenne professore di ruolo di Chimica delle
sostanze coloranti e collaborò direttamente con Bonino, noto
chimico fisico, del quale aveva letto e confermato a Perugia la
teoria del legame tricentrico per i composti aromatici. Applicò
la teoria della sostituzione di Bonino all'anello benzenico e
sviluppò lo schema “della triplice freccia”, con il quale
spiegava le implicazioni che gli spostamenti di elettroni hanno
nella formazione di nuove sostanze aromatiche. Su questo
tema fece svolgere la tesi di laurea (Contributo alla conoscenza
delle pirimidine, a.a. 1946-47) a Giorgio Modena, destinato a
diventare uno dei suoi allievi prediletti e a formarsi, per volere
del maestro, alla scuola inglese dell'University College di
Londra.
Da sinistra i Proff.
Angelo Mangini, Sir
Cristopher Ingold e
Giovanni Battista Bonino
Chimica industriale, l'anno successivo. Iniziò la carriera
scientifica a Bari, nel 1929, lavorando con Riccardo Ciusa [vedi
scheda] sull'utilizzazione dell'acqua di vegetazione delle olive.
Si trasferì a Perugia, dove conobbe Cesare Finzi, chimico
organico, e Felice De Carli (1901-65), dedito alla chimica
applicata, i quali furono determinanti nella sua vita
professionale. Con Finzi studiò le sostituzioni nei difenili, la
reattività dei gruppi nitroaromatici e, più in generale, i fattori
che regolano le sostituzioni nei benzeni poli-sostituiti. Nel
1934 Finzi “cedette” Mangini a De Carli, il quale aveva
bisogno di un assistente per il suo Istituto di Chimica
Generale. Il giovane si trovò quindi a insegnare Chimica fisica
e a seguire gli studenti nelle esercitazioni di Chimica analitica;
lavorò inoltre per cercare di chiarire il processo delle reazioni
di sostituzione delle sostanze aromatiche.
Sostenne per primo in Italia le nuove teorie della scuola
anglosassone e tedesca, che collegavano la reattività chimica
alle proprietà fisico-chimiche delle molecole. Nel 1943,
nonostante l'isolamento e le difficoltà della guerra, pubblicò,
insieme a Martino Colonna [vedi scheda], i risultati delle
sperimentazioni nella raccolta Reazioni di sostituzione nei nuclei
aromatici e loro applicazioni, che fu il primo tentativo di
razionalizzare le reazioni organiche.
Il dopoguerra vide uno sviluppo quasi esplosivo della Facoltà
di Chimica industriale di Bologna, al quale Mangini contribuì
cercando fondi e nuove tecnologie per far ripartire la ricerca.
Giacomo Ciamician (1857-1922) prima e Riccardo Ciusa poi
avevano indicato nella spettroscopia la strada per spiegare
razionalmente i processi chimici; l'entusiasmo di Mangini per
queste nuove tecniche rappresentò pertanto un elemento di
continuità con i suoi predecessori. Acquistò così i primi
apparecchi automatici per la spettroscopia.
Mangini scrisse per gli studenti i «Quaderni di Chimica
Industriale», che, come afferma Fernando Montanari,
all'epoca erano probabilmente la trattazione più aggiornata e
completa della disciplina; il volume sulla chimica delle
David Craig e Angelo Mangini
Il ricordo di Mangini nell'intervista di David Craig (chimico teorico e primo presidente della Australian Academy of
Science), rilasciata al Prof. Bob Crompton per l'Accademia Australiana delle Scienze nel maggio del 1998, sottolinea lo
stretto rapporto, caratterizzato da affinità d'intenti e sincera amicizia, che intercorse tra Mangini e Ingold. Fu grazie a
Ingold, che Mangini portò a Bologna i finanziamenti del Piano Marshall, con i quali acquistò le attrezzature che gli
servirono per far ripartire la ricerca scientifica nella Bologna devastata dalle bombe dalla guerra.
