Sardinia coast to coast 1971. L`ultimo sogno beat

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Sardinia coast to coast 1971. L`ultimo sogno beat
PIER LUIGI CHERCHI
Sardinia coast to coast 1971.
L’ultimo sogno beat
Agosto 1971: quattro ragazzi innamorati dei Beatles in viaggio sulla costa orientale
della Sardegna alla ricerca di una ragazza misteriosa, tra musica, amore e libertà
Intervista di GIAMBERNARDO PIRODDI
e
des
Editrice Democratica Sarda
Le foto originali del viaggio riprodotte in quest’opera
sono state eseguite con una Comet Bencini
degli anni Cinquanta, e perciò di non buona qualità.
Si è deciso comunque di pubblicarle
per il loro significato
e la considerevole validità documentale
© EDES - Editrice Democratica Sarda
Sede legale, Piazzale Segni 1, Sassari
Sede operativa, Zona Industriale Predda Niedda Sud strada 10
Tel. 079 262236
ISBN 978-88-6025-326-2
Stampato dalla tipografia:
TAS - Tipografi Associati Sassari
Zona Industriale Predda Niedda Sud strada 10
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07100 Sassari
Finito di stampare nel 2014
A Corrado e Andrea,
indimenticati colleghi e amici
di una Roma che non c’è più
INDICE
Introduzione di Eugenia Tognotti
Intervista di Giambernardo Piroddi
Pag.
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Agosto 1971: Le notti a La Maddalena
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Prima tappa: Porto Rafael
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Baja Sardinia e la lunga notte del Ritual
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Due caffè a Porto Cervo
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Verso Posada
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Le spiagge della Baronia
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Memoria storica: da “La società del malessere”,
di Giuseppe Fiori (1969) “I banditi del sabato”
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Verso Dorgali
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Memoria storica: da “La società del malessere”,
di Giuseppe Fiori (1969) “Morte di un bandito”
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Un bagno a Cala Luna
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Dal mare alla montagna
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Il fuoco sul costone di Lotzorai
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Ultima tappa: Porto Corallo e Claudia
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Ritorno a Posada
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Ritorno triste a La Maddalena
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Verso la fine
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INTRODUZIONE
Nel caldissimo agosto del 1971 quattro ragazzi – innamorati della musica,
del mondo, della vita – caricano tende, bagagli, chitarre, macchina fotografica Comet Bencini su una Fiat 500, la mitica auto di estati perdute
con il tettuccio aperto e il vento tra i capelli.
Partono, dalla Gallura, per un viaggio on the road sulla costa orientale
della Sardegna, alla ricerca di una ragazza con cui la voce narrante –
Pigi, studente di Medicina – ha avuto una brevissima, ma intensa storia
durante la prima parte della vacanza a La Maddalena. Vanno all’avventura
perché di quella ragazza sanno solo il nome – Claudia – e il luogo in cui
sta, Porto Corallo, a nord di Costa Rei, nella costa sud-orientale della
Sardegna, affacciata su panorami mozzafiato e straordinari paesaggi .
Si tratta di un viaggio vero – lungo i tornanti della SS 125, ma, in
qualche modo, metaforico – al di là delle stesse intenzioni dell’autore Pier
Luigi Cherchi, docente universitario, direttore della Scuola di Specializzazione in Ginecologia e Ostetricia dell’Università di Sassari, e, in anni
ormai lontanissimi, chitarra e voce solista, nei travolgenti anni ’60, degli
Undergrounds. Un viaggio come percorso mentale sulle orme del disco
dei New Trolls “Senza orario, senza bandiera” dove i brani hanno un filo
conduttore: la visione del mondo agli occhi di un poeta come nel brano
“Ho veduto” (Ho veduto nascere il sole nei ghiacci di Thule / Ho veduto i
riflessi dorati delle moschee / Le ombre adulte della Guascogna / Gli
squali bianchi… i tucul, le case dei ricchi… ed ho pianto).
È il racconto di quel viaggio quest’ultimo libro del collega e amico PierLuigi Cherchi, “Sardinia Coast to Coast 1971: L’ultimo sogno Beat”, che
continua nel percorso che aveva cominciato nel suo primo libro, “Sassari
beat”, ovvero “C’era un ragazzo che come me amava…”. L’estate, cominciata con le vacanze tra le rocce della Gallura, nell’incanto del mare di La
Maddalena sta per finire. Ma è anche la fine di un’epoca, quella del beat
che stava lasciando spazio ai cantautori e al progressive italiano, i cui
protagonisti provenivano dalla densissima rete dei vecchi complessi beat
che Pigi evoca nel libro, con titoli di canzoni-nostalgia, da Mina a Lucio
Battisti a De Andrè, che tutti/e abbiamo cantato in lontane notti d’estate,
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PIER LUIGI CHERCHI
in cui c’era posto per musica e parole e il canto delle cicale, ora sopraffatto
da un uragano di decibel provenienti da discoteche, locali all’aperto, movida.
Sfiorato soltanto, nei discorsi dei più politicizzati del gruppo, si affacciano
l’autunno caldo, la protesta studentesca, le manifestazioni di piazza di
quegli anni.
Il viaggio dei quattro amici è segnato dalle canzoni che hanno caratterizzato un’epoca e dalle indimenticabili colonne sonore di vecchi e nuovi
miti, di vecchie e nuove passioni: dai Beatles ai Black Sabbath, uno dei
primi gruppi musicale heavy metal britannico, nato un paio d’anni prima,
ma già lanciatissimo in quei primissimi anni Settanta. C’è posto per la nostalgia di Pigi per certe canzoni dei Califfi, come Così ti amo , cover di To
Love Somebody dei Bee Gees (Quando il sole sorge su dal mare splende
su di noi, ed io ti stringo a me così ti amo, così ti amo. Nel silenzio sento
il tuo respiro confuso con il mio, e credo di sognare così ti amo, così ti
amo…) e per la musica che aveva segnato indelebilmente la generazione
Beat.
Il viaggio – a ritmo di musica e notti sotto le stelle, a cantare alla luna –
tocca i paradisi vip della Costa Smeralda e i templi del divertimento notturno come il famoso Ritual, un castello sulla montagna, interamente scavato nella roccia. Si snoda in Ogliastra e in Barbagia, nelle aree dell’industrializzazione fallita, e sfiora le enclaves delle servitù militari, chiuse da
filo spinato. Orosei, Dorgali, Baunei, Lotzorai, Tortolì, fino alla meta finale,
Porto Corallo. Una Sardegna precaria e poetica, bella e perduta.
Il finale è quello che ci si attende dall’inizio del racconto. La ragazza
inseguita, Claudia, fortunosamente ritrovata nel piccolo villaggio turistico,
uscirà di scena alla fine di quel viaggio nell’epopea Beat, nella musica e
nella giovinezza. La sola che ci concede la spensierata sensazione di
poter durare in eterno.
Eugenia Tognotti
INTERVISTA ALL’AUTORE
«I Black Sabbath ci indicheranno la strada… Come, come, come to the
sabba, come to the sabba, Satan is where…». ‘Speriamo bene’ dissi ad
alta voce, mentre prendevo posto sul sellino della vespa».
Non poteva che rispondere così un giovane studente sassarese all’epoca
nemmeno ventenne, Pierluigi Cherchi, beatlesiano per vocazione (e quasi
per intima scelta sacerdotal-musicale), all’amico fiorentino Marco, conosciuto da pochi giorni, compagno di un irripetibile viaggio coast to coast
in un’isola, la Sardegna, che l’autore non esita a definire «povera e poetica, fiabesca e selvaggia». Nonostante gli abissi musicali che li separavano («la mia impostazione è sempre primo-beat , gli eccessi
dell’hard-rock non è che mi siano piaciuti molto… troppo casino», sintetizzava al rivale blacksabbathiano in quella estate da ‘ultimo sogno beat’
Cherchi, viceversa adoratore mai pentito del quartetto di Liverpool).
Non ci sarebbe dunque bisogno di citare all’occasione il sempre utile
Vladimir Propp per affermare un’ovvietà, ovverossia che il racconto di
viaggio come metafora di un percorso di ricerca interiore ha origini antiche;
né sarebbe in verità necessario scomodare scrittori e poeti di tutti i tempi
per appurare i perché ed i per-come il travel book sarebbe divenuto un
vero e proprio genere letterario; viaggio come ingrediente indispensabile
alla messa in moto del meccanismo narrativo proprio del Bildungsroman,
il ‘romanzo di formazione. Ora, L’ultimo sogno beat di Pierluigi Cherchi
non è certamente un romanzo di formazione ma è senz’altro il racconto –
puntuale, cronachistico per molti aspetti – di un viaggio estivo in un’isola
meravigliosa (coraggiosamente) fatto da alcuni giovani in un’età della vita
indubbiamente ‘di formazione’: quella che vieni dopo i diciott’anni, quando,
per dirla con lo stesso autore, «ascoltavamo le note di quei pezzi indimenticabili, canticchiandole e ripensando a quell’estate che forse sarebbe
stata l’ultima della nostra adolescenza, con gli impegni dell’Università, la
fine del nostro ‘tempo delle mele’, il salto verso una vita ‘da grandi’, troppo
difficile da accettare e realizzare».
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PIER LUIGI CHERCHI
Il viaggio, reale o metaforico, per la vostra generazione cosa rappresentava (o ha rappresentato)?
Per noi, che all’epoca, nel 1971, eravamo ventenni, il viaggio, tanto più
con la chitarra sempre in macchina, non rappresentava affatto qualcosa
di eccezionale: era la normalità. La nostra storia era fatta, a sua volta, di
storie. Storie di viaggi ed incontri.
Nostra di chi?
Di quella generazione inquieta ed indubbiamente un po’ maudit che fu
protagonista degli anni Settanta. La storia che racconto in questo libro,
come del resto molte altre di altrettanti autori che narrano quegli anni, è
da inserire nel contesto culturale di quel periodo; né possono mancare i
riferimenti – molti anche scontati, forse, ed ovvi – a rappresentazioni più
o meno contemporanee del viaggio come grande Leitmotiv declinato in
forma letteraria, musicale o cinematografica.
Un esempio?
Beh, dovendo scegliere in mezzo al mare magnum della letteratura e filmografia di viaggio giovanile credo che la punta dell’iceberg sia rappresentata dall’immortale Kerouac di On the road e nondimeno – per molti
versi – dall’Hopper di Easy rider.
A suo avviso opere che hanno esercitato un’innegabile influenza sulla generazione degli anni Settanta?
Senza dubbio: imprescindibili nel contribuire a costruire il mito dell’andare,
senza una meta precisa ma comunque andare, ad ogni costo, alla ricerca
di nuove esperienze.
Un po’ l’Are you experienced? profetizzato da Jimi Hendrix: «Ci terremo
per mano e guarderemo l’alba».
Ma anche, specie per ciò che concerne i testi, Jim Morrison e tutti i grandi
poeti del rock.
Restringendo il campo d’osservazione, la metafora del viaggio nell’universo beat che connotati assume?
Direi che il viaggio – metafora quanto mai caleidoscopica e multiforme –
SARDINIA COAST TO COAST 1971. L’ULTIMO SOGNO BEAT
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appartiene ad una categoria di significati che ha al suo interno caratteristiche diverse, quando non antitetiche; per cui era naturale, specie in quegli anni ‘caldi’, che i contrasti fossero enfatizzati in particolar modo,
estremizzati, ovviamente anche politicizzati: fu infatti un viaggio, o meglio
una parabola, quella del movimento beat stesso, nato a sinistra e poi per
gradi spostatosi ideologicamente a destra.
Dovendo dunque fare una sintesi da manuale di filosofia beat?
Direi ancora una volta una sintesi duplice, a due facce: da un lato, il viaggio veniva visto come fuga dalla realtà e disimpegno, dall’altro era il modo,
autentico e concreto, per raggiungere l’agognata indipendenza e una
nuova consapevolezza.
Indipendenza, nel caso dell’autore, raggiunta anche pagando lo scotto di
mangiare ogni giorno pane e mortadella per ristrettezze finanziarie da matricola universitaria: anche questo faceva parte del significato intrinseco,
per l’epoca, della parola ‘viaggio’. Oggi fra i suoi studenti all’Università intravede giovani disposti a rinunciare alla ricarica del telefonino per fare
cassa in vista di un ‘viaggio di formazione’?
Ma quando mai. Del resto per la nostra generazione l’esser senza soldi
era una costante… così come costante era quella buona – e per molti
versi anche sana – dose di incoscienza che ci vuole a fare il viaggio che
ho raccontato nel libro, stipati in una Cinquecento dove c’era a malapena
posto per noi e di straforo per una chitarra.
Ultimo sogno beat, perché un titolo così amaramente amarcord?
Perché quel viaggio segnò, nella mia ‘formazione’ appunto, effettivamente
la fine di un sogno. Sogno di un mondo che poteva e doveva essere diverso. Avevo diciannove anni.
C’è dunque un sentimento, uno spleen romantico che l’ha convinta e guidata nello scrivere questo volume?
Indubbiamente parto dalla nostalgia, reale e concreta ancor oggi, di un
‘tempo perduto’ che se non altro, grazie alla scrittura e dunque allo scavo
nel mio vissuto ed in quello di chi come me all’epoca dei fatti raccontati era
un ragazzo, riesco a recuperare e far rivivere nella dimensione del ricordo.
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PIER LUIGI CHERCHI
Con i suoi compagni di viaggio di allora è rimasto in contatto?
Beh, l’era di Facebook è cominciata purtroppo molto più tardi… Dei ragazzi romani di cui parlo nel libro, Patrizia e Fulvio, non ho mai più avuto
notizia da allora… Con il mio amico fiorentino on the road, Marco, avevo
cercato di rimanere in contatto; ero anche andato a trovarlo a Firenze tra
mille peripezie, poi più niente. Saranno oltre trent’anni che non lo vedo e
non lo sento.
All’epoca non c’era Facebook ma se non altro grazie agli scatti della
Comet Bencini gli sforzi della memoria hanno potuto trovare un puntuale
riscontro.
Infatti la mia intenzione in partenza era appunto questa: scrivere un racconto scandito da quello che poteva essere un ‘album delle facce’ ante
litteram. La scrittura viene dunque sostanzialmente dopo o se vogliamo
all’unisono con le immagini di cui in buona sostanza non ho fatto altro che
seguire la scansione cronologica.
Com’era la Sardegna di allora agli occhi di un sognatore beat?
Come sempre una Sardegna di antinomie e di ossimori, un’isola povera
quanto poetica e fiabesca, selvaggia quanto fascinosa, con scenari e paesaggi spesso da ‘Ok Corral’ in cui l’insegna in legno di un bar sperduto
ed isolato era dipinta a mano con una pennellessa, di contro allo sfarzo,
per quanto aurorale, di una Costa Smeralda che allora stava emettendo
i suoi primi vagiti i quali non potevano che attirare l’attenzione del patinato
mondo del jet-set.
E della misteriosa ragazza all’origine del viaggio, di cui si legge «sì, è
un’idea fissa… abbiamo avuto una storia di una settimana mentre lei era
in vacanza ai primi di agosto, e poi è andata via… Di lei so solo il nome,
Claudia… a questo punto non so neanche se sia il vero nome…», siamo
riusciti a sapere qualcosa?
Facebook è arrivato troppo tardi.
Un fan-storico dei Beatles qual è l’autore non avrà di certo trascurato,
come fonte di ispirazione, i viaggi del quartetto nel cuore dell’India, alla ricerca di una nuova spiritualità.
PRENDI LA CHITARRA E VAI - KOMMAEA
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Appunto, fu una ‘moda’ inaugurata dai Beatles, in special modo dal grande
George Harrison, interprete di musica tradizionale indiana, con grande
risonanza mediatica e ovviamente innumerevoli tentativi d’imitazione.
Sin dalle prime righe la sua rievocazione appare un viaggio con colonna
sonora: quale?
Direi tutte Abbey Road e Here comes the sun. Ovviamente dei Beatles.
Giambernardo Piroddi
AGOSTO 1971: LE NOTTI A LA MADDALENA
“Come, come, come to the sabba, come to the sabba… Satan is
where… Come, come, come to the sabba, come to the sabba… Satan is
where…“ cantava a squarciagola Marco mentre guidava la sua Vespa 50
direzione Villaggio Piras, nascente centro residenziale dell’isola de La
Maddalena, dove la notte si ballava e soprattutto non era necessario pagare per l’ingresso, neanche la consumazione. Io stavo seduto nel sellino
posteriore ascoltando in una specie di concerto dal vivo tutto l’LP dei
Black Sabbath, “Paranoid”, che Marco conosceva a memoria, comprese
le sfisature di chitarra, che riusciva a rendere credibili con la sua bella
voce.
Dei campeggiatori improvvisati che nell’agosto del 1971 avevano messo
le tende tra gli scogli de La Ricciolina, splendido gioiello turchese di
un’isola ancora incontaminata e selvaggia, solo io e Marco avevamo
deciso di compiere quel tour notturno, mentre gli altri erano rimasti a
chiacchierare e a suonare la chitarra davanti alle tende. Io, come al solito
mi ero fatto prendere dalla sindrome de “Il sorpasso”, il film di Dino Risi,
in cui recitavo come sempre la parte di Jean Louis Trintignant, affascinato
dalla prorompente vitalità di Marco, un ragazzo fiorentino che avevo conosciuto solo quindici giorni prima, a suo agio nella parte di Vittorio Gassmann, alto, aitante, estroverso e brillante, sempre col sorriso sulle labbra.
Questa situazione esistenziale mi sarebbe capitata più volte nella vita,
quasi per un’attrazione spontanea tra due persone completamente diverse,
forse agli antipodi, che si compendiavano e si completavano nel migliore
dei modi.
Arrivammo verso mezzanotte al Villaggio Piras, un enorme cantiere in
costruzione, con una miriade di villette e case sparse, e solo una grande
insegna di legno, arcuata, all’ingresso, che indicava il nome del borgo residenziale, che negli anni sarebbe diventato un centro esclusivo “per
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PIER LUIGI CHERCHI
ricchi”, con un porticciolo privato dove attraccare le grosse barche che
già da allora iniziavano a comparire. Trovammo facilmente il grande gazebo
che ci era stato indicato, unico punto riservato alla “dance”, dove una ragazza tedesca metteva musica infilando in un mangiadischi i 45 giri più
recenti della musica italiana e internazionale. In un angolo un grande
tavolo dove era a disposizione una ottima sangria, assolutamente gratis,
riservata ai presenti. Iniziammo a scaldarci con il coctayl a bordo pista,
incontrando dei ragazzi sassaresi che avevano preso in affitto una casa
nel paese. La musica era coinvolgente, concentrata soprattutto sui “lenti”,
che in quegli anni la facevano da padrone, con pezzi come “Amor mio”, la
canzone di Lucio Battisti interpretata da Mina, “Amore caro, amore bello”,
“Tanta voglia di lei”, fino alla mitica “A whiter shade of pale” dei Procol
Harum. Affascinato dalle note, pur un po’ gracchianti, del pop-sinfonico
del gruppo inglese, uno dei ragazzi sassaresi, tale Boatto, si avvicinò alla
ragazza tedesca che fungeva da improvvisato disk-jokey, invitandola a
ballare. Per tutta risposta ricevette una sequela di insulti e parolacce in
lingua tedesca, che costrinsero l’amico a ripiegare con la coda fra le
gambe, tra le risate divertite degli altri sassaresi presenti. Dopo un po’ ci
accorgemmo che la ragazza in questione in realtà appariva più interessata
a delle altre ragazze che erano presenti nel gazebo, con cui sorrideva e
scambiava solo accennate effusioni, facendoci capire che aveva superato
il guado ed era passata all’altra sponda.
La nottata trascorse comunque in allegria, al ritmo degli shake di quegli
SARDINIA COAST TO COAST 1971. L’ULTIMO SOGNO BEAT
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anni come “In the summertime”, “All right now” dei Free, “Proud Mary” dei
Creedence, “Venus” e “Black is black”, riesumate per l’occasione, e soprattutto al ritmo della favolosa sangria, che Marco, incurante del fatto
che dovesse guidare la vespa al ritorno, continuava a mandar giù, con
un’allegria ed un’esuberanza sempre crescente. Fortunatamente non tutte
le ragazze erano sulla sponda della tedesca, per cui riuscimmo a ballare
e a stabilire qualche timido tentativo di socializzazione, peraltro abortito
miseramente alla fine della serata, dove fummo scaricati senza neanche
una speranza di incontri futuri.
“Beh… non è andata male” disse Marco con una voce meno cristallina
del solito, “qualche sera ci ritorniamo…”. “Ma te la senti di guidare?”
chiesi un po’ preoccupato visto lo stato di ebbrezza alcoolica del mio
amico fiorentino. “Ma certo… i Black Sabbath ci indicheranno la strada…
Come, come, come to the sabba, come to the sabba, Satan is where…”
“Speriamo bene” dissi ad alta voce, mentre prendevo posto sul sellino
della vespa. Ma le cose da subito non sembravano prendere il verso
giusto, con sbandate ripetute della moto accompagnate dai versi di Paranoid e da suoni di distorsore che sembravano proprio la rappresentazione
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PIER LUIGI CHERCHI
fonica di quello stato di
ebbrezza alcoolica che
ad un certo punto sembrò coinvolgere anche
me, tanto da ritrovarmi
a cantare quei versi di
Paranoid, accompagnando ogni sbandata
con una risata esagerata in quella torrida
notte di agosto maddalenina.
Arrivati in prossimità
La Comet Bencini degli anni 50 con cui sono state
del campo, in una curva scattate le foto originali del viaggio
particolarmente stretta,
tra una Paranoid e l’altra, Marco perse il controllo della moto e finimmo in
un fossato, senza nessuna conseguenza se non per qualche ammaccatura
della Vespa, che non voleva saperne di rimettersi in moto. “Va bè, la spingiamo fino alle tende… siamo quasi arrivati… domani poi si vedrà”, disse
Marco comunque col sorriso sulle labbra, nonostante l’ultima disavventura.
Posteggiata la moto andammo a dormire: io nella tenda grande che dividevo con i miei amici Agostino e Geppo, e Marco in una piccolissima canadese dove si era sistemato col suo amico Sandro.
La sangria continuò il suo effetto anche durante la notte, immergendoci
in un sonno profondo. All’alba fummo svegliati dalle voci dei campeggiatori
vicini, che, viste le condizioni della Vespa, avevano temuto per la nostra
incolumità. “Pigi… Marco… cosa è successo? State bene?”. A quei richiami uscimmo all’unisono dalle tende rassicurando gli amici, che, al
racconto della serata, finirono per farsi delle grandi risate. “Ma voi siete
pazzi… avete rischiato grosso”, disse Patrizia, una ragazza romana in
viaggio col suo fidanzato, Fulvio, ambedue dotati di splendide voci che si
inserivano alla perfezione nell’ensemble vocale che avevamo creato io e
Marco accompagnati dalla mia chitarra.
“Bè… adesso aspettiamo qualche giorno prima di tornare al Villaggio
Piras”, dissi con voce pacata, “Marco deve sistemare la moto…”. Risolto
il problema della Vespa, che probabilmente era solo ingolfata, la giornata
SARDINIA COAST TO COAST 1971. L’ULTIMO SOGNO BEAT
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Gli scogli de La Ricciolina
trascorse tranquilla, tra tuffi in quelle acque cristalline di un verde straordinario, pranzo con la solita scatoletta di tonno, un pacco di crackers e cipolline, battute, risate e progetti per il periodo che restava di quelle vacanze. Oltre a Patrizia e Fulvio era presente un altro gruppo di ragazzi
romani, tutti più grandi di noi, tra i 25 e i 30 anni, che dovevano raggiungere
il nucleo centrale di amici della capitale che avevano affittato una grande
casa a Posada, sulla Costa orientale.
“Tra un paio di giorni noi partiamo per Posada”, ci disse Patrizia, che
mostrava una certa simpatia, ampiamente ricambiata, per Marco, “Le
cantate sulla spiaggia purtroppo finiranno… ma perché non venite anche
voi a Posada? C’è un grande camping dove potreste alloggiare per qualche giorno… così stiamo ancora un po’ insieme e potremmo cantare per
i nostri amici…”. “Ma, si può vedere, non sarebbe una cattiva idea” rispose
Marco attendendo una mia risposta, in realtà col preciso scopo di stare
ancora vicino a Patrizia. “Io avrei un’altra idea…” dissi istintivamente,
“adesso ne parliamo con Marco, poi vi facciamo sapere… è un progetto
che potrebbe andar bene anche a voi..”. I romani mi guardarono incuriositi,
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PIER LUIGI CHERCHI
mentre con Marco ci allontanavamo verso gli scogli. “Ma è per
la storia di quella ragazza? Vuoi
veramente andare a cercarla?”
disse Marco aspettando una
mia risposta. “Sì, è un’idea
fissa… abbiamo avuto una storia di una settimana mentre lei
era in vacanza ai primi di agosto, e poi è andata via… Di lei
so solo il nome, Claudia… a
questo punto non so neanche
se sia il vero nome… e che
abita a Porto Corallo, una piccola frazione sul mare dove finisce la costa orientale, verso
Cagliari”. “E tu vorresti trascinarci in questo viaggio sulla costa orientale per cercare questa Con Geppo, Patrizia, Fulvio e gli altri ragazzi
romani a La Ricciolina (La Maddalena)
ragazza misteriosa? Ma chi è,
Brigitte Bardot?” continuò Marco, in realtà molto interessato
al progetto.
“Ma guarda, con la mia 500
potremmo starci in quattro, io
tu Fulvio e Patrizia… ci portiamo due piccole canadesi,
per fermarci la notte da qualche parte… Sandro potrebbe
andare a dormire con Agostino e Geppo finchè non torniamo…
facciamo
tutta
l’Orien
t ale sarda e arriviamo
giù a Porto Corallo. Poi, se
questa Claudia non si trova,
Brigitte Bardot nel 1971 sulla prima bici eletsarà stata comunque una
trica
SARDINIA COAST TO COAST 1971. L’ULTIMO SOGNO BEAT
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Con Agostino sul forte Tejalone (Caprera)
bella avventura.” In breve comunicammo ai due romani, senza far cenno
della ragazza misteriosa, la proposta, che fu accolta in maniera entusiastica, “Per noi va benissimo”, disse Patrizia, “voi venite a prenderci a Posada, dormite la notte lì, e l’indomani mattina si parte, però con vero
spirito “on the road”… niente ristoranti, niente alberghi, solo spiritualità e
vita all’aria aperta… io ho visto la cartina, dobbiamo fare tutta l’orientale
sarda seguendo tutta la litoranea… però ci sono dei passi anche abbastanza alti, speriamo che la tua 500 ce la faccia ad arrivare fin su… poi
si potrebbe proseguire oltre Porto Corallo ed arrivare a Costa Rey e Villasimius, l’estremo limite della Costa orientale… se ci riusciamo senza
tornare indietro potremo dire di aver dato un senso a questo viaggio
coast to coast”.
“Ma quali ristoranti, quali alberghi” pensai, “non abbiamo neanche
occhi per piangere… poi se questi romani sono accampati su una spiaggia
come noi non penso che abbiamo tutti questi soldi da spendere… sarà
un on the road obbligato, te lo dico io…”.
Al pomeriggio tutto l’accampamento sapeva del viaggio sulla costa
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PIER LUIGI CHERCHI
orientale, ed ognuno si sentiva in dovere di intervenire
“Ma che c’andate a fare?”
disse Agostino.
“E’ tutto tempo perso…
strade dimenticate da Dio,
gente pericolosa, rischi a
non finire…”. “Se si ferma
la macchina non trovate
nessuno che vi aiuti… lì
passa una macchina ogni
due giorni, al massimo trovate qualche cinghiale…”,
rincarò la dose Geppo,
mentre un ragazzo nuorese
anche lui studente in Medicina, Battore, trasformato
elegantemente in Battor,
campeggiato vicino alla nostra tenda, si dimostrò mol- Con Patrizia sugli scogli de La Ricciolina (La Maddalena)
to favorevole al viaggio, che
interessava giocoforza anche il suo paese, Dorgali. “Quando passate a Dorgali io sarò già lì…
venite a cercarmi e vi porto a mangiare nell’ovile di un mio cugino, porcetti
arrosto, salsiccia, pane carrasau, formaggio… vi faccio fare anche la pecora bollita, una vera primizia”.
I giorni successivi passarono velocemente, con l’entusiasmo sempre
più crescente per questa avventura; la sera si scendeva in paese e, passeggiando, da Piazza Comando si finiva a bivaccare nei bar della Piazzetta
Rossa, vero punto di ritrovo delle serate maddalenine. Lì si poteva trovare
di tutto: signore in pareo che discutevano sulla organizzazione della nottata, cazzari che raccontavano ad alta voce le loro improbabili vicende
erotiche con le turiste appena sbarcate, marinai italiani, soldati americani
di colore che erano di servizio nelle basi di Santo Stefano, che, secondo
la vulgata cittadina, erano zeppe di sommergibili atomici, gente comune
che passava e faceva il giro dei negozi, ancora aperti fino a tarda ora.
Al mattino si andava a fare colazione tutti i giorni da “Gargiulo”, un
SARDINIA COAST TO COAST 1971. L’ULTIMO SOGNO BEAT
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grande bar con i tavolini
all’aperto, sempre affollato di gente di ogni
sorta. L’ultimo giorno,
prim a della nostra partenza, al termine della
colazione, a qualcuno
venne in mente di fare il
classico scherzo napoletano, “Ma siete pazzi?”
disse subito Sandro a
bassa voce, “Ma che gli
cambia… per una volta… poi andiamo via”
disse Agostino mentre
tutti gli altri guardavano
dubbiosi verso l’ingresso
del bar. Comunque, dopo tanti tentennamenti,
Con Agostino a La Ricciolina (La Maddalena)
iniziammo a sparire alla
spicciolata, per non dare
nell’occhio; l’ultimo fui proprio io, con fare indifferente a girare l’angolo e a
riunirmi al gruppo davanti al porto, mentre da un altoparlante arrivavano
le note di “Have you ever seen the rain” dei Creedence. “Bene… la prova
di forza l’abbiamo fatta”, dissi, “ora è meglio sparire per davvero prima
che Gargiulo mandi i suoi scagnozzi”.
