Giuseppe Mazzini “dimenticato” nel bicentenario

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Giuseppe Mazzini “dimenticato” nel bicentenario
Giuseppe Mazzini “dimenticato”
nel bicentenario della nascita
di Giuseppe Benelli
BICENTENARIO DELLA NASCITA
Eppure il personaggio continua a sorprenderci!
Sembra che l’intento della storiografia contemporanea
sia di riscrivere la storia italiana dell’Ottocento,
per rivedere i giudizi sul Risorgimento e sui suoi
protagonisti, per celebrare i fasti dell’Italia
degli antichi stati regionali, insomma per rifare
la storia contro i luoghi comuni agiografici che hanno
impedito una visione obiettiva degli avvenimenti.
a provocatoria mostra «Il Risorgimento italiano. Un tempo da riscrivere» del
meeting di Rimini e la santificazione di Pio IX hanno dato vita a una vasta polemica sulla stampa italiana culminata con l’intervento di firme prestigiose
come quelle di Saverio Vertone, Pietro Craveri, Eugenio Scalfari e riproposto la questione del Risorgimento.
Nell’ambito di questo clima culturale, il «revisionismo storico», di cui spesso si parla
con superficialità e pregiudizio, si inserisce come premessa essenziale e ineliminabile
di una seria indagine storica. La validità di tale indirizzo storiografico dipende dal contributo di nuove conoscenze che si offrono agli studiosi, quando si riconosce che la coscienza dello storico ha come linea guida il massimo possibile di obiettività. Che non significa assolutamente sovrapporre una lettura ideologica che impedisca di cogliere le
varie tessere del mosaico del nostro Risorgimento.
Anche la figura di Giuseppe Mazzini e le celebrazioni per il bicentenario della nascita
sembrano risentire del particolare momento culturale. Il 22 giugno 2005, infatti, ricorre il bicentenario della nascita di Mazzini e la figura del patriota, grande per lo straordinario contributo dato all’unificazione italiana, all’integrazione europea e alla fratellanza tra i popoli, è oggi messa in discussione. Sembra che, come hanno sostenuto alcuni intellettuali, Mazzini abbia esaurito per noi la sua funzione di testimone e che,
pur facendo parte della «schiera dei profeti disarmati» (per usare una espressione cara
ad Alfredo Oriani) non sia più in grado di fornire una lezione utile all’uomo contemporaneo1. Mazzini, inteso come «l’uomo senza macchia», rischia di trasformarsi in un apostolo irraggiungibile, in un eroe posto su un piedistallo che lo allontana e lo relega in
un limbo agiografico.
Nel supplemento del «Corriere della Sera», «Io donna», del 21 maggio 2005, lo scrittore Giovanni Mariotti scrive la lettera al direttore Duecento anni dopo Mazzini riesce a
sorprenderci. «Prendiamo Mazzini di cui ricorre il bicentenario dalla nascita. La sua vera grandezza, scrisse Croce, fu “grandezza morale”: mediocre come pensatore, visse da
“apostolo”, ma apostolo di idee accattate qua e là. Da questa ambigua canonizzazione
laica, così come dal pensoso e striminzito pallore del fisico, non è difficile trarre l’impressione che si trattasse di un personaggio sommamente noioso, tanto da prestarsi alla pratica della mummificazione, in effetti tentata sul suo cadavere». Tuttavia, riconosce Mariotti che «la cosiddetta “realtà” fu certamente più complessa». «Per esempio, il
“noioso” Mazzini aveva saputo, in esilio, incantare l’Europa, compresi salotti e relative
padrone. Morì, lui repubblicano, in un’Italia monarchica, clandestino e sotto falso nome, ma nel giro di pochi anni entrò nel pantheon dei Padri della Patria. Era un vinto e
fu promosso a vittorioso. Il suo I doveri dell’uomo entrò nelle scuole come testo di educazione civica, ma purgato di ogni riferimento alla Repubblica»2.