Craig commenta così la foto che lo ritrae, probabilmente a Bologna, in compagnia di Mangini, Ingold e l'allievo di
quest'ultimo, Allan Maccoll: “Ho una foto con Allan Maccoll, scattata probabilmente a Bologna, con Christopher
Ingold e Angelo Mangini, uno dei famosi padri della chimica italiana del dopoguerra. Esisteva un rapporto molto
interessante tra Mangini e Ingold. La chimica italiana soffrì terribilmente durante la guerra. Il bombardamento di
Bologna fu spaventoso - chilometri di ferrovia furono ridotti in frammenti - così, dopo la guerra, non c'era più niente.
Ma grazie al Piano Marshall, tramite il quale l'Europa doveva essere ricostruita con i fondi americani, con il supporto
di Ingold, Mangini riuscì a prendere un bottino considerevole di attrezzature. C'era una profonda amicizia tra loro.
Quando venni per la prima volta a Bologna, la prima cosa che vidi fu una grande pila di apparecchiature ancora
imballate in scatole sotto la dicitura Pano Marshall. Ingold ed io andammo insieme in quell'occasione. Arrivammo in
aereo a Milano e Mangini mandò il suo autista e la sua grande auto Fiat a prenderci. Partimmo alla volta di Bologna,
attraverso i paesi, su e giù (allora non esisteva l'autostrada). Il nostro autista aveva guidato nella Mille Miglia, la più
grande corsa per veicoli a motore di quei giorni, ed era matto da legare. Su e giù per le colline, con gli abitanti che si
sparpagliavano a destra e a sinistra. Quando finalmente arrivammo a Bologna (l'autista) disse: Oh, perbacco, avevo
detto al capo che sarei stato qui cinque minuti fa e siamo arrivati solo ora”.
552
Angelo Mangini, cacciatore gentiluomo
Così ricorda il Prof. Alessandro Dondoni le battute di caccia vissute al fianco del maestro: “Insieme alla chimica,
l'altra grande passione del Professor Mangini è stata la caccia, l'ars venandi. Praticò e coltivò questa attività con la
stessa intensità, determinazione ed entusiasmo con le quali condusse la ricerca scientifica. Salito al Nord dell'Italia
dalla nativa Puglia, dove si praticava la caccia ai piccoli migratori alati, soprattutto quaglie e tordi, conobbe nelle
paludi dell'Emilia e del Veneto il fascino della caccia alle anatre selvatiche e ne rimase affascinato. Entusiasta, con la
pienezza di sentimenti che sapeva provare per tutte le cose che amava, il Professore puntò sempre, nella caccia come
nella ricerca scientifica, alle grandi conquiste.
Era quindi fiero e pimpante quando tornava dalla Valle di Campotto con un lauto bottino di anatre, che esibiva nel
retro del cortile dell'Istituto di Viale Risorgimento, dove abitava. A marzo si doveva aspettare la fine della
migrazione delle marzaiole, piccole anatre provenienti dall'Africa, affinché il Professore iniziasse le sue lezioni di
Chimica Organica II parte, con le quali introduceva studenti ed assistenti (conquistati da tanta dovizia di
informazioni e chiarezza) nei dettagli della reattività e della struttura elettronica delle molecole organiche. La caccia
riprendeva nell'autunno; allora il Professore raggiungeva paesi ancora sconosciuti alla massa dei cacciatori italiani:
Yugoslavia, Ungheria, Polonia e Cecoslovacchia.
Accompagnavo spesso il Professore in quelle gite venatorie, per cacciare i fagiani e, soprattutto, le pernici. I ricordi
sono moltissimi: lunghe ed estenuanti camminate nei campi sconfinati di granoturco dell'Ungheria, dove i fagiani,
nel fulgore dei loro colori rosso ed oro, si alzavano in volo a decine e decine. Perdevamo veramente la testa! Ed il
Professore più di tutti noi. Dico noi, perché a volte ci accompagnavano anche altri dell'Istituto, un po' per passione un
po' per compiacere il Professore, che amava avere un largo seguito”.
