il conflitto d`interessi dell`amministratore nel regno unito

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il conflitto d`interessi dell`amministratore nel regno unito
Dipartimento di Scienze giuridiche
CERADI – Centro di ricerca per il diritto d’impresa
IL CONFLITTO D’INTERESSI
DELL’AMMINISTRATORE NEL
REGNO UNITO
Costanza Alessi
dicembre 2008
© Luiss Guido Carli. La riproduzione è autorizzata con indicazione della fonte o
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IL CONFLITTO D’INTERESSI DELL’AMMINISTRATORE NEL
REGNO UNITO
Indice
I. Introduzione: il Companies Act 2006; II. L’evoluzione del conflitto d’interessi;
III. La disciplina del conflitto d’interessi nel Companies Act 2006; IV. Gli
strumenti di enforcement; V. Conclusioni
I. Introduzione: il Companies Act 2006
Nel 2006 è entrato in vigore nel Regno Unito il nuovo Companies Act,
una copiosa riforma del diritto societario disegnata con lo scopo di creare una
disciplina più flessibile per la gestione delle società, di attuare una
semplificazione del diritto vigente e di rendere più competitivo il modello
societario britannico. Il Companies Act 2006 viene accolto come la più
importante riforma del diritto societario inglese degli ultimi 150 anni1. Vi si è
giunti dopo un lungo e complesso procedimento durato quasi un decennio
durante il quale sono stati pubblicati innumerevoli documenti2, tutti sottoposti
alla procedura di consultazione a cui hanno partecipato accademici, pratici e
rappresentanti di importanti istituzioni3.
Una delle novità di maggior rilievo per quanto concerne l'attività degli
1
Trattasi della più lunga legge britannica mai scritta, con ben 1300 sezioni (una sezione è
equiparabile ad un articolo del c.c.) e 700 pagine. Ancor prima della sua definitiva
adozione, S. BRUNO, Lineamenti del diritto societario inglese e principi della riforma,
in E. RUGGIERO (a cura di), Problemi di riforma societaria: Europa e Stati Uniti a
confronto, Roma, 2004, p. 135, prevedeva che sarebbe stata la più importante riforma di
diritto societario entrata in vigore dalla metà dell'ottocento al giorno oggi.
2 Tra i quali: Modern company Law for a competitive economy:the strategic framework,
1999 e il rapporto finale Modern company Law for a competitive economy: final report,
2001, entrambi consultabili in https://www.berr.gov.uk
3 S. BRUNO, op. cit., p. 155 osserva come le modalità seguite nel formulare la legge siano
“encomiabili”, sia per la trasparenza adottata durante tutte le fasi, e soprattutto per il
confronto e il dialogo intrapreso con tutti i settori interessati
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amministratori è la codificazione dei directors' duties4, tra i quali figurano due
specifici doveri che riguardano il conflitto d'interessi. La disciplina ante-riforma
del conflitto d’interessi era estremamente complessa, in quanto si doveva tener
conto della regola prevista dalle corti di equity la -no conflict rule-, dalle previsioni
statutarie, e dalla section 317 del Companies Act 19855. Questa pluralità di fonti
determinava incertezza e il Companies Act 20066, sostituendosi con le sue
previsioni al diritto previgente, ha risolto questo aspetto problematico. Il
conflitto d’interessi appare al giorno d’oggi come una delle principali questioni
che deve essere affrontata da un ordinamento per garantire una governance
corretta ed efficiente; invero molti ordinamenti hanno inciso di recente su tale
disciplina, soprattutto in seguito agli scandali finanziari che hanno travolto i
mercati nell’ultimo decennio7.
Se il Companies Act ha semplificato la disciplina del conflitto d’interessi
da un punto di vista delle fonti, questo ha fortemente differenziato la
4 Questa scelta è stata accolta in maniera positiva. N. GOULD, The Companies bill 2005:
the
final
chapter,
Ince
&
Co.,
consultabile
in
http://www.incelaw.com/assets/documents/1000028FCompaniesBillTheFinalChapter.pdf, parla di “commendable idea of a statutory definition of directors'
duties”. Prima del Companies Act 2006 i doveri degli amministratori derivavano da una
sovrapposizione di norme e decisioni. La codificazione di questi principi rende la
conoscenza dei proprio doveri più agevole dovrebbe portare ad una più elevata
compliance con questi standards. Così M. VITALI, I doveri degli amministratori e la
protezione degli azionisti alla luce del nuovo diritto inglese, in Riv.Soc., 2008, p. 225.
Non è mancato chi si è detto preoccupato che tale scelta avrebbe sacrificato la
flessibilità delle regole e la loro adattabilità ad ogni situazione. Così D. FRENCH S.
MAYSON & C. RYAN, op. cit., p. 446 “Codification risks losing this adaptability in
exchange for the certainty and accessibility of fixed statutory wording.”
5 P. L. DAVIES, Gower and Davies’ Principles of Modern Company Law, 7a ed., London,
2003, p. 401, rilevava come questo “three-tier analisys” fosse eccessivamente
complesso e quanto sarebbe stato auspicabile una modifica della disciplina che portasse
ad una semplificazione. Per quanto riguarda il contenuto della stessa, riteneva che vi
fosse un “consensus” affinché la regola rispecchiasse la prassi statutaria della disclosure
al board.
6 Ogni riferimento al Companies Act si intende al Companies Act 2006, salvo diversa
menzione.
7 Si fa qui riferimento agli scandali finanziari d'oltreoceano, quali il fallimento
improvviso di società fino al giorno prima in apparenza perfettamente stabili, come
Enron e Worldcom. In questi scandali uno dei fattori scatenanti è stato indubbiamente il
conflitto d'interesse, non tanto degli amministratori quanto dei revisori contabili, che
essendo in stretto rapporto commerciale con le società in oggetto, svolgevano il proprio
lavoro di revisione dei bilanci in accordo con i consigli di amministrazione.
