La luna e i licantropi - Pianeta Scuola Gallery

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La luna e i licantropi - Pianeta Scuola Gallery
Unità 3
Via del Mistero
Unità 3.1
Nella casa infestata
Nome .................................. Cognome .................................. Classe ........... Data ...........
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N A R R AT I VA
Unità 3.1 Nella casa infestata
Tommaso Landolfi
Una delle più interessanti rivisitazioni del tema letterario della licantropia
si deve allo scrittore Tommaso Landolfi (1908-1979). Nel suo Racconto del
lupo mannaro, inserito nella raccolta
Il mar delle blatte e altre storie (1939),
Landolfi immagina che due licantropi,
stanchi di subire gli influssi lunari, decidano di rapire la luna e di farla passare per un camino affinché la fuliggine la renda nera e inoffensiva. Ma la
luna troverà il modo di liberarsi e risa-
lire in cielo. Il racconto che ti proponiamo è una parodia del genere horror: comincia come una storia del terrore, con un’ambientazione sinistra e
inquietante, poi, con gran sorpresa
del lettore, abbandona le caratteristiche tipiche del genere e continua come una storia ridicola, in cui i due lupi mannari cercano il modo migliore
per neutralizzare la loro viscida nemica, la luna, che genera ansie, turbamenti e timori.
L’amico e io non possiamo patire1 la luna: al suo lume escono i morti sfigurati dalle tombe, particolarmente donne avvolte in bianchi sudari2, l’aria si colma d’ombre verdognole e talvolta s’affumica d’un giallo sinistro, tutto c’è da temere, ogni erbetta ogni fronda ogni animale, una notte di luna. E quel che è peggio, essa ci costringe a rotolarci mugolando e latrando nei posti umidi, nei braghi3 dietro ai pagliai; guai allora se un nostro simile ci si parasse davanti! Con
cieca furia lo sbraneremmo, ammenoché egli non ci pungesse, più ratto di noi,
con uno spillo4. E, anche in questo caso, rimaniamo tutta la notte, e poi tutto il
giorno, storditi e torpidi come uscissimo da un incubo infamante. Insomma l’amico ed io non possiamo patire la luna.
Ora avvenne che una notte di luna io sedessi in cucina, ch’è la stanza più riparata della casa, presso il focolare; porte e finestre avevo chiuso, battenti e sportelli, perché non penetrasse filo dei raggi che, fuori, empivano e facevano sospesa l’aria. E tuttavia sinistri movimenti si producevano dentro di me, quando l’amico entrò all’improvviso recando in mano un grosso oggetto rotondo simile a
una vescica di strutto5, ma un po’ più brillante. Osservandola si vedeva che pulsava alquanto, come fanno certe lampade elettriche, e appariva percorsa da deboli correnti sottopelle, le quali suscitavano lievi riflessi madreperlacei simili a
quelli di cui svariano6 le meduse.
1. patire: sopportare, tollerare.
2. sudari: lenzuoli funebri.
3. braghi: zone fangose e umide.
4. spillo: convenzionalmente, i lupi mannari possono
essere uccisi solamente se colpiti al cuore da un
proiettile d’argento puro. In questo racconto, per
neutralizzarli e renderli inoffensivi basta pungerli con
uno spillo.
5. vescica di strutto: bolla di grasso.
6. svariano: di cui sono dotate variamente.
Pagina liberamente fotocopiabile per chi ha in adozione il volume di D. Cerrito - R. Messineo, Strade. Le vie dei testi
La luna e i licantropi
Testi di verifica - Unità 3 Via del Mistero
Pagina liberamente fotocopiabile per chi ha in adozione il volume di D. Cerrito - R. Messineo, Strade. Le vie dei testi
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«Che è questo?» gridai, attratto mio malgrado da alcunché di magnetico nell’aspetto e, dirò, nel comportamento della vescica.
«Non vedi? Son riuscito ad acchiapparla…» rispose l’amico guardandomi
con un sorriso incerto.
«La luna!» esclamai allora. L’amico annuì tacendo. Lo schifo ci soverchiava:
la luna fra l’altro sudava un liquido ialino7 che gocciava tra le dita dell’amico.
Questi però non si decideva a deporla.
«Oh, mettila in quell’angolo,» urlai «troveremo il modo di ammazzarla!».