Tutti i romani erano pronti per la partenza, compresi Patrizia e Fulvio,
che ci salutarono dando appuntamento a me e Marco a Posada per
iniziare l’avventura coast to coast. Una parte dei nostri bagagli e la Vespa
di Marco sarebbero rimasti con Agostino, Geppo e Sandro, destinati ad
aspettarci fino al ritorno dalla nostra avventura.
PRIMA TAPPA: PORTO RAFAEL
Alle 11 io e Marco eravamo in fila al porto aspettando l’imbarco; la mia
500 era già carica, con la canadese del mio amico e una parte dei nostri
bagagli compresa la mia inseparabile chitarra Eko. “Ma ci sarà spazio per
Fulvio e Patrizia, con la loro tenda e i bagagli?” dissi un po’ preoccupato.
“Tranquillo” rispose Marco “non c’è problema… al massimo Patrizia la
prendo in grembo io…”. “Non farmi fare figure di merda con Fulvio” dissi
temendo l’esuberanza del mio amico fiorentino, “cerchiamo di passare
delle belle giornate senza creare casini…”. Eravamo alle soglie del Ferragosto e il numero di macchine che ci precedeva sembrava aumentare
anziché diminuire; per passare il tempo io presi la chitarra e con Marco
iniziammo a stralciare tutto il repertorio di Simon e Garfunkel, con le
nostre voci che bene si affiatavano in quelle esecuzioni, con “The sound
of silence” (conosciuta in italiano come “La tua immagine”), “Missis Robinson” e la bellissima “Scarborough fair”, di cui Marco conosceva anche
la cover fatta dai Califfi, un complesso fiorentino che lui si vantava di conoscere personalmente, addirittura avendo assistito alle loro prove in studio.
“Vedi, i Califfi si distinguono dagli altri complessi italiani sia per le voci
che per l’organo Hammond che primeggia in tutte le loro esecuzioniricordi
la vecchia “Così ti amo” che era una cover del Bee Gees… ha fatto
epoca… e il retro di quel 45 giri era “Al mattino”, anche questa una cover
di un gruppo inglese. Ma le parole le ha scritte in italiano il bassista… ti
ricordi? “Mi piace uscire al mattino, perché tutto è diverso, il mondo è
vero solo al mattino, quando il sole illumina il tuo viso”; se le ascolti bene
sono un insegnamento di vita. Lui è convinto che la vita al mattino sia
stupenda, uscire per strada con la ragazza in mezzo alle gente, vedere il
mondo che si muove frenetico intorno… al mattino sembra tutto più bello.
In realtà tutto gli appare più bello solo perché ha la ragazza vicino…
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PIER LUIGI CHERCHI
tanto che poi conclude con “ma se mi lasci, tutto se ne andrà con te…”.
Io sono riuscito a capire il vero senso della canzone solo dopo averla
ascoltata tante volte, e mi ci sono ritrovato”.
Ogni tanto qualche ragazzo della nostra età si fermava e ci ascoltava,
facendo qualche commento “Missis Robinson” la cantavano quando nel
film “Il laureato” Dustin Hoffman correva con la spider rossa sulla sopraelevata per raggiungere la ragazza che stava per sposarsi sull’altare, mentre “Scarborough fair” la eseguivano mentre lui era in camera sua vicino
all’acquario… bravi, le fate bene… è difficile cantarle in inglese, io non ci
sono mai riuscito”, ci disse un ragazzo che doveva imbarcarsi e che
diceva di suonare la chitarra. Verso le 13 alla fine riuscimmo a imbarcarci,
direzione Palau; da lì sarebbe iniziato il viaggio vero e proprio che come
prima tappa avrebbe trovato Porto Rafael, di cui tutti parlavano come di
un villaggio molto particolare, con negozi e villette in stile tra lo spagnolo
e il messicano, genere architettonico che avremmo trovato nella nascente
Costa Smeralda.
Porto Rafael era nato alla fine degli anni ’50 dall’intuizione di un nobile
spagnolo, Raphael Neville, conte di Berlanga, geniale artista che sognava
un regno con una baia tutta sua, isole incontaminate e tanti amici al seguito. Il villaggio nacque con una piazzetta e poche case di calce bianca;
SARDINIA COAST TO COAST 1971. L’ULTIMO SOGNO BEAT
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gli amici che arrivarono da tutto il mondo
contribuirono alla costruzione di tante villette simili e accomunate dallo stesso stile
architettonico,
in
un’atm os fera fatta di
riservatezza e di
scarsa mondanità, al
contrario della nascente Costa Smeralda. Pochi giorni
prima del nostro arrivo si era tenuta la
grande festa dell’undici agosto in onore
del pittore fondatore
del borgo, dove tutti
partecipavano in tunica bianca fino alle
prime luci dell’alba.
Passeggiammo tra
quelle ville dal sapore In giro nel centro di Porto Rafael
particolare, con negozi e boutiques caratterizzati all’esterno da scritte colorate e bombate,
in stile “writers”; nelle stradine gente di ogni tipo che camminava in questo
borgo dal sapore fiabesco, facendo lo shopping nei negozi, chiacchierando,o semplicemente ammirando le bellezze del luogo.
“Da oggi inizia la settimana a pane e mortadella” disse Marco mentre
iniziava a farsi sentire il languore postmeridiano, “è la nostra unica possibilità di sopravvivenza se non vogliamo restare a secco… a proposito
quanto ti rimane in saccoccia?”. “Bè… circa ventimila lire” risposi. “Un po’
di soldi li ho recuperati a luglio, suonando a gettone col complesso da cui
mi sono staccato, gli Undergrounds. Mi hanno chiesto di suonare ancora
un po’ con loro per onorare degli impegni che erano già stati presi ad Al-
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PIER LUIGI CHERCHI
La piazzetta di Porto Rafael nel 1971
ghero, un locale che si chiama OK Corral… mi hanno pagato e poi
ognuno per la sua strada”. “Ok, più o meno io ho la stessa cifra… cerchiamo un negozio di alimentari e una fontanella per riempire il bidone
dell’acqua... però niente male questo Porto Rafael… Maremma maiala…
avessimo un po’ di grana ce ne staremmo in un bel Resort a pancia all’aria”, concluse Marco “anche se dobbiamo trovare la tua dama misteriosa… la cosa comunque mi esalta, sembra la trama di un film…”.
Seduti su una panchina all’ombra consumammo il primo pasto a base
di pane e mortadella, un menu che ci avrebbe accompagnato fino a Porto
Corallo, a parte qualche intervallo estemporaneo. Di fronte a noi tanti ragazzi di tutte le nazionalità che passavano e ci sorridevano; il caldo torrido
di quell’estate del 1971 ci faceva compagnia in quel posto fiabesco dove
forse ci sentivamo di troppo, in un ambiente dove il denaro scorreva a
fiumi. Presi dalla macchina la chitarra e, seduti sulla panchina, improvvisammo a due voci, qualche pezzo dei Beatles prima maniera, da “Love
me do” a “And i love her”, da “She loves you” a “If i fell”, in maniera confi-
SARDINIA COAST TO COAST 1971. L’ULTIMO SOGNO BEAT
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denziale, senza urlare o
scomporci; ogni tanto
qualche ragazzo si fermava e ci ascoltava, poi
continuava per la sua
strada. “O bischero”, disse
ad un certo punto Marco
rivolto a me, “ma è possibile che tu sia ancora fissato con codesti Beatles… i Black Sabbath
hanno rivoluzionato la
musica…un ce n’è per
nessuno…”.
“Mah”, risposi “la mia
impostazione è sempre I Beatles negli anni ‘60
primo-beat, gli eccessi
dell’hard-rock non è che mi siano piaciuti molto… troppo casino. Ho seguito i Deep Purple, gli Uriah Heep, ma preferisco gruppi più tranquilli
come i Led Zeppelin, che fanno molto blues, i Canned Heat, i Jefferson
Airplane, però il mio cuore è sempre a Liverpool… un giorno ci andrò,
voglio vedere il Cavern Club, lo Strawberry fields, tutti i luoghi della loro
storia umana e musicale…”. “Tu sei proprio pazzo…” continuò Marco,
“però se vuoi andare a Liverpool ci andiamo insieme, con la mia motocicletta, anche la prossima estate. Adesso muoviamoci, dobbiamo vedere
la Costa Smeralda… mi hanno detto che è ganzissima…”.
Ci infilammo nella 500 col tettuccio aperto per fare entrare aria in
quella giornata torrida di agosto e facilmente trovammo la strada verso la
Costa Smeralda, indicata in maniera precisa dai cartelli stradali che si
susseguivano. Il paesaggio era aspro, pieno di rocce e di vegetazione
mediterranea mista a erba secca, che dava a quei luoghi un fondo giallastro.
BAJA SARDINIA E LA LUNGA NOTTE
DEL RITUAL
Dopo una serie di curve infinite arrivammo a Baia Sardinia, prima
tappa del nostro piccolo tour in Costa Smeralda. Davanti a noi lo stesso
clima che avevamo respirato a Porto Rafael: aria di vita lussuosa, dorata,
in un ambiente ancora incontaminato, nonostante le tante villette in costruzione che si intravedevano dalla strada e che davano un senso di “incompiuto” ad un’opera ancora in via di definizione. “Certo che codesto
Aga Khan deve avere, oltre che soldi, anche una bella testa…” sussurrò
Marco ammirando le bellezze del luogo, “è lui che ha avuto l’idea di realizzare tutto questo…”. “Bè, certo è che ha sfondato una porta aperta”, risposi un po’ seccato, “nessuno gli ha messo i bastoni tra le ruote…amministratori, politici, sindaci, proprietari terrieri… tutti si sono messi a
pecoroni. Se un sardo avesse voluto realizzare un’opera del genere
avrebbe avuto tutti contro… ma qui questo è normale, a Firenze credo
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PIER LUIGI CHERCHI
che sia completamente
diverso. E poi dimmi
che ci guadagnamo noi
da tutto questo? Tutto il
denaro va via dalla Sardegna… restano solo
gli spiccioli per le maestranze… ”.
“O via”, rispose
Marco con un sorriso
sarcastico, “dovreste
essere contenti che
l’immagine della Sardegna va in giro per il
mondo. Non si parla altro che di codesta Costa Smeralda, della vita
notturna, del jet-set che
arriva qui in estate…
voi sardi non fate che
lamentarvi”.
“Vabbè… almeno
stas era ci sediamo in
piazzetta e ci prenDavanti alla spiaggia di Baia Sardinia
diamo un Campari…
così stiamo a vedere questo tuo jet-set… sai che qui c’è gente che viene
solo per vedere i personaggi dello spettacolo che girano da queste parti,
tipo Walter Chiari” aggiunsi, “poi comunque dobbiamo trovare un posto
tranquillo per mettere la tenda e dormire, magari anche in spiaggia.
Adesso però dobbiamo vedere al volo tutto il paese.”
Mentre parlavo con Marco mi venne d’improvviso un’idea per cambiare
la nostra permanenza in Costa; mi ricordai di un amico, certo Tommaso,
un ragazzo gallurese poco più grande di me, che avevo conosciuto nelle
mie peregrinazioni canore, e che mi aveva invitato a passare una serata
al “Ritual” il grande locale notturno scavato nella roccia nei pressi di Baia
Sardinia, dove ogni sera confluiva tutta la noblesse della zona. Tommaso
SARDINIA COAST TO COAST 1971. L’ULTIMO SOGNO BEAT
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lavorava nel locale dove era diventato amico e braccio destro del proprietario, Andres Fiore, un architetto parmigiano che da quel posto aveva
creato la sua fortuna.
Parlai a Marco di questa idea, della possibilità di passare una serata al
Ritual senza salassarci, in uno splendido ambiente dove musica, alcoolici,
donne si fondevano insieme. “Possiamo fare un salto e cercare questo
tuo amico… speriamo che ci sia; in ogni caso il tentativo dobbiamo farlo.”
disse Marco subito entusiasta della proposta. “Finiamo il cartoccio di
pane e le fette di mortadella che ci sono rimaste da stamattina, poi ci
prendiamo un digestivo in piazzetta e via…” “OK”, risposi, contagiato dall’entusiasmo del mio amico fiorentino.
Nel frattempo con la 500 girammo per le strade di Baia Sardinia, fermandoci a fare qualche foto ricordo in mezzo a Jaguar e Ferrari, e a
grosse moto Suzuki e Kawasaki che davano un senso di opulenza al
paesaggio già di per sé incensato di denaro e potere.
Ogni tanto facevamo capolino in qualche negozietto di souvenir, dove
i prezzi erano comunque proibitivi per le nostre tasche, limitandoci a guardare e a curiosare abbozzando qualche battuta poco gradita dalle austere
commesse continentali che vigilavano all’interno dei negozi.
Alla fine con la cinquecentina, ascoltando sempre il mio K7 Philips
con l’immancabile cassetta di “Abbey Road” dei favolosi Beatles, finimmo
per girare tutto il paese, soffermandoci in un belvedere situato alla periferia,
con poche macchine parcheggiate ai bordi della strada e poca gente ad
osservare il mare dall’alto, e soprattutto con una bella fontanella di acqua
fresca, adatta per accompagnare il misero e frugale pasto serale a cui ormai eravamo abituati. “Che fatica essere uomini…” sospirò Marco rifacendosi alla canzone di Sergio Endrigo, mentre osservava il paesaggio
seduto su una panchina, “All you need is love” aggiunsi io, “Tutto ciò di
cui hai bisogno è amore… ricordati cosa diceva Jonn Lennon. Domani
notte dormiamo a Posada dai romani, finalmente in un letto normale,
non come due cazzoni dentro una tendina alta cinquanta centimetri…”.
“A proposito” aggiunse Marco, “ci conviene stanotte, quando torniamo
dal Ritual, dormire in macchina, senza tutta la bischerata di piazzare la
tenda e palle varie… tanto hai i sedili ribaltabili, che ci costa? Non se
d’accordo?”.
“Contento tu”, risposi, “tu sei quello più alto, se ti ci stanno le gambe
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PIER LUIGI CHERCHI
nella macchina va bene, altrimenti finisci piegato in due… a uovo. Effettivamente solo a pensare di togliere la tenda dal sacco, spiegarla, montarla
e poi domattina fare tutto all’incontrario viene la paranoia… Adesso aragosta e champagne, poi in piazzetta a vedere le donne degli altri…” “Ma
codesta aragosta non mi garba più di tanto” concluse Marco rifinendo la
mia battuta, “e lo champagne è un po’ annacquato… ma ce lo beviamo
lo stesso, alla faccia di Geppo, Agostino e Sandro che sono rimasti a La
Maddalena. Viva la Costa Est! “ “Viva la Costa Est e le donne misteriose
della Costa Est”, risposi”.
Consumato il lauto pasto mortadelliano a cui ci eravamo abituati ci dirigemmo verso la piazzetta per vedere un po’ di gente e farci un piccolo
digestivo seduti comodamente a tavolino. Tutto intorno un via vai di persone
che si salutavano e si preparavano a trascorrere in costa la nottata, nei
vari locali “in” del posto; tutta bella gente, quarantenni restaurate in pareo
che si muovevano come teen agers, vecchi play boy con i capelli brizzolati
e la pelle ramata, cotti dal sole, che primeggiavano tra i tavolini salutando
miriadi di persone, ragazzi della nostra età, molti di loro rampolli di famiglie
illustri, che si aggiravano con aria annoiata cercando di dare un senso
alla serata.
“Certo che noi qui sembriamo due pesci fuor d’acqua” dissi rivolto al
mio amico fiorentino, “anche se la nostra porca figura la facciamo con
queste camicie eleganti, aperte, e il pullover sulle spalle…magari ci scambiano per i figli di qualche grosso industriale...”.
Nel frattempo si era avvicinato al nostro tavolino un cameriere che,
con un inchino di rappresentanza, ci consegnò una lista di consumazioni
che Marco afferrò con grande aplomb, salvo poi diventare terreo alla
lettura dei prezzi riportati. “Altro che digestivo… altro che Campari…” mi
disse mostrandomi l’elegante cartoncino dentro una custodia in pelle
umana, “qui una consumazione costa quanto tutto il budget che abbiamo
a disposizione per il viaggio… l’unica possibilità di salvezza è un caffè,
fin lì ci possiamo arrivare”. “Vada per il caffè” risposi, “speriamo che non
ci spennino al Ritual, se non troviamo Tommaso andiamo via…”
L’investimento dei due caffè risultò comunque proficuo, con una serata
piacevole passata all’aperto in un ambiente elegante e di alto livello, a
chiacchierare, a ridere e a commentare su tutto quanto ci passasse davanti, nel bene o nel male. Di tanto in tanto qualche occhiatina furtiva nei
SARDINIA COAST TO COAST 1971. L’ULTIMO SOGNO BEAT
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tavolini vicini con sorrisini e tentativi di approccio a distanza tutti miseramente falliti. Ad un certo punto una bella ragazza, alta, mora, vestita in
maniera elegante, sembrò avvicinarsi al nostro tavolo, sorridente, in direzione di Marco, che cominciò a sbracciarsi e a salutarla come se l’avesse
sempre conosciuta. Giunta ad un passo dal mio amico fiorentino la ragazza, sempre continuando a sorridere, senza degnarci di uno sguardo,
come fossimo trasparenti, si diresse decisa verso il tavolino alle nostre
spalle, dove due baldi giovani della jet la attendevano in piedi per salutarla
in maniera molto calorosa.
“Che figura di merda…”, disse Marco, “meno male che u’n si conosce
nessuno… è meglio andar via.” “Ah ah ah”, risi divertito, “ma come potevi
pensare che una così ci cagasse di striscio… dai, andiamo al Ritual che
almeno passiamo la serata.”
Lasciata la piazzetta ci dirigemmo verso la 500, orientandoci “a naso”
verso il Ritual, segnalato ad un certo punto da alcuni cartelli sul bordo
della strada. Arrivammo in un grande spiazzo pieno zeppo di macchine e
moto di grossa cilindrata; di fronte a noi una sorta di collina rocciosa con
una grande grotta sormontata da una specie di castello diroccato, da cui
spuntavano delle fiaccole che davano al luogo un aspetto da “antro delle
streghe”.
Il Ritual era nato alla fine degli anni ’60 dall’intuizione di un geniale architetto parmigiano, Andres Fiore, che trasformò una collinetta rocciosa
abbandonata di Baia Sardinia nel regno del jet set. Andres, nella sua visione esoterica della vita, si innamorò della bella grotta naturale che sormontava la collina, e capì subito quali sarebbero potute essere le potenzialità di quel luogo che disegnava una sorta di Stonenghe, un antro
iniziato ai misteri celtici. Così all’inizio riunì tra quelle pietre e quel granito
incontaminato intellettuali e artisti per serate di meditazione e silenzio,
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PIER LUIGI CHERCHI
poi iniziò a pensare ad un locale notturno, finchè non si arrivò alla inaugurazione della discoteca, nell’agosto del 1970, proprio negli anni d’oro
della Costa Smeralda.
Attorno a quella grotta naturale Andres costruì una struttura simile a
un castello con blocchi di granito e parti di collegamento eseguite con
una particolare lega di sua invenzione, tra il verde della macchia mediterranea, con tanto di guglie, giardini, varchi nascosti e antiche simbologie,
in un’atmosfera avvolta da una sorta di velata magia.
L’originalità del progetto consistette “nell’incastonare” la costruzione
nell’ambiente circostante senza modificare o alterare lo splendido panorama e la natura selvaggia di questa parte di costa; la struttura ricordava
vagamente una rocca nuragica semi diroccata e la vegetazione del giardino era quella endemica della costa, con olivastri, lentischi e mirti. Lo
schema di costruzione a spirale richiamava antichi principi architettonici
carichi di significati e simbologie esoteriche, con i giardini pensili sulle
terrazze che permettevano una vista eccezionale sul Golfo di Cannigione
e l’arcipelago della Maddalena, con i raggi del sole che davano ai blocchi
di granito delle splendide sfumature di colore, così come i monoliti retrostanti la costruzione.
La notte arrivava nella “rocca” un flusso turistico composto da intellettuali, imprenditori di successo, personaggi del mondo dello spettacolo,
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rampolli dell’aristocrazia italiana e internazionale o persone normali attratte
dalla bellezza del mare e delle spiagge, tutti richiamati dall’esplosione turistica della neonata costa smeralda, e decisi ad assaporare un esperienza
spirituale oltre che il puro e semplice divertimento di una serata dance.
Scesi dalla macchina, che sembrava una formica in mezzo a quella
sarabanda di supercilindrate parcheggiate in maniera disordinata, ci dirigemmo verso l’ingresso, sormontato da un enorme cancello di ferro in cui
era disegnata una grande spirale magica, primo segno dell’impronta esoterica e mistica che Andres aveva voluto dare a quel luogo in cui si alternavano feste sfarzose e silenzi di meditazione trascendentale.
Sulla porta chiesi ad un ragazzo ben piazzato e abbronzatissimo che
controllava l’ingresso di poter parlare con Tommaso, dicendo di essere
stato invitato da lui a vedere il locale e passare una serata in allegria. Il
buttafuori, che tutti chiamavano Bruno, nonostante l’aspetto arcigno, da
duro, si girò e chiese a degli altri ragazzi che circolavano indaffarati in
quel via vai di nottambuli di andare a cercare Tommaso. Nel frattempo
aumentavano le persone intorno al grande cancello impazienti di entrare,
mentre altre macchine e motociclette continuavano ad arrivare.
“Ma questo tuo amico arriva o passiamo la serata in piedi davanti al
cancello?”, chiese Marco, un po’ preoccupato per l’attesa, mentre tutti ci
scavalcavano facendosi largo nella calca. “Spero che proprio stasera non
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PIER LUIGI CHERCHI
sia da un’altra parte…” risposi,”però mi aveva detto che a luglio e agosto
lo avrei potuto trovare tutte le notti nel locale.”
Dopo una ventina di minuti passati ad aspettare all’improvviso Tommaso
si materializzò sulla porta, pantaloni neri e una camicia bianca aderente
che metteva in evidenza una invidiabile abbronzatura. “Pier… sei riuscito
ad arrivare… che sorpresa… entrate, oggi c’è un casino che non ne
avete un’idea, questo è un tuo amico ?” “Sì” risposi salutandolo calorosamente, “lui è Marco, un ragazzo fiorentino con cui abbiamo deciso di fare
il giro della Costa orientale fino a Porto Corallo… domani andiamo a Posada a prendere una coppia di ragazzi romani e proseguiamo il viaggio.”
“Bene” disse Tommaso guardandosi intorno per la verità poco interessato al nostro programma, “adesso vi sistemo in un bel tavolino… se non
avete mangiato vi faccio portare qualche spizzichino…”. “Insomma…” risposi tacendo del penoso pasto a base di pane e mortadella “abbiamo
preso qualcosa al volo giù in paese… ti ringrazio…”. Un minuto dopo
eravamo felicemente accomodati in un angolo sopra due panche di pietra
con un tavolino sempre in pietra che si prestava all’atmosfera minimalista
di quella grotta, trasformata con maestria in un angolo di fiaba per un
pubblico eterogeneo ma di fascia comunque medio-alta. Dal punto in cui
eravamo seduti, un po’ in alto rispetto al locale, potevamo vedere la
grande pista e i due disk-jockey, due ragazzi con la barba e i capelli corti
che si muovevano freneticamente per soddisfare la gente che ballava e si
dimenava in un’atmosfera di allegria e spensieratezza. Un cameriere, dall’inconfondibile accento sardo, si avvicinò con un vassoio in cui erano sistemati dei tramezzini tagliati a spicchi, delle fette di salsiccia, olive e
altre specialità da degustazione, insieme a due grosse spine bionde.
“Tommaso mi ha detto di non muovervi da questo tavolino… detto tra noi
rischiate che vi spennino. Poi arriverà lui da voi… va bene.” si congedò
sorridendo il ragazzo che aveva capito immediatamente quali erano le
nostre risorse economiche in quel posto frequentato da ricchi.
Sempre fissi al nostro tavolino in pochi minuti riuscimmo a far fuori gli
stuzzichini offerti dall’amico Tommaso, sorseggiando le due birre alla
spina che ci apparvero come l’acqua nel deserto dopo la magra cena
consumata alla periferia di Baia Sardinia. Lo spettacolo era molto coinvolgente, con ragazzi e gente di mezza età che si dimenavano sulla pista
con le braccia agitate in alto come nel vecchio “Ballo di Simone”, icona
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del primo beat degli anni ’60. Con la mia Comet Bencini che non mi abbandonava mai scattai alcune foto sperando nella luce proiettata dai riflettori che ogni tanto illuminavano una sala piena di effetti psichedelici.
“Questa è la vita che vorrei fare” disse con entusiasmo Marco “abbiamo
avuto una bella idea stasera, domani notte siamo a Posada in piena
tranquillità, mi mancherà questo frastuono… questo posto è fantastico,
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PIER LUIGI CHERCHI
non avevo mai visto niente di simile.” Dopo la bolgia della musica rock dei
Deep Purple, dei Creedence e dei Rolling Stones, i due dj proposero una
sfilza di lenti, di slow, particolarmente apprezzati sulla pista, dove le
coppie ballavano avvinghiate con le luci che diventavano sempre più soffuse.
All’improvviso si avvicinò al nostro tavolo Tommaso, accompagnato da
un signore molto distinto, alto, robusto e vestito in maniera particolare.
Capii subito che si trattava di Andres, il padrone di casa che si presentò
molto cordialmente sedendosi con Tommaso al nostro tavolo. “Allora ragazzi, vi piace questo posto?” disse Andres, “questa è la mia creatura, è
ancora in espansione… ho tanti progetti per poterlo utilizzare anche in
periodo invernale, non solo nei mesi estivi… vorrei fare un centro di meditazione trascendentale, con dei cuochi che preparano piatti esotici, sedute basate sulla spiritualità e sull’esoterismo, passeggiate in mezzo alla
macchia mediterranea e anche musica dal vivo, magari psichedelica. Io
mi sono innamorato di questo posto appena l’ho visto, ma non immaginate
cosa c’era dentro questa grotta… era piena di calcinacci, di terra, di
pietre, di ogni genere di cose. Ho dovuto trasportare tutto con camion e
camion di roba, un lavoraccio… però una volta ripulita ho visto immediatamente cosa poteva venir fuori e, insieme a tanta gente del luogo, abbiamo creato tutto quello che vedete, Sapete su cosa siete seduti? “
“Beh, è pietra” risposi. “No, sia le panche che il tavolino sono fatti con
una lega di mia invenzione, che una volta finito il trattamento, sembra
uguale al granito. Su, nelle terrazze, molte guglie sono fatte di questo
materiale”, “Incredibile” aggiunse Marco, “sembra proprio granito” . “Godetevi la serata”, concluse il patron, “restate quanto volete… gli amici di
Tommaso sono amici miei.” “Grazie maestro, la ringraziamo molto…” rispondemmo spontaneamente all’unisono mentre i due si allontanavano.
Continuammo a sorseggiare le due spine che sembrava non finissero
mai e ad ammirare lo spettacolo offerto da quella grotta incantata, dove
continuavano ad arrivare decine e decine di persone, con la pista piena
di gente scatenata. La musica era coinvolgente e ci immergeva in un’atmosfera di sogno da cui molto presto ci saremmo distaccati, per ritornare
al caldo torrido dell’estate, al sudore, al pane e mortadella e all’acqua
raccattata nelle varie fontanelle di passaggio.
“Per fare questa vita occorre avere molta grana” dissi a Marco, “oggi
SARDINIA COAST TO COAST 1971. L’ULTIMO SOGNO BEAT
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ci hanno fatto dare un’occhiatina, uno
sguardo su un mondo che non è nostro,
magari negli anni ’80 saremo clienti abituali dell’estate smeralda… anche noi
con un sacco di grana… spendendo e
spandendo. Ci pensi?”
“Ma, io resto con la testa sulle spalle.
Gran parte di questa gente, secondo me,
fa finta di avere soldi ma è più spiantata
di noi… si fa vedere, fa immagine, apparenza, ma poi sotto sotto migragna…
guarda quello con la camicia aperta fino
all’ombelico che sta ballando al centro
della pista… quello stasera se ne va lasciando buffi, senza pagare, ma siccome
fa tendenza, fa immagine, richiama
gente, allora lo invitano a venire tutte le
sere, a portare amici. Questo è un
mondo di apparenza, i veri ricchi sono
pochi e sono quelli che si fanno notare
di meno.” Marco aveva snocciolato la sua
arringa, e io non potevo, alla fine dei
conti, che essere d’accordo con lui. “Vuol
Seduto al tavolino del Ritual
dire che fra dieci anni verremo noi due (foto scattata da Marco)
con la camicia bianca aperta a fare tendenza… donne e champagne… per ora pane e mortadella”, conclusi
con il bicchiere vuoto che continuavo a portare alla bocca, forse per far
finta di bere in quell’ambiente di finzione esasperata.
La serata scivolò via tranquilla, con la musica che ci accompagnava e
ci stordiva come in una colonna sonora estemporanea; ogni tanto passava
Tommaso e ci salutava da lontano con la mano, indaffarato nel gestire i
vari ospiti che affollavano la pista e i tavolini di pietra. Il cameriere che
avevamo conosciuto ad inizio serata ci portò delle altre consumazioni
strizzandoci l’occhio per confermare che la situazione era tutta sotto controllo e che non avremmo dovuto pagare una lira per restare ancora nello
splendido locale che non accennava a svuotarsi con il passare delle ore.
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PIER LUIGI CHERCHI
“Guarda quelli “, disse ad un certo punto Marco divertito “o mi paiono
tanti bucaioli…” . “Beh, in questi posti ne puoi trovare tanti”, risposi, “l’importante è che non si siedano al nostro tavolo”. Il gruppo eccentrico, con
chiari atteggiamenti gay, si era impossessato della pista e si dimenava al
suono della disco-music del periodo. Uno dei “bucaioli”, come li aveva definiti Marco, ad un certo punto si levò la camicia e iniziò ad improvvisare
una specie di flamenco, mentre gli altri, in una specie di girotondo, battevano le mani divertiti.