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normativa a seconda della situazione che si presenti. Le sezioni che regolano il
conflitto dì interessi nel nuovo Companies Act sono infatti molteplici. La section
175 riguarda la generica situazione di un amministratore che si venga a trovare
in conflitto d’interesse; la section 177 riguarda invece l’interesse di cui
l’amministratore sia portatore in relazione ad una specifica operazione (c.d. selfdealing transactions); le sections 190 e seguenti riguardano invece l’interesse di cui
l’amministratore sia portatore in relazione ad una serie di operazioni tipizzate
dal legislatore in quanto ritenute particolarmente a rischio.
In tutte queste sezioni il tratto comune è l’obbligo di disclosure, che
impone all’amministratore interessato di rendere noto l’interesse di cui è
portatore, garantendo così la trasparenza nell’operato del consiglio di
amministrazione. L'imposizione di un obbligo di disclosure per l'amministratore
in conflitto è forse una delle tecniche più comunemente adottate dai vari
ordinamenti per affrontare il conflitto d’interessi, e sulla cui bontà vi è un
generale consenso8.
II. L’evoluzione del conflitto d’interessi
Prima di apprezzare le modifiche apportate a tale disciplina è necessario
rendere conto brevemente di come tale problematica fosse regolamentata
prima del 2006. Storicamente, la prima regola volta a disciplinare il conflitto
d’interessi è quella che nasce nelle corti di equity per tutelare il soggetto titolare
di un rapporto fiduciario: la no-conflict rule9. Tale regola, applicata al diritto
8 L. ENRIQUES, Il conflitto d'interessi degli amministratori di società per azioni, Milano,
2000, p. 33. La riforma britannica ha seguito la strada della trasparenza come prima via,
in relazione a qualsiasi rischio e problematica di governance, e lo stesso è stato fatto in
Italia con la riforma delle società di capitali.
9 La no-conflict rule è basata su “equitable principles of fiduciary duties”. Si tratta di una
regola elaborata dalle corti di equity per tutelare il soggetto del rapporto fiduciario che
ripone la sua fiducia (trust and confidence) in un altro soggetto detto fiduciary affinché
compia un affare o svolga una prestazione. La tutela consiste nell'imporre al fiduciario il
duty of loyalty che gli imponeva di adoperare i poteri affidati solo nell'interesse del
soggetto amministrato. Il rapporto fiduciario per eccellenza è il trust (in relazione al
quale si è elaborata anche la no-conflict rule, e in generale tutte quelle che sono
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societario imponeva un divieto assoluto per l’amministratore di agire in
conflitto di interessi. Le conseguenze in caso di violazione erano le più severe,
non ammettendo la prova che l’operazione compiuta fosse stata vantaggiosa
per la società o che essa si sarebbe conclusa alle stesse condizioni anche in
assenza di conflitto. L’unica eccezione a tale principio si presentava nel caso in
cui l’assemblea, informata del conflitto, avesse approvato il compimento
dell’operazione ex-ante. Si capisce come tale norma rischiava di rallentare
l’attività gestoria imponendo oneri notevoli agli amministratori. La
conseguenza diretta di tale rigidità è stata l’introduzione di clausole statutarie
che derogavano alla no-conflict rule, sostituendo un semplice obbligo di disclosure
al board all’approvazione assembleare10. Alcune società andavano oltre,
derogando alla no-conflict rule ma non prevedendo nessun obbligo a carico
dell’amministratore; neanche un semplice obbligo di disclosure11. In questo
contesto il legislatore è intervenuto introducendo una statutory regulation12, che
imponesse da un lato come standard minimo applicabile (in caso di deroga alla
no-conflict rule) l’obbligo di disclosure al consiglio, e dall’altro una che imponesse
l’obbligo di ottenere sempre l’autorizzazione assembleare per determinate
operazioni in conflitto ritenute particolarmente rischiose.
La disciplina così designata era sostanzialmente quella applicabile ad
una situazione di conflitto prima della riforma del diritto societario. La tecnica
della disclosure nasce dunque come prassi statutaria, per ovviare ai problemi
derivanti da una disciplina troppo rigida. Il legislatore ha accolto questa prassi,
e ne ha fatto la base per la disciplina del conflitto d’interessi nel Companies Act
del 2006, integrando la disclosure con ulteriori obblighi laddove non la riteneva
“fiduciary obligations”). Gli obblighi imposti al trustee sono poi stati estesi per analogia
all'amministratore. Cfr. D. FRENCH S. MAYSON & C. RYAN, op. cit., p. 447.
10 Così come gli obblighi del trustee potevano essere modificati inserendo un'apposita
clausola nel deed, così il common law consentiva di modificare i fiduciary duties degli
amministratori mediante una espressa previsione in tal senso dello statuto. P. L. DAVIES ,
op. cit, p. 532.
11 P. L. DAVIES, op. cit., p. 532.
12 La disposizione fu introdotta nel 1929 e fu poi riversata nel Companies Act del 1985
diventando la section. 317.
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sufficiente.
III. La disciplina del conflitto d’interessi nel Companies Act 2006
Come anticipato il Companies Act differenzia notevolmente la disciplina
applicabile al conflitto d’interessi a seconda della situazione che si presenti. La
prima novità della riforma consiste nell’aver codificato un principio generale
che stabilisce il disvalore insito in una situazione di conflitto d’interessi e la
conseguente necessità che esso sia sempre evitato dagli amministratori. Questa
regola generale è sancita nella section 175 che si applica ogniqualvolta
l’amministratore sia portatore di un interesse in conflitto (anche solo
potenziale) senza che quest’ultimo si trovi di fronte ad una determinata
operazione. Questa regola generale è quella che ha principalmente attirato
l'attenzione della dottrina ed è stata criticata come eccessivamente severa13. Vi
si legge che l’amministratore “must avoid a situation in which he has, or can have a
direct or indirect interest that conflicts, or possibly may conflict with the interests of the
company”; dunque egli è tenuto ad evitare ogni situazione di conflitto e di
potenziale conflitto.
