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la “beat generation” in 1000 parole
La cultura del dopoguerra tende a maturare delle generazioni particolari. Dopo la Prima Guerra Mondiale c’è
stata la generazione “perduta” di Hemingway e
Fitzgerald. Dopo la Seconda Guerra Mondiale c’è stata
la “Beat Generation” di Ginsberg e Kerouac.
Da dove proviene il termine beat ? Alcuni dicono che
i suoi ispiratori erano abbattuti dopo l’esperienza della
guerra. Kerouac, invece, diceva che beat stava a significare beata: una generazione alla ricerca della nuova
Gerusalemme, di Buddha, della spiritualità in maniera
inconsueta. E poi c’era anche la “battuta”, cioè il ritmo
del be-bop e del jazz moderno che stava nascendo allo
stesso momento. Qualunque fossero le origini del termine, la Beat Generation è nata verso la fine degli anni
Quaranta nella città di New York attraverso la scrittura
di Ginsberg, Kerouac e John Cletton Holmes. Il romanzo Go di Holmes è stato il primo libro a descrivere l’ambiente beat (1952). Sebbene il primo libro di Kerouac
(La città e la metropoli ) fosse stato pubblicato ancora
prima, nel 1950, non era affatto come il suo libro del
1957 intitolato On the Road, che invece costituiva il classico romanzo beat. La prima raccolta di poesie è stata
Howl di Ginsberg, pubblicata nel 1955 a San Francisco
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dalla City Lights di Ferlinghetti. Proprio là, a San
Francisco, la poesia americana negli anni ’50 è entrata in
una fase di rinascimento. I poeti locali come Gary
Snyder, Philip Whalen, Philip Lamantia, Michael
McClure e Kenneth Rexroth nel 1956 hanno lanciato
dei reading di poesia alla Six Gallery a North Beach. A
seguirli sono stati Ferlinghetti, Gregory Corso, David
Meltzer e altri, i quali hanno cominciato anche loro a
tenere dei reading pubblici. Questi reading erano spesso accompagnati dalla musica jazz dal vivo, in seguito a
un’iniziativa di Bob Kaufman, il primo poeta jazz.
Le composizioni moderne del jazz e del beat hanno
delle forti affinità: avevano struttura libera, erano innovative, con una dose rincarata di ritmo e una cadenza
di respiro nella poesia che riecheggiava un assolo di sassofono. A metà degli anni ’50 Steve Lacy è stato uno dei
primi musicisti jazz a lavorare insieme ai poeti a New
York, in particolare con Bob Kaufman.
All’inizio degli anni ’60 la Beat Generation aveva raggiunto l’età matura, e dava luogo ad una nuova generazione che traeva da essa l’ispirazione. Il beat aveva generato ciò che veniva chiamata dai giornalisti una generazione di “hippies”. Vantavano ancora l’anticonformismo,
ma portavano i capelli ancora più lunghi e assumevano
ancora più droga, in particolare la nuova sostanza LSD.
Ha fatto parte di questa generazione Ed Sanders che
gestiva una libreria nel Greenwich Village a New York
City e curava una pubblicazione che s’intitolava Fuck
You / A Magazine of the Arts. Inoltre, era a capo dell’unico gruppo rock del beat (essendo passata la musica
dal jazz al rock): The Fugs. Sanders e i Fugs erano for6
temente impegnati nelle proteste sociali e altrettanto
impegnati contro la guerra del Vietnam e il razzismo.
La protesta sociale era sempre stata parte integrante
delle composizioni beat (The Bomb di Corso, per esempio), anche se non era sempre di natura politica, come
nel caso di Kerouac. Tuttavia negli anni ’60, durante il
periodo della guerra del Vietnam e delle proteste per i
diritti civili, le composizioni ispirate dal beat assumevano un forte tono politico.
A fine anni ’60 inizio ’70 sono nati dei poeti radicali di sinistra di nuovo stampo. In alcuni casi la qualità
delle poesie era discutibile, ma non nel caso di Jack
Hirschman, eccellente poeta e traduttore. Hirschman
non si definisce un poeta beat : deplora l’assiduo uso di
droga che caratterizzava la Beat Generation perché questo impediva l’attivismo sociale. Nondimeno, nella sua
poesia la ribellione del beat è presente. Nella sua opera
Hirschman si riconosce in debito con il nonno della
composizione beat: Walt Whitman.
In effetti tutta la poesia beat riconduce a Whitman,
perché fu lui a conquistare un nuovo terreno linguistico. Le sue esplorazioni comprendevano lo scrivere in
verso libero, senza metrica, senza schemi ritmici, accoglievano come oggetto tutti gli argomenti (inclusa l’omosessualità), erano focalizzate sulla ricerca di uno stile
americano, ammettevano la creazione di nuovo linguaggio: fino al punto di coniare delle parole strampalate. Il grido barbarico (barbaric yawp) nella sua Song of
Myself (1855) vide la luce esattamente cento anni prima
dell’urlo di Howl (1955). L’altro antenato ancora più
remoto dei beats fu William Blake, in particolare per la
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sua rinuncia all’ortodossia sociale, il misticismo e la
poesia prosastica (esemplificata in The Marriage of
Heaven and Hell ). Come padre del movimento possiamo considerare William Carlos Williams. Sia il suo uso
del linguaggio colloquiale, sia uno stile e una cadenza
americani (al posto di quelli britannici che definiva
giambici mentre l’idioma americano era trocaico), sia
l’impiego di una metrica più approssimativa che chiamava “variable foot”: soprattutto questi tre elementi
costituivano un’influenza importante sui beats, e in
modo particolare su Allen Ginsberg, il suo concittadino di Patterson, New Jersey.
Cosa resta dei beats ? Basta guardare i giovani americani che si vestono di nero come facevano i beats, e
Johnny Depp che spende migliaia di dollari a un’asta
per comprare l’impermeabile di Kerouac. Ma soprattutto ci sono molti che non avrebbero mai letto né
scritto poesia, perché quella che veniva studiata a scuola era fredda e monotona. Grazie ai beats una parte non
indifferente d’America ha ripreso nuovamente a camminare sulla strada, sulla strada aperta.
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