Noi guardavamo lo spettacolo da lontano ben decisi a non lasciare
quel tavolo, come fossimo a teatro, in una serata comunque diversa e
molto piacevole. Verso le tre del mattino, con la sala ancora zeppa di
gente, mentre il livello alcolico tendeva al rialzo, decidemmo di andar via,
in mezzo ad una confusione spaventosa. Vicino al settore dj riuscimmo a
salutare Tommaso, semp re sorridente e disponibile, pur nella calca di
quella notte “ ”, rispose con estrema cordialità. La notte, fuori dalla discoteca, era calda e limpida, con il cielo pieno di stelle, quasi ad indicarci la
strada verso il sud della Sardegna. “Bella serata”, disse Marco con aria
soddisfatta, “almeno qualcosa di buono è venuto fuori… e soprattutto
gratis”. Senza rispondere guardai per un ultima volta lo spettacolo dell’enorme grotta sormontata dal castello diroccato che ci aveva incuriosito
all’inizio della serata, mentre iniziavano ad uscire dei gruppi di persone
dirette verso le grosse macchine parcheggiate nell’ampio piazzale. Nella
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nostra minuscola 500 ci sentivamo comunque gratificati da quella serata, con
un personaggio dello spessore di Andres
che si era seduto al nostro tavolo e aveva
chiacchierato con noi, in fondo due ragazzini meno che ventenni e certamente
non all’altezza di tale situazione.
Mentre guidavo iniziai istintivamente
a canticchiare “Nel cuore, nell’anima” di
battistiana memoria: “Nel mio cuor, nell’anima, c’è un prato verde che mai...
nessuno ha mai calpestato, nessuno, se
tu… vorrai... conoscerlo… cammina
piano perchè... nel mio silenzio... anche
un sorriso può fare rumore”. A quel punto
intervenne Marco con la sua strofa, mentre io passavo a fare la seconda
voce:
“Nel mio cuor, nell’anima
tra fili d’erba vedrai
ombre lontane, di gente sola
che per un attimo, è stata qui…
e che ora amo perchè - amo perchè
se n’è andata via
per lasciare un posto a te
per lasciare un posto a te
per lasciare un posto a te”,
per lasciare un posto a nooooi... noi che siamo i più ganzi..., domani
tappa a Porto Cervo e domani sera a Posada, chi ci ferma più?” concluse
il mio amico fiorentino in un impeto di euforia.
Passamo la notte, come stabilito, in macchina, con i sedili reclinati,
alla periferia di Baja Sardinia, sul belvedere che avevamo sperimentato
all’ora di cena, in un dormiveglia popolato da musica e suoni di discoteca
ancora impressi nel cervello, col rumore del mare che ci faceva compagnia.
L’indomani mattina avremmo proseguito per Porto Cervo un po’ assonnati
ma pieni di adrenalina per quel viaggio che si faceva sempre più interessante.
DUE CAFFE’ A PORTO CERVO
Baja Sardinia al risveglio
Il risveglio, con uno scricchiolio di ossa e articolazioni dopo una notte
agitata per la scomodità di quella sistemazione tutt’altro che ergonomica,
avvenne alle prime luci dell’alba, con uno spettacolo naturale dato dalla
vista del mare che accarezzava la splendida spiaggia di Baia Sardinia e
il silenzio rotto solo dalle poche macchine di passaggio in quell’ora così
insolita. Mentre dal mio K7 Philips poggiato sul sedile arrivavano le note
di “Here comes the sun” di Gorge Harrison, con in mano spazzolino e
dentifricio, ci lavammo velocemente nella fontanella già conosciuta la
46
PIER LUIGI CHERCHI
La spiaggia di Baja Sardinia nel 1971 al risveglio
sera precedente, e, con i capelli arruffati dalla salsedine ci fermammo nel
primo bar di passaggio per fare colazione, cappuccino e buondì Motta. Di
fronte a noi un cameriere faceva le prime pulizie con la pompa dell’acqua
ed uno spazzolone, mentre rari clienti si avvicinavano, alcuni sicuramente
provenienti da qualche discoteca che aveva chiuso i battenti poco prima
dell’alba.
“La Costa smeralda al risveglio…” disse Marco, “qui si vive soprattutto
di notte, a quest’ora ci sono solo dei bischeri come noi che sbadigliano
dopo una notte passata sui sedili di una cinquecento…” “Ma sei tu che
non hai voluto piazzare la tenda…”, risposi, “l’on the road richiede anche
questi sacrifici... come diceva Jack Kerouac? «Dobbiamo andare e non
fermarci finché non siamo arrivati». «Dove andiamo?». «Non lo so, ma
dobbiamo andare».
“Quando saremo degli affermati professionisti ci ricorderemo tutto
questo con tanta nostalgia” continuai, mentre mi convincevo che quella
nostra amicizia andava cementandosi sempre di più, tra le mille difficoltà
SARDINIA COAST TO COAST 1971. L’ULTIMO SOGNO BEAT
47
di quel viaggio che la nostra giovanissima età riusciva a sdrammatizzare ed a mitigare, nel caldo
torrido di quell’estate indimenticabile.
Posteggiata la macchina
scendemmo nella spiaggia ancora semideserta per ammirare
la bellezza del mare e la sabbia
finissima quasi argentata. Tutt’intorno i bagnini sistemavano gli
ombrelloni e le sedie sdraio in attesa dei villeggianti che sarebbero arrivati nella metà della mattinata, ancora assonnati dopo gli
eccessi delle nottate in costa. “Allora hai deciso cosa fare all’Università?”, dissi rivolto a Marco
che si era appena maturato come
perito industriale. “Ma credo che
farò ingegneria o architettura a
Firenze; purtroppo a ottobre andiamo via con la famiglia, mio padre è stato trasferito a Firenze,
come da tempo aveva chiesto,
ma tornerò tutte le estati… i miei amici li ho tutti qui”, rispose con un velo
di tristezza. “Mah, col tuo carattere non avrai difficoltà a farti degli amici
anche su… figurati”, risposi.” Dopo un mese avrai più amici a Firenze
che a Sassari. Mi dispiace che vai via… in tutti questi anni a Sassari non
è mai capitato di incontrarci, e adesso… comunque dobbiamo scriverci
spesso, e se vengo su passo a trovarti”.
Marco rispose con un sorriso, mentre io prendevo la chitarra ed iniziavo
ad arpeggiare “Because” dei Beatles, con un accenno di falsetto un po’
sussurrato in quella spiaggia semiv uota. “Certo, ora che i Beatles si sono
sciolti mi sembra di non avere più un punto di riferimento… mi sembra
che sia finita un’epoca. Ricordo quando mia sorella nel ’63 aveva comprato
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PIER LUIGI CHERCHI
“She loves you”, il nostro primo disco dei favolosi… lo abbiamo divorato,
giorno e notte, insieme al retro “I’ll get you”… tutto per il casino che ha
creato Yoko Ono, altrimenti sarebbero ancora insieme”.
“Mah, sai che io ho altri punti di riferimento”, disse Marco canticchiando
comunque Because, “c’è tutto il progressive di questi anni, da lì non si
può tornare indietro… anche in Italia, i PFM, Le Orme, Il Banco... i Beatles
hanno aperto una strada, ma ora ci sono tanti gruppi che suonano meglio
di loro, non puoi non riconoscerlo…”.
Dopo una breve discussione sulla musica contemporanea, mentre la
spiaggia iniziava lentamente a popolarsi ed il sole a far sentire il calore
dei suoi raggi, a metà mattinata decidemmo di prendere la strada per
Porto Cervo, lasciandoci alle spalle Baia Sardinia con il suo Ritual e le
sue spiagge. La mia cinquecento, sempre col tettuccio aperto, arrancava
nelle curve che ci portavano nel cuore della Costa Smeralda, dove Karim
aveva il suo centro operativo. Accanto a noi un paesaggio mediterraneo
fatto di granito e grossi cespugli di cisto, mirto, lentischio e altri componenti
della macchia mediterranea autoctona che spargevano il loro profumo
SARDINIA COAST TO COAST 1971. L’ULTIMO SOGNO BEAT
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nell’aria. Nel mio K7 Philips Marco aveva inserito una sua cassetta con
brani di musica hard, che sembravano segnare il tempo a quel percorso
pieno di tornanti, con grosse macchine che ci superavano e sfrecciavano
sotto il sole cocente. A fine mattinata arrivammo a Porto Cervo, dirigendoci
verso il porto per una breve sosta. Passammo un po’ di tempo ad ammirare
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PIER LUIGI CHERCHI
le lussuose barche ormeggiate a riva, dove
un via vai di persone si
muoveva come in una
vera casa galleggiante.
“Dobbiamo trovare un
negozio di generi alimentari”, disse Marco,
“altrimenti oggi facciamo digiuno… non mi
sembra che qui i negozietti abbondino. Forse
dobbiamo andare verso
la periferia; il bidoncino
per l’acqua lo abbiamo”.
Dopo aver scattato
qualche foto di fronte al
porto, e aver chiesto ad
una bellissima ragazza
che circolava su un motorino la cortesia di immortalarci nella terza
Davanti al porto (foto scattata dalla ragazza sul mototappa di quel viaggio (la rino
ragazza, fermato il motorino e scattata la foto scomparve più veloce della luce, senza nessuna
speranza di un approccio più duraturo) passeggiammo ancora un po’ con
un occhio alla cinquecento in evidente divieto di sosta per evitare, oltre
alla multa, una rimozione che avrebbe bloccato completamente i nostri
programmi. “Ma qui non si batte chiodo”, commentò Marco, “un si combina
con nessuna di quelle che incontriamo… ci scacciano come la peste”.
“Beh, forse non è proprio il nostro ambiente…”, risposi, “forse quando
scendiamo più a sud ci daranno retta. Qui hanno tutte la puzza sotto il
naso… vedono me con la camicia militare, i medaglioni e una cinquecentina, e te con questa aria da satiro toscano. Pensa se ci vedessero
con una Ferrari… le cose sicuramente cambierebbero. Finiamo di girare
SARDINIA COAST TO COAST 1971. L’ULTIMO SOGNO BEAT
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la Costa smeralda poi partiamo per Posada, con calma… che ci frega di
queste stronzette?”.
Posteggiata con cura la 500 in un punto sicuro girovagammo per il
centro del paese, fino ad arrivare alla piazzetta, a fine mattinata in fermento
per i consueti aperitivi. “Due caffè lunghi, grazie” fu la nostra risposta all’interrogativo del solito cameriere fornito di inchino che ci guardava in cagnesco. “Beh, almeno passiamo una mezz’oretta guardando bella gente,
a noi poco ci interessa di Walter Chiari o di altri bischeri dello spettacolo”,
disse Marco, già rinfrancato dall’ambiente della costa, dove ci sentivamo
piccoli piccoli, come potevano essere due studentucoli in mezzo a magnati
dell’industria e a rampolli di nobili casati.
“Ma ti interessa davvero codesta ragazza”, chiese Marco con un atteggiamento inquisitorio, “o è solo una bischerata estiva?”. “Mah”, risposi,
“più che altro è il modo di fare… questo atteggiamento di fuga, di mistero
che mi attira, In fondo lei è sparita senza salutarmi, ma il giorno prima mi
ha detto che se volevo vederla lei stava a Porto Corallo… ma non è che
mi abbia invitato ad andare, è una cosa un po’ strana. Magari arriviamo lì
e non troviamo nessuno… è anche possibile. Comunque alla fine è un
pretesto per fare il giro costa-costa. Io vivo in Sardegna e la costa orientale
non l’ho mai vista, noi siamo più abituati alla costa occidentale, come
sai.” “A me invece Patrizia interessa di molto”, riprese Marco con un’aria
malinconica, inusuale per un ragazzo sempre esuberante e solare, “e
sono sicuro di piacerle… non mi interessa di Fulvio, se lei è decisa io
sono sicuro di me stesso e sono pronto a superare tutte le difficoltà.”
“Attento a non bruciarti col fuoco”, risposi “lei mi sembra una di quelle
ragazze di sinistra, tutte intellettuali, che vogliono essere sempre al centro
della scena; poi c’è qualcuno che si innamora… però può essere che mi
sbagli… io non voglio influenzare le tue decisioni. Comunque quella è fidanzata, in giro fuori casa col fidanzato… mettitelo in testa. Tra l’altro
quello non mi sembra il tipo che si mette da parte, anche se è piccoletto
e ti arriva alla spalla secondo me ti da del filo a torcere”.
Marco non rispose ma certamente le mie parole qualche dubbio glielo
avevano insinuato. Comunque la malinconia passò presto in quell’ambiente
di allegria, di spensieratezza, in quella piazzetta piena di sole e di sapore
di un’estate senza fine. La gente continuava ad arrivare, a salutarsi, a ridere, a schiamazzare, in una confusione comunque controllata dove non
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PIER LUIGI CHERCHI
La piazzetta di Porto Cervo nel 1971
trapelava volgarità o atteggiamenti fuori dalla buona creanza, come purtroppo sarebbe successo negli stessi luoghi nei decenni successivi, dove
la maleducazione, l’arroganza, la prepotenza, la cafoneria più esasperata
avrebbero preso il sopravvento.
Dagli altoparlanti di un locale vicino arrivavano le note di “Non si muore
per amore” di Renato, “Tanta voglia di lei” dei Pooh, “La folle corsa” della
Formula 3 e “Pensieri e parole” del grande Lucio, insieme ad altri pezzi
dei Creedence, dei Free e degli Shocking blue, che avevano imperversato
in inverno con la loro “Venus”. Noi ascoltavamo le note di quei pezzi indimenticabili, canticchiandole e ripensando a quell’estate che forse sarebbe
stata l’ultima della nostra adolescenza, con gli impegni dell’Università, la
fine del nostro “tempo delle mele”, il salto verso una vita “da grandi”,
troppo difficile da accettare e realizzare. Anche quell’amicizia, che stava
diventando così profonda in quel viaggio, sarebbe dovuta terminare con il
trasferimento della famiglia di Marco a Firenze, anche se c’era la promessa
di un ritorno nell’estate 1972, per una nuova avventura insieme.
Alla fine, pur senza tanto appetito, ci dirigemmo verso la macchina tro-
SARDINIA COAST TO COAST 1971. L’ULTIMO SOGNO BEAT
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Alla periferia di Porto Cervo
vando un negozietto di alimentari aperto alla periferia del paese. Per non
perdere tempo ci facemmo preparare dal gestore direttamente due panini
con la nostra inseparabile mortadella, divorati davanti alla solita fontanella
di acqua fresca che ci permetteva di dissetarci sotto il sole cocente.
“Allora, ciao Porto Cervo... questo pomeriggio finiamo di vedere la
Costa Smeralda e ci dirigiamo verso Posada… i romani ci aspettano”,
disse Marco. “Tu stai sperando che ti aspetti Patrizia, non te ne può
fregare di meno degli altri romani, che ci siano o non ci siano… abbiamo
ancora un sacco di strada da fare. Dobbiamo mettere benzina al distributore, adesso ci partono altre mille lire, poi ci facciamo Cala di Volpe, però
al volo, senza soffermarci troppo”, risposi con una ripresa di entusiasmo,
canticchiando “Casa mia” dell’Equipe 84, accompagnato dal mio amico
toscano.
“Torno a casa… siamo in tanti sul treno. Occhi stanchi… ma nel cuore
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PIER LUIGI CHERCHI
il sereno. Dopo tanti mesi di lavoro mi riposerò… tatata tatata… dietro
quella porta le mie cose io ritroverò... la mia lingua sentirò, quel che dico
capirò… Oh oh oh… Dadan da dan dadan da dan… dadan da dan dadan
da dan… E ancora “Casa mia… devo ancora andar via… non chiamarmi,
io non posso voltarmi… lascio alle mie spalle la mia donna e tutto quel
che ho… torno presso occhi sconosciuti che amar non so… questa volta
chi lo sa, forse l’ultima sarà, dan dan dan… Sotto un sole da deserto riflesso impietosamente dalle rocce granitiche della costa smeralda, ci dirigemmo verso Cala di Volpe, superando numerose ville immerse nel
verde che testimoniavano il tenore di vita agiato dei proprietari. Arrivati vicino al mare notammo immediatamente due ragazzine in costume da bagno e maglietta bianca intente a fare autostop alla periferia del paese.
SARDINIA COAST TO COAST 1971. L’ULTIMO SOGNO BEAT
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“Fermati, fermati” mi urlò Marco stringendomi il braccio, “facciamole salire”.
“Ma sono due bambine” dissi. “Bimbe o non bimbe, fra qualche anno…
sono buone pure adesso!”, continuò Marco, sempre più euforico. Ci fermammo: in effetti si trattava di due ragazzine dalla faccia pulita, molto carine e sorridenti, bionde con i capelli a caschetto, dell’apparente età di
16-17 anni, che tornavano dalla spiaggia nella loro villa, stranamente
libere di girare e chiedere passaggi con un abbigliamento così succinto.
Salite in macchina ci chiesero di accompagnarle davanti alla villa dei
loro genitori, mentre Marco iniziava a fare il terzo grado e a chiedere
qualsiasi cosa della loro vita. In realtà la sua era una scusa per girarsi e
sbirciare le gambe delle due teen-agers, mentre io cercavo di fare la
stessa cosa attraverso lo specchietto retrovisore.
“Sono troppo giovani” bisbigliai al mio amico in un attimo di pausa,
“non cercare di dare appuntamenti, numeri di telefono o altro”. “Ma perché... la tua dama misteriosa di Porto Corallo non ha diciassette anni? E
allora, che differenza c’è?”, rispose a bassa voce mentre le due amiche
si parlavano nelle orecchie per non farsi sentire da noi. “Ma quella potrebbe
sembrare la sorella maggiore, sia fisicamente che come maturità… è
tutta un’altra cosa, lascia perdere”.
Come se avessero capito i nostri discorsi una delle due ragazzine,
con aria maliziosa ci chiese quanti anni avessimo, continuando rivolta
verso di me: “Beh, se tu guidi la macchina vuol dire che hai almeno
diciotto anni, il tuo amico forse qualcosa in meno, andate in giro con una
chitarra… siete dei musicisti?”.
Marco a questo punto prese in mano la situazione e, andando a ruota
libera, rispose: “Avete indovinato…siamo due musicisti che suonano
come session-man con i Califfi, conoscete quel complesso di Firenze,
quelli di “Così ti amo”, “Al mattino”,“Ragazzina”, “Ho ritrovato un quaderno
di te”… tra poco iniziamo un tour…” “Sì, il tour de France” dissi a bassa
voce mentre mi arrivava un calcio negli stinchi, “Dobbiamo trovare il resto
del gruppo a Porto Corallo, un centro bellissimo della Costa orientale,
dove c’e’ anche una cantante che canterà per la prima volta con noi…”.
“Fantastico”, disse una delle due ragazzine che sembrava aver preso
sul serio la panzana, “se ci scambiamo i numeri di telefono potremmo
venire ad un vostro concerto se è nella nostra zona... ci piacerebbe
molto”. “E’ molto difficile”, aggiunsi, mentre mi arrivava un ennesimo calcio
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PIER LUIGI CHERCHI
negli stinchi, “noi siamo sempre in giro, impegnatissimi… però non si sa
mai”.
“Ecco, siamo quasi arrivate”, disse Lara, quella che sembrava la più
assennata delle due; “perché domani mattina non andiamo insieme al
mare?... conosciamo una caletta bellissima, con un ‘acqua limpidissima,
trasparente, color turchese. Voi potreste passare casualmente qui davanti
mentre facciamo finta di fare autostop, poi si va tutti insieme…”. “Sarebbe
una splendida idea” rispose Marco finalmente con un po’ di senno, “ma
stanotte dobbiamo essere a Posada per incontrare degli amici musicisti
che vengono con noi a Porto Corallo e proseguire verso sud. Adesso mi
scrivo il tuo numero di telefono, così al ritorno ci sentiamo e stiamo al
mare insieme… va bene?”
“OK” risposero insieme le due ragazze, mentre Marco era saltato fuori
a razzo dalla macchina per spostare il suo sedile e aprire lo sportello, ma
in realtà con lo scopo di ammirare le grazie delle due teen-agers che
scendevano dalla macchina vestite di soli slippini e maglietta, scattando
una serie di radiografie degne di un radiologo consumato. “Arrivederci,
ciao, a presto” furono le ultime parole di quel breve incontro, che nel mio
amico aveva comunque lasciato il segno.
“Hai visto Lara mentre scendeva dalla macchina... ha un monte di Venere incredibile… e noi ce ne andiamo così”, continuò Marco. “Guagliò...
tu tien’a fess’in capa... noi dobbiamo andare dai romani a Posada, e
stiamo a perdere tempo con queste ragazzine che ci possono creare anche casini...” risposi, in realtà col pensiero fisso di Claudia, che illusoriamente immaginavo triste sul lungomare infuocato di Porto Corallo a ricordare le splendide giornate passate insieme.
”Però non erano neanche male...”, aggiunsi ironicamente mentre Marco
mi guardava inferocito, “avremmo potuto anche fermarci tutta la sera con
loro... e chissenefrega dei romani. Come era l’altra, quella Jenny? A me
piaceva più di Lara... non hai notato che aveva due bocce...”. “Tu sei
proprio un bastardo”, riprese il mio amico che sembrava avermi preso sul
serio, “le avevamo in mano e le hai fatte scappare via... due gnocchette
così non si lasciano andare perché poi arrivano gli altri e ce le fregano...
Va bè… comandante, ancora un giretto e via.”
Dopo una vivace discussione sulle due teen-agers abbandonate sulla
spiaggia di Cala di Volpe, Marco, nella sua recuperata esuberanza iniziò
SARDINIA COAST TO COAST 1971. L’ULTIMO SOGNO BEAT
57
a canticchiare, parafrasando la famosa canzone di Michele “Dite a Lara
che l’amo… e che uno str… mi ha fatto partire… stasera tarderò, ma appena potrò, ritornerò… dite a Lara che l’amo… e se mi aspetterà, quel
giorno sarà… per sempre mia…”.
“Bravo”, risposi, “quando ti conviene sei per il melodico e non per l’hard-rock… adesso ti è entrata in testa questa ragazzina conosciuta per
cinque minuti. Facevi tante storie per Patrizia…” “Ma che c’entra”, riprese
“queste sono cose di passaggio che devi prendere al volo… guarda,
adesso metto Paranoid nel K7 così vedi se mi piace o no il rock, quello
vero, dei miei Black Sabbath… sai che l’hanno registrato di getto, in soli
cinque giorni e che è considerato il miglior album heavy metal di sempre?...”.
Bombardati dal distorsore di Tony Iommi, mitico fondatore del gruppo
inglese continuammo a percorrere la litoranea, sempre trafficata, per dare
un ultimo sguardo alla Costa Smeralda, dopo aver visitato Baja Sardinia,
Porto Cervo e Cala di Volpe. Seguendo la strada asfaltata arrivammo in
un belvedere da dove si poteva scorgere una bella marina su una costa
ampiamente cemenficata; scattate alcune foto e dopo esserci fatti im-
La formazione dei Black Sabbath nel 1971
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PIER LUIGI CHERCHI
mortalare dal solito passante, riprendemmo la strada, osservando la bellezza del paesaggio, peraltro molto simile alle altre zone già visitate.
“Beh, a furia di sentirli e risentirli i Black Sabbath iniziano a piacermi...
c’è qualcosa dei Led Zeppelin di Moby Dick o altri pezzi di genere hard…
in ogni caso, anche grazie ai Beatles che hanno aperto la strada, questi
anni ci hanno dato un patrimonio musicale straordinario, che non si era
mai visto in tutta la storia della musica leggera. Ho paura che fra qualche
anno tutto questo scomparirà e si tornerà alle schifezze… In due anni
abbiamo perso due grandissimi del rock, lo scorso anno Jimi Hendrix e
un mese fa se n’è andato anche Jim Morrison, in un albergo di Parigi, lo
avevi saputo?. Speriamo che non diventi una strage…
Pochi giorni fa, al Madison Squar e Garden di New York, c’è stato il
Concerto per il Bangladesh, organizzato da George Harrison e da Ravi
Shankar a favore della popolazione del Bangladesh distrutta dalla siccità.
Hanno fatto vedere un servizio alla televisione… era fantastico… c’erano
Bob Dylan, Ringo Starr, Billy Preston, Leon Russel, Eric Clapton, Jim
Keltner, e tanti altri big... Sono
anni fantastici, anche se la politica sta cercando di rovinarli.
Il sogno beat non è morto… anche questo viaggio è la dimostrazione che esiste ancora e
nessuno potrà distruggerlo.”
conclusi tutto di un fiato mentre
Marco mi guardava stupito.
“Non ti facevo così sognatore”,
disse, ”purtroppo questi anni
stanno finendo e non ci saranno più quelli come noi che
sognano… hai visto che tutti
parlano del beat come fuga dall’impegno sociale, dalla rivoluzione proletaria… se continuiamo così ci menano, con
tutte queste bischerate di lotta
di classe, di potere del proletaSul belvedere a Cala di Volpe
SARDINIA COAST TO COAST 1971. L’ULTIMO SOGNO BEAT
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George Harrison e Bob Dylan al Concerto per il Bangladesh (1971)
riato… che me ne frega… pensa che a La Maddalena Patrizia a un certo
punto batteva le mani facendo tata tatata tatatata ta ta e io le ho detto
che noi lo si faceva allo stadio per incitare la Fiorentina. O via… c’è mancato poco che mi menasse davvero insieme agli altri romanacci del Testaccio perché mi ha risposto che quello era lo slogan del maggio francese, “ce n’est que un debut, continuon le combat”, una sacralità che io
avevo profanato… ma andate tutti a...
“Noi possiamo anche mandarli a quel paese”, ripresi, “ma sai come
chiamano quelli come noi: qualunquisti… la verità è che la fiaba del
mondo beat è finita il 12 dicembre 1969, con Piazza Fontana… noi
saremo gli ultimi dreamers, gli ultimi beatiful losers, i sognatori, i meravigliosi sconfitti, ma nessuno oggi ci batterà le mani. Shell Shapiro diceva
che il mondo ormaI sta cambiando e cambierà sempre più, però ora ho
l’impressione che stia cambiando in peggio… ci aspettano anni bui, viviamo questa estate ancora da ragazzi beat perchè potrebbe cambiare
tutto... questo potrebbe essere davvero l’ultimo sogno beat.”
VERSO POSADA
Tra rimpianti e sogni del mondo beat ormai stinti in un mondo troppo
cambiato, proseguimmo verso la costa nuorese attraversando trasversalmente, con qualche sosta temporanea per una gazzosa consumata nei
bar più lerci incontrati sulla strada, le spiagge di Porto Rotondo, Porto
Posada vista dal mare, con il suo castello
San Paolo, con la vista sulla splendida isola di Tavolara, San Teodoro,
Budoni fino a scorgere, a distanza, il centro abitato di Posada, dove soggiornava il gruppo di romani che avevano ospitato per qualche giorno i
nostri compagni di viaggio, Patrizia e Fulvio.
Il sole stava per tramontare e le ombre si allungavano nella periferia
62
PIER LUIGI CHERCHI
del paese, particolarmente popolato nei mesi estivi. Grazie all’indirizzo
che i due ragazzi ci avevano fornito e alle indicazioni dei passanti, riuscimmo facilmente a trovare la casa nel centro del paese, con un grande
portone di legno attraverso cui si accedeva ad un piccolo cortile dove
erano posteggiate macchine e motociclette degli ospiti romani. Mentre
osservavamo incuriositi ci venne incontro sorridente la nostra amica Patrizia, abbracciandoci e baciandoci, sicuramente felice del nostro arrivo.
“Marco, Pigi, siete arrivati finalmente... vi stavamo aspettando. Gli altri
ragazzi erano impazienti di conoscervi, sanno che andiamo a esplorare
la costa est con la cinquecento e così vogliono sapere tutto di questo
viaggio…”
“A proposito di questo viaggio, tu sai perché questo bischero ha organizzato tutto l’ambaradan?” disse Marco ridacchiando mentre Patrizia lo
guardava incuriosita, ”solo per andare a cercare una ragazza con cui ha
avuto una breve storia e poi è sparita nel nulla senza neanche salutarlo...”.
“Ah… Cenerentola ha perso la scarpina… e il principe azzurro vuole riportargliela…”, ridacchiò Patrizia divertita. “Beh… è un’idea, intanto noi
gli facciamo compagnia e potremo vedere tanti posti bellissimi. Chissà
quando potrò tornare in Sardegna… se penso che fra qualche giorno
devo ritornare al lavoro.”
A questo punto, mentre posteggiavo la macchina nel cortile, Marco
prese per il braccio la ragazza romana allontanandosi con lei a breve distanza; vidi che confabulavano molto vicini con un atteggiamento alquanto
serio e addirittura preoccupato, dopo le risate di qualche istante prima,
finchè non si riavvicinarono a me per salire le scale che portavano all’ingresso della grande casa.
“Tutti sono tornati dal mare”, disse Patrizia, “è quasi ora di cena… io
stavo preparando un’insalatona delle mie, oltre al tonno ci metto di tutto,
penso che vi piacerà. Adesso vi presento i padroni di casa che ci stanno
ospitando…”.
Esaurite le presentazioni e portati su i nostri scarni bagagli e l’immancabile chitarra, ci accomodammo nella stanza che ci era stata riservata.
“Finalmente un letto”, disse Marco, “o nun mi ricordavo com’era fatto…
mi garba di tanto”.
“E un bagno vero al posto del nostro cespuglio… ma che cavolo vi
siete detti con quell’aria misteriosa quando siamo arrivati?“, chiesi a
SARDINIA COAST TO COAST 1971. L’ULTIMO SOGNO BEAT
63
Marco cambiando discorso, incuriosito da quel suo strano atteggiamento
di poco prima. “Ah, niente… ho giocato sul romantico, le ho chiesto se
aveva capito che io ero lì solo per lei, che in questi giorni non avevo fatto
altro che pensare a lei… tu non ci crederai ma mi ha detto che era successa la stessa cosa anche a lei, e che si sentiva confusa…”.
“Mamma mia, il casino con Fulvio adesso… deve essere un viaggio di
allegria questo, non di malumori o mengate simili…”, conclusi un po’ preoccupato per l’evolversi della situazione.
Dopo esserci rinfrescati al termine di quel lungo viaggio con temperature sahariane, ci accomodammo nella saletta attigua alla cucina, con
una portafinestra lasciata aperta che dava sul terrazzo, insieme al gruppo
di romani, alcuni dei quali sicuramente oltre i trent’anni, con abbigliamenti
non proprio beat ma più da piccolo travet, cosa che fece sorridere anche
Marco che mi lanciò un’occhiata disgustata. Patrizia servì compiaciuta la
sua megainsalata, molto gustosa ma purtroppo zeppa di cipolle, non proprio digeribile dopo una dieta di 10 giorni a base di pane e mortadella.
“Sapete che ieri abbiamo aperto una bottiglia di vino e che sull’etichetta
c’era scritto “Cherchi”, disse divertita Patrizia, “io ho pensato, ma chi è?