La norma pare ritornare all'ipotesi di divieto stabilito dalla no-conflict rule,
con l'imposizione per l'amministratore di non trovarsi in situazioni tali da far
sorgere un potenziale conflitto. Il divieto è mitigato dalla possibilità che la
situazione di conflitto sia autorizzata dal board of directors: questa è la regola di
default per le private companies. Affinché la previsione dell'autorizzazione del
board si applichi anche alle public companies è necessario che gli statuti siano
modificati per ricomprendere espressamente questa ipotesi14. La norma, pur
riproponendo la no-conflict rule, e codificandola -impedendo quindi alle società di
derogarvi mediante l’inserimento di una clausola nello statuto-, ne mitiga il
13 Nei Ministerial Statements. Duty of Directors (June 2007), consultabili su
www.berr.gov.uk, LORD GOLDSMITH chiarisce che la rigidità della norma è voluta: “it is
a heavy duty and intended to be so”.
14 In mancanza di una tale previsione statutaria la situazione di interesse dovrà essere
autorizzata come in passato dall'assemblea dei soci.
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contenuto permettendo in linea di massima che l’autorizzazione del conflitto
provenga dal consiglio d’amministrazione invece che dall’assemblea dei soci.
Inoltre nella delibera per l’autorizzazione non potrà votare l'amministratore
interessato (e neanche altri amministratori a lui collegati); dunque viene
introdotto un obbligo di astensione per lo stesso.
Tale disciplina si applica in presenza di un conflitto d’interessi anche
soltanto potenziale. Il conflitto dovrà essere però essere evitato solo se
veramente tale: l'interesse dell'amministratore dovrà essere un interesse
“materiale”, rilevante sia quantitativamente che qualitativamente. Questa
rilevanza dei soli interessi materiali viene ripresa anche nella section 177 in
relazione alle self-dealing transactions15.
Alla subsection 2 la norma chiarisce che si applica “in particular to the
exploitation of any property, information, or opportunity” della società. Si tratta quindi
del divieto di sfruttare personalmente informazioni, beni sociali, o opportunità
conosciute in ragione della posizione ricoperta all’interno della società. La
norma va oltre chiarendo che non è necessario, affinché si parli di corporate
opportunities, che la società sia effettivamente in grado di sfruttarle: “it is
immaterial whether the company could take advantage of the property, information, or
opportunity”16.
Dunque la section 175 si applica a qualunque ipotesi di conflitto
d'interessi (tranne che al conflitto relativo ad una specifica operazione), anche
se le ipotesi più ricorrenti nella pratica saranno, oltre allo sfruttamento delle
15 Per la nozione di interesse materiale adottata dal Companies Act si rinvia infra.
16 La corporate opportunities doctrine prevista dalla norma riprende la posizione
sostenuta nel Regno Unito dai giudici. In Regal (Hastings) Ltd v Gulliver, (1967) 2 AC
134. Regal, la società in questione, non avendo la disponibilità finanziaria per acquistare
un immobile (mancando circa £3,000), poteva procedere solo se gli amministratori
avessero offerto garanzie personali per la restante parte, cosa che gli stessi si rifiutarono
di fare. Gli altri amministratori finanziarono personalmente le restanti quote, che furono
successivamente rivendute, e gli amministratori riscossero il profitto. È chiaro come la
società non avrebbe potuto sfruttare personalmente l'opportunità, ma la corte lo ha
ritenuto irrilevante. “The rule of equity which insists on those, who by use of a fiduciary
position make a profit, are liable to account for such a profit, in no way depends on
fraud, or adsence of bona fide; or upon such questions as the considerations as wether
the profit would or should otherwise have gone to the plaintiff...”
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corporate opportunities, quelle in cui un amministratore ricopra tale carica in due o
più società17. I primi commentatori hanno esposto il timore che si pongano dei
limiti alla possibilità di ricoprire multiple directorships in quanto la norma non
richiede come presupposto una determinata operazione18. In realtà in entrambi
i casi (sia per sfruttare un'opportunità, sia per espletare la carica di
amministratore in due o più società) l'amministratore è tenuto a rendere noto
tale conflitto d'interessi e ottenere un'autorizzazione da parte del board19; una
volta ottenuta l’autorizzazione potrà sfruttare le corporate opportunities e ricoprire
la carica di amministratore in più società.
Vi è poi un secondo general duty che riguarda il conflitto d’interesse e
che disciplina le self-dealing transactions. La section 177 stabilisce che
l’amministratore portatore di un interesse, personale o per conto di terzi in una
determinata operazione è tenuto a comunicare “the nature and extent of that
interest to the other directors”20. Non è qui necessaria alcuna autorizzazione; questa
previsione rispecchia la prassi ormai consolidatasi nel settore, ritenendo
sufficiente la mera disclosure per garantire la correttezza sostanziale
dell’operazione.
Le modifiche apportate a tale norma, che nella sostanza riprende la
section 317 del Companies Act del 1985, consistono principalmente in
aggiustamenti volti a semplificare l’applicazione della stessa. La section 317 anteriforma faceva riferimento all’obbligo di comunicare indistintamente ogni
interesse: la giurisprudenza era intervenuta per limitare la soglia di rilevanza
dell’interesse e il legislatore ha ripreso questa limitazione. Infatti nonostante il
17 P. L. DAVIES, op. cit., p. 560. L'A. osserva che tale previsione riguarda sia le società in
concorrenza con quella in cui svolge la sua carica l'amministratore, sia società operanti
in settori diversi.
18 LORD GOLDSMITH, Ministerial Statements, cit. rassicura “there is currently no rule
prohibiting directors from holding multiple directorships...but obviously a tension
results...there is no prohibition of a conflict or potential conflict as long as it had been
authorized by the directors in accordance with the requirements set out”
19 Se non si ottiene un'autorizzazione l'amministratore risponderà di un breach of duty,
salvo la ratifica da parte degli azionisti.
20 P. L. DAVIES, op. cit., p. 532, “Section 177 of the Act cuts through that complicated set
of interactions among rules from different sources to impose directly a rule of disclosure
to the board.”