Ma al seguito di Mangini c'era un personaggio indimenticabile: Riccardo, l'autista factotum che non lasciava mai il
Professore. Continua Dondoni: “Ricordo che, oltre alla caccia, c'erano due momenti conviviali di grande importanza:
la colazione del primo mattino, ricchissima, come si usa nei paesi dell'Est Europa, e il rito della cena serale.
Quest'ultimo era il momento per fare bilanci e commenti sui fatti della giornata. Quando il Professore aveva fatto un
buon bottino, la cena non aveva termine. Poi, si andava per una passeggiata e ciascuno di noi faceva a gara per stare
accanto al maestro. Erano quelli i momenti in cui si mostrava amabile, ti faceva sentire importante, quasi un amico.
Poi, la gita venatoria finiva e si ritornava a casa, a Bologna, e al lavoro in Istituto, dove il Professore riprendeva la sua
veste di scienziato”.
materie coloranti fu forse il più riuscito. Rigoroso e puntuale,
Mangini, direttore del Dipartimento, volle nuovi laboratori
per Chimica industriale organica e inorganica e si occupò della
perfetta organizzazione di corsi, congressi e meeting.
Collaborò dal 1947 con strutture afferenti a molte prestigiose
università straniere, tra cui il Dipartimento di Chimica
dell'University College di Londra diretto da Sir Christopher
Kelk Ingold (1893-1970) e l'Istituto di Matematica di Oxford
diretto da Charles Alfred Coulson (1910-74), dove spesso si
recava con Riccardo Passerini. I principi sviluppati da Ingold
furono utili a Mangini per avviare la classificazione, su base
razionale, della reattività chimica.
I rapporti con l'estero gli permisero di inviare i suoi
collaboratori a specializzarsi presso istituti scientificamente
accreditati, per poi tornare a Bologna con idee ed esperienze
innovative. Tra i suoi discepoli, Carlo Zauli poté frequentare
l'ambiente di Oxford, a contatto con Coulson e David P. Craig
e introdurre a Bologna la chimica quantistica. Mangini fu,
come afferma Giuseppe Leandri, per la chimica bolognese,
“uno spirito innovatore e un trascinatore di giovani, che portò
la chimica organica italiana a livelli mondiali”.
Mangini nel 1954: “Questo è un altro tassello a favore della tesi
generale della Scuola di Mangini, che spettri complessi
possono essere interpretati in termini di cromofori localizzati
modificati, quando sono abbastanza simili, dall'analogo
elettronico della risonanza di Fermi”. Infatti, dall'indagine era
emersa la complessa interazione generata da un sistema
eterociclico condensato sulle bande benzeniche di assorbimento degli ultravioletti.
Esempio dello schema a
freccia triplice disegnato
da Angelo Mangini, che
costituì l'impostazione
della tesi di laurea di
Giorgio Modena sulle
pirimidine (1946-47)
All'inizio degli anni Cinquanta, intraprese la ricerca
spettroscopica sui sistemi benzo-eterociclici, che portò a
stabilire che l'influenza dell'anello eterociclico sulla parte
benzenica della molecola è piuttosto piccola. Ingold scrisse a
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Cenni bibliografici
Letteratura primaria:
[con R. Ciusa e D. Massimeo] Sulla utilizzazione delle
acque di vegetazione delle olive, «L'Industria Chimica Il notiziario chimico industriale», f. 12 (1930).
Appunti alle lezioni del corso di chimica organica
industriale (coloranti), La Grafolito, Bologna 1946.
Cloruro sodico e industrie collegate [dalle lezioni tenute
dal Prof. Angelo Mangini; raccolte e coordinate dal
dott. R. Andrisano], Patron, Bologna 1947.
[con R. Passerini] Contributo alla conoscenza di alcuni
composti solforati organici. Nota VI e precedenti,
«Gazzetta Chimica Italiana», 84 (1954) 606.
La bandiera dello zolfo,
disegnata da Angelo
Mangini per
l'International Symposium
on the Organic Chemistry
of Sulphur, esposta al
congresso di Tokyo
dell'agosto 2006.