Ma certo… il nostro Winston Churchill… Pigi… ci abbiamo fatto una risata… come è stato in Costa smeralda?”. “Bellissimo”, rispose Marco
forse cercando di far ingelosire la ragazza, “la Costa smeralda è piena di
ragazzine che fanno autostop con le cosce e le pocce di fuori… ma noi
eravamo troppo impegnati a fare il viaggio verso Posada, e le abbiamo
lasciate perdere...”.
“Ah ah, i due dongiovanni scalcinati…”, ridacchiò Patrizia insiema agli
altri romani, “prendi la chitarra e facciamo sentire quei pezzi che facevamo
a Maddalena, se i vicini non borbottano…”. Iniziammo a sciorinare il repertorio di Lucio Battisti, con “Pensieri e parole” eseguita a duetto dalla
ragazza romana insieme a Marco mentre i due si guardavano negli occhi
e si sorridevano, sotto lo sguardo imbarazzato dei presenti. Per un’ora
continuammo a suonare e cantare spensierati e allegri come sempre,
con una bottiglia di filu ‘e ferru che faceva il giro del tavolo insieme a dei
dolcetti sardi acquistati nelle botteghe del paese.
“Sapete che Posada è uno dei paesi sardi più antichi in assoluto?”,
disse Patrizia che si era documentata sugli opuscoli turistici. “Addirittura
hanno scoperto qui una statuetta rappresentante un Ercole Italico del IV-
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PIER LUIGI CHERCHI
All’uscita dal paese di Posada
V secolo a.C. Posada è stato un centro etrusco poi colonizzato dai romani,
e adesso i romani sono ritornati in forze… sapete quanti ne abbiamo trovato nelle spiagge, anche ragazzi che conosciamo... come vedete la
storia si ripete... Roma caput mundi.”
Esaurita la lezione etnografica di Patrizia, e dopo un piccolo happening
sulla terrazza nell’aria fresca della notte, ci dirigemmo con Marco nella
nostra stanza, per assaporare finalmente un letto vero dopo tanti giorni di
vita selvaggia. Purtroppo le cipolle dell’insalatona di Patrizia iniziarono a
farsi sentire, con nausea e crampi addominali, finchè alle prime luci dell’alba venni colto da conati di vomito liberandomi così da quel macigno
che mi si era piantato nello stomaco. Riuscii a dormire per un’oretta finchè
non fui svegliato dagli schiamazzi dei romani che si preparavano a scendere sulla spiaggia.
Marco era sparito dalla stanza, incollato come sempre alla ragazza romana che preparava i pochi bagagli che potevano essere utili per il viaggio
verso il sud della Sardegna.
“Pigi, hai dormito bene?”, mi chiese Patrizia come sempre solare e col
SARDINIA COAST TO COAST 1971. L’ULTIMO SOGNO BEAT
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sorriso sulle labbra. “Altroché”, risposi con una velata ironia, “meglio di
così…”.
Scendemmo nel cortile per caricare la cinquecento, riuscendo a farci
star dentro incredibilmente i bagagli di quattro persone, due tende e una
chitarra. Stipati come sardine, sempre col tettuccio aperto per far circolare
un po’ d’aria, uscimmo dal centro abitato per prendere la litoranea direzione
sud verso Dorgali e Calagonone.
LE SPIAGGE DELLA BARONIA
Patrizia aveva portato con sé il volume sulle coste della Sardegna,
sciorinando, mentre osservavamo dalla macchina le varie spiagge che si
rincorrevano, tutto il repertorio di una accurata descrizione delle stesse,
come una novella impiegata delle Pro Loco.
“Ehi, ragazzi, siamo a La Caletta... sentite un po’ qui, così ci facciamo
una cultura... ecco qui, La Caletta... la parte centrale della spiaggia prende
il nome di Sa Preta Ruia... cosa vuol dire Pigi ? Certo... la pietra rossa…
la spiaggia de La Caletta di Siniscola si estende per alcuni chilometri fino
al rinomato stagno di Su Graneri ed è caratterizzato da una sabbia chiara
e morbida. La spiaggia è orlata da una verde pineta ed è spesso battuta
dai venti; il mare è azzurro, trasparente e cristallino, presenta un fondale
basso e sempre sabbioso, tranne che ne pressi del porto”.
“Scusa un attimo”, dissi interrompendo la lezione di geografia della ragazza, e rallentando con la macchina davanti ad un tabacchino. “Ma cosa
fai? Ti vuoi fermare ad un tabacchino, tu che non fumi neanche...” disse
Fulvio stupito dalla espressione che avevo dipinta sul viso.
“No… ho riconosciuto dai servizi della televisione questo tabacchino...
qui quattro anni fa dei sassaresi sono venuti a fare una rapina… le cose
sono andate male e il tabaccaio è rimasto ucciso insieme ad un ragazzo,
un pescatore del luogo, che cercava di difenderlo. L’autista che guidava
la macchina, una macchina sportiva, era il figlio di un fornitore di mio padre,... ero presente quando parlava con mio padre del figlio, un ragazzo
poco più grande di noi che resterà in prigione chissà quanti anni. Aveva
il viso distrutto, gli occhi che guardavano nel vuoto... e soprattutto era
una famiglia agiata, che stava bene... lui studiava ai geometri in Piazza
Marconi a Sassari. Chi bisogno aveva di fare questa cosa qui? Giuseppe
Fiori, un giornalista che ha scritto il libro “La società del malessere” da
cui è stato tratto il film “Barbagia” di Carlo Lizzani, li ha chiamati “I banditi
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PIER LUIGI CHERCHI
del sabato”, cioè dei dilettanti, quelli che per tutta la settimana lavorano
o studiano e nell’week-end fanno le rapine.”
“Non sappiamo come scattano queste cose”, rispose Patrizia, “il guadagno facile... sicuramente avevano studiato il colpo ed erano sicuri che
il tabaccaio non avrebbe reagito. A Roma ne capitano tutti i giorni”.
“Sì, ma qui non siamo a Roma”, dissi scendendo dalla macchina con
un velo di tristezza. Entrai nel tabacchino forse spinto dall’orrore di quella
storia, ma non certo per una curiosità morbosa, osservando la gente che
si affollava in mezzo a quegli scaffali pieni di merce. Comprai un pacchetto
di cingomme non potendo evitare di guardare il gestore, un ragazzo giovane probabilmente figlio della vittima, e pensando al sangue sul bancone
e sul pavimento in quella giornata di ordinaria follia.
“Perché devono succedere queste cose?”, pensai mentre uscivo dal
locale e scendevo i gradini per tornare dai miei amici che nel frattempo
erano usciti dalla macchina e si guardavano attorno incuriositi. “Allora,
finita la visita sacrale”, chiese Marco con una vena ironica. “Dobbiamo
avere rispetto per questa gente”, risposi, “purtroppo dagli anni ’60 i
nuoresi sono visti come banditi, come sequestratori, assassini di carabinieri e poliziotti, e poi ti rendi conto che non c’è solo Graziano Mesina...
la colpa la danno sempre a lui e ai suoi. E invece sono venuti dalla mia
città per ammazzare un nuorese, ti rendi conto... è la storia scritta al contrario”.
MEMORIA STORICA: da “La società del malessere”,
di Giuseppe Fiori (1969) - “I banditi del sabato”
E’ il primo sabato del marzo ’67, le tre del pomeriggio.
Marcello Ligios da un anno lavora nel cotonificio Dellepiane,
alla periferia di Sassari, è meccanico tessile, non ha ancora
diciott’anni (...) Mangia in fretta, poi tefefona ad un amico.
Dice semplicemente “Puoi passare” (...) e scende ad aspettare
in strada. Un rombo, la Giulietta sprint è bianca, nuova, appena
rodata. Al volante un ragazzo di vent’anni, Antonello Biddau,
iscritto al IV anno dell’Istituto Geometri. Si conoscono da sei
mesi; ora lo studente e l’operaio vanno a Mores, dove il padre
di Marcello ha una piccola azienda agraria, colture e be-
SARDINIA COAST TO COAST 1971. L’ULTIMO SOGNO BEAT
stame(…) che macchina potente e come plana leggera sui
tornanti della Scala di Giocca, all’uscita da Sassari (...) Ecco
Antonello ha la Giulietta sprint e Marcello no, altri spendono
a volontà e lui non può. Davvero sarà sempre così? Il ragazzo
ha una sua idea, procurarsi denaro non è poi tanto difficile.
Diversa la condizione familiare dello studente Biddau (…) il
padre ha un avviato commercio, guadagna bene (…) Distinguersi, ecco l’ambizione di Antonello, ma non distinguersi per
virtù intellettuali, i professori nemmeno li ascolta. La vita desiderata dal ragazzo esce dal grigio, è vita brillante, avventure,
donne, viaggi, il denaro facile (…) le macchine sportive sono
il suo debole, guidandole si esalta (…) Altra passione: le armi;
conserva in casa esplosivi, proiettili d’ogni calibro, pugni di
ferro con punte acuminate e catene con impugnatura a foggia
di frusta (...) L’azienda dei Ligios è in località Pertusa, i due ci
arrivano alle 16,20, devono caricare Michele Ligios, ventidue
anni non compiuti, quattro in più di Marcello (…) fino a tre
settimane fa era a Palmanova, caporale Dragone del IV Reggimento Cavalleria Genova (…) gravi contraddizioni si colgono
in lui, strano impasto di generosità e istinti rozzi. Partecipò
durante l’alluvione nel Polesine all’opera di soccorso, e fu un
leone, capace di saltare pasti e sonno e infaticabile in mezzo
al fango (…) I due fratelli e Antonello stanno un poco a chiacchierare, poi via, verso Bitti. Li aspetta Diego Calvisi, diciassette anni e mezzo, il più giovane della squadra. Ha la faccia
da bambino (…) un fratello del padre di Diego è parroco di
Siniscola, un fratello della madre è maresciallo di Finanza.
Attualmente Diego si adatta ad un lavoro umile, manovale
edile a 1700 lire al giorno (…) ma questa vita semplice, fatta
di rinunzie e regole antiche lo scontenta (…) Ha conosciuto
al cinema un altro tipo di eroe che fa girare la pistola su un
dito e semina la morte e guadagna denaro. Sono i tempi
nuovi, ruberie ovunque, l’etica dello sterminio propagandata
dagli schermi (…) Alle 17,15 la Giulietta sprint è a Bitti (…) la
sosta in paese si prolunga, ripartono due ore dopo, Michele
a fianco di Antonello, Marcello e Calvisi dietro. Hanno due pistole calibro 9, una 22 con canna allungata, una 7,65, una
scacciacani, nove caricatori, centootto cartucce in bustine di
plastica, due baionette, un coltello a serramanico, due catene
di ferro a sfollagente, chiavi d’auto e grimaldelli. Puntano alla
Caletta di Siniscola. E’ un piccolo villaggio di pescatori sulla
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70
PIER LUIGI CHERCHI
costa nord-orientale dell’isola, un paio di casette sparse (…)
finita la stagione estiva, in ottobre la vita riprende a stagnare.
C’era stato un ritorno di movimento avant’ieri, giovedì, per
l’arrivo dei ciclisti del giro di Sardegna; riaperti per l’occasione
gli alberghi e grande folla per vedere da vicino Anquetil,
Merckx, Taccone, Gimondi, Adorni. Poi la solita aria tranquilla
(…) nei momenti liberi ci si trova, per quattro chiacchiere e
una bevuta, nel bar-tabaccheria di Giovanni Cherchi, vicino
ai settant’anni, vedovo con due figli che lavorano fuori (…)
Da Bitti a La Caletta saranno tre quarti d’ora. I ragazzi della
Giulietta sprint parlano eccitati, commentano gli ultimi fatti
banditeschi e, in coro, sulla melodia di una canzone appena
lanciata al Festival di Sanremo, “Mettete dei fiori nei vostri
cannoni”, attaccano “Me ciami Mesina, di nome Graziano, e
sono fuggito da San Sebastiano…”. Nel bandito d’Orgosolo,
re di evasioni e della macchia, essi vedono l’eroe e un poco
lo invidiano, rischi a parte. Così cantano, diretti all’avventura.
Non dovrebbe essere impresa difficile (…) Cherchi è vecchio,
basta mostrargli le armi e il bottino è fatto. Fermano l’auto
alla periferia della borgata, c’è a destra un viottolo campestre,
vi si inoltrano per pochi metri, Antonello spegne le luci e rimane a bordo. Gli altri si incamminano a piedi. E’ buio (…)
Nessuno circola, dal bar-tabaccheria non vengono voci . Corrono, prima entra Michele, poi gli altri (…) abbassano la serranda. ”Mani in alto”, ordina Michele. E avviene l’imprevisto. Il
vecchio reagisce, si avventa su Michele, picchia, lotta. Dal telefono pubblico si sporge un giovane di venticinque anni, Giovanni Vitiello, pescatore, entrato pochi momenti prima per telefonare (…) La colluttazione diventa furibonda, Calvisi, faccia
da bambino, è sul giovane pescatore, spara, il giovane barcolla, altro colpo, il giovane è in ginocchio, fa per sollevare la
serranda, un terzo colpo lo stende. Michele, quello dei soccorsi
agli alluvionati del Polesine, punta l’arma alla fronte del vecchio, pigia sul grilletto, è una baraonda di colpi, anche Marcello
ne lascia partire uno, a casaccio, la mano tremante, col richio
di prendere i compagni. Il sangue schizza dappertutto, macchie larghe sul bancone, sui muri, sulla faccia dei tre, e grumi
di cervella. Non spengono la luce, escono a perdifiato da una
finestrella che da su un cortile retrostante, c’è poi da saltare
un muro di cinta. Inzuppati di sangue, negli occhi la visione
del macello, corrono storditi alla macchina. “Via!”, dicono
SARDINIA COAST TO COAST 1971. L’ULTIMO SOGNO BEAT
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senz’altre spiegazioni ad Antonello e montano svelti. “Calca,
calca il pedale, più veloce!” Sono spiritati (…) Antonello vuole
sapere, e quando gli raccontano quasi sbanda, ha uno scatto
“Che bella merdata, non ci voleva”, sbotta. Stanno zitti, si
passano da bere, trangugiano delle bottiglie, lunghe sorsate
di alcool, gli occhi bruciano, ed anche la gola. Conviene fare
la strada per Nuoro, arrivare a Macomer e di lì a Sassari, un
giro lungo, centinaia di chilometri dal luogo del delitto (...) la
visione della carneficina li allucina, continuano a bere scambiandosi poche parole (…) Infine, due Km prima del ponte
sul Tirso, alle 21,20, quest’altra visione di figure, prima nebulose e via via meglio rischiarate dai fari dell’auto (…) è una
camionetta, uno in divisa fa cenno d’alt, polizia. Antonello si
agita, rallenta (…) Michele fa scivolare la pistola dentro le
mutande. Gli altri sono bianchi, capiscono che è finita (…) Attento controllo dei documenti, patente e libretto di circolazione
sono in regola (...) La luce di una torcia li investe uno ad uno,
illumina anche le armi. Prego, scendere. Perché le armi?
Danno risposte confuse, i poliziotti non sanno ancora del
massacro, nessuno ha scoperto ancora i cadaveri. Le torce
della pattuglia continuano a tenerli in un fascio di luce, il fascio
si abbassa lento dalla testa alle scarpe, fruga, mette in chiaro
ogni macchia. Cos’è questo sangue? Perché è senz’altro sangue, è sangue fresco, basta toccare, le dita rimangono arrossate. Cos’è dunque? Pallidi, i quattro banditi del sabato stanno
fermi nella luce dei fari, senza rispondere.
Riprendemmo il viaggio, lasciandoci alle spalle le tristezze de La Caletta
e i suoi misteri, con Patrizia intenzionata a descrivere minuziosamente i
luoghi che andavano ad osservare dai finestrini della macchina. ”Allora…
sentite qui… nasce da La Caletta e finisce a Santa Lucia di Siniscola,
antico borgo di pescatori una spiaggia meravigliosa, con la sua acqua
limpidissima, la sua sabbia che sembra quasi farina, la sua pineta. Gli
spazi sono ampi e il bagnasciuga è molto basso..., bene, ora siamo a
Santa Lucia, vediamo una grande pineta… seguendo il sentiero stretto e
tortuoso che si snoda lungo la linea della costa si incontrano diverse
spiaggette ciottolose. Siamo adesso nella località nota con il nome di
Spiaggia dei confetti dove i confetti non sono altro che i tanti sassolini ormai levigati dalla forza incessante del mare e del vento… Il sentiero con-
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PIER LUIGI CHERCHI
La spiaggia di Capo Comino
duce al vecchio villaggio di Santa Lucia noto per la presenza dell’antica
Torre posta a difesa della baia. La spiaggia è lunga oltre 5 km.”
A metà mattinata arrivammo a Capo Comino, in prossimità del faro
che segna il confine tra la zona degli scogli e la zona delle dune. A questo
punto decidemmo di scendere dalla macchina per ammirare la spiaggia
omonima, famosa per le sue alte dune di sabbia retrostanti, di sabbia finissima ed in quel momento ancora deserta. “Avete visto che spettacolo…”, disse Patrizia in estasi per la bellezza della spiaggia e del mare,”
da noi a Ladispoli, dove vanno i miei, la sabbia è nera, ferrosa e ruvida…
ti lascia i segni sulle gambe. Questo è’ un vero paradiso…”.
“Il paradiso tu vivrai… se tu scopri quel che hai, non ti accorgi che io
amo già te…”, Marco prese la palla al balzo, e iniziò a intonare una
vecchia canzone di Battisti interpretata da Patty Pravo mettendoci del
suo, incurante della presenza di Fulvio che lo osservava stizzito.
Imm ed iatamente Patrizia intonò la strofa che conosceva benissimo
“La vita e’ così... tu quando non hai... vuoi avere di più e dopo che hai... ti
accorgi che tu... fermarti non puoi... e vuoi quel che vuoi. La vita e’ cosi…
tu adesso mi vuoi... soltanto perché... non cerco di te, ma io che lo so...
ne soffro però, ti dico di no...”
A quel “ti dico di no” vidi Marco sbiancare in volto, mentre Patrizia sorrideva con aria maliziosa. Subito dopo però il mio amico fiorentino riprese
a cantare seguito da tutti noi con il coro del gran finale “Il paradiso tu vivrai… se tu scopri quel che hai, non ti accorgi che io amo già te… la la la
SARDINIA COAST TO COAST 1971. L’ULTIMO SOGNO BEAT
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La splendida spiaggia di Berchida
la la la la la la la… la la la la la… la la la la la… la la la la la… la la la la la.”
L’esibizione estemporanea terminò con un applauso e le braccia al
cielo come in “Hair”, il musical americano di “Acquarius”, icona del periodo
beat. Tutti e quattro ci rendevamo conto però che il beat era finito, era
finita l’epoca del “The beat goes on” di Sonny and Cher e dei Vacilla
Fudge, il sogno di libertà, di colori e musica prima di tutto; ora la politica
veniva prima di ogni altra cosa, ed era strano vedere dei ragazzi impegnati,
come Patrizia e Fulvio, cantare quelle che venivano considerate delle
“canzonette” senza nessun impegno sociale.
Ripresa la macchina, dopo aver consumato la solita gazzosa in un
chiosco sul litorale, ci dirigemmo verso la splendida spiaggia di Berchida,
considerata tra le più belle in tutta Europa, costituita da una lunga distesa
di sabbia color argento bagnata da un mare cristallino. La spiaggia era
così chiamata dal nome di una Casa Cantoniera, sita lungo la SS 125, a
sud di Siniscola; vicino alla casa trovammo facilmente una strada sterrata,
ben indicata dai cartelli stradali, che ci portò sulla spiaggia, con un mare
di un colore straordinario, tra il verde e il turchese, confinante con uno
stagno riccamente popolato di specie animali, alcune delle quali piuttosto
rare.
La spiaggia era effettivamente bellissima, larga una cinquantina di
metri, con una sabbia finissima di colore grigio chiaro, circondata da un
paesaggio ricco di odori e colori mediterranei, in mezzo a ginepri secolari
capaci di formare delle curiose capanne naturali. Nonostante fossimo in
74
PIER LUIGI CHERCHI
Patrizia in posa nell’acqua turchese di Berchida
piena stagione turistica l’arenile, molto ampio, non appariva affollato,
dando l’idea di una non eccessiva frequentazione.
”Andiamo con Marco a dare uno sguardo più in là…”, ci disse Patrizia
allontanandosi sulla spiaggia. Seduti su uno spunzone roccioso io e Fulvio
osservammo la ragazza romana che si allontanava col mio amico prendendolo per mano. “Che devo fare?” mi chiese Fulvio con un’aria apparentemente rassegnata, “gli devo spaccare la faccia?”. “No”, risposi, “devi
solo aspettare. Qui gioca tutto... il paesaggio, l’atmosfera, l’estate, il colore
del mare, la spensieratezza dei giorni di vacanza… e comunque non
succederà niente. Vedrai quando sarete a Roma, con la pioggia, il vento,
le giornate grigie, la sveglia presto al mattino, le file sul raccordo anulare…. la quotidianità riporta le cose a posto… il tempo rimette le cose a
posto”. “Grazie Pigi, sei un amico…”, rispose Fulvio che sembrava sollevato dalle mie parole.
Come avevo immaginato i due ragazzi ricomparvero dopo pochi minuti
con Patrizia che, entusiasta dell’acqua cristallina invitò tutti a fare un
bagno. “Venite, è fantastico… quando ci ritorneremo più qui? Buttiamoci
in acqua, tanto abbiamo tutta la sera per arrivare a Dorgali da Battor”. In
pochi secondi, dopo aver preso dalla macchina il pallone che, come la
chitarra, ci seguiva dappertutto, eravamo pronti a tuffarci in quel mare
color turchese, dal fondale molto basso per molti metri dalla riva, iniziando
una partita a pallavolo con schizzi e risate accompagnate dalle battute
del mitico Rischiatutto di Mike Bongiorno di quei primi anni settanta. “Ahi
SARDINIA COAST TO COAST 1971. L’ULTIMO SOGNO BEAT
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ahi signora Longari… non ha preso
quella palla… ed ora un bel rischio!” e via una battuta a cercare
di colpire gli avversari. “Ed ora la
Ciuffini alla battuta… un altro rischio!”, con Marco abbattuto dalla
schiacciata di Patrizia che rideva
divertita. E infine “Ahi ahi signora
Longari, mi è caduta sull’uccello…
”. Il sole di agosto, lo splendido colore del mare, la piacevole temperatura dell’acqua, stranamente
sgomb ra dalla calca dei bagnanti
che si osservava in altre spiagge,
quella strana atmosfera dell’estate
che si avvicinava alla fine ebbero
l’effetto di unirci ancora di più, miscelando le individualità di quello
strano quartetto estivo “senza arte
né parte” e ricompattandolo tena- Un peroncino prima della partenza
cemente. Ci sentivamo felici e pronti
a continuare quell’avventura meravigliosa che aveva il sapore della giovinezza e della libertà. Fra qualche giorno saremmo tornati a La Maddalena
a recuperare i nostri bagagli e i nostri vecchi amici, chiudendo una parentis
della nostra vita che, con l’autunno sarebbe tornata al tran tran di tutti i
giorni, con l’Università, le lezioni, gli esami, il grigio della lunga stagione
senza sole e mare. In un chiosco vicino alla spiaggia trovammo dei panini
già confezionati insieme a dei peroncini gelati e, dopo il frugale pasto, ci
preparammo a percorrere la SS 125 della Baronia meridionale, direzione
Dorgali, dove Battor ci aspettava per farci passare una serata tipica in
mezzo ai pastori del luogo.
VERSO DORGALI
Uno splendido scorcio di Bidderosa
Lasciata alle spalle Berchida, continuando a scendere lungo il litorale
orientale, nella SS 125, incontrammo altre spiagge incantevoli come Bidderosa, oasi faunistica dal mare incontaminato, Cala Ginepro, Cala
Liberotto e Fuil’e mare. A Bidderosa decidemmo di fermarci, dopo aver
percorso un sentiero molto stretto e zeppo di buche dove la mia cinquecento rischiò di sprofondare, con una fitta selva di eucalipti e ginepri, per
ammirare la grande distesa del bagnasciuga frequentato da un numero
molto limitato di bagnanti, e il colore del mare, assolutamente trasparente
e invitante.
Nella spiaggia di Bidderosa Patrizia volle fare l’ennesimo bagno, con
evoluzioni da ginnastica artistica sul bagnasciuga, immortalate dallla mia
Comet, mentre gli altri due amici improvvisavano una gara di nuoto.
Ripartiti, subito dopo costeggiammo Orosei, graziosa cittadina di origini
medievali situata nella fertile piana formata dalla foce del fiume Cedrino,
da cui iniziavano le lunghe spiagge di Sa Marina e Su Barone che proseguivano con Avalè, Osalla e Cala Cartoe.
78
PIER LUIGI CHERCHI
Evoluzioni ginniche sulla spiaggia di Bidderosa
Il nostro viaggio era scandito dalla voce narrante di Patrizia, che, grazie
al volume sulle coste sarde, continuava a descriverci i luoghi via via incontrati in maniera puntuale e precisa. “Sapete, noi siamo adesso nella
parte settentrionale del golfo di Orosei che, a differenza della parte meridionale, rocciosa, dirada sul mare con pinete, spiagge, lunghi arenili e
dune costiere che si spingono sino a Punta Nera. Poi, invece, inizia un
territorio costiero morfologicamente molto diverso, che addirittura rappresenta la parte terminale dell’altopiano del Supramonte, chiamato
anche Supramonte marino, e si estende sino al Capo di Monte Santu.
Ma Pigi... il Supramonte non è la zona dove è nascosto il bandito Mesina?”
“Certo”, risposi, “ma quello non lo prenderanno mai... se sai come è
evaso dal carcere di San Sebastiano a Sassari, proprio vicino a casa
mia... è riuscito a saltare un muro altissimo, poi si è attaccato ad un palo
della luce, è sceso tranquillamente in strada e si è fatto dare un passaggio
da un taxi... Hai visto il film di Carlo Lizzani, “Barbagia” ? C’era la scena
dell’evasione di Mesina con un ragazzo spagnolo, uno studente che è
fuggito con lui e poi, dopo qualche tempo, è rimasto ucciso in una sparatoria con i carabinieri proprio nel Supramonte...”.
SARDINIA COAST TO COAST 1971. L’ULTIMO SOGNO BEAT
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“Ma sì... ti ricordi Fulvio, quel film... l’abbiamo visto a Roma… era
Franco Nero che faceva il bandito Mesina…”, rispose Patrizia. “No, era
Terence Hill…”, dissi intervenendo per precisare riguardo al cast di quella
splendida pellicola, “forse ti viene da confondere per gli occhi chiari e i
capelli biondi… poi la parte dello spagnolo, Miguel Atienza, la faceva il
grande Don Backy… una parte che gli cascava a pennello, il bandito
gentiluomo. Un po’ a tutti quelli della mia età è dispiaciuto per la fine di
Atienza… era uno studente, lontano dai genitori, lontano da casa… è rimasto in terra agonizzante per un sacco di tempo.”
MEMORIA STORICA DA “La società del malessere”,
di Giuseppe Fiori (1969) - “Morte di un bandito”
Non c’è stato un requiem per Miguel Alberto Asensio
Prados, il giovane madrileno di 21 anni ferito sabato 17 giugno
1967 dai baschi blu durante una violenta battaglia nei monti
di Orgosolo (otto ore di fuoco) e trovato morto domenica 25
giugno in fondo ad un precipizio. Due agenti erano rimasti sul
terreno, in quella battaglia, falciati dalle raffiche di mitra; però
anche un bandito sanguinava, certamente Atienza. I baschi
blu avevano sentito lo spagnolo gemere; un grido “Non ce la
faccio più, mi ammazzo”. Da una settimana dunque ne cercavano il corpo nelle voragini del Supramonte; quand’ecco, a
zaffate dal basso d’un costone di roccia, quest’acre fetore.
Dentro sacchi, un cadavere sfatto,difficile l’identificazione, ma
la polizia non ha dubbi. Ora, nel cimitero di Nuoro, hanno avvolto il corpo in un lenzuolo, poche agenti assistono all’operazione, si scambiano parole fredde, burocratiche, il sole picchia, e nel silenzio nient’altro che il calpestio della ghiaietta
vicino alle fosse ed un canto di cicale. Mettono l’ucciso in una
cassa di tavole piallate alla svelta, poi la calano e lentamente,
anche con i piedi, spingono la terra per riempire il fosso. Sulla
tomba nessun nome; soltanto un numero: 196. Senza il riconoscimento ufficiale al morto non può esser dato un nome, e
la faccia era decomposta, mangiucchiate le orecchie, e così i
polpastrelli, impossibile il raffronto delle impronte digitali. Ed
è mancata la testimonianza di un parente, d’autenticazione
dell’identità. I familiari sono assenti; mai, in questi mesi di la-
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PIER LUIGI CHERCHI
titanza, il padre, benché avvertito da un legale, si era fatto
vivo: asciuttamente aveva risposto “Non ho soldi per viaggi”.
E il suo ragazzo adesso è qui, semplice numero del cimitero
di Nuoro. Un’avventura chiusa. Nove mesi di scorrerie, di
veglie notturne, di fughe, spiate, braccato. Non poteva dirsi
un’allegria, quel modo di vivere, sdraiati nella neve, la tempia
su un sasso appuntito per non sprofondare in sonno pesante,
le camminate estenuanti sotto l’acqua, la rozzezza di certi
uomini, così diversi da quelli conosciuti nel liceo di Madrid, e
il continuo stato d’ansia, ogni ora in libertà uguale ad un’ora
guadagnata. Ma l’infatuazione per Graziano lo induceva a
sopportare i disagi. Si sentiva legato a lui da un patto di solidarietà, mai l’avrebbe violato. Gli disse una volta un commerciante nuorese tenuto in ostaggio “Mesina si stancherà di te,
gli sei di peso, ti ucciderà”(…) E Miguel “No, Graziano non è
come pensi. L’amico non lo tradisce, è leale, tranquillo, non
un sanguinario. Ha nemici e non li uccide. Potrebbe perché
me li ha mostrati, ed erano bersagli facili. Eppure li lascia vivere, contro le aspettative di chi pensava a chissà quale scatenamento. A Orgosolo finora non ha sparato un colpo, se
non per difendersi. Non ci separeremo”. Si sono separati. La
sera della battaglia Mesina se lo caricò sulle spalle, fuggì e
sentiva i lamenti dell’amico, mandò a chiamare un medico,
era troppo tardi. Qualcuno disse “Sotterriamolo”. Rispose
“Vuole che lo trovino. Vuol tornare a Madrid, sepolto con la
mamma.” L’altro disse “Ma lasciamo tracce nostre”. Mesina
fece un gesto, e dopo averlo avvolto in sacchi si allontanò
(...).