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riferimento all’obbligo di dichiarare ogni interesse, nella subsection 6 si legge che
non sorge l'obbligo di disclosure qualora : (i) gli altri amministratori siano a
conoscenza dell’interesse; (ii) quando sia ragionevole ritenere che l'interesse
non sia idoneo a far sorgere un conflitto; (iii) e quando l'interesse riguardi il
service contract.
Nel primo caso la conoscenza di un interesse è equiparata alla sua
conoscibilità (“the other directors are treated as aware of anything which they ought
reasonably to be aware”). Nel secondo, viene esplicata la nozione di “material
interest” elaborata dalla Law Commission e dalla Scottish Law Commission durante il
procedimento di consultazione. L’intento era quello di porre un qualche limite
all'obbligo di disclosure per i casi in cui l'interesse non avrebbe inciso sulla
delibera21. La regola che viene formulata nel Joint Report esclude la rilevanza
degli interessi marginali, remoti e irrilevanti22, ma non solo; alla subsection 6
infatti si è visto come l'interesse non deve essere dichiarato quando è
ragionevole ritenere che non sia idoneo a far sorgere un conflitto (“if it cannot
reasonably be regarded as likely to give rise to a conflict of interest”). La norma torna
dunque a far riferimento alla necessaria presenza di un potenziale conflitto.
Dunque l’obbligo di disclosure viene meno se l'ipotesi di un conflitto tra
l'interesse dell'amministratore e quello della società è molto poco probabile,
“likely”23.
L'ultimo caso in cui non è necessario adempiere all'obbligo di disclosure
si riferisce al service contract
i cui termini sono già stati o devono essere
considerati dagli amministratori o da un comitato interno per la
remunerazione. Il motivo di questa previsione è intuitivo: l'interesse collegato al
21Introducendo una “limitation of the disclosure obligation” il legislatore inglese fa un
grande passo in avanti, discostandosi dalla regola storica di equity prevista per il
conflitto d'interesse del trustee. La norma sul conflitto d'interesse dell'amministratore
deriva infatti dalla rigidissima regola di equity (e adottata per qualsiasi rapporto
fiduciario). Law Commission & Scottish law commission, Joint Report, cit., p. 88.
22 Law commission & Scottish law commission Joint Report, cit., p. 86 “to confine the
duty of disclosure of interests...would for example exclude theoretical or fanciful risks
or risks that could result in an actual conflict in a very remote contingency”.
23 Un interesse coincidente con quello della società non dovrà, alla luce di questa nozione,
essere dichiarato.
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service contract è così ovvio da rendere la disclosure non necessaria. Questa
limitazione non opera qualora il service contract sia stato (o debba essere)
predisposto dallo stesso board o da parte di esso, e i cui termini siano quindi
dallo
stesso
conosciuti24.
Inoltre
l’amministratore
è
esentato
dalla
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comunicazione quando non sia a conoscenza del proprio interesse .
Nel disciplinare il conflitto d’interessi il legislatore è stato
particolarmente meticoloso e preciso, andando a specificare sia il contenuto
della comunicazione dell’interesse sia le modalità con cui essa deve avvenire.
Per ciò che concerne il contenuto della comunicazione, deve trattarsi di una full
disclosure26: l’amministratore non può limitarsi alla dichiarazione di “essere
interessato” ma dovrà fare riferimento alla natura e alla portata dell’interesse27.
Le modalità sono invece esplicate in maniera molto dettagliata; la dichiarazione
d’interessi può essere fatta sia durante un general meeting sia mediante un avviso
al di fuori dello stesso. L’avviso scritto riceve una particolare disciplina alla
section 184, dove si precisano le modalità con cui questo deve essere redatto, il
contenuto dello stesso, e le modalità con cui deve essere portato a conoscenza
di tutti gli amministratori28. La section 185 regola poi un particolare tipo di
avviso, il general notice. Trattasi di un avviso che non si riferisce ad un’operazione
24 A prima vista può apparire che questa previsione sia irrilevante essendo già coperta
dall'ipotesi in cui gli amministratori siano già a conoscenza dell'interesse. In realtà non è
così, si pensi al caso in cui è previsto un apposito comitato interno per stabilire i termini
del service contract. In tal caso gli amministratori non facenti parte del comitato
potrebbero non conoscere il service contract e la disclosure sarebbe necessaria nei loro
confronti. Così DAVIES P.L., Gower and Davies’ Principles, 2008, cit., p. 535
25 La disclosure non è dovuta però solo se è ragionevole ritenere che l’amministratore non
avrebbe dovuto essere a conoscenza del proprio interesse.
26 Già da tempo la giurisprudenza si era espressa nel senso che la comunicazione deve
essere esaustiva e deve permettere agli amministratori una decisione consapevole. Si
veda Imperial mercantile credit association v. Coleman (1873), www.westlaw.com
27 Inoltre, qualora le informazioni fornite in sede di disclosure diventino “inaccurate or
incomplete” l’amministratore è tenuto a integrarle. Il Law commission & Scottish law
commission, Joint Report, cit., p. 103, chiriscono come una conoscenza piena è
strettamente correlate alla funzione della disclosure stessa: “such information is needed
if the board's consideration of the issue is to be of any value.”
28 In particolare l’avviso deve essere inserito anche nell’ordine del giorno della riunione
seguente, e deve essere menzionato durante la stessa. Questa previsione assolve lo
scopo di accertarsi che tutti gli amministratori siano a conoscenza dell’interesse. Così P.
L. DAVIES, op. cit., p. 536.
10
specifica ma di uno con cui si dichiara preventivamente di avere un interesse in
una “specified body corporate or firm” (sostanzialmente una persona giuridica) o in
una persona fisica. Ogniqualvolta la società entri in affari con tale ente o
persona fisica, l'amministratore sarà considerato come interessato senza che
debba comunicare di volta in volta l'interesse. La predisposizione di una
procedura di disclosure (almeno all'apparenza) semplice e veloce sembra andare
incontro agli amministratori, e ridurre i pericoli che l'obbligo continuo di
comunicare i propri interessi determini l'appesantimento delle delibere
consiliari.