Il Presidente della Repubblica Carlo Azelio Ciampi in più occasioni ha ribadito che il
L
Il trattato più noto fra
gli scritti di Mazzini.
A fronte
Chiavari. Monumento
in bronzo a Giuseppe
Mazzini nella piazza
a lui dedicata.
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Genova, la tomba nel
Cimitero di Staglieno.
Risorgimento «non è qualcosa di lontano, è il nostro recente passato sul quale si è costruita l’unità d’Italia, si è conquistata la libertà dei cittadini italiani»3. Uno dei personaggi della memoria cui Ciampi fa più di frequente riferimento è proprio Giuseppe Mazzini, un genovese che, scrive Giuseppe Marcenaro, «nella propria città è guardato con
affettuosa ironia»4. A Genova nel 2000 Ciampi ha reso omaggio alla tomba di Mazzini,
all’uomo «che ebbe l’intuizione straordinaria dell’unità d’Italia, della libertà del suo popolo, da perseguire insieme con la libertà dei popoli d’Europa». Concetti che ritroviamo nel discorso pronunciato dal Presidente della Repubblica a Torino, il 20 novembre
2001, in occasione del 140° anniversario dell’unità d’Italia. Per Mazzini «la Patria è una
comunione di liberi e d’uguali affratellati in concordia di lavori verso un unico fine. La
Patria non è un aggregato, è un’associazione. Non vi è Patria dove l’uniformità di quel
diritto è violata dall’esistenza di caste, di privilegi, d’ineguaglianze»5.
Nato nel 1805, quando gli ideali di indipendenza e di unità sono condivisi da pochi italiani, Mazzini ha un ruolo fondamentale nel diffondere l’ideale di unità nazionale e contribuire alla sua realizzazione. Riesce a vedere Roma capitale d’Italia nel 1870, un evento che conclude il periodo risorgimentale e la stessa missione politica di Mazzini. Muore diciotto mesi più tardi a Pisa, nel marzo del 1872. La sua delusione per il fatto che
l’Italia si sia unificata come monarchia, invece che come la repubblica dei suoi sogni,
non modifica il dato oggettivo che lo vede tra i «padri della Patria».
Ma qual è il legame tra il Mazzini patriota e il Mazzini rivoluzionario, tra l’educatore e
il cospiratore? La sua rivoluzione non ha confini, si rivolge agli operai, alle donne, ai
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contadini, ai servi e agli schiavi, ma non esclude neppure i benestanti. Fiero di essere
definito patriota, rifiuta l’etichetta di nazionalista perché il nazionalismo implica la
cura esclusiva degli interessi della propria nazione. Quando perde fiducia nella capacità dell’Italia di prendere l’iniziativa, si rivolge altrove, agli Slavi dell’Europa orientale e,
dopo la guerra civile, agli Stati Uniti d’America6.
I biografi spesso ignorano o prestano poca attenzione agli anni di formazione della vita di Mazzini, forse perché sono gli anni meno documentati e più oscuri. Attorno lui
c’è una congiura del silenzio, per celare o tralasciare avvenimenti e caratteristiche che
potrebbero danneggiare la sua «leggenda». Di fatto, la sua reputazione politica richiede
un’immagine priva della maggior parte delle caratteristiche umane, a esclusione di quelle del martire e del profeta. Tuttavia, le sue imprese sono talmente legate al suo carattere che non possono essere comprese pienamente senza considerare l’uomo Mazzini7.
A Genova, più che altrove, la presenza di Mazzini si percepisce non solo nei luoghi dove ha abitato ed è vissuto, ma in quella particolare visione del mondo che continua a
percorrere lo spirito più autentico della città. La si coglie nel tratto di tanti genovesi, i
cui lineamenti richiamano il monumento al Mazzini in piedi sulla colonna che sovrasta piazza Corvetto. La si ritrova in tante case della borghesia che hanno conservato intatta l’austera aura ottocentesca. La s’incontra nel rigore morale di tante persone che
rivendicano i propri ideali e l’assoluta dedizione ai principi. Mazzini è simbolo di purezza di idee, di nobiltà d’animo, di esaltazione patriottica.