“Meglio non averci a che fare con questa gente…” riprese Patrizia,
”comunque da Dorgali, dove siamo diretti, per più di 40 km la costa è
molto alta è caratterizzata da imponenti bastioni calcarei ricoperti da
boschi secolari costituiti di una rigogliosa e variegata macchia mediterranea. Per secoli queste zone erano inaccessibili via terra, e sono caratterizzate da spiagge sabbiose circondate da pareti calcaree verticali,
incise da profonde gole scavate da antichi fiumi ora scomparsi o inghiottiti
dall’altopiano carsico sovrastante… dei canyon in pratica, come quelli
americani… Queste sono le cale, Cala Luna, Cala Sisine, Cala Biriola,
Cala Mariolu e Cala Goloritzè. Io voglio andare assolutamente a Cala
SARDINIA COAST TO COAST 1971. L’ULTIMO SOGNO BEAT
81
Luna… è uno spettacolo naturale fantastico, c’è il mare
e un laghetto circostante
con una striscia di sabbia
bianca, a forma di semiluna.
Diciamolo a Battor che ci
faccia accompagnare; si può
andare solo via mare… due
anni fa ci sono stati dei nostri amici di Roma, che
esperienza.”
Dopo aver esaurito la full
immersion delle coste della
Baronia meridionale ci ritrovammo nelle vicinanze di
Dorgali, in una serie di tornanti che conducevano al
paese del nostro amico Battor, indicato da un cartello
sforacchiato a pallettoni. ”Ma
sarà giusto questo indirizzo?
Speriamo bene…”, disse
Marco che mi sedeva a
fianco in macchina. Dopo
una serie di indicazioni approssimative date dai passanti giungemmo nella
via indicata dal nostro amico, chiedendo informazioni pià precise ad un signore che si era avvicinato alla nostra macchina. “Sa dove abita Salvatore
Senette, Battor?”, chiesi attendendo una risposta. “Ah, su duttore”. Rispose
immediatamente l’uomo. “Ma come dottore… è iscritto al primo anno di
Medicina, come me… Forse abbiamo sbagliato persona”. “No, no già
est’isse, su duttore... la casa è quella che fa angolo, con quel grande cortile”.
Stupiti dalla considerazione di cui godeva il nostro amico, considerato
già “dottore” dopo un anno di studi, suonammo alla porta e, dopo pochi
minuti, Battor ci venne ad aprire in pantaloncini corti e maglietta con la
faccia di Gigi Riva e lo scudetto del Cagliari 1970.
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PIER LUIGI CHERCHI
L’ovile (su cuile) di Doddoi
“Grandi… siete arrivati. Sono proprio contento”, disse Battor abbracciandoci con estrema cordialità come solo i nuoresi sanno fare, “ho organizzato tutto… stanotte ceniamo nell’ovile di mio cugino… è onorato della
vostra presenza… vedrete. Poi ho preparato due camere a casa mia,
non ci sono problemi, tra l’altro sono solo a casa perché i miei sono via.
Mi fa piacere che siete venuti, non ci speravo; la chitarra l’avete portata
spero...”.
Preso possesso delle due stanze messe a disposizione dal “dottore”
ancora studente universitario, e ricomposti dopo una giornata di viaggio
ad ammirare una sequenza di spiagge da favola, ci preparammo per l’avventura notturna nell’ovile del cugino di Battor, che ci aspettava insieme
a degli altri pastori del luogo. Battor prese la sua R4 e passò davanti per
indicarci la strada; con nostra grande sorpresa Patrizia scese dalla cinquecento e si sedette accanto all’amico nuorese, suscitando una malcelata
gelosia da parte del fidanzato e del suo cavalier servente fiorentino. “Beh,
è andata per non lasciarlo solo…”, disse Fulvio che forse aveva perso
un’occasione per stare zitto, senza trovare una risposta o un’occhiata
d’intesa da parte di Marco. Io ridacchiavo silenziosamente mentre percorrevamo dei tornanti per arrivare all’ovile sulla montagna. Dopo circa
SARDINIA COAST TO COAST 1971. L’ULTIMO SOGNO BEAT
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un’ora di strada e un passaggio in un costone dissestato su un precipizio
scosceso, tra le bestemmie dei miei due amici preoccupati per la loro incolumità, finalmente arrivammo nell’ovile, dove un grande fuoco illuminava
l’aia con un pastore intento a cucinare dei porcetti secondo la più antica
tradizione sarda.
Doddoi, il cugino di Battor, ci venne incontro salutandoci affettuosamente mentre altri amici finivano di preparare una tavolata con tutte le
specialità sarde, olive, formaggio, ricotta mustia, il tatalliu, ossia le interiora
cucinate in umido nella padella, salsiccia stagionata e fatta affumicare vicino al camino, il tutto innaffiato da un cannonau di cui era preferibile non
conoscere la gradazione. Seduti al tavolo all’aperto, nell’aria tiepida dell’estate, con Patrizia circondata dai suoi due angeli custodi, Fulvio e
Marco, assaporammo la straordinaria cortesia dei pastori nuoresi, che dimostravano un rispetto che pareva anche eccessivo per l’amico Battor,
esaudendo ogni suo desiderio.
Ad un certo punto, prima del porcetto tanto atteso, uno degli uomini
portò in tavola una grande teglia con il pane frattau, un piatto tipico a
base di spianata col sugo di pomodoro, uova e pecorino grattugiato in abbondanza, che stuzzicò la curiosità dei miei amici che non lo conoscevano.
“Mangi signorì, che questo a Roma non lo trova…” disse Doddoi rivolto a
Patrizia, che si mostrò molto disponibile ad assaggiare quella primizia,
come del resto gli altri ospiti.
Nel frattempo Battor era andato nella nostra macchina e aveva portato
con sé la mia chitarra, invitandoci a suonare e cantare come nelle trascorse
nottate de La Maddalena. La serata passò piacevolmente percorrendo
tutta la tradizione culinaria agro-pastorale nuorese, con il pane frattau e il
porcetto particolarmente apprezzati dagli ospiti.
Rispondendo alle richieste di Battor iniziammo a cantare accompagnati
dalla mia chitarra tutto il repertorio di “canzonette” di quel mitico 1971, da
“Che sarà” dell’ultimo Sanremo, eseguita nella versione dei “Ricchi e poveri” con Patrizia nella parte di Angela (e Fulvio che continuava a dire
“altro che ricchi e poveri, noi semo i poveri e poveri”), fino a “Il cuore è
uno zingaro” con Marco che imitava ironicamente la voce di Nicola di
Bari, “4 marzo 1943” di Lucio Dalla, “La folle corsa” e “Io ritorno solo”
della Formula 3, “Far l’amor con te” di Gianni Nazzaro, “Vendo casa” dei
Dik Dik (questa casa è tutta da bruciare…) ”Malattia d’amore” del riccioluto
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PIER LUIGI CHERCHI
Donatello (prende solamente il cuore, questa malattia, l’amore, incomincia
a questa età, non ha senso senza te…), fino a “Non si muore per amore”
ed “Era bella” di Renato, che Patrizia considerava il cantante italiano più
bello e affascinante in assoluto (Marco intervenne schifato “Ma che dici?
A me pare un bacolungo…).
Doddoi e gli altri pastori ascoltavano compiaciuti l’ensemble vocale,
innaffiato da bicchierini di filu ‘e ferru a trecento gradi che tenevano alto il
calore della serata, una serata tipica in una location completamente
diversa da quelle della costa che avevamo avuto modo di conoscere nelle
nostre peregrinazioni prima di approdare a Posada. Fulvio marcava stretta
la sua ragazza, cercando di bloccare gli approcci del mio amico fiorentino,
sempre più “attizzato” in questo suo tentativo di stabilire un contatto ravvicinato in quell’ambiente folk-beat così suggestivo e inconsueto.
“Grazie a Doddoi, a Battor e a tutti gli amici che ci hanno ospitato stasera”, recitò Marco alzandosi in piedi come per un discorso di protocollo,
“ci ricorderemo sempre di questi porcetti e di queste specialità che ci
avete voluto far assaggiare. Io vengo da Firenze, ma la ospitalità sarda è
unica al mondo… niente a che fare con quella dei toscani, come ho
potuto constatare in questi anni in cui la mia famiglia si è trasferita in Sardegna. Propongo un brindisi per la ragazza misteriosa che Pigi vuole andare a cercare nell’estremo sud della Sardegna, e che secondo me gli
darà il due di picche…”.
Tutti alzarono in alto i bicchierini squadrati pieni di filu ‘e ferru, mentre
Patrizia aggiungeva sogghignando “Un brindisi per Cenerentola e per la
sua scarpina…”, tra le risate dei presenti. “Ridete, ridete, ride bene chi
ride ultimo…”, risposi partecipando alla bicchierata. “Ora invece, per un
augurio a tutta la combriccola, Marco ci farà sentire “Fortuna” dei Procol
Harum… un pezzo strumentale che lui farà con la voce... è vero che lo
farai con la voce?... sia l’organo Hammond che i pezzi di distorsore,
Tacca banda…”.
Senza discutere Marco iniziò il suo esercizio vocale mentre io eseguivo
gli accordi con la chitarra in do minore, imitando in maniera straordinaria
le note vellutate dell’Hammond e poi il suono del distorsore, che ben conoscevo dopo aver ascoltato la parte strumentale di Paranoid nel percorso
verso il villaggio Piras a La Maddalena.
Alla fine gli applausi si sprecarono, mentre padroni di casa intonavano
SARDINIA COAST TO COAST 1971. L’ULTIMO SOGNO BEAT
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“E Bobbore, cando si
tucca… pro andare in
Baddemanna… a un’ala
giuche sa canna e in s’attera su pischeddu…”,
canto popolare della tradizione agro-pastorale,
fino a “No potto reposare”, struggente melodia eseguita a più voci
col contributo di Battor e
Doddoi. Mentre continuavamo a cantare si avvicinò uno dei pastori con
un grande vassoio di sughero pieno di salsicce arrosto, appena cucinate, con un profumo talmente
invitante da non poter rifiutare l’offerta. “Ma non avevamo finito di mangiare?”, disse Patrizia osservandoci mentre ci scatenavamo sulle salsicce
fumanti. “O via, da domani si ritorna a pane e mortadella…”, rispose
Marco, particolarmente preso da quelle prelibatezze che avevano un sapore unico in un ambiente che conservava in tutto e per tutto le tradizioni
millenarie della nostra isola. La serata proseguì ancora con la chitarra e
le nostre voci che riempivano l’aria in quella notte tiepida di agosto; un
altro pezzo del nostro viaggio si era concluso e la strada verso Porto Corallo si faceva sempre più breve, alla ricerca di qualcosa che forse non
avrebbe avuto quell’epilogo che io mi aspettavo. Ma ormai ero deciso a
continuare, qualunque foss e la conclusione di questa storia; in ogni caso
ci trovavamo nel bel mezzo di un’avventura straordinaria, un vero sogno
beat, con quell’andare avanti “on the road”, “ Senza orario e senza bandiera”, come nel LP dei New Trolls che nel ’69 aveva fatto epoca e che
tutti quelli della mia età conoscevano.
Fu proprio ricordando il mitico disco dei ragazzi genovesi, scritto insieme a De Andrè, che intonai, come pezzo finale di quella serata, da
solo, con le battute sincopate della mia chitarra in sol maggiore che sembravano spezzare il buio interrotto dai riflessi del grande fuoco ancora acceso, “Ho veduto”, che ben si legava allo spirito del viaggio. “Ho veduto
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PIER LUIGI CHERCHI
nascere il sole nei ghiacci di Thule... ho veduto i riflessi dorati delle moschee… le ombre adulte della Guascogna, gli squali bianchi… i tucul, le
case dei ricchi… ed ho pianto”.
A questo punto i miei tre amici, lasciandomi cantare le strofe da solo,
intervennero all’unisono col coro, che recitava “per le strade del mondo,
oh oh oh oh”, mentre continuavo con “ho veduto mare che è mare, terra
che è terra… come in me come a Lisbona, come da noi… ho veduto
spiga che è spiga, grano che è grano… ho ascoltato il linguaggio del
mondo, ed ho pianto”.
Alla fine la conclusione “ho veduto la faccia sporca di un amico... lo
stupore di una pazzia, di una morte… ho veduto l’ironica faccia di chi mi
odia… gli occhi grandi di chi ha paura… ed ho pianto. Ho veduto morire
il sole nel golfo di Aden, ho veduto il buio e la luce… e ancora piango”.
Il pezzo, struggente nella sua filosofia hippie, pur segnato da una vena
di malinconia e pessimismo che ben si intravedeva in quel “ho pianto”
che concludeva ogni viaggio per le strade del mondo, fu particolarmente
apprezzato dai presenti, con un applauso spontaneo e un abbraccio da
parte di Patrizia “Pigi... ma questo non ce lo avevi mai fatto sentire... la fai
benissimo. Mi ero quasi scordata di “Senza orario, senza bandiera”... è
che oggi il consumismo discografico ti porta ad ascoltare sempre nuove
cose, “usa e getta”, costringendoti a dimenticare quelle passate per comprare e ascoltare quelle appena uscite... è il sistema capitalistico, dei padroni...”.
“No, basta… anche sulle canzoni ci mettiamo la politica…” risposi,
“Per me tutte le grandi canzoni sono un patrimonio comune della nostra
generazione. “A whiter shade of pale”, “The house of the rising sun”,
anche se sono passati alcuni anni, sono un caposaldo della generazione
beat… siamo più noi che le consumiamo in fretta ma non le dimentichiamo
di certo…”.
“Ho veduto” rimase l’ultimo pezzo di quella strana nottata, in un ambiente inusuale, che non avremmo dimenticato facilmente.
Il ritorno verso Dorgali fu abbastanza tranquillo, nonostante i precipizi
che le nostre macchine dovevano costeggiare in discesa. I miei tre amici
erano assopiti quando la R4 di Battor, che aveva a bordo anche il cugino
Doddoi si bloccò di colpo. “Che è successo?” disse Marco risvegliandosi
in seguito alla mia frenata. “Non so”, risposi, “Battor si è bloccato d’im-
SARDINIA COAST TO COAST 1971. L’ULTIMO SOGNO BEAT
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provviso”. Sceso dalla macchina vidi in mezzo alla strada, nel chiarore
della luna, un enorme cinghiale, fermo, quasi abbagliato dai fari. Battor e
Doddoi erano scesi dalla macchina e osservavano la scena senza timore,
abituati probabilmente a quegli incontri notturni. “Che si fa?”, chiesi ai
due amici nuoresi; senza rispondere vidi Doddoi entrare in macchina e
uscirne con una doppietta da cacciatore che puntò sull’animale avvicinandosi ad esso. “Ma cosa fa? Gli spara?”, chiesi al nostro amico. Improvvisamente sentii il rumore di uno sparo e subito dopo vidi il cinghiale
fuggire come un razzo verso il cancelletto di legno di una tanca che dava
sulla strada, spaccandolo in mille pezzi con la sua mole e scomparendo
nella campagna.
“Ma non lo ha colpito?”, chiesi a Battor, mentre il cugino, forse sentite
le mie parole disse: ”No l’appo faddidu... su porchrabu no est’unu lepere.
Si occhidi solu in cazza…”. Sentite quelle parole Patrizia mi chiese il significato in italiano, “Lui non ha voluto colpirlo ma solo spaventarlo e
farlo scappare, perché… dice… il cinghiale non è una lepre che abbagli
con i fari e poi la ammazzi. E’ un animale che puoi ammazzare solo durante una battuta di caccia… lui vuol dire che i cinghiali meritano rispetto.
E’ un codice di queste parti, noi non possiamo capirlo…”.
UN BAGNO A CALA LUNA
La notte trascorse insonne, sia per l’avventura dell’incontro ravvicinato
col cinghiale alla periferia di Dorgali, che per l’ abbuffata e le abbondanti
libagioni a cui non eravamo più abituati, dopo tanti giorni di semidigiuno a
base di pane, acqua e qualche fetta di mortadella. Battor era già in piedi
da presto e, dopo aver bussato alla porta della nostra camera, ci sollecitò
ad alzarci e prepararci per la gita che aveva organizzato a Cala Luna, il
paradiso perduto di Patrizia, che aveva espresso più volte il desiderio di
visitarla. Dopo aver lasciato posteggiata la mia cinquecento davanti alla
casa del nostro amico nuorese, ci infilammo tutti nella R4 per dirigerci a
Calagonone, un piccolo paese circondato da montagne calcaree ricche
di boschi, posto al centro del Golfo di Orosei, ai piedi del vulcano spento
Codula Manna, a cui si accedeva da Dorgali attraverso una galleria
scavata nella roccia.
Dal porto di questo paese, estremamente frequentato nei mesi estivi,
erano sempre attivi i barconi per una escursione alla grotta del Bue Marino
o per un bagno indimenticabile nelle acque incredibilmente turchesi di
Cala Luna, Cala Sisine, Cala Biriola, Cala Mariolu e Cala Goloritzè. Oltre
a questi posti, già ampiamente conosciuti dai turisti “continentali”, Battor
ci segnalò, nei dintorni di Cala Gonone, oltre la famosa spiaggia di Palmasera, delle cale che lui conosceva benissimo, come Cala Ziu Martine
e Cala Ziu Santoru, certamente meno battute dalla calca dei villeggianti.
“Se andate lì, è probabile che facciate il bagno da soli... non c’è mai nessuno. Quelli sono veri paradisi… purtroppo Cala Luna ormai è molto conosciuta, e per vederla in tranquillità, a contatto con la natura e il silenzio,
bisogna andare a giugno, quando fioriscono le macchie di oleandri: un
vero spettacolo incontaminato”.
Arrivati al porto, dopo una serie infinita di tornanti che, partendo dalla
galleria, diradavano dalla montagna al mare, Battor si diresse verso una
90
PIER LUIGI CHERCHI
In controluce davanti alla scogliera di Cala Gonone: da sinistra Fulvio, Patrizia, Pigi
(seduto) e Marco
barca salutando cordialmente il proprietario con cui si erano sentiti e avevano preso accordi il giorno prima. “Custos sunu sos cumpanzos mios...
trattalos ‘ene chi sunu che frades…”. Marco, che per certi aspetti sembrava
più genovese che fiorentino, preoccupato per il costo della traversata, si
avvicinò a Battor confidandogli la magra situazione delle nostre finanze.
“Lascia perdere, penso a tutto io… mi aggiusto io con lui”, rispose sorridente Battor, felice di farci una cortesia con lo spirito di ospitalità che solo
i nuoresi veri possono avere.
Saliti a bordo della barca iniziammo, in un mare azzurro liscio come
l’olio, la traversata verso Cala Luna, oltrepassando Cala Fuili, raggiungibile
dal paese via terra, le famose Grotte del Bue marino, zeppe di turisti, fino
SARDINIA COAST TO COAST 1971. L’ULTIMO SOGNO BEAT
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Cala Luna nel 1971
a scorgere in lontananza le grandi grotte che portavano alla semiluna di
sabbia a grana grossa che correva a cavallo tra il mare ed un laghetto in
cui sfociava un fiume sotterraneo che attraversava la “Codula di Luna”,
un enorme canyon dalle pareti scoscese. Percorrendo tutta la codula dal
basso, seguendo il greto del torrente in mezzo ad una vegetazione fantastica di tipo mediterraneo, si poteva raggiungere, ci disse Battor, camminando per ore sotto il sole cocente per un tratto di circa 10 km, l’Orientale
sarda a livello del bivio posto al km 172,100 della SS 125, dopo essere
arrivati alla località di Telettotes e aver superato una stretta strada asfaltata,
con ripidi tratti in salita e discesa.
Sbarcati sulla spiaggia, a cui si arrivava dopo un piccolo tratto di strada
sul pendio della montagna, ci meravigliammo della scarsa presenza di
bagnanti in quel posto meraviglioso. “E’ che dopo Ferragosto i turisti
calano molto”, ci spiegò Battor, “e poi è ancora presto, a fine mattinata
arriva più gente…”.
Patrizia era assolutamente entusiasta di quel posto descrittole dagli
amici romani, e subito volle fare il bagno, sia nell’acqua turchese del
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PIER LUIGI CHERCHI
mare che in quella più verdastra dello stagno. Battor rimase sulla spiaggia
con il suo nocchiero ad osservarci mentre volteggiavamo tutti e quattro in
quelle acque così limpide e cristalline. “Ahi ahi signora Longari…” esclamò
Marco rivolto a Patrizia, “che peccato, si è dimenticata il pallone… allora
un bel rischio! “schizzandola profusamente mentre la ragazza cercava di
difendersi dal gavettone naturale del mio amico fiorentino.
Esaurito il bagno nello splendido scenario di Cala Luna, e dopo aver
visitato le grotte circostanti alla spiaggia, derivante dall’erosione dell’acqua
La spiaggia vista da una delle grotte
SARDINIA COAST TO COAST 1971. L’ULTIMO SOGNO BEAT
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sulla montagna calcarea, prendemmo tutti insieme il sole sull’arenile, discutendo con Battor sulle tappe successive da effettuare sulla SS 125,
che era ormai diventata la nostra compagna di viaggio con tutti i suoi
aspetti positivi ma anche negativi.
“Se volete continuare a fare l’Orientale purtroppo dovete affrontare
dei passi in montagna, a più di mille metri, con un sacco di tornanti,
sopra Lotzorai e Urzulei, altrimenti potete tagliare verso l’interno e ricollegarvi poi alla costa est per scendere verso Tortolì e poi verso Muravera
e Porto Corallo. Ma ho capito che voi siete decisi a percorrere tutta
l’Orientale, e allora buona fortuna…”.
Ci guardammo in faccia e capimmo che nessuno di noi voleva venir
meno a quell’ impegno morale preso già prima della partenza, quando
ancora eravamo tutti insieme a La Maddalena: nel bene e nel male
avremmo proseguito in quell’avventura, pur con una minuscola macchina
stracarica che avrebbe dovuto affrontare tante difficoltà. “Beh, questo pomeriggio ripartiamo e vediamo dove si arriva. Quando siamo stanchi
piazziamo le tende e via. Se tutto va bene domani sera siamo a Porto
Corallo…”, sentenziò Marco, che appariva estremamente deciso, soprattutto dopo le parole di Battor che aveva capito quanto tutti tenessimo a
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PIER LUIGI CHERCHI
concludere, quasi come
una vera prova di forza,
quel viaggio.
Battor aveva preparato una borsa frigo con
panini a base di salame,
prosciutto e salsiccia rigidamente
nostrani,
come quelli che avevamo avuto modo di assaggiare la notte prima,
con delle bibite gelate ;
in breve divorammo
quelle provviste già col
pensiero della cena a
base di pane e mortadella che ci aspettava
quella sera, col bidoncino da riempire nelle
varie fontanelle di passaggio.
“Se andate su ci
sono tante fontane sulla
strada con un’acqua di
sorgente, buonissima,
Patrizia a passeggio nella Codula di Luna
specie vicino a Lotzorai,”
riprese Battor, felice di darci dei consigli. “Lì c’è una chiesetta di campagna,
la chiesa campestre di San Tommaso, dove finisce il passo… molto caratteristica… vi consiglio di andare a vederla. Dietro la chiesa c’è una riserva di caccia, quasi un parco naturale. E’ il punto più alto, da lì poi
inizia la discesa verso il mare, è tutto pieno di boschi. Fate attenzione ai
cinghiali sulla strada… non scendete dall a macchina, possono essere
molto pericolosi. Voi aspettate, che prima o poi si muovono e se ne
vanno... l’importante è non farli incazzare. Come tutti gli animali selvatici
se non li attacchi ti lasciano in pace. E’ una legge della natura...”.
Dopo pranzo ci dirigemmo, superato un piccolo ponticello di legno
SARDINIA COAST TO COAST 1971. L’ULTIMO SOGNO BEAT
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sgangherato che consentiva il guado del laghetto naturale sulla spiaggia,
verso la parte iniziale della Codula, per ammirare le pareti scoscese e la
splendida vegetazione in cui spiccavano le enormi macchie di oleandri
rosso-bruno. “E da qui si dovrebbe camminare per 10 km per raggiungere
l’Orientale?” disse Marco, “fossi grullo…” “Ah ah ah, tu sei proprio nato
stanco…”, continuò Patrizia ridacchiando, mentre tutti annuivano divertiti.
Lasciammo Cala Luna con il barcone dell’amico di Battor ricuperando
la R4 posteggiata al porto di Calagonone e tornando a Dorgali per salutare
il nostro amico nuorese, ringraziandolo per l’ospitalità e la cortesia che ci
aveva dimostrato. “Ciao, con te ci vedremo a Sassari all’Università… con
voi ci siamo scambiati tutti i numeri di telefono. Vediamo di non perderci
di vista.” concluse Battor rammaricato per non poter continuare il viaggio
insieme a noi. “Beh, un’altra macchina, tra l’altro più grande della cinquecento, ci avrebbe fatto comodo”, disse Fulvio che aveva assaporato il sogno di fare il viaggio nella R4 insieme a Battor e alla sua fidanzata eliminando la presenza dell’antagonista fiorentino, “ma se hai questi impegni
con i tuoi genitori pazienza. Se vieni a Roma chiamaci a quei numeri...
per te saremo sempre a disposizione.”
DAL MARE ALLA MONTAGNA
Ci salutammo davanti alla casa di Battor, che ci aveva ospitato con
tanta cordialità e disponibilità, pronti a percorrere i chilometri che ci separavano da Porto Corallo, dove contavamo di arrivare il giorno successivo.
Da Dorgali sarebbe iniziato il tratto più impegnativo, con una serie di ripidi
tornanti che ci avrebbero condotto ai vari passi del Gennargentu, a oltre
mille metri sopra il livello del mare.
Mentre effettuavamo il solito rifornimento di benzina (100 lire al litro!)
al distributore, mi accorsi che si era accesa la spia dell’olio, consumato
probabilmente negli impervi tratti montani dell’ovile di Doddoi. “Ragazzi,
c’è un problema… manca l’olio”, dissi rivolto ai miei compagni di viaggio.
Marco fece subito le spallucce, non troppo contento di tirar fuori soldi per
risolvere il problema. Subito intervenne Patrizia, che, lanciando un’occhiata
disgustata al suo spasimante disse. “E’ un problema di tutti noi, non solo
di Pigi… la macchina la stiamo utilizzando tutti, perciò dobbiamo contribuire”.
Ripartiti, seguendo le indicazioni delle cartine stradali, ci inoltrammo
in un tracciato che arrivava fino ad oltre 1000 mt slm, attraverso il supramonte di Orgosolo e Baunei: un vero paradiso per i cultori delle passeggiate in montagna, di fronte ad un panorama roccioso e selvaggio, unico
al mondo. La strada Orientale Sarda procedeva con un susseguirsi di
spettacoli mozzafiato, di foreste e speroni di roccia a picco sul mare,
dove avremmo incontrato le belle spiagge di Santa Maria Navarrese e
Lotzorai. La cinquecento, forse rinfrancata dall’olio rabboccato poco prima,
procedeva spedita, senza sussulti o cali di potenza in quei tornanti così
scoscesi, sotto un sole cocente, attraversando i passi di montagna fino
alla splendida Genna Silana, a 1017 metri slm, affacciata sulla impervia
Gola di Su Gorropu, prestando attenzione alla presenza di animali allo
stato brado (cavalli, maiali, ovini, capre ) che ci attraversavano la strada,
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PIER LUIGI CHERCHI
e, in alcuni tratti,
alle pietre cadute
dai costoni rocciosi,
che costituivano un
vero pericolo per la
nostra piccola utilitaria.
“Dobbiamo cercare di arrivare alla
chiesetta campestre di cui ci ha parlato Battor”, dissi
voltandomi verso i
miei amici, “lì c’è
una piccola oasi
naturalistica con
una fontana e un
bosco, dove potremmo piazzare le
nostre tende per
stanotte. Battor ci
ha lasciato dei panini, così ci organizziamo una bella cenetta...”.
“Io potrei accendere il fuoco, così stiamo tutti intorno a cantare con la
chitarra… sarebbe suggestivo”, intervenne Marco che cercava di inserire
nel programma una atmosfera romantica per lanciare il suo assalto verso
la ragazza romana, che, per la verità, negli ultimi giorni non aveva manifestato un grande interesse per il suo spasimante. “Nooo, ma sei pazzo...
qui ci arrestano. E’ vietato accendere fuochi; in estate abbiamo la piaga
degli incendi che devastano mezza Sardegna. Qui, se non stai attento, i
forestali ti sparano a vista…” ribattei chiudendo il discorso.
“Ehi ragazzi”, disse Patrizia riprendendo la lettura del libro sulle coste
sarde, “abbiamo superato l’altopiano del Golgo… è interessantissimo,
perché qui c’è una enorme voragine chiamata “Su sterru”, che è la più
profonda d’Europa. Anche qui c’è una chiesetta campestre, quella di San
Pietro, eretta dagli abitanti per grazia ricevuta dal santo che li aveva
liberati da un mostro, una specie di drago che infestava le campagne e
SARDINIA COAST TO COAST 1971. L’ULTIMO SOGNO BEAT
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uccideva tutti quelli che
incrociavano il suo
sguardo. Secondo la
leggenda San Pietro lo
guardò servendosi di
uno specchio, quindi lo
afferrò per la coda e lo
sbattè in terra provocando quella profonda
voragine. “ “Bellissimo”,
disse Marco entusiasta,
“potevamo andare a vedere quel posto…sai
quanta gente vorrei buttarci dentro insieme al
drago…”.
“Qui ci vorrebbero almeno quindici giorni per
vedere tutto”, aggiunse
Il cartello con l’indicazione “animali vaganti”
Patrizia,” è tutto splendido, sia il mare che
questi monti… in pochi chilometri si passa da spiagge bellissime a questi
passi di montagna… magari in inverno c’è anche la neve… purtroppo tra
tre giorni dobbiamo essere di nuovo a Posada e ripartire insieme agli altri.