Per completare il quadro si deve dar nota anche della disciplina
specifica prevista in relazione a tre tipologie di transazioni, che presentano
caratteri particolari e obblighi più restrittivi: (i) le substantial property transactions;
(ii) i loans, quasi loans e credit transactions, e (iii) i service contracts. Nonostante
l’evoluzione
generale
del
sistema
abbia
portato
al
superamento
dell’approvazione assembleare per le operazioni in conflitto d’interessi per
queste particolari operazioni il legislatore è andato nel senso opposto29. Il
motivo di tale scelta risiede nel fatto che si tratta di operazioni giudicate come
particolarmente a rischio, dove la trasparenza ottenuta mediante la disclosure può
non essere sufficiente per garantire la correttezza dell’operazione30.
Il primo dei tre casi viene regolato alla section 190 e riguarda le substantial
property transactions. Trattasi di operazioni di acquisto di beni, del valore
superiore a £ 100.000, o pari a un decimo del patrimonio netto della società
(purché non inferiore a £ 5.000), dall’amministratore o della vendita di tali beni
dalla società all’amministratore. Alla persona dell’amministratore sono
equiparate le persone a lui connesse31. Si deve però segnalare che
29 La regolamentazione di questi casi era prevista già nel Companies Act del 1985. Mentre
adesso viene richiesto solamente l’approvazione dell’assemblea per porle in essere,
prima alcune di esse (i loans) erano vietate.
30 P. L. DAVIES, op. cit., p. 541, chiarisce come si tratti di operazioni dove “temptation to
give way to conflicts of interest was high and scrutiny of the terms of the conflicted
transactions by the other members of the board could not be relied upon as effective”.
31 La section 252 provvede ad individuare tutti i soggetti connessi all’amministratore tra
cui, parenti, e “bodies corporate” con cui abbia un legame. P. L. DAVIES, op. cit., p. 545
11
l’amministratore interessato, quando possessore di azioni con diritto di voto
non è tenuto ad astenersi dalla delibera assembleare che decida
l’autorizzazione32.
La seconda tipologia di operazioni comprende i loans, quasi-loans, e credit
transactions, che intervengano tra la società e l’amministratore o un soggetto a
lui connesso. Per l’ampia discrezionalità riconosciuta agli amministratori nel
gestire la società quotidianamente, questi ultimi non avrebbero grandi difficoltà
nell’elargire prestiti, magari con la previsione di interessi irrisori, a se stessi a o
soggetti a se connessi33. Ai prestiti sono equiparati i quasi loans: transazioni da
cui l’amministratore ottiene un beneficio finanziario, senza che però la società
debba anticipatamente versare una somma di denaro34. La previsione che
equipara i loans ai quasi-loans si applica soltanto alle public companies. I credit
transactions sono definibili come operazioni in cui beni, servizi o terreni sono
forniti all’amministratore, lasciando il pagamento in sospeso. Anche qui, come
nei quasi-loans, si tratta di operazioni che non presentano un versamento di
denaro a favore dell’amministratore, ma l’effetto delle stesse è il medesimo.
Sia per i loans, quasi loans, credit transactions che per le substantial property
transactions, tali imposizioni restrittive non si applicano se l’operazione viene
svolta con la società holding, o con una società interamente controllata.
Per ciò che concerne il service contract (il contratto che lega
l’amministratore alla società, stabilendo la sua remunerazione e tutti gli aspetti
finanziari del rapporto), il legislatore non ha ritenuto necessaria una sua
approvazione integrale da parte dell’assemblea. Se al suo interno viene inserita
osserva come per tentare di prevedere qualunque tipo di legame tra l’amministratore e
un terzo la norma risulta particolarmente complessa.
32 D. FRENCH S. MAYSON & C. RYAN, op. cit., p. 481.
33 Come è ben argomentato in P. L. DAVIES, op. cit., p. 550, se un amministratore è in
grado di offrire sufficienti garanzie per il prestito, potrà rivolgersi altrove, e ottenere il
prestito; se non è in grado di offrire tali garanzie “it is undesirable that he should obtain
from the company credit which he would not obtain elsewhere”.
34 P. L. DAVIES, op. cit., p. 551 richiama come esempio il caso in cui l’amministratore
ottenga una carta di credito, e la società sia tenuta a rimborsare tutte le spese. In tal caso
non siamo in presenza di un prestito in senso stretto, in quanto non viene anticipata
alcuna somma di denaro dalla società.
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una clausola, che impedisce alla società di rimuovere l’amministratore per un
periodo pari o superiore a due anni, il service contract deve essere approvato
dall’assemblea35. In violazione di tale section 188, la clausola è nulla e la società
può recedere dal contratto in qualsiasi momento36.
IV. Gli strumenti di enforcement
L’efficacia di una disciplina può essere apprezzata soltanto alla luce
degli strumenti previsti da un ordinamento per garantire l’applicazione della
stessa: dipende dunque dalla tipologia e dal funzionamento dell’apparato
sanzionatorio attuabile in caso di violazione della norma. L'ordinamento
britannico non prevede attualmente rimedi ad hoc per la violazione delle norme
sul conflitto d’interessi. Il Companies Act ha rinunciato a riformare i c.d.
remedies37, e continuano dunque ad applicarsi i remedies previsti dal common law in
caso di breach of duty. L’unica novità in riguardo è la previsione di strumenti
specifici, alle sections 195 e 213, per la violazione dell’obbligo di chiedere
l’autorizzazione dell’assemblea per le substantial property transactions, i loans e le
operazioni ad essi equiparate.
I rimedi previsti dal common law sono principalmente la rescission,
l’equitable compensation e l’accounting for profits, e sono regolati da una serie di
precedenti e pronunce giurisprudenziali. Il primo degli strumenti previsti in
35 Tale previsione è stata criticata in quanto non sufficientemente rigida. P. L. DAVIES, op.
cit., p. 396, osserva come il periodo di due anni sia eccessivamente lungo, specie per le
società aperte. Il Combined Code, paragrafo B.1.6 infatti suggerisce che i termini del
service contract dovrebbero essere di massimo un anno.