La tradizione genovese rappresenta Mazzini come un giovane precocissimo, tanto da far
dire a Giuseppe Patrone, colonnello d’artiglieria e cugino della madre: «Questo caro
fanciullo, creda a me signora cugina, è una stella di prima grandezza, che sorge scintillante di vera luce per essere ammirata un giorno da tutta l’Europa». Un presagio che si
alimenta di dati precisi: Mazzini piccolissimo impara a leggere e a scrivere, a 15 anni è
ammesso all’Università e a 21 scrive il suo primo saggio letterario sull’amor patrio di
Angelo Costa, Il porto
di Genova. Collezioni
d’Arte di Banca Carige.
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Dante. Nell’università di Genova, lo troviamo nella classe tumultuosa degli studenti di legge, che invece delle pandette studiano La divina commedia, imparano a memoria i cori del Manzoni, si dichiarano romantici.
In città s’accende la battaglia tra classici e romantici. Il neonato Indicatore ligure attacca il compassato Giornale ligustico di Padre Spotorno, massimo erudito delle patrie lettere. Anima dell’Indicatore è il poco più che ventenne Giuseppe Mazzini, protagonista di una battaglia letteraria
che nel giro di pochi anni diviene politica, riprendendo
non poco dello spirito giansenista di Degola. Sul giornale
Mazzini e suoi amici cominciano a pubblicare brevi recensioni delle opere di Guizot e di Cousin, allora molto popolari per la loro opposizione alla restaurazione, qualche
cosa di Berchet che allora comincia a scrivere, i romanzi e
le poesie di Manzoni e della sua scuola. Animati dal successo, ingrandiscono gli articoli e suscitano i sospetti della polizia: il giornale viene soppresso. La letteratura, per
Mazzini, è uno strumento di propaganda delle nuove idee,
per preparare la costituzione della «patria una e libera»8.
Quando Mazzini prende la via dell’esilio, già si parla molto in Italia dei libri di Guizot, di Cousin, di Thiers, di
Lamennais e di altri scrittori francesi. Le poesie di Berchet circolano segretamente ed accendono gli animi. In
un suo scritto intitolato Cause che impedirono finora lo
sviluppo della libertà in Italia, Mazzini sostiene che le due
rivoluzioni del 1821 e del '31 sono vergognosamente fallite perché sono state promosse dai liberali della vecchia
generazione. Costoro sono i figli della rivoluzione francese, atei, materialisti, passati per tutti i regimi, di volta
in volta repubblicani, imperialisti, borbonici, abituati ai
compromessi, a navigare secondo il vento, a mutare
se0condo le occasioni. Per questo Mazzini si rivolge ai
giovani e proclama la Giovane Italia, per un’Italia «giovane» rifatta dalla nuova generazione.
Fino al '48 egli ha la parte del profeta, fervente, pieno d’entusiasmo, che infiamma tutti, spinge al martirio, ma da
quella data comincia la sua discesa. Salito al trono Vittorio Emanuele e divenuto imperatore Luigi Napoleone,
in Italia ci si persuade che solo un esercito bene ordinato e l’intervento di uno stato forte possono fare l’unità
della nazione. L’Italia è costituita proprio dai due uomini che Mazzini non vuole: da Napoleone, cui ha giurato
odio dopo che ha abbandonato nel '31 la causa italiana,
e da Cavour, geniale tessitore.
Mazzini crede alla necessità che ad ogni diritto corrisponda un dovere e che nessuno può pretendere alcunché senza prima aver dato generosamente. In questo equilibrio
fra diritti e doveri vede risolte le tensioni sociali, i contrasti delle classi, le divergenze fra le nazioni. Le sue battaglie
contro il socialismo scientifico a Londra, le sue polemiche
con Marx, Engels e Bakunin, sono in larga misura dimen-
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A fronte
Il giovane Mazzini in
un’incisione conservata
presso il Civico Museo
del Risorgimento e
Laura Di Negro,
fervente mazziniana, in
una litografia del 1834.