Archivio privato del
Prof. Alessandro
Degl'Innocenti
La ricerca sui composti organici dello zolfo, che ebbe
risonanza internazionale, iniziò nel 1950 e fu centrata
inizialmente sulla spettroscopia UV (ultravioletta) di ogni
classe di composti dello zolfo. Questi studi e quelli sugli
eterocicli azotati furono poi estesi alle altre tecniche
spettroscopiche. Dai lavori sperimentali scaturì la sintesi di
centinaia di composti, spesso sconosciuti. Mangini estese le
sue ricerche anche in cinetica, stereochimica, chimica dei
radicali liberi e chimica teorica.
Negli anni Sessanta ripubblicò il volume sulle materie
coloranti come parte del Trattato di Chimica industriale di
Michele Giua (1889-1966), il collega allontanato durante il
periodo fascista dall'insegnamento di Chimica organica del
Politecnico di Torino. Aveva iniziato nel 1935 a studiare i
coloranti neri allo zolfo, derivati dal furfurolo, fino ad arrivare
negli anni Sessanta e Settanta ad interessarsi alla nuova classe
dei coloranti reattivi e di quelli per fibre poliammidiche, come
testimoniano i numerosi brevetti.
Alla fine degli anni Sessanta fondò a Ozzano Emilia un Istituto
del CNR, attualmente trasferito a Bologna, come Istituto di
Sintesi organiche e Fotoreattività. Negli ultimi anni, trascorsi
nella tranquillità di Ozzano, si dedicò alla chimica teorica e,
grazie alla collaborazione con i gruppi di teorici canadesi,
guidati da Imre Csizmadia e Saul Wolfe, il suo allievo
Fernando Bernardi introdusse in Italia la chimica
computazionale.
Mangini fu un ottimo organizzatore di eventi. Diede l'avvio ai
ongressi internazionali sullo zolfo, il primo a Venezia, nel
1970, International Symposium on the Organic Chemistry of
Sulphur. Desiderò stabilire una continuità tra i convegni che
sarebbero seguiti, mediante una bandiera, da lui stesso
pensata, che sarebbe stata consegnata dagli organizzatori
dell'ultimo congresso a quelli del successivo.
Il contributo fondamentale del chimico pugliese fu
l'introduzione in Italia della “chimica organica degli
elettroni”, che rompeva con la tradizione “mnemonica”, per
creare filoni di ricerca innovativi: ciò è provato, tra l'altro, dalle
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[con G. Leandri G.] The near U.V. spectra of
thionylamines, Pergamon Press, Londra 1959.
Quaderni di chimica industriale. Dalle lezioni di Angelo
Mangini, R. Patron, Bologna 1977.
[con F. Bernardi, I. G. Csizmadia] (a cura di), Organic
sulfur chemistry: theoretical experimental advances,
Elsevier, Amsterdam 1985.
Summary of some of my research on organo-sulphur
compounds, «Sulphur Reports», 7 (1987) 313.
Letteratura secondaria:
Cerruti L., Chimica, in C. Stajano (a cura di), La
cultura italiana del Novecento, Laterza, Roma-Bari
1996, p. 149.
Crompton B., Interview with Professor David Craig,
Australian Academy of Science, maggio 1998,
www.science.org.au/scientists/dc.htm
Leandri G., Ricordo di Angelo Mangini, «La Chimica e
l'Industria», v. 71, n. 7-8 (luglio-agosto 1989), pp. 501.
Montanari F., In memory of Angelo Mangini,
«Gazzetta Chimica Italiana», Società Chimica
Italiana, 119 (1989), pp. I-VIII, con l'elenco completo
delle pubblicazioni, delle patenti e dei libri.
Società Chimica Italiana, Dedicated to Angelo Mangini
(1905-1988): reprinted papers from «Gazzetta Chimica
Italiana»: an international journal of chemistry,
«Gazzetta Chimica Italiana», Roma 1991c, 1992c.
Todesco P. E., Quel chimico così schietto. A ricordo di
Angelo Mangini, «Il Resto del Carlino», 6 agosto 1988.