36 Vi è un altro caso in cui il service contract deve essere preventivamente approvato
dall’assemblea: quando si preveda al suo interno gratuitous payment for loss of office.
Sostanzialmente si tratta di una somma di denaro che è dovuta all’amministratore
quando viene rimosso all’incarico; lo scopo dell’autorizzazione assembleare è il
medesimo.
37 La riforma dei remedies era stata proposta dal Company Law Steering Reform Group, la
commissione istituita in occasione della riforma. Questa occasione perduta viene
criticata da P. L. DAVIES , op. cit., p. 576, il quale sottolinea in più punti come non sia
agevole stabilire quali rimedi sussistano per le varie ipotesi di violazione; “there are a
number of uncertainties...to clear up these difficulties was the reason the CLR proposed
that the statutory statements of directors' duties should be accompanied by a statutory
code of remedies”.
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caso di violazione di uno degli obblighi degli amministratori, e dunque anche di
quelli preposti alla tutela dell’interesse sociale è la rescission, o la rimozione
dell’atto viziato. Una transazione conclusa in violazione di uno dei directors duties
può essere annullata dalla società38. La rescission prevede l'obbligo per entrambi
le parti della transazione di restituire ciò che è stato trasferito con l'operazione
stessa. Se la restitutio in integrum non è possibile, non si potrà avere
l'annullamento del contratto39. Nel caso in cui siano intervenuti diritti di terzi
l’annullamento del contratto può essere chiesto solo con la prova che il terzo
fosse a conoscenza della violazione, o si fosse rifiutato di ricevere informazioni
circa la violazione stessa40. Non sono richieste altre prove oltre a quella del
breach of duty. Dunque per la violazione delle norme relative al conflitto
d’interesse è sufficiente la prova che (i) l’obbligo di disclosure non sia stato
adempiuto, che non sia stato adempiuto correttamente o che non sia stata
ottenuta (o richiesta) l’autorizzazione per la section 175; oppure (ii) non sia stato
adempiuto l’obbligo di disclosure per ciò che concerne la section 177. Come
anticipato con la riforma del Companies Act, il legislatore ha previsto remedies
specifici soltanto in relazione alle transazioni che hanno per oggetto substantial
properties, loans e simili. Il primo di questi rimedi è la possibilità per la società di
chiedere la rescission del contratto. Si applicano poi tutti i principi del common law,
e dunque l’annullamento sarà concesso solo se è ancora esperibile la restituito e
se non sono interventi diritti di terzi.
Il secondo rimedio esperibile in caso di violazione di uno degli obblighi
dell’amministratore è il risarcimento dei danni, il c.d. equitable compensation. A
differenza degli altri strumenti esperibili, non è qui sufficiente la prova della
38 La regola viene sancita per la prima volta in Aberdeen Rail Co. v. Blaikie Bros. (1854),
1 Macq 46, dove i giudici stabiliscono che “a contract made by the company in which a
director holds a contrary interest will be voidable at the instance of the company”. Lo
stesso viene riaffermanto nel caso Hely-Hutchinson v. Brayhead Ltd, (1968) 1 QB 549.
39 In Hely-Hutchinson v. Brayhead Ltd, si chiarisce che “the right of avoidance will be lost
if such time elapses or such events occur as to prevent rescission of the contract”.
40 In questo caso l’onere della prova dell’assenza di buona fede del terzo grava sulla
società. Si veda D. FRENCH S. MAYSON & C. RYAN, op. cit., p. 486.
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violazione di uno dei directors’ duties41 ma è altresì necessario che si sia verificato
un danno alla società e che questo sia collegato causalmente alla violazione. Per
stabilire la sussistenza del nesso di causalità i giudici usano il c.d. “but for” test42.
Si tratta di verificare se il danno si sarebbe probabilmente verificato anche in
assenza della violazione (“but for the breach, the loss would not have occurred”)43.
Il terzo rimedio previsto dall’ordinamento britannico è completamente
estraneo al nostro ordinamento, e consiste nell’obbligo per l’amministratore di
riversare alla società qualsiasi profitto a lui derivato in seguito ad una violazione
di un fiduciary duty44. L’accounting for profits, (conosciuto come disgorgement of profits
nell’ordinamento statunitense) è un rimedio indipendente e cumulabile con il
compensation45 e con l'annullamento del contratto46. Si tratta di un'azione
particolarmente forte in quanto non sono necessari molti requisiti per esperirla
vittoriosamente. Gli amministratori sono tenuti a riversare i profitti qualora (i)
l'operazione da loro portata a termine fosse stata “related to the affairs of the
41 Per quanto riguarda l’avvenuta violazione della disciplina del conflitto d’interessi, si
rinvia a quanto detto supra per l’annullamento dell’atto.
42 D. FRENCH S. MAYSON & C. RYAN, op. cit., p. 486. Il test viene utilizzato anche in
Target holdings Ltd. v. Redferns. Nel caso, Redferns, uno studio legale, curava gli affari
sia di Target, una società che conferiva prestiti, e anche del soggetto che richiedeva il
prestito. I giudici hanno negato l'equitable compensation sostenendo che in mancanza di
Redferns, l'affare si sarebbe concluso comunque, e Target avrebbe subito lo stesso il
danno. Lo stesso discorso non può essere fatto né per la rescission dell'operazione (che
non era quindi annullabile) né per l'account for profits.
43 Per quanto riguarda il limite alla responsabilità dell’amministratore, alcuni giudici in
passato hanno ritenuto, l'amministratore che avesse violato un fiduciary duty
responsabile non solo per i danni direttamente causati dalla sua violazione, ma anche
per i danni che si sarebbero verificati ugualmente anche senza di essa. Si veda la
decisione presa in Canson Enterprises Ltd. v. Boughton and Co., (1991) 85 DLR (4th)
129. Con la sentenza Target holdings Ltd. v. Redferns, (1995) UKHL 10 si ammette che
“equitable compensation...is designed to achieve exactly what the word suggests: to
make good a loss in fact suffered...and which...can be seen to have been caused by the
breach”.