Ma io voglio tornarci, rifare la stessa strada con più calma e vedere tutto
il resto.” Dal territorio di Baunei, che rappresentava il confine settentrionale
dell’Ogliastra, iniziammo a procedere verso Lotzorai, valicando altri passi
come il Passo Genna Cruxi (906 m.s.l.m.) dopo il bivio per Urzulei. il
Passo Genna Sarbene (764 m.s.l.m.) il Passo Genna Scalas (666
m.s.l.m.), ed a seguire il Passo Coggina (724 m.s.l.m.), tutti accompagnati
da un panorama mozzafiato e, come ci avevano anticipato Agostino e
Geppo, dal silenzio più assoluto senza alcuna auto in movimento nelle
due direzioni. “Avevano ragione”, pensai senza esternare il mio pensiero,
“se si ferma la macchina rimaniamo a mangiare bacche nei boschi… qui
non passa un’anima…”.
Fortunatamente la macchina non ebbe alcun tentennamento, nono-
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PIER LUIGI CHERCHI
La chiesetta di San Tommaso al tramonto
stante il pieno carico e continuò imperterrita verso la nostra destinazione.
Il sole stava tramontando quando scorgemmo il cartello che segnalava la
chiesa campestre di San Tommaso, già indicataci da Battor a Dorgali.
Arrivati alla chiesetta, desolatamente chiusa e deserta, ammirammo
all’imbrunire la bella vegetazione mediterranea alle sue spalle, che mostrava comunque i segni di una certa cura da parte dell’uomo, con delle
aiuole e dei muretti a secco ben posizionati, e la famosa fontanella che
sgorgava perennemente acqua freschissima di sorgente. “Bene, ci conviene piazzare le tende e poi mangiare e riposarci”, disse Patrizia, portando giù dalla macchina una sacca e gli zaini, mentre io e Marco facevamo altrettanto.
In breve piazzammo le due minuscole canadesi in cui si faceva fatica
ad entrare, chiudendo con cura le chiusure lampo per evitare incontri imprevisti e inopportuni.
SARDINIA COAST TO COAST 1971. L’ULTIMO SOGNO BEAT
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Per la verità nessuno aveva una gran voglia
di mangiare, dopo l’arrostita della sera prima
nell’ovile di Doddoi, per cui consumammo il
solito frugale pasto questa volta senza grandi
rimpianti, per poi iniziare la solita cantata a
quattro voci in un luogo in cui potevamo tranquillamente schiamazzare senza paura di essere ripresi da qualche vicino infastidito. Il repertorio si concentrò sul periodo d’oro dei Led
Zeppelin, con la splendida “Stairway to haven”
cantata da Patrizia sull’arpeggio in mi minore
della mia chitarra, dei Rolling, con “Ruby Tuesday” col ritornello eseguito in coro, la vecchia
“Lady Jane” e “Satisfaction” che Marco interpretava col piglio e le movenze di Mick Jagger,
nonché alcuni pezzi folk di Joan Baez, tra cui
“Wish all lover come”, eseguita come un gospel
con le braccia in alto verso il cielo.
“Ehi, ragazzi, stasera abbiamo abbandonato la musica italiana…”,
esclamò Fulvio, “ma a ragione… ricordiamoci che il beat europeo è nato
in Inghilterra. Molte canzoni italiane sono solo cover di gruppi inglesi, importate da oltre manica, compresi i tuoi Califfi che hanno razziato a piene
mani sulla musica straniera…”.
Marco non accettò la provocazione, limitandosi ad annuire mentre la
stanchezza della giornata, i bagni di Cala Luna, le passeggiate nella Codula, le ripide salite montane, iniziarono a farsi sentire con qualche sbadiglio di troppo. Tutti andarono nelle tende a riposare mentre io rimasi ad
arpeggiare alla chitarra brani come il famoso Intervallo, quello delle pecore
alla TV, originariamente suonato con arpa, e Maria Elena, il pezzo strumentale de Los Indios Tabarajos degli anni ’60. Non avevo molta voglia di
dormire probabilmente pensando all’indomani, il giorno fatidico in cui saremmo arrivati a Porto Corallo senza un indirizzo, una traccia, conoscendo
solo il nome di battesimo di questa ragazza. “Forse sto sbagliando tutto”,
pensai, “però siamo ancora in tempo a cambiare itinerario… magari arriviamo lì e la troviamo che passeggia abbracciata ad un altro. Che figura…”.
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PIER LUIGI CHERCHI
I magnifici quattro davanti alla chiesetta di San Tommaso (Lotzorai) al risveglio la
mattina
SARDINIA COAST TO COAST 1971. L’ULTIMO SOGNO BEAT
103
Alla fine tornai in tenda trovando Marco già addormentato; nonostante
la scomodità di quella sistemazione mi addormentati profondamente, risvegliandomi all’alba, com e sempre per il calore del sole che arroventava
la piccola canadese e la luce che entrava fastidiosa dall’esterno. I miei
amici erano tutti fuori che esploravano i dintorni della chiesa. “Ehi tu con
la camicia militare…”, esclamò Fulvio, “prendi la macchina fotografica
che facciamo un bel quadretto davanti alla chies a... ”. Preparai la vecchia
Comet Bencini, quas i un residuato bellico degli anni ’50, con l’autoscatto
correndo poi dietro la cinquecento, mentre Marco sollevava di peso Fulvio
tra le risate divertite della ragazza. In quel momento forse, accantonate
gelosie e ripicche, ci sentivamo felici ed uniti come non mai in quell’avventura; ci restava da percorrere la parte finale della SS 125 per arrivare
alla nostra destinazione, per tornare poi velocemente a Posada dove i romani sarebbero partiti, insieme ai loro amici, per la capitale, mentre
l’estate stava ormai per finire. Sistemate tende e bagagli, e dopo la consueta toilette naturalista alla fontanella della chiesa con sapone, spazzolino
e dentifricio, con i capelli sempre più arruffati dalla salsedine e dall’umidità
di quelle soste notturne, riprendemmo il viaggio, scendendo dalla montagna al mare, verso Tortolì e le splendide coste dell’Ogliastra, per tutti noi
ancora altri paradisi da esplorare prima della tappa finale.
IL FUOCO SUL COSTONE DI LOTZORAI
Lasciata la pittoresca chiesetta che ci aveva accolto nella sosta notturna, iniziammo a percorrere in discesa i tornanti che ci avrebbero portato
verso le coste dell’Ogliastra, direzione Tortolì e Barisardo. Pur essendo
alle prime ore del mattino e in territorio montano, il caldo torrido iniziava a
farsi sentire dentro la piccola cinquecento, sempre rigorosamente col tettuccio e i finestrini aperti, nel tentativo di far circolare un po’ d’aria. Come
la sera prima la strada era completamente deserta; arrivati su un altopiano
completamente arido e bruciato dal sole, incontrammo un gregge di
pecore che attraversava da un costone all’altro, guidato da un pastore di
giovane età. Il ragazzo ci salutò con la mano, poi fece segno di fermarci,
avvicinandosi al finestrino per darci delle indicazioni: “State andando giù
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PIER LUIGI CHERCHI
verso la costa? Fatte attenzione perché c’è un incendio in basso… è
pieno di gente, ci sono tutti i forestali e anche un elicottero…”. “Grazie”,
risposi preoccupato, “ma cosa possiamo fare?”. “Faghide attenzione…”
concluse laconico il servo pastore, che aveva capito dal mio accento che
ero sardo.
Procedendo speditamente nei tornanti ad un certo punto avvertimmo
chiaramente l’odore del fumo, pur senza vedere traccia di incendi. “Magari
il fuoco è distante… qui arriva solo il fumo. Continuiamo a scendere, speriamo di evitarlo”, dissi facendomi coraggio, mentre gli altri ragazzi non
sembravano assolutamente preoccupati per la piega degli avvenimenti.
Ad un certo punto, dopo una curva particolarmente stretta, ci trovammo
di fronte ad una scena apocalittica, con le fiamme che, spinte dal vento,
passavano da una parte all’altra della strada, e decine di persone armate
di frasche che cercavano di spegnere i focolai più vicini alla carreggiata.
“Tornate indietro… che ci fate qui!” ci urlò uno dei forestali che sembrava
stizzito dalla nostra presenza. “Ma noi dobbiamo andare verso Tortolì”,
gridai sporgendomi dal finestrino della macchina. “Tornate indietro e cercate un’altra strada… sono segnalate. E non scattate fotografie, se no vi
sequestriamo la macchina fotografica… Fate attenzione a non finire
dentro l’incendio…”. “Mamma mia”, dissi, “è un casino. Facciamo inver-
SARDINIA COAST TO COAST 1971. L’ULTIMO SOGNO BEAT
107
sione e cerchiamo una via alternativa”. Prontamente invertii la rotta della
macchina riprendendo la strada già fatta, con l’odore del fumo che si
faceva sempre più acre. Ad un certo punto ci trovammo di fronte, seppure
in lontananza, una colonna di fuoco che evidentemente era avanzata
molto rapidamente dopo il nostro passaggio. “Maremma maiala…”,
esclamò Marco, “e adesso che si fa?”. Sulla destra, ad una cinquantina di
metri, comparve una strada abbastanza ampia, non asfaltata che scendeva
giù verso il basso. Tutti insieme decidemmo di seguire, anche ricordando
le indicazioni del forestale che avevamo incontrato poco prima, quella direzione, infilandoci in quella strada impervia e scoscesa, su uno sterrato
che sembrava più il percorso di un rally che una strada panoramica per
turisti. Il percorso sembrava comunque libero dal fuoco e l’odore del fumo
si allontanava sempre più; il problema è che non sapevamo dove portasse
quella strada, senza cartelli o indicazioni da seguire, e con mille curve
che ci sviavano e ci impedivano di seguire una direzione precisa.
Un po’ frastornati per quel percorso accidentato, navigando a vista
con la paura anche di restare a secco senza benzina in un luogo dimenticato da Dio, oltre che di finire nel cuore dell’incendio, arrivammo di fronte
ad una grande casa di campagna, una specie di stazzo, dove un contadino
sistemava degli attrezzi su un grosso trattore.
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PIER LUIGI CHERCHI
In un impeto di entusiasmo ci fermammo e scendemmo a razzo dalla
macchina per cercare delle indicazioni e avere un po’ di conforto. “Ma che
ci fate qui?”, chiese l’uomo che probabilmente non vedeva da anni anima
viva scendere da quella strada in mezzo alle montagne. “Per evitare l’incendio abbiamo preso questa strada…”, risposi, “dobbiamo ricongiungerci
alla SS 125 per andare verso sud. “Avete corso un grosso rischio…”,
disse l’uomo, “se continuate per questa strada finite dritti in mezzo alle
fiamme, e vi possono salvare solo con gli elicotteri. Ora ci penso io...
prendo il fuoristrada e voi mi seguite. Facciamo una strada che non conosce nessuno, che ci porta sulla SS 125. Attenzione agli ammortizzatori
e alle balestre… meno male la cinquecento è leggera.”.
Rincuorati da quell’incontro, che sicuramente ci aveva mandato la provvidenza in quella giornata iniziata nel peggiore dei modi, seguimmo la
vecchia “Campagnola Fiat” che si inoltrava in un dedalo di stradine di
campagna strettissime, che consentivano il passaggio ad una sola macchina. “Meno male che qui non passa nessuno…”, dissi ai miei amici, “altrimenti non so cosa succederebbe trovandosi due macchine di fronte.”.
Ad un certo punto, tra buche e cespugli che restringevano ulteriormente
quella strada improvvisata, sbucammo in un tratto asfaltato che avrebbe
dovuto ricongiungerci alla ss 125 verso Tortolì. L’uomo scese dalla campagnola e venne verso di noi: “Ecco da qui proseguite dritti, senza girare
a destra o sinistra fino ad una rotonda dove troverete un cartello con l’indicazione Tortolì-Barisardo. Non potete sbagliare… da queste parti bisogna fare attenzione. Non siete in città e gli imprevisti sono in agguato.
Speriamo che il fuoco non scenda in basso, altrimenti devo portar via il
bestiame... in bocca al lupo.” “Grazie, Lei ci ha salvato… non so come
sarebbe andata altrimenti…” dissi ringraziandolo, mentre i miei amici mi
avevano raggiunto salutandolo calorosamente.
Grazie ai consigli del nostro “salvatore” riuscimmo facilmente ad arrivare
alla rotonda con le indicazioni per reimmetterci sulla SS 125 direzione
Tortolì e le sue coste. Da quel punto in poi si poteva osservare tutto un
susseguirsi di panorami mozzafiato, di foreste e speroni di roccia a picco
sul mare, fino alle belle spiagge di Santa Maria Navarrese e Lotzorai.
“Guarda”, disse Patrizia, dopo una serie di curve, rinfrancata dallo scampato pericolo, “c’è l’indicazione per la spiaggia di Santa Maria Navarrese… voglio farmi un bel bagno prima di proseguire. Qui l’aria è rovente,
SARDINIA COAST TO COAST 1971. L’ULTIMO SOGNO BEAT
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Ombrelloni sulla spiaggia di Santa Maria Navarrese
deve essere così per gli incendi, non si può più respirare…”. Tutti e quattro
ci trovammo d’accordo con l’amica romana e ci dirigemmo, dopo un breve
tratto, verso la spiaggia di Santa Maria Navarrese, una distesa immensa
di sabbia con pochi bagnanti ad ammirare un’acqua di un colore straordinario, cristallino.
Ci tuffammo subito per riprenderci dallo spavento mattutino, ma non
c’era una gran voglia di ridere o fare battute come nei giorni passati dopo
una simile avventura, ma solo il desiderio di rilassarci e prendere fiato
prima della ripartenza definitiva. “Certo che ne avremo di cose da raccontare a Roma, vero amò..., disse Patrizia rivolta a Fulvio mentre Marco
faceva il pieno di bile, “tra il cinghiale sulla strada, la cena nell’ovile, l’incendio che per poco non ci faceva secchi… sicuramente non ci crederanno, penseranno che sono tutte fregnacce…”.
“Beh, sicuramente questo viaggio non ci ha annoiato, almeno fino ad
ora” dissi intervenendo nella discussione, “se proseguiamo senza intoppi
stasera dovremmo essere a Porto Corallo. Qualunque cosa succeda,
Claudia o non Claudia, metteremo le tende lì sulla spiaggia e domattina
si torna indietro. Di emozioni ne abbiamo avute a bizzeffe, ora possiamo
anche annoiarci un pochino...”.
“Ma ora mi sembri un po’ demotivato”, aggiunse Patrizia, ”sei partito
con grande entusiasmo per trovare la pischella….tutto gagliardo, e ora
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PIER LUIGI CHERCHI
Lo splendido arenile di Santa Maria Navarrese
che stiamo per arrivare al sodo ti sei ammosciato, parli come se dovessi
timbrare il cartellino…..andiamo e poi facciamo inversione e torniamo indietro.”
In realtà la ragazza, che sicuramente conosceva bene l’animo umano,
aveva colto nel segno, toccando bruscamente un nervo scoperto: il mio
apparire distaccato dagli avvenimenti era solo legato alla paura di una
delusione che non avrei potuto sopportare: avevo trascinato in quell’avventura quei ragazzi e mi sentivo anche un po’ colpevole nei loro riguardi
se le cose non fossero andate nel verso giusto. “Hai ragione”, risposi,
“questo viaggio è stata un’esperienza fantastica… abbiamo superato
tante difficoltà, quasi una prova di forza. E se questa ragazza non si
trova, se mi ha dato informazioni sbagliate, sarà una meteora passata
nella mia vita… e chissenefrega, tanto a voglia donne...”.
“Bravo, così mi piaci”, disse Patrizia, “noi ti ringraziamo per l’opportunità
che ci hai dato di fare questo viaggio...,e chi si aspettava una cosa del
genere. Un coast to coast che pochi riuscirebbero a fare, con pochi
mezzi, pochi soldi... ma siamo quattro cazzuti, e anche un po’ paraculi…
E chi ci ammazza a noi?...”
Il caldo si faceva sentire sull’arenile di Santa Maria Navarrese, dove
tra i bagnanti, sotto gli ombrelloni, era presto circolata la voce dell’incendio
SARDINIA COAST TO COAST 1971. L’ULTIMO SOGNO BEAT
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Sa Pedra Longa
verso Lotzorai: si diceva che delle lunghe lingue di fuoco erano arrivate
su una spiaggia vicina e che molte persone erano state trasportate via
con una barca. Ascoltando queste fantasticazioni ci veniva da sorridere
mentre eravamo stesi sulla spiaggia; da un radione appoggiato ad un
asciugamani arrivavano le note di “Tempo di morire” di Lucio Battisti, con
Patrizia che batteva il tempo con le mani, mentre i riccioli neri che incorniciavano il suo bel viso sempre sorridente, diventavano sempre più ingarbugliati per la salsedine e il vento caldo di agosto.
A nord di Santa Maria Navarrese, la costa diventava sempre più selvaggia, con rocce affacciate a picco sul mare o, addirittura, emergenti
dalle acque. Tra di esse, spiccava per imponenza e maestosità il famosissimo Faraglione della Pedra Longa o Agugliastra, una guglia calcarea
che si dice avesse dato il nome alla stessa regione dell’Ogliastra.
Sa pedra longa, il pinnacolo di roccia calcarea che ci avevamo lasciato
alle spalle nel nostro percorso per sfuggire al fuoco, costituiva parte integrante del tavolato calcareo ed era è uno spettacolare monumento naturale
alto 128 metri che il mare aveva isolato dalla falesia e che si elevava
come un faraglione. Quello che poteva apparire come un solo blocco di
roccia, in realtà era costituito da varie masse calcaree e dolomitiche risalenti al mesozoico che il fenomeno carsico aveva lentamente modellato
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PIER LUIGI CHERCHI
nel tempo. Parlai di questo
spettacolo naturale ai miei
amici che, presi dalla curiosità, erano tentati dal risalire la costa per ammirarlo. “Non è possibile,
dobbiamo andare av anti…”, dissi deciso, “stasera
dobbiamo essere a Porto
Corallo, se qualche santo
ci assiste e ci allontana
da questi maledetti incendi…”.
“Viva, viva Sant’Eusebio…protettore dell’anima
mia… viva viva Sant’Eusebio… protettore del mio
cuor…”, prese a cantare
Patrizia, che aveva visto
al cinema di recente “Per
grazia ricevuta”, l’ultimo
film del grande Nino Manfredi.
“Ah, bellissimo… l’avete visto anche voi?”, intervenne Marco, “a me
garbava di tanto la zia del bambino… aveva delle poppe…”. “Ma se è
grassissima”, ribattè Patrizia seccata, “ha un culo che fa provincia…”. “E
proprio così che mi garbano; o che si va con dei manici di scopa?...”, riprese il fiorentino che cercava di far ingelosire la ragazza. “A me invece
piaceva tantissimo Delia Boccardo”, disse Fulvio intervenendo nel discorso, “bellissima… una classe che poche attrici hanno… quell’altra era
la contadinotta formosa, la sua parte la faceva bene, ma niente di che.”
Girandosi dall’altra parte Patrizia riprese a cantare imitando il cantastorie della processione del film: “Quando il sole se n’è andato, e la notte
si fa scura, senza stelle senza luna c’è una grande luce nel ciel…” E noi
tutti, in coro “Viva, viva Sant’Eusebio… protettore dell’anima mia… viva
viva Sant’Eusebio… protettore del mio cuor…” Fulvio intervenne imitando
SARDINIA COAST TO COAST 1971. L’ULTIMO SOGNO BEAT
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il dialetto ciociaro facendoci sbellicare dalle risate: “Quando invuria la
dempesta ed il duono fa baura… in gambagna o dra le mura, sand’ eusebio è qui con de… quando biove e dira vendo o ti brugia il solleone, tu
dall’aldo del convendo dieni aperto l ‘ombrellone…” Tra le risate divertite
e gli applausi che giungevano dagli ombrelloni vicini che avevano gradito
la ballata, concludemmo in coro: Viva viva Sant’Eusebio, sei l’ombrello
dell’anima mia, viva viva Sant’Eusebio, sei l’ ombrello del mio cuor…”.
Terminata l’esibizione estemporanea sulla spiaggia continuammo a
scrutare il cielo per vedere se arrivavano nuvole di fumo dalle montagne,
Nel percorso accidentato, che avevamo dovuto seguire per sfuggire al
fuoco, avevamo percorso a ritroso la SS 125 ritrovandoci più a nord, addirittura verso il territorio di Lotzorai e Baunei.
“Ragazzi, qui ci dobbiamo affrettare se vogliamo arrivare stasera a
Porto Corallo”, dissi rivolto ai due romani, “io e Marco non abbiamo problemi di orari… possiamo tornare a casa anche fra dieci giorni… ma voi
dovete ripartire per Roma.”. Tutti convenimmo che bisognava darsi una
mossa lasciando la splendida spiaggia di Santa Maria Navarrese; entrati
in macchina trovammo un clima sahariano con almeno cinquanta gradi
all’interno dell’abitacolo. “C’è proprio aria di incendi… non è un caldo
normale;” disse Patrizia un po’ preoccupata per il prosieguo del viaggio.
Ripartiti, con un occhio alle macchie di vegetazione sui costoni rocciosi
che circondavano la strada, dopo alcuni chilometri notammo una colonna
di fumo che si abbassava senza arrivare però al livello del mare.
Da quel punto, scendendo verso sud, avremmo trovato affacciate sul
mare delle lunghe spiagge di sabbia granitica; la prima, chiamata dagli
abitanti del luogo Riva di ponente, partiva a nord al confine con Lotzorai,
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PIER LUIGI CHERCHI
delimitata a sud dallo stagno di Tortolì,
con un litorale lungo più di un chilometro, orlato da una fitta pineta alle
spalle del canale di Baccasara.
Successivamente seguendo la SS
125 arrivammo a Tortolì, il più grande
centro ogliastrino, tra le cittadine della
costa più importanti ed interessanti.
Superato il centro abitato, Patrizia non
volle perdere l’occasione di visitare le
famose Rocce Rosse di Arbatax, alla
base dell’ imponente Capo Bellavista,
completamente rivestito da una fitta
macchia mediterranea e sormontato
da uno splendido faro e dalla pittoresca Torre di Arbatax, costruzione spagnola del XVII secolo.
Le Rocce Rosse, spettacolari filoni di porfido affioranti dal promontorio
di Bellavista, ci lasciarono senza fiato per la loro bellezza; “E’ uno spettacolo unico, sembrano delle sculture…”, esclamò Fulvio particolarmente
Le spettacolari Rocce Rosse di Arbatax
SARDINIA COAST TO COAST 1971. L’ULTIMO SOGNO BEAT
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entusiasta; “cerchiamo un negozietto qui vicino al porto, panini e mortadella dovrebbero averli…”, mentre la ragazza era già a piedi scalzi nel
bagnasciuga, caratterizzato da ciottoli di granito e di porfido rosso di
fronte a maestose scogliere dove una miriade di ragazzini si cimentavano
in arditi tuffi.
Consumato il solito pasto su una terrazza di fronte al mare a Porto
Frailis, ci dirigemmo verso sud mantenendoci sulla litoranea per ammirare
le lunghe spiagge partendo dal lido di Orrì, con un alternarsi di cale di
sabbia finissima e di scogli di granito grigio, mentre sulla collina una
cresta ininterrotta di porfido rosso terminava in mare, fino ad arrivare alla
spiaggia di Cea, con gli originali faraglioni rossi e macchie secolari di gi-
La spiaggia di Orrì semideserta ad agosto
116
PIER LUIGI CHERCHI
nepro. e a quella di Barì,
dominata dalla torre secentesca, e le stupende
marine di Cardedu e Gairo.
I due ragazzi romani rimasero incantati alla vista
dei due faraglioni posti di
fronte alla spiaggia di Cea,
in un mare dal colore turchese straordinario ed un
bagnasciuga di sabbia finissima popolato da un numero limitatissimo di bagnanti. “Avete visto che
spettacolo”, disse Patrizia,
“sembrano i faraglioni di
Capri, ma qui non ne parla
nessuno, c’è poca pubblicità per queste bellezze…
magari è anche per questo
che c’è pochissima gente.” Con la Comet fotografai la spiaggia con i faraglioni che risultavano distanti dalla riva, e che contavo di far risaltare poi
con un ingrandimento in fase di stampa; la spiaggia di Cea era forse la
La splendida spiaggia di Cea con i faraglioni in dettaglio
SARDINIA COAST TO COAST 1971. L’ULTIMO SOGNO BEAT
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spiaggia più bella che avevamo incontrato, ma Patrizia aveva ragione:
nessuno parlava di quelle splendide zone che avevamo visitato quasi casualmente, come parte del nostro viaggio, con strade ridotte a veri e
propri sterrati polverosi e una completa assenza di infrastrutture, come
chioschi, ristoranti o bar. Ma era forse quell’aspetto selvaggio che rendeva
quei posti così affascinanti, quasi fossero il regno incontaminato di Robinson Crusoe di fronte alla purezza della natura che sembrava rifiutare il
contatto con il mondo civile.
Riprendendo la strada verso Barisardo, tappa successiva del nostro
viaggio, mi accorsi che si era accesa la spia della benzina, senza che per
la strada si vedesse ombra di case o distributori. “Porco cane… qui restiamo a secco!”, dissi preoccupato ai miei amici, “non mi sono accorto
che c’era poca benzina. Qui si vedono solo cespugli di mirto e oleandri,
altro che distributori… non possiamo andare avanti, ci dobbiamo fermare
e chiedere un po’ di benzina alla prima macchina che passa” . “Ma come
facciamo?”, disse Fulvio, “ci vuole qualcosa, una pompa, un bidoncino…
.dove la mettiamo la benzina?”. “Sta tranquillo… ho tutto io, pompa, bidoncino e imbuto per metterla nel serbatoio. Mi sono attrezzato in caso
di necessità…”, risposi, “Ma come in caso di necessità… ma li mortacci
tua, altro che necessità… tu sei uno di quelli che frega la benzina chiedendola alle macchine che passano, ma guarda che gran figlio di mignotta…”.
“Ma no, lo facciamo con i miei amici solo quando siamo a secco per
andare al mare ad Alghero, nella spiaggia delle Bombarde… siamo tutti
studenti, mica siamo dei ladri…”, conclusi sorridendo. La discussione si
chiuse con una risata generale, mentre attendevamo una qualche macchina di passaggio in quelle strade assolate e quasi abbandonate, a ridosso della SS 125 che avevamo lasciato per ammirare le ultime spiagge
dell’Ogliastra. Finalmente, sensibile ai nostri cenni di aiuto, il conducente
di una 128 bianca targata Nuoro fermò la macchina e, con grande disponibilità, ci permise di prelevare un paio di litri di benzina, senza voler
niente in cambio. “Ragazzi”, ci disse l’uomo, “dovete continuare per questa
strada sempre dritti per trenta chilometri, poi troverete una stazione di
servizio. In bocca al lupo per il vostro viaggio…”.
Ringraziato il nostro secondo benefattore di quella giornata, arrivammo
facilmente al distributore, rifornendoci e ascoltando alcune indicazioni per
118
PIER LUIGI CHERCHI
continuare il viaggio verso il sud della costa orientale, superando il comune
di Barisardo, la marina di Gairo, le spiagge situate di fronte all’isola di
Quirra, affiancate ad un poligono militare invalicabile, attivo dal 1956.
L’isolotto di Quirra, noto anche come Scoglio di Murtas si trovava di fronte
alla foce del Flumini Durci elevato a 12 m sul livello del mare a poco più
di un miglio dalla spiaggia; intorno numerosi piccoli scogli e niente altro.
Dal libro di Patrizia scoprimmo che, con l’isolotto d’Ogliastra, era l’unica
isola che s’incontrava nel vastissimo tratto di mare compreso tra le isole
di Serpentara e Molara.
Posteggiata la macchina davanti alla zona militare recintata da chilometri di filo spinato, osservammo dalla spiaggia lo spettacolo dell’isola di
Quirra, perdendo di vista Fulvio che, da antimilitarista convinto e attivo
nei circoli di estrema sinistra della Roma di quegli anni, stazionava davanti
all’ingresso della base quasi in atteggiamento di sfida. Improvvisamente
accadde il fattaccio: Fulvio raccolse una grossa pietra e la scagliò con
forza contro il cartello “Zona militare” suscitando un grande frastuono.
“Oh bischero… che hai fatto?... Sei grullo?... Qui ci sparano addosso. Ci
sono le telecamere all’esterno ”, disse Marco scagliandosi contro il ragazzo
romano. “Bastardi….le servitù militari… sapete quante migliaia di ettari
sono occupati da questi figli di mignotta… li dobbiamo mandar via tutti…
inquinano tutta la costa con le loro maledette armi”, continuò Fulvio in un
impeto di esaltazione.
Prima che potessimo risalire in macchina e ripartire, si accesero le
SARDINIA COAST TO COAST 1971. L’ULTIMO SOGNO BEAT
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luci gialle lampeggianti
del cancello elettrico,
mentre un gippone si
dirigeva verso di noi
lentamente ma in maniera decisa. Io e
Marco eravamo quasi
paralizzati, in preda al
panico, soprattutto per
il timore che Fulvio potesse dare in escandeL’isolotto di Quirra
scenze coinvolgendoci
in questa idiozia, mentre Patrizia, probabilmente abituata a Roma a questi
scontri con polizia ed esercito., appariva estremamente tranquilla. Dalla
macchina scesero due militari di giovane età, in tuta mimetica che ci bloccarono chiedendo a tutti e quattro i documenti: Fulvio aveva cambiato di
colpo il suo atteggiamento e si mostrò estremamente collaborante e silenzioso. Dopo aver trascritto i nostri nomi e sempre continuando a parlottare tra loro, uno dei due disse rivolto a tutti e quattro: “Per questa volta
lasciamo stare… siamo sicuri che è stata solo una bravata. Adesso girate
i tacchi e sparite da qui, e non fatevi più vedere… qui sono scritti i vostri
nomi e la targa della macchina. Se qualcosa del genere dovesse ripetersi,
da qualsiasi altra parte del Paese, finite dentro con l’accusa di vandalismo,
violenza privata, oltraggio alle Autorità militari etc. Adesso vi conviene
sparire.” Ringraziando, ci dirigemmo verso la macchina allontanandoci
alla svelta, mentre Fulvio veniva investito da una raffica di insulti, parolacce,
imprecazione che gli arrivavano da tutti noi.