Le nove lavagne
Mangini preparava le lezioni con molta cura. I suoi schemi avevano titoli e sottotitoli scritti in colori diversi per una
maggior comprensione; i suoi assistenti li trascrivevano alla lavagna la sera prima o la mattina molto presto, in modo
che fosse tutto pronto quando il professore, puntualissimo, chiudeva le porte dell'aula e non ammetteva ritardatari.
La lavagna dell'Aula 1 era straordinaria: sei parti attaccate al muro e altre due o tre aggiunte lateralmente. Veniva
tutta riempita con disegni perfetti e si racconta che il prof. Fernando Montanari riuscisse a scrivere con due mani
contemporaneamente su due lavagne vicine… Le lezioni si tenevano a giorni alterni ed erano affollate di studenti,
obbligatoriamente con la cravatta, sistemati nell'anfiteatro, mentre gli assistenti, tutti in camice bianco, dovevano
disporsi nella prima fila di sedie. A fine corso, con un cerimoniale molto formale, Mangini riceveva nel suo studio gli
studenti, i quali andavano a prendere le firme per sostenere l'esame.
strade intraprese dai suoi numerosi allievi. Una simile
esperienza fu portata anche a Bari dai discepoli Giuseppe
Leandri, Giorgio Modena, Paolo Edgardo Todesco e Marcello
Tiecco, l'eredità dei quali fu raccolta e consolidata, sul piano
nazionale ed internazionale, da Francesco Naso e dal suo
gruppo di ricerca.
Tra le numerose cariche che ricoprì, fu nominato commendatore della Repubblica, accademico dei Lincei, membro
dell'Accademia Benedettina di Bologna, dell'Accademia dei
XL, dell'Accademia Ungherese delle Scienze, dell'Accademia
delle Scienze di Torino, socio onorario dell'Accademia Ligure
di Scienze e Lettere. Inoltre, per aver promosso scambi
culturali tra Italia e Ungheria e per i suoi meriti scientifici, fu
insignito della laurea honoris causa in Chimica dall'Ateneo
Ungherese di Veszprém nel 1980. Ancora, ricevette il premio
dei Lincei e della città di Bologna, la medaglia “Ciamician”, la
medaglia d'oro dei Benemeriti della Cultura e dell'Arte. Fu
presidente e, per 20 anni, il promotore della sezione emiliana
della Società Chimica Italiana, presidente del Comitato per la
“Il pazzo sulla collina” di Paolo Edgardo Todesco
Il Prof Paolo Edgardo Todesco, che è stato preside della Facoltà di Chimica industriale di Bologna, fu discepolo di
Mangini. Il “Pazzo sulla collina” è l'immagine trasfigurata del Professore, che viveva sulla collina di Bologna, nel
“suo” Istituto di Chimica, in Viale Risorgimento 4, dove abitava e lavorava, al tempo stesso direttore e “custode”
delle preziose attrezzature, faticosamente messe insieme dopo la guerra.
Il Pazzo sulla collina
Suona sottile
lo zufolo dolce
del pazzo sulla collina
su strani sentieri
inerpicandosi
e lasciandosi dietro
una tenera melodia
incantatrice.
E forse piccoli
animali ancora selvaggi
sentono la musica
e corrono rapidi
per strani sentieri.
Ma troppo tempo oramai
sono state suonate
le più pazze
solitarie melodie
ed ora
poco resta
delle colline
poco dei sentieri
quasi niente del folle
consumato,
consumate
dal tempo,
dall'inerzia,
dall'indifferenza,
dal monotono ripetersi
del già visto,
del già detto.
Ma non era quello
che suonava
il pazzo delle colline
anche se ora
ognuno sa
motivi da cantare
e dicono tutti:
"il mondo nuovo
è già arrivato,
è già qui".
Così ci vorrebbero ancora
pazzi sulle colline
a suonar melodie
disprezzate e consunte
fraintese e oscurate,
perché sono diverse, diverse,
ed il futuro che viene
non è ancor cominciato.
E forse è bello
avere ancora
cose da suonare
anche se non sente nessuno
solo un piccolo pazzo
sulla collina
incapace di fare
qualunque altra cosa...