44 Il rimedio nasce come conseguenza della “no-profit rule” formulata in Parker v.
McKenna, (1874) LR 10 Ch 124, in base alla quale “no agent in the course of his
agency...can be allowed to make any profit without the knowledge and consent of his
principal”
45 Solitamente l'accounting è un rimedio più vantaggioso del compensation in quanto non
è limitato all'entità del danno subito, e il nesso di causalità non è interpretato in senso
restrittivo.
46 Qualora però l'amministratore abbia concluso un contratto con la società, l'accounting
non sarà più esperibile se la società non ha agito in tempo per la rescission, o se ha reso
noto la volontà di non volere l'annullamento della transazione.
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company” al punto che si possa sostenere che sia stata compiuta nel corso del
management e con l'uso di opportunità e conoscenze particolari, possedute in
quanto amministratori; e (ii) dall'operazione sia derivato loro un profitto
personale47. Tra i requisiti non figura il danno subito dalla società, neanche
nell'accezione ampia del mancato profitto. Le Corti hanno chiarito a più riprese
che il profitto non è dovuto alla società come risarcimento ma in quanto “the
company is entitled to call upon the directors to account for it”48. Inoltre l'amministratore
è tenuto a riversare i profitti anche quando è dimostrato che la società non
sarebbe stata in grado di ottenere per se lo stesso profitto se l'amministratore
avesse rispettato i propri duties49.
Formalmente l’ordinamento britannico prevede una serie di remedies che
in astratto paiono idonei a garantire il rispetto della disciplina primaria del
conflitto d’interesse. Nel concreto però questi rimedi sono raramente sfruttati,
determinando carenze in punto di enforcement50. La disciplina dei soggetti
legittimati ad esperire i rimedi è la medesima, indipendentemente dal rimedio
che viene azionato; l’ordinamento individua la società (e dunque il consiglio di
amministrazione) come il soggetto competente a promuovere le varie azioni51.
47 Così i giudici in Regal Hastings v. Gulliver.
48 P. L. DAVIES , Gower and Davies’ Principles, 2008, cit., p. 580.
49 Un primo esempio è già stato fatti nella nota n. 16 in relazione al caso Regal Hasting v.
Gulliver, dove era dimostrato che la società non avesse la possibilità di sottoscrivere
personalmente le quote.
50 Così R. NOLAN, The legal control of directors’ conflict of interest in the United
Kingdom: non-executive directors following the Higgs report, in Theoretical Inquiries
in Law, 2005, p. 6 il quale rileva come gli amministratori non rispettano la disciplina,
sapendo che difficilmente saranno chiamati a pagare le conseguenze delle loro azioni,
“fiduciary obligations are vitally important, but...are very difficult to enforce and are
correspondingly rarely litigated”. Così anche P. L. DAVIES , Gower and Davies’
Principles, 2008, cit., p. 605 “the duties discussed ... are rarely enforced either in actual
litigation or in the threat of it.”
51 Trattasi del “proper claimant principle” formulato nella celebre sentenza Foss vs.
Hartbottle, (1843) 2 Hare 461, in seguito al quale le Corti inglesi hanno costantemente
rifiutato le azioni promosse dai soci, tranne nel caso in cui ricorrano gli estremi per
presentare un derivate claim. Si veda anche D. FRENCH S. MAYSON & C. RYAN, op.
cit., p. 521, per cui secondo la regola at common law i soci non possono agire neanche
quando questi subiscono direttamente una perdita conseguente al danno subito dalla
società (p.e. la perdita di valore delle azioni); “the legal rights of a company belong to
the company as a separate person...a company is the only person able to claim redress
for injury to itself.”
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Il fatto che gli amministratori abbiano il potere di “initiate and control litigation”
crea una grande difficoltà, facendo sorgere, quasi sempre un conflitto
d'interessi all'interno del board52. Infatti gli amministratori che abbiano
(collettivamente) posto in essere una breach of duty si troveranno a dover
valutare se sia conveniente per la società intentare un'azione contro se stessi53.
La possibilità per gli azionisti di proporre un’azione individuale non è del tutto
esclusa nell’ordinamento britannico, e i derivative claims trovano una disciplina
parzialmente modificata nel Companies Act. Nonostante le modifiche apportate
le azioni individuali sono scoraggiate da una normativa molto rigida, complessa
e onerosa per l’azionista, il cui claim deve superare un controllo preliminare
rigoroso volto ad agire da “filtro”54. Non è questa la sede per approfondire le
problematiche pratiche legate agli strumenti di enforcement, ma le presenti
osservazioni sono sufficienti per concludere che si tratta di un sistema
sanzionatorio poco efficace, principalmente per le difficoltà legate alla
52 H. HIRT , The company’s decision to litigate against a its directors: legal strategies to
deal with the board of directors’ conflict of interest, in Journal of Business Law, 2005,
p. 4; e anche P. L. DAVIES , Gower and Davies’ Principles, 2008, cit., p. 606 il quale
osserva come i conflitti d'interessi analizzati in relazione alle sections 175 e 177 “aren't
magically excluded from corporate decision-making on litigation”.
53 È palese come ciò crea un conflitto d'interessi e come, gli amministratori difficilmente
promuoveranno una tale azioni contro loro stessi, o anche solo contro uno o più
amministratori. H. HIRT, op. cit., p. 3, il quale esprime i propri dubbi circa la validità di
tale scelta, “the board as a whole seems to be an unsuitable body to take the litigation
decision...the decision regarding litigation is potentially tainted”. R. NOLAN, op. cit., p.