“Te sei un grandissimo bischero… se vuoi fare ‘ste cose te le fai
quando sei solo, senza mandare in galera gli altri che sono con te…”
concluse Marco, che appariva inferocito verso l’amico romano. “Beh, vi
chiedo scusa… è stata una cosa istintiva…” disse Fulvio riportando la
calma a bordo, ”non so cosa mi abbia preso… tanto questi gesti non servono a niente…loro hanno sempre il coltello dalla parte del manico…
scusatemi ancora.”
Purtroppo il gesto istintivo e sconsiderato di Fulvio si rivelò tristemente
profetico, quando, a distanza di anni, furono messi in evidenza i danni
120
PIER LUIGI CHERCHI
gravissimi all’ambiente causati dal Poligono di tiro di Quirra, tanto da
creare negli studiosi una ipotesi nosografica di sindrome, assimilata ai
danni causati ai militari dalla guerra nei Balcani, nota come “sindrome
Balcani-Quirra”. Il Poligono è infatti tuttora al centro di un’inchiesta della
Procura di Lanusei, legata ad una serie di morti sospette e casi di tumore
di militari e pastori, nonché malformazioni di animali allevati nella zona,
seguiti dal ritrovamento di una quantità di uranio proprio nell’area del Poligono.
All’interno del Poligono 17 militari risultano ad oggi colpiti dalla Sindrome Balcani-Quirra; nelle vicinanze, a Escalaplano, centro di 2.600 abitanti, risultano 14 bambini nati con gravissime malformazioni genetiche; a
Quirra, frazione di Villaputzu, su solo 150 abitanti, venti persone risultano
colpite da tumori al sistema emolinfatico, mentre altri 16 casi di patologie
tumorali tra persone residenti a Villaputzu, Muravera, San Vito sono collegabili al poligono (ex militari, dipendenti civili, familiari dei residenti di
Quirra, proprietari di orti e vigneti prossimi al poligono), con un’incidenza
strabiliante rispetto al resto della popolazione sarda.
L’attenzione dei media si è concentrata ossessivamente su un unico
colpevole: l’uranio impoverito, ma viene condotto anche uno screenig mirato a rilevare “i possibili danni provocati dall’arsenico sulla popolazione”
e “all’individuazione di patologie correlate ad intossicazione cronica da
arsenico”, riscontrato nel sottosuolo in grande quantità.
L’ipotesi di un sistema di diffusione delle sostanze inquinanti per vie
sotterranee è stato ipotizzato nel 2009 quando è stato pubblicato su La
Voce del Sarrabus un articolo, firmato da Francesco Lai geologo esperto
in carsismo. Molti dubbi permangono ad oggi sulla situazione del sistema
carsico de Is Angurtidorgius, che si estende per quasi 11 km di gallerie
proprio sotto la base militare. I sedimenti depositati nelle grotte naturali
attraverso i corsi d’acqua superficiali, che raccolgono le sostanze inquinanti
in superficie, verrebbero trasportati dal fiume sotterraneo che si snoda tra
le gallerie, propagando l’inquinamento a tempo indefinito, anche alla fine
delle attività di addestramento e la bonifica delle aree sovrastanti.
Dopo esserci calmati e aver dimenticato quasi quant’era accaduto,
proseguendo nel nostro cammino arrivammo a Capo San Lorenzo, sede
di un’importante stazione meteorologica dell’aeronautica militare, nel ter-
SARDINIA COAST TO COAST 1971. L’ULTIMO SOGNO BEAT
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ritorio del comune di Villaputzu, di cui faceva parte anche il nostro punto
di riferimento estremo, Porto Corallo.
A Capo San Lorenzo, scesi dalla macchina sotto un caldo infernale
cantando a squarciagola, per mitigare la tensione con Fulvio, “Mettete
dei fiori nei vostri cannoni, perché non vogliamo mai nel cielo, molecole
malate, ma note musicali, che formino gli accordi per, una ballata di
pace,di pace, di pace…”, cercammo riparo per un attimo sotto delle verdi
frasche che costeggiavano la spiaggia ciottolosa e ricca di vegetazione,
che arrivava quasi fino al mare. L’acqua potabile che avevamo conservato
nel solito bidoncino di sopravvivenza era diventata ormai caldissima,
senza ombra di fontanelle circostanti o di chioschi sul litorale, dove poter
dissetarci. “Vabbè….un goccio d’acqua calda è meglio di un pugno nell’occhio”, dissi cercando di mandar giù quella che sembrava una brodaglia
al sapore di plastica, seguito dai miei amici che, via via, mentre bevevano,
facevano delle facce schifate. “Mentre andiamo per Porto Corallo ci fermiamo in un bar sulla strada e organizziamo una rapina di gazzose… ci
portiamo via tutte quelle che hanno in frigo.”, dissi mentre osservavo
quello strano quartetto che stava per arrivare alla fine del viaggio, dopo
mille avventure e dopo aver visto una parte della Sardegna che non conoscevamo e che ci sarebbe rimasta nel cuore. Erano le quattro del pomeriggio e ormai eravamo vicini a Porto Corallo, di cui avevamo notato
sulla strada delle indicazioni.
ULTIMA TAPPA: PORTO CORALLO E CLAUDIA
Seguendo la strada verso Villaputzu arrivammo ad un bar, in una
piccola frazione abitata, con alcuni tavolini all’aperto. Seduti all’ombra, finalmente con una gazzosa gelata in mano, discutemmo sull’ultima parte
del viaggio, quello che per me era il momento più atteso ma anche temuto,
per l’imprevedibilità della conclusione finale.
Una volta raggiunto il paese di Villaputzu, svoltammo per la Strada
Provinciale 99 arrivando fino al porticciolo turistico di Porto Corallo, superato il quale si arrivava alla spiaggia. Il piccolo centro era animato da un
grande fermento, con un gran numero di persone che riempivano la
grande rotonda di fronte alla spiaggia. Alle spalle del litorale troneggiava
Un bar in una frazione sperduta sulla strada per Villaputzu
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PIER LUIGI CHERCHI
una torre spagnola del XVI secolo, che serviva per avvistare le flotte di pirati che minacciavano e depredavano la zona di Villaputzu. In un cartello
arrugginito si leggeva la storia di quella torre, costruita dagli aragonesi e
teatro di violenti assalti da parte di predatori che volevano impadronirsi
dei carichi argentiferi che venivano imbarcati in quel tratto di costa.
“Ma tu non hai l’indirizzo di questa ragazza?”, mi chiese Fulvio mentre
leggeva il cartello della torre, o con grande ironia o con una sconcertante
ingenuità, “Ma quale indirizzo… se ho detto che è sparita senza lasciare
tracce… non so neanche il cognome”, risposi. “Beh, allora ci vuole l’FBI…
come pensi di trovarla?”. “Ora chiediamo al signore che è nel giardino di
questa villetta….”. L’uomo si mostrò gentile e disponibile, spiegandoci che
a Porto Corallo la maggior parte delle abitazioni erano seconde case, e
che solo alcune villette erano abitate per tutto l’anno. Ci indicò cortesemente quelle che erano le residenze “stanziali” che lui conosceva, aggiungendo che in una casa vicina c’era una ragazza alta, bruna, che corrispondeva alla descrizione che gli avevo fornito.
Lasciata la villetta dove avevamo trovato qualche indicazione appros-
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simativa, ci dirigemmo verso la casa indicata: il giardino sembrava molto
ben curato, con oleandri e piante ad alto fusto, insieme a fiori e rampicanti
che circondavano l’ingresso riempiendolo di colore. Prima che potessimo
scendere dalla macchina per suonare il campanello e parlare con qualcuno, la porta si aprì e comparve, quasi per una strana sincronizzazione
voluta dal destino, la ragazza che cercavo, con un vestitino corto da
spiaggia e i capelli raccolti. “E’ Claudia”, dissi ad alta voce, “è Claudia…
incredibile, al primo colpo”. “Ma cosa aspetti?”, disse Patrizia con la solita
ironia, ”corri principe azzurro, Cenerentola ti aspetta…”.
Sceso dalla macchina mi diressi verso il cancelletto d’ingresso; la ragazza si voltò guardandomi con un’espressione tra lo stupore e la sorpresa, abbozzando un timido sorriso. “Ma tu cosa ci fai qui?”, disse. “Beh,
certo non mi aspettavo squilli di tromba, ma almeno un saluto…”. risposi
cercando di nascondere la mia emozione. Ci salutammo con due casti
baci sulla guancia, poi indicai la mia macchina e i miei amici che, con
facce sarcastiche, si avvicinavano alla casa. “Questi sono i miei amici di
cui ti avevo parlato prima di tornare a La Maddalena… Marco, poi Fulvio
e Patrizia… loro sono romani”.
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PIER LUIGI CHERCHI
Tutti e quattro a Porto Corallo stremati dal viaggio davanti ad una villetta
La ragazza ci accolse in casa, in un grande salone riccamente arredato
che testimoniava l’agiatezza della famiglia; subito dopo ci presentò alla
madre, mentre comparivano sulla scena delle sorelle più piccole, in scala.
“Questi sono gli amici che ho conosciuto questa estate ad Alghero”,
disse cercando di nascondere per bene le carte di fronte alla madre che
guardava incuriosita, ”stanno facendo un viaggio sulla costa orientale e
sono passati a trovarmi. Poi ripartono… vero che dovete ripartire?...”. “Sì,
ma c’è tempo”, disse la madre che appariva alquanto giovane, di un’età
apparente intorno ai 35-38 anni e molto attraente, ”perché non li inviti a
cena stanotte? Avevo invitato i vicini milanesi che ripartono tra due
giorni….tutto a base di pesce… questi sono ragazzi giovani, almeno ci
metteranno un po’ di allegria… quelli sono così tristi e pallosi.”. “Grazie,
SARDINIA COAST TO COAST 1971. L’ULTIMO SOGNO BEAT
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signora… accettiamo ben volentieri”, disse Marco, che appariva già interessato alla padrona di casa. “Vabbè… facciamo un giro in spiaggia e poi
torniamo”, disse Claudia rivolta alla madre mentre ci accompagnava fuori
dalla grande casa.
Lasciammo la macchina posteggiata nella strada avviandoci a piedi
verso il mare, incontrando tanti ragazzi come noi che tornavano dalla
spiaggia nell’aria ancora calda nonostante fossero quasi le otto di sera.
La spiaggia di Porto Corallo aveva un fondo di sabbia a grani grossi ed
era decorata da una vegetazione che arrivava fino all’arenile, mentre dall’acqua affioravano numerosi tratti di scogliera. Claudia ci raccontò che il
nome del paesino richiamava la presenza di colonie di coralli, la cui raccolta era iniziata fin da epoche remote e che venivano lavorati da alcune
botteghe orafe del posto per la preparazione di gioielli e oggetti decorativi.
Lasciati i miei amici seduti ad un tavolino del bar sulla spiaggia, camminammo con Claudia lungo l’arenile quasi in silenzio, fino ad arrivare ad
un chiosco quasi abbandonato. La ragazza si avvicinò e, sicura di non
poter essere osservata, mi abbracciò e mi baciò appassionatamente,
senza nascondere un velo di tristezza. “Sei voluto venire… me lo sentivo
che saresti venuto a cercarmi”, disse guardandomi negli occhi, “mi dispiace… avrei voluto dirtelo. Sono fidanzata da due anni con un ragazzo
di un paese qui vicino... adesso sta facendo il corso di addestramento
per carabinieri a Roma. Ci siamo messi insieme che eravamo giovanissimi... lui è un ragazzo serissimo, non è un musicista beat, è anche un
po’ noioso, tutto programmato… ma le famiglie si sono legate molto. Si
parla di matrimonio… Ecco perché sono sparita così, da un giorno all’altro.
Devi dimenticarmi… io sto cercando di farmela passare… è difficile, ma
non c’è altro da fare.” “Se è quello che vuoi…”, risposi con tristezza, “dovevo comunque vederti, sarei venuto anche da solo…”. Restammo abbracciati per un po’ dietro a quelle mura abbandonate finchè non mi prese
per mano per tornare dai tre ragazzi che notarono immediatamente la
mia espressione non certo euforica, senza però chiedermi niente.
Dopo aver bivaccato all’esterno del bar seduti con Claudia, che mi appariva bellissima nei colori del tramonto, ci dirigemmo, facendo la strada
a ritroso, verso la casa della ragazza, trovando una grande tavola apparecchiata nella veranda e gli ospiti della casa vicina, che, dall’aspetto non
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PIER LUIGI CHERCHI
mostravano certamente una grande verve nè una esplosione di simpatia.
Claudia si sedette vicino a me, mentre arrivavano le portate annunciate
tutte a base di pesce, che ci apparvero come una manna dal cielo dopo
tanti giorni di pane e mortadella, accompagnate da un ottimo bianco
ghiacciato. Ogni tanto, mentre ascoltavamo i discorsi “pallosi” dei milanesi
che sarebbero ripartiti di lì a poco, Claudia sotto il tavolo mi prendeva la
mano, la stringeva e mi guardava negli occhi, sempre con un fondo di
malinconia. “Vabbè, me lo dovevo aspettare... c’era qualcosa di strano...”,
pensai mentre osservavo la tavolata con Marco che si improvvisava cavalier servente della madre della ragazza, passandole i piatti, versando il
vino, circondandola di mille attenzioni, probabilmente per stimolare la gelosia di Patrizia che però non sembrava molto colpita dal suo atteggiamento.
“Lui canta molto bene… suonava la chitarra in un complesso beat”,
disse Claudia rivolta alla madre spingendomi a prendere la chitarra dalla
macchina posteggiata davanti alla casa. Mentre gli ammazzacaffè circolavano sul tavolo iniziammo la nostra solita esibizione canora, che volli
aprire, non senza motivo, con “Io vivrò” di Lucio Battisti, eseguita a più
voci con il contributo della padrona di casa, invitata a cantare da Marco,
che non la mollava di un centimetro. “Che non si muore per amore… è
una gran bella verità… però dolcissimo mio amore… ecco quello… quello
che… da domani mi accadrà. Io vivrò… senza te… anche se ancora non
so… come io vivrò… senza te… senza te… solo continuerò… mi fermerò… camminerò… lavorerò… qualche cosa farò… qualche cosa farò...
qualche cosa di sicuro io farò… piangerò…”.
Il coro a più voci, alimentato dai gradi alcolici del mirto, del limoncello
e delle varie grappe, stimolò una insospettata verve da parte degli ospiti
che la signora aveva definito noiosi e pallosi, i quali iniziarono a richiedere
una serie di pezzi di quei mitici primi anni ’70, in particolare dei loro concittadini Dik Dik, da “Sognando la California” a “Senza luce” e “L’isola di
White”, applaudendo e schiamazzando in maniera rumorosa.
L’esibizione canora, stimolata dai vicini di casa di Claudia che si erano
trasformati in insospettabili fanatici del mondo beat, continuò fino a tarda
ora, finchè non decidemmo di togliere il disturbo salutando i presenti ed
in particolare la madre di Claudia, sempre marcata stretta dal mio amico
Marco. “Vi ringrazio per la bella serata anche a nome di mio marito. Lui è
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agente di commercio, sta tutta la settimana in giro per lavoro e torna il
sabato… Grazie a tutti”.
Claudia mi accompagnò al cancello, salutandomi in maniera formale,
per la presenza di altre persone. “Ciao, Pier… mi mancherai. Forse capiterà di rincontrarci, chi lo sa. Se dovete piazzare le tende, dopo quel
chiosco che abbiamo visto, c’è una piccola pineta dove ogni tanto i
ragazzi si accampano. Buona fortuna”. Poi mi passò furtivamente un
foglio di carta ben ripiegato che infilai in tasca, guardandomi bene dall’aprirlo davanti a tutti.
Ci dirigemmo verso la cinquecento stanchi e assonnati dopo una giornata massacrante, iniziata con il fuoco sulla montagna di Lotzorai per
finire fin quasi all’estremo sud della Sardegna orientale.
“Ma allora, come è andata?”, chiese Patrizia che probabilmente si faceva questa domanda da ore. “Nada de nada…, lei è fidanzata. Mi ha
dato il benservito e pace… Ma chissenefrega…”, risposi cercando di fare
il cinico ma in realtà con un piccone conficcato nel cuore.
“La madre ha capito tutto…”, continuò la ragazza, “l’ho visto da come
ti guardava. Ma è una donna molto moderna, una bella donna tra l’altro… una che secondo me non s’impiccia e lascia decidere alla figlia.
Beh, domani comunque festeggiamo, anche queste cose vanno festeggiate… E’ la nostra partenza. A proposito di partenza, sai qualcosa sulla
strada da prendere per tornare il più in fretta possibile a Posada?”
“Sì, mi hanno spiegato che dobbiamo prendere per Cagliari per inserirci
sulla SS 131, poi risaliamo e al bivio di Nuoro prendiamo la Nuoro-Siniscola e da lì dovremmo arrivare facilmente a Posada. Se ce la facciamo
potremmo essere domani notte a La Maddalena con Marco, se becchiamo
l’ultimo traghetto. A proposito... Claudia mi ha dato un biglietto... che ci
sarà scritto?”. D’istinto presi il biglietto dalla tasca e lo aprii leggendo ad
alta voce davanti a Patrizia. Su un foglio a quadretti c’erano scritte poche
parole “Ti amo... lo sapevi? Io no... stasera però...” “Strana questa ragazza…”, disse Patrizia, “ti da il benservito e poi ti scrive che ti ama...
mah... secondo me Cenerentola ha bisogno di un buon psicanalista…”.
Stanchissimi arrivammo alla pineta indicata da Claudia, aprendo le
sacche con le tende e sistemando in fretta e furia le due piccole canadesi
alla luce della luna. Ci addormentammo tutti di colpo cullati dal rumore
del mare che ci arrivava forte dalla vicina spiaggia di Porto Corallo. L’in-
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PIER LUIGI CHERCHI
La spiaggia di Porto Corallo al mattino
domani mattina ci svegliammo intorno alle sette con la luce abbagliante
del sole che penetrava nelle tende, già arroventate dalla calura mattutina.
“Anche qui come caldo un si scherza…”. esclamò Marco stiracchiandosi
e sbadigliando platealmente... “Guarda che qui siamo vicini all’Africa,
non scordartelo…”, dissi con la solita vena campanilistica sassarese che
identificava i cagliaritani come africani o cartaginesi. “Dai, facciamo un
bagno di primo mattino, la spiaggia è deserta…”, disse Patrizia in un impeto di euforia.
Tutti fummo d’accordo e, prima di lavarci nella fontanella di passaggio,
ci buttammo in mare con la solita allegria, schizzandoci con l’acqua e facendo fare delle capriole obbligate alla ragazza che veniva scaraventata
puntualmente sul bagnasciuga. Mentre continuavamo nelle nostre esibizioni acquatiche Patrizia mi chiamò e col braccio mi indicò una figura
esile e slanciata ferma sul bordo della strada, un’immagine ovattata e
sfumata, come una foto di David Hamilton, nel bagliore del primo sole del
mattino. “Ma quella mi sembra Claudia…”, dissi alla ragazza romana
uscendo dall’acqua, “scusatemi un attimo”.
Era proprio Claudia, immobile sul ciglio della strada deserta con uno
sguardo triste che la sera prima non avevo avuto modo di notare. “Come
mai così presto? Pensavo di non vederti più…”, dissi stupito dopo essermi
SARDINIA COAST TO COAST 1971. L’ULTIMO SOGNO BEAT
131
asciugato con l’asciugamani che
avevo disteso sulla sabbia. “Volevo salutarti… ieri non era possibile, c’era troppa gente…”,
disse abbracciandomi e baciandomi calorosamente. “hai letto il
mio biglietto?... non ho dormito
tutta la notte, ora sono più serena
perché ti ho visto. Ti auguro buon
viaggio…Io torno a casa, mi
stanno aspettando… mia madre
ieri notte mi ha fatto il terzo grado,
quella si accorge di tutto….è meglio che torni. Addio Pier…”.
“Ciao, abbi cura di te…”, dissi sottovoce osservando la ragazza
che si allontanava, sentendomi in
realtà più tranquillo, quasi distaccato; era stata una breve parentis
della mia vita a cui avevo dato Sulla spiaggia deserta di Porto Corallo al riforse troppa importanza. “Oggi sveglio
era bellissima, con i capelli sciolti sulle spalle, con quell’abbronzatura ramata da bruna… il profumo dei suoi capelli, della sua pelle… quei baci…
ormai è finita, non pensiamoci più”, pensai mentre tornavo sorridente dai
miei amici, ancora in acqua, che mi guardavano con le facce furbe e sarcastiche.
“Il primo che mi chiede qualcosa si becca un cazzotto…”, dissi sorridendo mentre tutti e tre mi schizzavano l’acqua divertiti. “Oh via…, o che
vuoi che sia”, disse Marco con la solita ironia fiorentina, ”te sei giunto per
trombare e invece te ne ritorni trombato… codesta è la vita”. “Ah, ah, ah”,
risero in coro gli altri, mentre io stavo al gioco e ridevo con loro rientrando
in acqua, mentre la spiaggia restava ancora completamente deserta.
Dopo esserci asciugati al sole “africano” di quell’estremo sud della
Sardegna ed esserci ripuliti alla fontanella, ripartimmo alla volta dell SS
131 che dovevamo percorrere speditamente per tornare a Posada, dove
il resto dei romani si stava preparando per la partenza.
RITORNO A POSADA
Dopo esser ripartiti, superato San Priamo, ci fermammo a Muravera, a pochi
chilometri di distanza per fare
colazione in un bar all’ingresso del paese, con annessa partita a biliardino di
prima mattina per stemperare
le tristezze, con una gara tra
romani da una parte e sardofiorentini dall’altra, conclusa
con una schiacciante vittoria
dei secondi che si aggiudicavano alla grande i cappuccini
e i cornetti in palio.
“Siete troppo forti, mortacci vostri, c’avete stracciato”... esclamò Fulvio pagando alla cassa, già triste per la fine di quella
vacanza che ci aveva riservato tante sorprese e tante emozioni. “Chi ce
tornerà più in un ovile a magnare il porceddu… e quelle spiagge, quel
mare turchese… il prossimo anno ce famo Ostia, Fregene o Ladispoli,
se ce và bene, artrimenti se và in piscina, artro che ar mare a mostrare
le chiappe chiare.”
Ripartimmo, con il solito sole da deserto, lasciandoci alle spalle Porto
Corallo e la ragazza che, in un colpo solo, aveva svelato i suoi misteri. Il
mio K7 Philips, al massimo volume, spandeva nell’aria la musica tormentata dei Black Sabbath che, in quel contesto, davano un senso di forza e
di vigore al viaggio, col rombo del distorsore e le note coinvolgenti del
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PIER LUIGI CHERCHI
basso elettrico impastato con le violente rullate della batteria. Attraversati
vari paesini, sempre seguendo l’indicazione Cagliari e SS 131, riuscimmo,
non senza difficoltà, ad arrivare alla ampia superstrada Sassari-Cagliari,
un’eterna incompiuta che garantiva comunque uno scorrimento veloce
per arrivare in tempo alla meta.
Nel sedile posteriore, in mezzo ai bagagli, Patrizia dormiva con la testa
reclinata sulla spalla di Fulvio, mentre Marco, stranamente silenzioso, ripensava forse alle occasioni perse per un approccio definitivo con la ragazza romana. Alla guida, dentro la piccolissima cinquecento, continuamente superata dalle altre automobili, certamente più a loro agio in quella
strada a quattro corsie, ripercorrevo tutta la storia di quel viaggio, comunque fantastico, anche se concluso nella maniera meno attesa e sperata.
SARDINIA COAST TO COAST 1971. L’ULTIMO SOGNO BEAT
135
“Ricuperiamo armi e bagagli a La Maddalena e poi si torna a Sassari”,
pensai tra me e me, in uno strano silenzio che appariva come una specie
di colonna sonora della conclusione del viaggio, “c’è ancora tempo per
scendere alle Bombarde con tutti gli amici, fino a metà settembre... poi
piano piano si riprende a studiare… devo dare per forza Istologia entro
novembre, e prepararmi per l’esame di Anatomia. Quella sì che è una
sberla…”. Mentre ero assorto nei iei pensieri sentii Patrizia, che nel frattempo si era svegliata, bisbigliare sottovoce una specie di blues, in italiano,
di cui non capivo bene le parole per il rumore del motore e la turbolenza
dell’aria che entrava forte dai finestrini aperti per il gran caldo. Poi, pian
piano, riuscii a distinguere e a decifrare le parole: “Quando mi chiamerai… io fingerò… di non sentirti e suonerò… la mia chitarra suonerò… e
piangerò, perché… lei non mi ha tradito mai, come te…”. Il blues sfisato
dalla bella voce da Patrizia risvegliò immediatamente la verve degli altri
ragazzi che intonarono, tutti insieme, il ritornello; “Non vivrei, senza questa
mia chitarra morirei… solo lei, dalla notte la tristezza porta via, porta
via… mentre tu, ragazza mia, per capriccio prima o poi….mi potresti far
sentire più solo che mai….”. Era un vecchio pezzo del 1967, di Mauro Lusini, delicato cantautore che aveva scritto “C’era un ragazzo che come
me…”, affidata a Gianni Morandi, e che si era distinto al Cantagiro con
questo pezzo, che, partendo come blues lento, classico nei toni e nella
interpretazione, si trasformava in un ritornello anche se un po’ commerciale, molto orecchiabile e ritmato.
“Vi ricordate di questo pezzo?”, chiese Patrizia, “sembra sia passata
una vita… Io allora stavo con un ragazzo bellissimo, alto, capelli lunghi,
occhi chiari, motocicletta da sballo… mi lasciava, mi prendeva… e io
come una scema ci ricascavo, finchè non ho capito che tipo era…..e poi
ho incontrato Fulvio… è stata la mia fortuna… eh amò?” Per la prima
volta in quel viaggio Patrizia aveva messo le carte in tavola, facendo
capire chiaramente che il suo rapporto con Fulvio era una cosa seria, destinata a durare nel tempo, disintegrando completamente ed una volta
per tutte le aspirazioni di Marco, che faceva finta di niente, quasi di non
aver sentito quello che la ragazza aveva detto.
“Ragazzi, stasera ci salutiamo”, disse Patrizia rivolta a noi, “se il prossimo anno torniamo in Sardegna ci facciamo la Costa occidentale….cosa
c’è da veder lì Pigi?”. “Ma, si parte da Stintino…”, risposi, “Capo Falcone
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PIER LUIGI CHERCHI
è il limite nord di quella costa, poi c’è Alghero, che è bellissima, con la
nostra spiaggia de Le Bombarde, piena zeppa di sassaresi… poi si va
verso Bosa, Bosa marina e poi Oristano, con dei litorali molto ampi, io
conosco Torre grande, S’Archittu, Putzu Idu, perché ci sono dei parenti
di mia madre da quelle parti, e, giù in fondo la marina di Arbus, con delle
dune altissime, da deserto, e poi Sant’Antioco, Carloforte… lì come per
La Maddalena c’è da prendere il traghetto, e infine all’estremo sud Baia
Chia, Capo Teulada. Bello anche lì... se ci ritroviamo tutti insieme... magari
cìè qualche ragazza misteriosa anche da quelle parti”.
A queste mie parole tutti risero in maniera divertita mentre la strada diventava sempre più scorrevole ed il traffico meno intenso man mano che
ci si dirigeva verso nord. La superstrada Sassari-Cagliari appariva ai
nostri amici romani come una specie di cattedrale nel deserto, priva di infrastrutture, di punti di ristoro, di rifornitori di benzina, con lunghissimi
tratti senza vedere una casa o anima viva all’orizzonte. “Certo che anche
qui rischiamo di restare a secco, come a Santa Maria Navarrese” esclamò
Fulvio, “non si vede un distributore…”.
Lo tranquillizzai dopo aver controllato l’indicatore del carburante, spiegando che all’altezza di Abbasanta avremmo trovato un big bon ben attrezzato, con ristorante e distributore di benzina. Verso le 14 arrivammo,
senza intoppi ad Abbasanta, proprio nel punto stabilito, con un grande
bar subito preso d’assalto per espletare le funzioni fisiologiche stimolate
dalla lunga permanenza in automobile. Nel locale c’era un gran via vai di
gente che arrivava da ambedue le direzioni, sia dal nord che dal sud
della Sardegna, considerando che l’assenza di un guard-rail permetteva
tranquillamente il salto di corsia per arrivare al punto di ristoro che era situato solo da un lato della carreggiata.
Ci sedemmo comodamente fuori dal locale, in una ampia veranda dotata di sedie e tavolini all’ombra, prendendo dei panini e i soliti peroncini
gelati che per noi apparivano come il sogno dell’assetato nel deserto africano.
“Fra un po’ dovremmo trovare il cartello con l’indicazione per Nuoro”,
dissi rivolto ai miei amici, “da lì ci vorranno un paio d’ore per arrivare a
Posada… noi proseguiamo per Santa Teresa di Gallura, se siamo in
tempo ci imbarchiamo a Palau, altrimenti dormiamo a Santa Teresa. Tra
l’altro c’è una bellissima discoteca, il Tibula, dove non si paga neanche
SARDINIA COAST TO COAST 1971. L’ULTIMO SOGNO BEAT
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la consumazione, se vuoi: l’anno scorso ci siamo andati tante volte
quando eravamo campeggiati a Capo Testa con Agostino e gli altri...”.
Conclusa la sosta improvvisata nel Big Bon di Abbasanta, dopo tanti
chilometri passati a osservare ai bordi della strada immense distese ingiallite senza una casa o un paese, segno tangibile della bassissima densità della popolazione nella nostra isola, riprendemmo il viaggio imboccando il bivio per Nuoro e successivamente, all’ingresso di Ottana, la
superstrada SS 131 DCN (diramazione centrale nuorese) che si sarebbe
poi congiunta con la Nuoro-Siniscola, ancora incompiuta, ma comunque
scorrevole in molti tratti.
Alla periferia di Ottana Patrizia, sempre molto attenta alle espressioni
geo-architettoniche che la Sardegna mostrava sporadicamente in mezzo
alle centinaia di chilometri di erba arida e ingiallita dal sole, notò due
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PIER LUIGI CHERCHI
enormi ciminiere pitturate di bianco e rosso, quasi una visione da base
missilistica e mi chiese che cosa rappresentassero.