555
Felice De Carli,
docente di
Chimica
applicata a
Bologna
Cesare Finzi, docente
di Chimica
farmaceutica a
Perugia. Dovette
abbandonare l'incarico
nel '38 a causa delle
leggi razziali
Chimica nel CNR, e, per 23 anni, preside della Facoltà di
Chimica industriale dell'Università di Bologna, il cui
Dipartimento di Chimica organica è stato intitolato a lui.
Fu autore di libri didattici e scientifici e di oltre duecento
pubblicazioni su riviste nazionali e internazionali, oltre che
organizzatore di congressi internazionali nel campo della
spettroscopia molecolare e della chimica teorica. Nell'87
scrisse il suo ultimo lavoro Summary of some of my research on
organo-sulphur compounds. Morì l'anno successivo, a Bologna, il
4 agosto. Aveva 83 anni.
BC
L'Accademia Nazionale delle Scienze, detta dei XL
In Italia, la tradizione delle accademie risale al XVII secolo, ma non
ebbe carattere nazionale fino alla fondazione della Società Italiana
delle Scienze, successivamente rinominata Accademia Nazionale
delle Scienze, detta dei XL. Essa nacque all'insegna dello spirito
del Risorgimento, che propugnava un rinnovamento e un
allargamento dei confini culturali.
ingegnere idraulico di Verona, enfatizzava lo “spirito nazionale”
che la Società avrebbe dovuto avere. Ad essa avrebbero dovuto
aderire i quaranta più illustri scienziati di ogni parte d'Italia, (i primi
consensi, nel 1781, vennero da Alessandro Volta, Lazzaro
Spallanzani, Luigi Lagrange, Ruggero Boscovich), animati non
solo dall'amore per la scienza, ma anche da quello per la patria.
Nei secoli XVII e XVIII, infatti, le accademie, sia scientifiche sia
letterarie, erano spesso legate al sovrano dello stato nel quale
risiedevano; le loro attività, regolate da rigidi statuti, erano volte alla
promozione, alla diffusione e alla discussione dei risultati scientifici
in un ambito ancora molto elitario, specialmente nel Regno di
Napoli. Nel XIX secolo (in realtà, dalla fine del XVIII), complice lo
spirito del Positivismo, gli accademici cercarono di “aprirsi al
mondo”. Venne potenziata la pubblicazione di periodici, ora intesi
come luogo ideale di aggregazione intorno ad interessi specifici
nonché come mezzo di divulgazione capace di raggiungere un
numero sempre maggiore di persone. La stampa di periodici si
rivelò anche un oggetto di scambio con accademie di rilevanza
internazionale, efficace per aumentare la visibilità italiana nel
campo scientifico.
Lorgna considerava fondamentale l'unione di tutte le forze
scientifiche presenti in Italia, per recuperare lo svantaggio nelle
scienze accumulato rispetto agli altri stati europei. Come spiega
Giuseppe Penso, nella sua storia dell'accademia, il progetto della
Società fu al tempo stesso culturale e politico. Infatti, Lorgna parlò
per primo di “un principio motore degli uomini sempre attivo”, che
avrebbe riportato l'Italia alla dovuta gloria scientifica: “L'amor di
Patria”. L'aspirazione all'Unità d'Italia era, come sostiene Penso, la
necessaria conseguenza ideologico-politica della manifesta
intenzione degli scienziati di contribuire direttamente o
indirettamente allo sviluppo della propria nazione. La Società
rappresentò, dunque, all'epoca, un Italia unita almeno nelle
scienze; scrisse Lorgna: “La bella e gloriosa risoluzione
degl'Italiani di formare corpo scientifico nazionale finalmente dopo
tanta separazione che pareva minacciasse di perpetuare oscurità
al nome d'Italia”.