5, sottolinea come questo rischio si crei non soltanto quando tutti gli amministratori
sono coinvolti nella violazione, ma anche quando lo è uno soltanto. Infatti
“considerations of collegiality and incentives towards mutually supportive behaviour”
difficilmente porteranno un amministratore ad agire nei confronti di un altro. Il rischio
del back-scratching si ripresenta anche in questo contesto.
54 Tali modifiche non sono state accolte in maniera positiva dalla dottrina. R. NOLAN, op.
cit., p. 5 osserva come gli azionisti abbiano pochi o nessun incentivo per promuovere
l'azione, non ottenendo peraltro nessun beneficio in caso di un eventuale successo, e
sono sempre esposti al rischio di doversi assumere i costi della controversia: “it is
simply not worthwhile”. A. REISBERG, Derivative Claims under the Companies Act
2006: Much ado about nothing?, in J. ARMOURS & J. PAYNE, Rationality in Company
law: Essays in honour of D.D. Prentice, Hart Publishing, 2008, p. 28 sostiene che,
l’azionista medio, che agisce in buona fede, dopo aver scorso l’elenco di test che la
propria azione dovrà superare, ancor prima di iniziare il giudizio vero e proprio,
probabilmente vi rinuncerà: “faced with these complexities the average shareholder will
often give up in despair at this early stage”.
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proposizione delle azioni55.
V. Conclusioni
Volendo trarre delle riflessioni circa le modifiche recentemente apportate alla
disciplina del conflitto d’interessi di può dire come essa ruoti attorno al
principio di disclosure, che come anticipato è l’obbligo principale che grava su un
amministratore interessato. La disclosure viene ritenuta sufficiente soltanto però
quando l’amministratore interessato si trovi davanti ad una determinata
transazione. Viene infatti re-introdotta in maniera imperativa una versione
mitigata della no-conflict rule, dove l’autorizzazione può pervenire in linea di
massima dal consiglio di amministrazione e non dall’assemblea. Il legislatore si
preoccupa inoltre di regolare in maniera più meticolosa e dettagliata le
operazioni tipizzate per cui invece tale autorizzazione deve arrivare
necessariamente dall’assemblea. La previsione di un semplice obbligo di
dislcosure per l’interesse in un determinata transazione sembra quasi troppo
poco, se paragonato alle altre ipotesi. Inoltre si deve tener conto del fatto che
sia nella section 175 che nella 177 gli obblighi imposti riguardano soltanto
l’amministratore
interessato:
il
Companies
Act
niente
dice
circa
il
56
comportamento richiesto al resto del consiglio . Rischia così di riproporsi un
55 P. L. DAVIES , op. cit., p. 627, argomenta che il numero di cause intentate prima del 2006
era “sub-optimal”, e che ciò era dovuto principalmente al ruolo del board nel decidere
se promuovere un'azione oppure no. Una ricerca svolta per il Law commission, S.
DEAKIN e A. HUGHES, Directors' duties: Empirical Findings. Report to the law
commission, ESRC Centre for business research, University of Cambridge, 1999, in
ragione della riforma ha riportato come “litigation over the performance of directors
duties is unusual”. Solo il 2% delle società intervistate avevano intentato una causa nei
confronti di un proprio amministratore negli ultimi tre anni. Da ciò si può trarre una
conclusione, o gli amministratore britannici sono particolarmente rispettosi della legge,
oppure i remedies sono difficilmente proposti per i problemi legati alla legittimazione
attiva.
56 È chiaro come il resto del consiglio è tenuto a rispettare tutti i directors’ duties, tra i
quali il duty of care, che impone particolare diligenza e ponderatezza nell’agire. La
presenza di tali doveri generici non sembra però sufficiente a garantire che il resto del
consiglio prenda le precauzioni necessarie in presenza di un amministratore interessato.
Sottolinea come il duty of care è forse, tra i sette general duties, quello più difficile da
far valere in giudizio. Così P. L. DAVIES., op. cit., p. 569.
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problema più volte sottolineato dalla dottrina, quello che il resto del consiglio,
non adotti alcuna misura a fronte della disclosure, in una cultura di “easy conflict
approvals57” dove gli amministratori deliberano il compimento di un operazione
in conflitto con la speranza che l’amministratore interessato ricambi il “favore”
in futuro58. In questa ottica anche la previsione della section 175, che impone
l’obbligo di ottenere l’autorizzazione dal board potrebbe non essere sufficiente a
garantire la correttezza dell’operazione; soprattutto alla luce della mancanza di
un meccanismo idoneo a valutare l’adeguatezza dei motivi che hanno condotto
il board a concedere l’autorizzazione. Infine, per ciò che concerne il profilo
sanzionatorio, il legislatore ha tralasciato l’idea di modificare in maniera
sostanziale la disciplina del conflitto d’interessi in punto di enforcement. Forse,
volendo muovere una critica, e vista l’importanza di tale disciplina, senza la
quale anche la norma migliore non verrà mai rispettata, il legislatore avrebbe
potuto accompagnare ad una disciplina composta principalmente di obblighi,
una disciplina sanzionatoria altrettanto efficace59.
57 Si esprime in questi termini P. L. DAVIES, op. cit., p. 534.
58 A questa problematica si fa riferimento in termini di mutual back-scratching. Cfr L.
ENRIQUES, op. cit. p. 32. Questo problema è stato affrontato anche dalla dottrina del
nostro ordinamento in relazione alla mutata disciplina dell’art. 2391 c.c.; si vedano D.
MAFFEIS, Il nuovo conflitto degli amministratori di società per azioni e società a
responsabilità limitata: (alcune) prime osservazioni, in Riv. dir. priv., 2003, p. 530; C.
MARCHETTI, Il conflitto di interessi degli amministratori di società per azioni: i modelli
di definizione di un problema in un’analisi economica comparata, in Giur. Comm.,
2004, p. 1241
59 Cfr. S. BRUNO, op. cit., p. 156, la quale osserva come l'apparato sanzionatorio
dell’ordinamento britannico resti immutato, e come “l'assetto del regime della
responsabilità civile dell'amministratore…non viene irrigidito e perciò era e rimane
estremamente blando”.
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