“Anche qui a Ottana hanno aperto da poco un centro petrolchimico
per la produzione di fibre tessili sintetiche; come a Porto Torres hanno
assunto tantissime persone, spopolando la campagna e cambiando radicalmente l’economia del territorio. Vedremo cosa succederà… Di certo
quel fumo che vediamo uscire da quelle torri non è che sia il toccasana
per tutti i mali…”.
“Ma siamo sicuri che questa industrializzazione della Sardegna andrà
avanti, darà benessere, o lascerà solo macerie e inquinamento?”, continuò
la ragazza romana, che era ben documentata sui disastri di alcuni insediamenti industriali nel Lazio. Nessuno rispose, ma i nostri timori, col passare degli anni, si rivelarono fondati.
Alla fine degli anni ‘60 infatti Ottana era stata inclusa da un gruppo di
“illuminati” politici e tecnici in una proposta di sviluppo uguale a quella applicata in quegli stessi anni a Siracusa, Gela e Milazzo (Sicilia), Sarroch
e Porto Torres (Sardegna), Brindisi e Taranto (Puglia) e Gioia Tauro (Calabria), con investimenti riguardanti il settore petrolchimico e la siderurgia,
tanti capitali pubblici da investire ma con scarsa possibilità di trascinare
allo sviluppo l’intero territorio.
Così Ottana, assieme a tutta l’area circostante, iniziò a perdere la vocazione agro-alimentare, nell’illusoria speranza che la distribuzione di
tanti salari avrebbe potuto sostituirsi alla scolarizzazione e alla crescita
sociale del territorio nell’arginare e prevenire il fenomeno del banditismo
e dell’arretratezza. Negli anni anche il sogno siderurgico di Ottana sarebbe
svanito lasciando una cattedrale nel deserto: tanto territorio consumato e
inquinato, nessuna crescita imprenditoriale sistemica e grande spreco di
denaro pubblico. Le varie fabbriche controllate dall’Eni nei primi anni ‘70
andarono avanti senza alcun pensiero per l’inquinamento ambientale, in
particolare per il fiume Tirso, dove negli anni sarebbe finito di tutto: dimetilamina, soda caustica, acido acetico, anidride solforosa, persolfato di
potassio, dimetilacetamide, acrilonitrile e acetato di vinile. Nello stesso
tempo non vennero create le infrastrutture promesse (scuole, case, ospedali) lasciando il territorio in balia di se stesso, ad annerire in mezzo ai
fumi delle ciminiere che oggi sono il simbolo vivente di quella catastrofe
antropologica.
SARDINIA COAST TO COAST 1971. L’ULTIMO SOGNO BEAT
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Vecchi nella piazza di Ottana
Ci dirigemmo con la macchina all’interno del paese per raggiungere la
SS 131, notando la presenza di tante persone anziane che si aggiravano
nella piazzetta della chiesa, unitamente a bambini che giocavano con
grida e schiamazzi. “Ma non ci sono giovani qui?”, chiese Patrizia incuriosita, “vedo solo vecchi e bambini…”. “Probabilmente i giovani sono
tutti al lavoro nella Petrolchimica… la gran parte della mano d’opera è
stata assorbita lì”, risposi, “poi ci saranno quelli che hanno continuato a
lavorare in campagna… in questi paesi, dove non c’è una grande vocazione turistica, il panorama è questo; non fare il paragone con Posada
che vive sul turismo. Il quadro è completamente diverso.”
Usciti dal paese percorremmo, in un caldo asfissiante, la strada per
Nuoro, arrivando facilmente alla diramazione per Siniscola, una grande
strada ancora incompiuta, che ci avrebbe portato, dopo una miriade di
deviazioni per lavori in corso, a Posada. La stanchezza di quei giorni
molto intensi cominciava a farsi sentire, e nessuno aveva voglia di parlare.
La strada era poco trafficata, e nella macchina arrivava solo il rumore
della turbolenza dell’aria che penetrava dai finestrini aperti. A un certo
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PIER LUIGI CHERCHI
punto Marco, per farmi piacere, prese il K7 e fece partire la cassetta di
“Abbey Road” dei Beatles, con “She ‘s so heavy” vero inno psichedelico
della fine degli anni ‘60, con quell’arpeggio ripetuto all’infinito dalla chitarra
di George, che suscitò la sua approvazione. “Vedi, codesto pezzo è in
pratica un heavy metal, se vogliamo, mi piace molto… di codesto LP è il
mio preferito; si sente una grinta… c’è qualcosa anche dei Black Sabbath,”
“Beh, sono contento che qualcosa dei Beatles ti piaccia… Abbey Road
è un capolavoro assoluto della storia della musica: c’è di tutto, il psichedelico, il pop sinfonico con Because, il pop-rock, il melodico, il progressive
con tutta la facciata B. Purtroppo è il loro saluto finale… The end, come
nei film americani… è proprio la fine. E se i Beatles sono il beat, vuol dire
che il sogno beat è finito, dobbiamo farcene una ragione”.
“Ma siete ancora fissati tutti e due con questo beat…”, intervenne Patrizia in veste di pasionaria, “gli studenti che occupano le Università per rivendicare i loro diritti, gli operai che difendono i loro posti di lavoro contro
i padroni, le sfilate contro la guerra in Vietnam, le barricate, i lacrimogeni
della polizia, tutto questo è il presente, il beat è il passato… il vivere alla
giornata, i colori, i fiori... è tutto qualunquismo. Il beat appariva come una
rivoluzione, ma in realtà era il nulla, si conservava lo status quo a favore
dei borghesi. Il beat è morto, cerchiamo di non farlo risorgere…”.
“Vabbè”, disse Marco, “tanto possiamo stare una settimana a parlare
di queste cose, ma non si arriverà mai ad un accordo. Voi la pensate
così, invece noi crediamo che ci siano ancora tanti ragazzi come me e
Pigi che amano i Beatles e i Black Sabbath e sperano che si ritorni al
mondo degli anni ’60. Noi siamo più per Shell Shapiro che per Che Guevara...”.
La discussione sulla fine del sogno beat rimase accesa ancora per un
po’, con una specie di battibecco forzato tra Marco e la ragazza romana,
che appariva come una icona di Potere operaio o del Movimento studentesco nel sovradimensionare la politicizzazione della cultura giovanile,
marginalizzando completamente la dimensione del movimento beat fino
a farlo scomparire.
Mentre guidavo, quasi per una provocazione, iniziai a canticchiare una
vecchia canzone di Celentano che profetizzava la fine del mondo beat:
“Tre passi avanti e crolla il mondo beat… una meteora che fila e se ne
va… ragazza svegliati, che cosa fai… mi lasci per andar con uno che ti
SARDINIA COAST TO COAST 1971. L’ULTIMO SOGNO BEAT
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All’ingresso di Posada (Marco ha in mano la cartina della Sardegna)
mette nei guai. Guarda che coppia… dicono già… visti di spalle chi è la
donna non si sa... e già mi immagino come finirà… voi fate la comica in
città… E se ridono gli altri, io no… sono triste e per te piangerò, piangeròo,
piangerò… Tre passi avanti e sola resterai… e sono certo che rimpiangerai… i miei capelli corti e questo amore nato con te”, suscitando una
risata ironica da parte di Patrizia.
Sotto il sole cocente la piccola cinquecento macinava chilometri, attraversando le grandi gallerie della Nuoro-Siniscola, fino ad arrivare intorno
alle sei del pomeriggio alla periferia di Posada. “Siamo completamente
fuori dalla tabella di marcia”, dissi, “ci avevano detto che in un paio d’ore
si arrivava, e invece…”.
Con un po’ di malinconia arrivammo, stremati dal viaggio e dal gran
caldo, al grande portone della casa affittata dai romani nel paese della
Baronia, scaricando i bagagli nell’atrio senza salire nell’appartamento
per non perdere altro tempo, nella speranza di arrivare quella notte stessa
a La Maddalena.
Ci salutammo quasi commossi, nella speranza di un incontro futuro,
magari per esplorare tutti insieme le coste della Sardegna occidentale,
fino ad Arbus e Capo Teulada.
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PIER LUIGI CHERCHI
Il saluto definitivo a Fulvio e Patrizia
Marco e Patrizia si salutarono abbastanza freddamente, senza grande
trasporto: quello che sembrava all’inizio il prologo di un incontro passionale
si era, col passare dei giorni, completamente spento, anche per l’atteggiamento della ragazza che, dopo un iniziale coinvolgimento, sembrava
essersi ritirata nella sua posizione di fidanzata fedele.
Al momento della partenza chiedemmo ad un passante di scattare,
con la mia Comet, un’ultima foto ricordo dei magnifici quattro: io e Marco
dentro la macchina, in piedi fuori dal tettuccio di tela, pronti a partire, e
Fulvio e Patrizia addossati alla 500 per un ultimo saluto. La foto, anche se
sfuocata, rappresenta l’ultimo documento che ci ritrae insieme ai ragazzi
romani, che da quel momento sarebbero scomparsi dalla nostra vita,
come meteore nell’illusione di un’estate che sembrava infinita.
Ripartimmo, con Marco con la testa fuori dal tettuccio che continuava
a salutare gli amici romani, in piedi davanti al portone di casa, finchè non
voltammo per una via laterale immettendoci nella SS 125 che ci avrebbe
portato verso la nostra destinazione. Marco restava stranamente silenzioso: il distacco, che sarebbe divenuto definitivo, da Patrizia lo incupiva
togliendo quella esuberanza che aveva sempre manifestato fin dai primi
giorni del nostro incontro. A questo punto presi la palla al balzo e gli
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chiesi: “Ma cosa è successo a Berchida, quando siete spariti con Patrizia
e siete tornati poco dopo con una faccia da funerale ? Da quel momento
ho avuto l’impressione che le cose siano cambiate…”. Marco restò ancora
un attimo in silenzio, poi rispose: “Hai ragione… c’erano sempre loro e
non potevo parlare. Lì a Berchida mi ha detto che aveva riflettuto e che
lei era innamorata di Fulvio e non voleva fare salti nel buio… hai visto anche tu che da quel momento si è allontanata, siamo diventati solo due
compagni di viaggio… Ma che vuoi che mi freghi… stanotte andiamo in
quella discoteca a Santa Teresa e catturiamo… a voglia donne…”.
RITORNO TRISTE A LA MADDALENA
Usciti dal paese iniziammo il percorso verso Santa Teresa di Gallura,
dove avevamo deciso di mettere la tenda dopo una sosta in discoteca.
Nonostante l’ora il caldo era asfissiante tanto da costringerci a fermarci
nel solito bar lercio alla periferia di San Teodoro, per fare un break e bere
qualcosa.
“Dobbiamo mettere benzina”, dissi a Marco mentre, sotto una tettoia
di canne un po’ improvvisata, trangugiavamo la solita gazzosa gelata da
cinquanta lire a pezzo, “le finanze si stanno esaurendo”. “Senti… ma se
facciamo il giochetto della benzina come l’altro giorno con i romani?
Cosa ne dici?… Altrimenti restiamo senza una lira.”. rispose Marco aspettando il mio assenso. Lo guardai con uno sguardo tra l’ironico e lo stizzito
facendo finta di inalberarmi: “E meno male a Santa Maria Navarrese mi
avete dato tutti addosso... e ora addirittura sei tu che lo chiedi. Per me va
bene… se riusciamo a risparmiare qualcosa tanto di guadagnato, dobbiamo considerare anche tutto il viaggio di ritorno,” conclusi.
Ripreso il viaggio ci fermammo in un punto della strada dove le macchine dovevano giocoforza rallentare e ripetemmo lo stesso giochetto
fatto con Fulvio e Patrizia, incontrando la stessa solidarietà che già avevamo sperimentato, riuscendo a recuperare un po’ di litri di prezioso carburante.
All’imbrunire, superata la periferia di Olbia, incrociammo i cartelli che
indicavano la strada verso Palau e Santa Teresa, arrivando al centro del
paese, nella piazzetta gremita di gente, intorno alle 10 di sera. Posteggiata
con facilità la 500, ci sedemmo ad un tavolino, ordinando il solito caffè in
attesa di dirigerci al Tibula, la grande discoteca situata all’inizio della
strada per Capo Testa, che la notte si riempiva di gente, con un ambiente
ben diverso da quello che avevamo incontrato al Ritual di Baja Sardinia.
Anche nella piazzetta l’ambiente, anche se variegato, era molto più “po-
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pular” di quello che avevamo sperimentato nella
Costa Smeralda, con famiglie intere sedute ai
tavolini, e tanti giovani
sassaresi che cazzeggiavano in attesa di finire
la serata in discoteca.
Si avvicinò al nostro
tavolino Amedeo, un
amico sassarese ex studente, come me, del Liceo Azuni, sempre allegro e pieno di spirito,
soffermandosi sulla vasta presenza di giovani
arrapati nella piazza:
“Ormai c’è questa idea
che quando arrivi a
Santa Teresa ti danno
un nastro e tu scopi a
nastro… li vedi tutti questi? Stanno da soli nei tavolini a bere e poi partono
a razzo al Tibula, quando arrivano lì si accorgono che non c’è niente da
fare… Voi cosa fate? Come siete organizzati?”.
“Anche noi andiamo al Tibula…”, risposi. “ma speriamo che a noi vada
meglio di quei sfigati. Domani torniamo a La Maddalena dove c’è il tuo
amico Agostino che ci aspetta…”. Ci salutammo con un appuntamento
già prefissato in discoteca per quella notte; i due caffè non erano riusciti
a toglierci i morsi della fame, per cui fummo costretti a cercare un negozietto ancora aperto recuperando un paio di panini imbottiti a prezzi
modici, adatti alle nostre finanze.
Verso mezzanotte arrivammo al Tibula, in una baraonda incredibile;
riusciti ad entrare con facilità senza biglietto né obbligo di consumazione
iniziammo a girare per la grande sala dotata di una pista al centro e tanti
angoli riservati ai bordi della stessa per i nottambuli che arrivavano da
tutta la costa circostante.
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Ad un certo punto,girovagando per il locale con Marco, sentii una voce
dal chiaro accento straniero che mi chiamava: “Pedro… Pedro... che
pasa? Come mai aqui?”. Era Ana, una ragazza spagnola, mezza hippie
e innamorata di Che Guevara, in perenne vacanza in Sardegna, che
avevo conosciuto quando suonavo a luglio all’ OK Corral, ad Alghero, il
futuro “Ruscello” degli anni ’80. Ad Alghero ogni tanto saliva con noi sul
palco per cantare per i turisti qualche pezzo residuato degli anni ’50,
come “Besame mucho” o “Qui sas, qui sas, qui sas”, con una bella voce
melodica e coinvolgente. La ragazza, al Tibula insieme ad un’amica spagnola che appariva più riservata e meno esuberante, aveva la caratteristica, comune ad altre sue coetanee, di dare la sensazione di una grande
libertà sessuale e di una emancipazione fuori dall’ordinario, salvo poi ritirarsi al momento dell’approccio definitivo. Così era successo ad alcuni
dei musicisti che suonavano con me in quel torrido luglio 1971, ritiratisi
con la coda fra le gambe dopo aver rimediato una terribile “bruciatura”.
“Ana, ma che ci fai qui? Non sei tornata in Spagna?”, dissi cercando
di farmi sentire in mezzo alla musica assordante. “No, non ancora… ahora
estamos aqui para andar in Corsica, con Ramon…”. Ramon non era
altro che il nomignolo di un certo Tramoni, tracagnotto popolano sassarese
che, per qualche stranezza della vita, nonostante il suo aspetto non
proprio gradevole era sempre circondato da belle donne che trasportava
in giro da una discoteca all’altra, da un locale all’altro. Proprio “Ramon” si
avvicinò alla ragazza e, dopo avermi visto, con aria un po’ da bullo
esclamò: ”O Cherchi… e cosa vi vai inogghi ? (cosa fai qui?) . “Stavo per
farti la stessa domanda…”, risposi. “Beh, io organizzo viaggi in Corsica…
domani porto le due ragazze spagnole insieme ad altri ragazzi, e restiamo
lì per una settimana… perché non venite? Lì c’è pelo come non ne hai
mai visto… Ci sono i Dana che suonano a Propriano tutto il mese di agosto, c’è da divertirsi…” concluse con insospettata cordialità il ragazzo. “Ti
ringrazio Tramò…”, risposi “ma noi ripartiamo, domani si torna a Sassari,
agosto se ne sta andando, l’estate è finita”.
Restammo a chiacchierare con le due ragazze spagnole con Marco
silenzioso e rabbuiato come non lo avevo mai visto, a ballare in mezzo
alla pista e, purtroppo per noi, a dar fondo alle ultime residue finanze per
invitare Ana e l’amica a bere un drink in mezzo ad una calca asfissiante
che non accennava a diminuire. Ana, come al solito, sembrava molto di-
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Il Tibula nel 1971, pieno di ragazze in minigonna
sponibile, ma, conoscendo i trascorsi di Alghero mi guardai bene da
tentare qualche approccio più consistente, continuando a chiacchierare,
ad ascoltare musica e ad ammirare le varie ragazze in minigonna che circolavano per la sala. Marco intratteneva l’altra ragazza spagnola, anche
lei poco interessata a tutto quanto le girasse intorno, probabilmente reduce
da qualche delusione sentimentale così come il mio amico fiorentino.
Ogni tanto si avvicinava “Ramon”, con un paio di ragazze che continuavano a seguirlo a ruota nella grande sala, scambiava qualche battuta
in stretto dialetto sassarese e poi si allontanava, contribuendo comunque
a tenere su l’umore della serata, che per noi avrebbe rappresentato l’epilogo di quella avventura iniziata dieci giorni prima sulla strada per la
Costa Smeralda e Posada. L’indomani saremmo tornati a Sassari e
avremmo ripreso la vita di tutti i giorni, lontani dai fasti del Ritual, dalle
bellissime spiagge della Baronia, dai tornanti del Supramonte marino,,
dai litorali sabbiosi e smisurati dell’Ogliastra, dalle ultime disavventure
sentimentali che avevano concluso il nostro viaggio.
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“Pedro, non sonas con tu complexo por estos dias?” mi chiese con aria
apparentemente interessata Ana mentre sorseggiava una Coca Cola con
Vodka. “No, finido… ho chiuso con la musica . Devo estudiar alla Università
in Medicina. E tu, non hai pensato a cantare? Bellissima Besame mucho
come la interpretavi… mi piaceva mucho, anzi un sacco mucho… ma hai
deciso di tornare in Spagna o rimanere ancora in Italia?”.
“Ahora estamos aqui por l’estio, poi regresamos….torniamo indietro...
Espana… Siviglia…”. “Beata te… noi torniamo a Sassari… vedi un po’ la
differenza…”, risposi. Ridendo Ana mi baciò castamente sulla guancia,
poi mi tirò su dal divanetto per andare a fare due salti in pista, nella calca
sempre più selvaggia dell’agosto teresino.
La notte passò velocemente, con Marco, non particolarmente euforico,
che intratteneva l’amica Beatriz, ballando e chiacchierando a bordo pista.
Alla fine ricomparve “Ramon” per recuperare le due ragazze che l’indomani
doveva trasbordare nella vicina Corsica.
“Adios Pedro, hasta luego…”, mi salutò cordialmente Ana, allontanandosi con le altre ragazze. “Ciao, spero di rivederti…”, dissi in un baccano
indescrivibile.
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“Allora, non è andata male… due ragazze le abbiamo rimediate, la
serata l’abbiamo passata…”, dissi a Marco che continuava con la sua
vena apatica iniziata dopo il distacco da Patrizia. “Si, si… però non è che
mi interessi molto tutto questo…”, rispose,”quei giorni sulla costa orientale,
quella era vita, chi se lo dimenticherà più, campassi cent’anni”.
“Beh, mi fa piacere che il mio compagno di on the road sia stato
bene…”, risposi,”ho paura che sarà l’ultima di queste avventure. Però il
prossimo anno ci dobbiamo organizzare meglio… cerchiamo di raggranellare un po’ più soldi e facciamo un bel giro.”
“Guarda, se ci organizziamo bene, possiamo andare a Genova e da lì
fare tutta la Costa Azzurra, con una tenda, fino a Saint Vincent… quella
è più ganza della Costa Smeralda, e poi le francesine non fanno tante
storie…”, riprese Marco che appariva rinfrancato dall’ipotesi di un viaggio
futuro in terra di Francia.
“Besame, besame mucho… como si fuera esta noche la ultima vez...
besame, besame mucho, que tengo miedo a perderte, perderte despues… que tengo miedo a perderte, perderte despues…”, canticchiavo
mentre uscivamo a passo lento dalla discoteca suscitando la curiosità di
Marco. “O che si va sullo spagnolo? O bischero… mica ce l’han data…”.
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“Ma non l’abbiamo neanche chiesta…” dissi sorridendo. Il piazzale
era ancora pieno di macchine e, anche fuori, la musica arrivava al massimo
volume. Iniziammo la salita verso Capo Testa dove avremmo bivaccato
quella notte, in attesa di ripartire per La Maddalena.
Alla fine, stanchi da quella lunghissima giornata, iniziata a Porto Corallo
e conclusa dal lato opposto della Sardegna, decidemmo, come a Baja
Sardinia di dormire in macchina, evitando la fatica di disfare i bagagli e
piazzare le tende alle quattro del mattino.
VERSO LA FINE
L’indomani mattina ci svegliammo con le ossa rotte per la nottata trascorsa nella cinquecento certamente poco adatta ad un riposo ristoratore;
scesi dalla macchina ammirammo la bellezza del mare e la spiaggetta di
Capo Testa ancora priva di bagnanti, mentre il calore del sole iniziava a
farsi sentire. “Stasera, se tutto va bene, siamo a Sassari… tutto finito. Almeno si dorme in un letto, con un bagno, e niente pane e mortadella…”,
dissi rivolto al mio amico fiorentino che non appariva molto convinto.
“Mah, io vorrei restare ancora qualche giorno a Maddalena… credo che
Sandro sia della stessa idea. Magari poi ci sentiamo a Sassari, tanto torniamo con la Vespa.”
”Come vuoi”, risposi, “speriamo adesso di non perderci di vista… dopo
tutto questo viaggio. C’è un mio amico, un ottimo musicista, che ha in
programma un viaggio nel nord della Germania per andare a suonare e
anche lavorare in una fabbrica a mezzo servizio… Sta cercando gente
per questo progetto, si parla di due o tre mesi in estate, quindi il prossimo
anno o addirittura nel 1973… posso fare il tuo nome?”. “Certamente”, rispose Marco, subito euforico per la proposta, “potete contare su di me...”.
“Certo che vedere questa spiaggetta vuota, senza un’anima è strano…
.qui eravamo abituati a vedere di tutto”, dissi a Marco. “Ma come al solito
ci sono due bischeri che fanno l’apertura delle spiagge alle sette del
mattino…” rispose sorridendo,” chi vuoi che venga a quest’ora?. Comunque con codesta pace la spiaggetta è bellissima, il mare liscio come
l’olio. Propongo di andare a fare colazione, poi, con calma, partiamo per
Palau e aspettiamo per imbarcarci. U’n ci sarà codesta gran fila a fine
agosto per La Maddalena… almeno speriamo.”.
Presi istintivamente la chitarra dalla macchina e, su un sol maggiore,
accordo classicamente caldo, gioioso e squillante, subito virato in sol7
iniziai a cantare:
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La spiaggetta di Capo Testa deserta al risveglio
“The beat goes on, the beat goes on… Drums keep pounding a rhythm
to the brain… La de da de de, la de da de da... Charleston was once the
rage, uh huh... History has turned the page, uh huh... The beat goes on,
the beat goes on… The miniskirt’s the current thing, uh huh... Teenybopper
is our newborn king, uh huh... The beat goes on, the beat goes on...
(The Beat Goes On, The Beat Goes On… mantenere un ritmo martellante
al cervello… era una volta la rabbia… La storia ha voltato pagina… La
minigonna è la cosa attuale… E il beat va avanti, il beat va avanti… Le
bambine si rompono ancora i loro cuori… E gli uomini ancora continuano
a marciare in guerra… E il beat va avanti, il beat va avanti… The beat
goes on, the beat goes on).
“I grandi Sonny and Cher, mi ricordo “Bang Bang” che ero quasi bambino”, disse Marco partecipando al coro di “The beat goes on”, “ora abbiamo chiuso la nostra adolescenza e loro sono sempre lì... speriamo
che il beat vada ancora avanti, se no siamo belli che cucinati…..”
“The beat goes on…” conclusi riponendo la chitarra in macchina,” per
il momento andiamo avanti noi… we go on…” Entrati in macchina ci dirigemmo verso la piazzetta di Santa Teresa per fare colazione comoda-
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Sonny and Cher negli anni ‘60
mente seduti a tavolino; per me sarebbe stato l’ultimo giorno di vacanza
vera. La sera stessa contavo di tornare a casa per riprendere gli studi e
preparare gli esami della sessione autunnale che si preannunciavano
particolarmente impegnativi.
La giornata si presentava afosa, come del resto in tutto quel torrido
agosto 1971, senza una brezza o qualche folata di vento che potesse far
sopportare quella calura. “Ma c’è più caldo qui nel Nord Sardegna che a
sud dove eravamo vicini all’Africa… è incredibile”, disse Marco. “Beh,
chissà oggi come si sta a Porto Corallo… non lo sappiamo; probabilmente
non si può neanche respirare”, risposi, mentre con la macchina eravamo
diretti verso un grande piazzale di fronte al mare, dove avremmo scattato
con la Comet l’ultima foto che ci ritrae insieme sulla 500, con la testa già
verso la conclusione di quell’estate indimenticabile.
Ripartiti, in una strada abbastanza sgombra e ben percorribile, arrivammo a Palau intorno alle 11 del mattino, imbarcandoci sul traghetto in
un’atmosfera particolarmente silenziosa e innaturale, senza quel vociare
gioioso che ci aveva accompagnati nella lunga traversata per le coste
della Sardegna. Marco non aveva voglia di parlare, e anch’io non aspettavo
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Sul piazzale di Santa Teresa prima della partenza: ultima foto insieme
altro che di raccogliere la mia roba e tornare con Agostino a Sassari,
dopo tanto girovagare e giorni vissuti all’aria aperta con molti disagi e
senza alcuna comodità. Verso mezzogiorno arrivammo al campo, a La
Ricciolina, in uno scenario abbastanza desolante: in piedi era rimasta solamente la canadese che avevamo acquistato prima della partenza io,
Geppo e Agostino, mentre tutti i vicini che ci avevano accompagnato nella
prima metà di agosto erano tornati a casa. I nostri amici bivaccavano intorno alla tenda in attesa di fare il bagno; Agostino si faceva la barba
mentre Sandro e Geppo cercavano di ripararsi dal sole cocente nelle piccole zone d’ombra offerte dalle rocce in riva al mare.
“Ehilà, siete arrivati…”, gridò Geppo, “ecco gli esploratori della costa
orientale…”. Esauriti i saluti e i convenevoli i nostri amici vollero sapere
tutto del viaggio, incuriositi dalla storia del cinghiale e del faccia a faccia
con l’incendio a Lotzorai. “Beh, del cinghiale ve l’avevo detto”, aggiunse
COAST TO COAST
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Raccogliamo tristemente le ultime cose : si torna a casa
Geppo,” ma avete rischiato grosso con l’incendio… noi qui siamo stati
tranquilli, ormai hanno sbaraccato tutti. A proposito non abbiamo trovato
il coraggio di tornare da Gargiulo a fare colazione… ma a quest’ora se
ne sarà dimenticato.”
“Beh, allora noi due torniamo a Sassari con la cinquecento…”, disse
Agostino mentre iniziava a sistemare le sue cose, “Sandro, Marco e
Geppo vogliono restare ancora qualche giorno… io mi sono proprio stufato”.
Dentro la tenda ricuperai un borsone dove avevo lasciato la maggior
parte dei miei bagagli. Mentre sistemavo le mie cose ripensavo a tutte le
avventure vissute in quell’agosto senza fine; mi preparavo a tornare a
casa con Agostino, con la consapevolezza che un ciclo della mia vita era
finito, che il sogno beat era arrivato al capolinea. In Italia si preparava in
quel 1971 un autunno caldo, fatto di lotte di classe, scioperi e grandi ma-
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Con Agostino sul traghetto per il ritorno
nifestazioni sindacali, e soprattutto ci si preparava agli “anni di piombo”,
che avrebbero portato alla distruzione il nostro paese. La partenza, la
fine di quella stagione, il ritorno a casa, la decisione di chiudere con la
musica, forse la fine di un ciclo della mia esistenza mi rendevano triste,
mentre ripensavo a tutte le avventure della costa orientale. Patrizia e
Fulvio erano lontani dalla mia vita, probabilmente già a Roma, mentre
Marco aveva deciso di abbandonarmi, di tornare da solo da La Maddalena,
rompendo quel sodalizio che avevamo creato in mezzo a tante difficoltà e
tante peregrinazioni.
COAST TO COAST
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“Come ritorni a Sassari?”, chiesi a Geppo che aveva manifestato l’intenzione di restare ancora per qualche giorno a La Maddalena con Sandro
e Marco. “Viene il vecchio a prenderci con la macchina, così carichiamo
tutto e Marco può seguirci col vespino…”. Ci salutammo in mezzo a
quelle rocce che ci avevano fatto da cornice in quei giorni assolati di agosto, riproponendoci con Marco di rivederci nell’estate 1972, per un’altra
scorribanda insieme.
Arrivammo all’imbarco per Palau con Agostino trovando un piazzale
insolitamente quasi vuoto: sul ponte, sotto il sole che pian piano iniziava
a farsi sentire, guardavo la scia che le eliche lasciavano nell’acqua, quasi
ipnotizzato. “Che c’è”, chiese Agostino, “sei ancora con la testa nelle
spiagge dell’orientale sarda?”. “No”, risposi, “acqua passata… adesso si
torna a casa. A proposito tu che esame stai preparando per novembre?”.
L’estate era davvero finita se iniziavamo a parlare di casa, di Università
e di esami, lasciando da parte la mia inseparabile chitarra e la voglia di
correre ancora dietro fantasie e sogni irrealizzabili; tra qualche giorno la
pioggia, il vento e l’autunno che si avvicinava ci avrebbero riportato alla
realtà, alla quotidianità immersa nel grigiore del “day to day”, lontano
dagli splendidi colori di Bidderosa, Berchida, Cala Luna, Santa Maria Navarrese, Orrì, Cea, Porto Corallo e tutti gli altri litorali attraversati e vissuti
come si fa con qualcosa che si porterà per sempre nel cuore.