Nelle parole del fondatore della Società Italiana delle Scienze,
Antonio Mario Lorgna (presidente dal 1787 al 1796), si legge lo
spirito nazionale che animò fin dall'ideazione la formazione del
consesso: “Una Società di uomini letterati - con lo scopo - di
formare di tutti i Letterati italiani un'Accademia”, e ancora una
“Compagnia libera […] di tutta l'Italia”. Lorgna, matematico e
La Fenice, simbolo
dell'Accademia dei XL
La Società fu fondata nel 1782 con il nome di Società Italiana e
raccolse i quaranta scienziati più stimati da ogni parte d'Italia. Nello
stesso anno fu pubblicato il primo numero delle «Memorie»
dell'Accademia o «Atti liberi d'Italia», che doveva costituire,
secondo le intenzioni espresse da Lorgna fin dal 1766, un
periodico di portata nazionale in cui tutti gli scienziati d'Italia
potessero inserire i propri lavori. Le «Memorie» servirono per
intraprendere scambi culturali con altre accademie straniere,
come la Royal Society di Londra e l'Accademia delle Scienze di
San Pietroburgo, a partire dal 1822, e l'Académie Royale des
Sciences di Parigi, dal 1833.
La società, che aveva sede a Verona, ebbe la risonanza
internazionale desiderata dal suo fondatore e, per il numero di
soci, fu appunto chiamata Società dei XL. A Lorgna successe
Antonio Cagnoli (presidente dal 1796 al 1815), astronomo, e la
Società Italiana prese il nome di Società Italiana delle Scienze,
detta dei XL. Cagnoli ottenne un finanziamento di diecimila franchi
da Napoleone, favorevole alle iniziative scientifiche e a quelle volte
a rendere l'Italia (moderatamente) più coesa.
Dal 26 ottobre 1797, per decreto napoleonico, la sede della
Società fu trasferita a Milano, poi a Modena, dove rimase anche
sotto Ferdinando IV, che considerò la presenza della Società un
elemento di prestigio per la città, poiché rappresentava il centro
dell'Unione nazionale degli scienziati italiani.
Agli inizi del 1860, Terenzio Mamiani, ministro dell'Istruzione
pubblica, avanzò la proposta di trasformare la Società, che godeva
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di grande prestigio, sia per i soci ordinari sia per quelli stranieri, ed
era considerata l'unica associazione di scienziati a carattere
nazionale, in un Istituto Nazionale Italiano, in cui far confluire le
principali accademie degli Stati preunitari. Il presidente della
Società, Stefano Marianini (dal 1844 al 1866), insieme con gli altri
membri, rifiutò questa trasformazione. Nel 1874 il nuovo
presidente, Francesco Brioschi (dal 1868 al 1874), con l'appoggio
dei soci, propose di fondere la Società con l'Accademia dei Lincei,
che nel frattempo era stata individuata a Roma come possibile
accademia atta ad assumere il ruolo di accademia nazionale. La
Società dei XL avrebbe, così, costituito la classe di scienze fisiche
dei Lincei. Per vari motivi la proposta non ebbe seguito; fu pertanto
l'Accademia dei Lincei, opportunamente allargata a nuovi soci, a
diventare l'accademia del Regno d'Italia.
e il finanziamento del governo e con il nuovo nome di Accademia
Nazionale delle Scienze, detta dei XL, venne eretta in ente morale.
All'inizio prevedeva una classe di dodici soci stranieri di fama
internazionale (tra cui vi fu anche Albert Einstein, a partire dal
1925); attualmente è stata ampliata fino a venticinque.
Nel tempo i nomi illustri si sono susseguiti, annoverando anche
diversi Premi Nobel come: Guglielmo Marconi, Camillo Golgi,
Enrico Fermi, Giulio Natta, Daniel Bovet, Carlo Rubbia e Rita Levi
Montalcini. L'ultimo riconoscimento dell'accademia è stato l'alto
patronato permanente della Presidenza della Repubblica, conferitole dal Presidente Carlo Azeglio Ciampi, per la collabora-zione
sulle tematiche ambientali.