In questa pagina
Genova, il monumento
marmoreo a Mazzini
che sovrasta piazza
Corvetto a Genova
e un tipico ambiente
ottocentesco in una
piccola tela di anonimo
del XIX secolo
(Collezioni d’Arte
di Banca Carige).
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Lettera autografa
di Giuseppe Mazzini
(Collezione Carige).
Obbligazione emessa
dalla Repubblica
Romana nel 1860
(collezione privata).
A fronte
Maria Drago, madre
di Giuseppe Mazzini,
in una miniatura
conservata presso il
Museo del Risorgimento
(Istituto Mazziniano).
Chiavari: monumento
a Mazzini.
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ticate e la sua grande visione spirituale e volontaristica trova oggi scarsa eco. Ma la sua influenza è stata grande e due aspetti del suo insegnamento hanno lasciato tracce durature
sul temperamento politico italiano: l’idea di Roma come motivo ispiratore della storia italiana e l’insurrezione popolare come mezzo necessario per realizzare l’unità d’Italia9.
Repubblicano, scettico nei confronti della stessa Carboneria come strumento di riscatto del popolo, antimarxista, Mazzini vive perennemente in quella che egli stesso ha definito «la tempesta del dubbio». Costretto a spostarsi continuamente dalla Svizzera alla Francia, a Londra, per sfuggire alle persecuzioni poliziesche, Mazzini è molto attivo
politicamente, ma perseguitato da continui insuccessi. Dopo l’unificazione italiana ha
sempre meno rilievo. La sua idea di nazione non trova il giusto riscontro né tra la maggioranza della popolazione italiana, né tra la nascente borghesia, illusa che solo i Savoia possano garantire progresso e stabilità.
Resta però la grande valenza propositiva del mazzinianesimo come un classico della cultura politica, trasmessoci da un uomo che le biografie non smaccatamente agiografiche ci fanno conoscere. In questo modo possiamo riscoprire l’educatore dei democratici, il costruttore della repubblica basata sui valori, il liberale che guarda alla società, il
socialista che rivolge il fulcro della sua attenzione all’uomo. Certo si tratta di non commettere ancora una volta l’errore di lasciarlo isolato, ritenendo che la vastità del suo pensiero lo renda autosufficiente. Occorre invece metterlo in relazioni con gli altri pensatori europei e, in particolare, con coloro che sono stati capaci di proporre una visione
politica che non ha bisogno di eroi, né di santi, ma di persone che, pur coi loro pregi e
difetti, sanno compiere il loro dovere fuori da ogni logica di sudditanza10.
Note
1
S. Matterelli, Postfazione, in R.
Sarti, Giuseppe Mazzini. La politica come religione civile, Laterza,
Roma-Bari 2000, p.333.
2
G. Mariotti, Duecento anni dopo
Mazzini riesce a sorprenderci, «Io
donna», 21 maggio 2005, p.21.
3
C.A. Ciampi, Premessa, in AA.VV.,
Finestra sul Risorgimento, a cura di
A. Casazza, il Melangolo, Genova
2004, p. 9.
4
G. Marcenaro, Ciampi: siamo finalmente una patria, in AA.VV., Finestra sul Risorgimento, cit., p. 235.
5
C.A. Ciampi, Viaggio in Italia, a
cura dell’Ufficio Stampa della Presidenza della Repubblica, Roma
2003.
6
Cfr. R. Sarti, Giuseppe Mazzini. La
politica come religione civile, Laterza, Bari-Roma 2000 op. cit., p. 3.
7
Ibidem, p. 9.
8
S.Verdino, Genova fra letteratura
e rivoluzione, in AA.VV, Finestra
sul Risorgimento, cit., pp. 48-49.
9
S. Romano, Storia d’Italia dal Risorgimento ai nostri giorni, Milano 2001, pp. 20-21.
10
S. Mattarelli, op.cit., pp. 334-335.
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