La Società rimase a Modena fino al 1875, quando si trasferì a
Roma, divenuta capitale dell'Italia unita. Ottenne il riconoscimento
Antonio Mario Lorgna,
fondatore della Società
Italiana delle Scienze
Martino Colonna e la chimica dei radicali liberi
Pur avendo raggiunto gli onori della cattedra universitaria a
Bologna e pur avendo fama internazionale di chimico
industriale, Martino Colonna non rinnegò mai le sue origini
molesi né il suo dialetto, che parlava perfettamente. Proprio
come vuole la tradizione storica molese, che ha dato origine al
canto Séime de Máule [siamo di Mola], Colonna dimostrò
tenacia e spirito di sacrificio, tanto da continuare il suo lavoro
con la stessa dedizione anche dopo il pensionamento.
Si diplomò presso l'istituto tecnico “Pietro Cuppari” di Iesi
(sezione Fisico-Matematico), nel luglio del 1925. Si laureò in
Chimica pura all'Università di Pavia nel luglio 1931. Si
diplomò alla Scuola di Farmacia, divenuta poi Facoltà,
dell'Università di Bari nel novembre del 1932, perché, non
trovando subito impiego con la laurea in Chimica a causa
dello scarso sviluppo delle industrie chimiche all'epoca,
pensò: “Se non mi riesce di fare il chimico farò il farmacista”.
Nacque a Mola di Bari il 30 gennaio 1905 e fu iscritto
all'anagrafe il 10 del mese successivo. Il padre, Francesco
Paolo, era un proprietario benestante di Mola. Martino
Colonna rimase legato affettivamente al suo paese, dove
tornava ogni anno per le vacanze estive, che trascorreva nella
contrada di Cozze. Ricordava con nostalgia il suo maestro
elementare, don Antonio Mancini, e gli inizi della sua carriera
scolastica, che erano stati turbolenti, come lui stesso descrisse
ironicamente nella conferenza tenuta in suo onore a Mola il 12
ottobre 1973: “Tutto mi era facile, ma non mi impegnavo
troppo, dovevo pur divertirmi un poco […], studiavo quel
tanto da superare l'esame un po' al di sopra della sufficienza”.
Nonostante le aspettative, iniziò subito come assistente, nel
1933, la carriera presso la Facoltà di Farmacia dell'Università
di Bari e l'anno successivo ebbe l'incarico di Chimica organica.
Nel 1935 fu trasferito a Perugia, dove rimase fino al '40 come
assistente del Prof. Cesare Finzi, quindi come incaricato di
Chimica organica presso la Facoltà di Chimica e Farmacia.
Iniziò in quel periodo il fortunato sodalizio con il compaesano
Angelo Mangini, [vedi scheda] già assistente di Finzi; tra tante
difficoltà avviarono insieme le ricerche sulle reazioni di
sostituzione nucleofila aromatica. Nel 1938, sposò Rosa Susca,
dalla quale ebbe “una piridina di figli”, come amava
commentare.
Colonna, Martino
Mola di Bari 1905
Bologna 1994
Bari, Bologna, Pavia,
Perugia, Trieste
Chimica, chimica
organica industriale
Una piridina di figli
Negli anni della Guerra Mondiale, Angelo Mangini e Martino Colonna studiarono la reattività nucleofila nella serie
piridinica. Mangini stabilì l'analogia tra l'effetto attivante di un nitro-gruppo e quello dell'atomo di azoto della
piridina nell'anello benzenico.
La piridina era stato il risultato della sorprendente reazione ottenuta, nel 1881, da Giacomo Ciamician, maestro di
Riccardo Ciusa, a sua volta Maestro di Colonna e Mangini, come passaggio da un anello a cinque atomi, il pirrolo, ad
un anello a sei atomi, la piridina appunto. L'approfondimento e la conoscenza della sintesi e della reattività della
piridina e dei suoi derivati furono oggetto degli studi di Martino Colonna negli anni successivi.
Colonna fece della piridina il suo emblema, un distintivo d'argento, che portava sempre sulla giacca e spesso
commentava scherzosamente che la sintesi più riuscita della sua carriera era “la piridina di figli”, che aveva avuto.
Infatti, durante il periodo della guerra ebbe sei figli, che paragonava agli atomi dell'anello piridinico: cinque maschi e
una femmina come i cinque atomi di carbonio e uno di azoto della piridina.
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