«No» disse l’amico con improvvisa risoluzione, e prese a parlare in gran fretta. «Ascoltami, io so che, abbandonata a se stessa, questa cosa schifosa farà di
tutto per tornarsene in mezzo al cielo (a tormento nostro e di tanti altri); essa
non può farne a meno, è come i palloncini dei fanciulli. E non cercherà davvero le uscite più facili, no, su sempre diritta, ciecamente e stupidamente: essa, la
maligna che ci governa, c’è una forza irresistibile che regge anche lei. Dunque
hai capito la mia idea: lasciamola andare qui sotto la cappa, e, se non ci libereremo di lei, ci libereremo del suo funesto splendore, giacché la fuliggine la farà
nera come uno spazzacamino. In qualunque altro modo è inutile, non riusciremmo ad ammazzarla, sarebbe come voler schiacciare la lagrima d’argento vivo8».
Così lasciammo andare la luna sotto la cappa; ed essa subito s’elevò colla rapidità di un razzo e sparì nella gola del camino.
«Oh,» disse l’amico «che sollievo! Quanto faticavo a tenerla giù, così viscida e grassa com’è! E ora speriamo bene»; e si guardava con disgusto le mani impiastricciate.
Udimmo per un momento lassù un rovellio, dei flati sordi al pari di trulli9, come quando si punge una vescica, persino dei sospiri: forse la luna, giunta alla
strozzatura della gola, non poteva passare che a fatica, e si sarebbe detto che sbuffasse. Forse comprimeva e sformava, per passare, il suo corpo molliccio; gocce di
liquido sozzo cadevano friggendo nel fuoco, la cucina s’empiva di fumo, giacché
la luna ostruiva il passaggio. Poi nulla e la cappa prese a risucchiare il fumo.
Ci precipitammo fuori. Un gelido vento spazzava il cielo terso, tutte le stelle
brillavano vivamente; e della luna non si scorgeva traccia. Evviva urrah, gridammo come invasati, è fatta! E ci abbracciavamo. Io poi fui preso da un dubbio:
non poteva darsi che la luna fosse rimasta appiattata10 nella gola del camino? Ma
l’amico mi rassicurò, non poteva essere, assolutamente no, e del resto m’accorsi che né lui né io avremmo avuto ormai il coraggio di andare a vedere; così ci
abbandonammo, fuori, alla nostra gioia. Io, quando rimasi solo, bruciai sul fuoco, con grande circospezione, sostanze velenose, e quei suffumigi11 mi tranquillizzarono del tutto. Quella notte medesima, per gioia, andammo a rotolarci un
po’ in un posto umido nel mio giardino, ma così, innocentemente e quasi per
sfregio, non perché vi fossimo astretti12.
Per parecchi mesi la luna non ricomparve in cielo e noi eravamo liberi e leg7. ialino: trasparente
8. lagrima d’argento vivo: una goccia di mercurio. Il
mercurio è un metallo color argento che a temperatura
ambiente si presenta allo stato liquido, mobilissimo e
imprendibile.
9. flati sordi al pari di trulli: rumorose emissioni di
gas dall’intestino, peti.
10. appiattata: acquattata, nascosta.
11. suffumigi: fumi, esalazioni.
12. astretti: costretti.
Unità 3.1 Nella casa infestata
(T. Landolfi, Il Mar delle Blatte e altre storie, Milano, Adelphi, 1997)
13. sole nero o notturno: è il sole nel percorso
notturno, quando lascia una parte del mondo per
illuminarne un’ altra. Presso i popoli antichi era
simbolo di morte, l’antitesi del sole di mezzogiorno,
simbolo di vita trionfante.
Lavoriamo sul testo
d Il corpo della luna è molliccio
e produce un liquido
trasparente
Comprendere e analizzare
1. Perché i due licantropi non ammazzano la luna?
2. Come tentano di neutralizzare la luna?
3. Perché, dopo averla fatta passare per
il camino, la luna non si vede in cielo?
e
Uno dei due licantropi
fa dei suffumigi per
disinfettare la stanza
V
F
V
F
5. Il messaggio generale del racconto è
pessimista o ottimista? Perché?
Trasformare e creare
4. Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false.
a
Entrambi i licantropi
catturano la luna
b La luna è paragonata
a una medusa
c
La luna è paragonata
a un palloncino
6. Riscrivi l’ultima macrosequenza utilizzando la terza persona.
V
F
V
F
7. Immagina che sia la luna, dal suo punto di vista, a raccontare la storia dei
due licantropi.
V
F
8. Immagina un finale diverso per questo
racconto.
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Pagina liberamente fotocopiabile per chi ha in adozione il volume di D. Cerrito - R. Messineo, Strade. Le vie dei testi
geri. Liberi no, contenti e liberi dalle tristi rabbie, ma non liberi. Giacché non è
che non ci fosse in cielo, lo sentivamo bene invece che c’era e ci guardava; solo era buia, nera, troppo fuligginosa per potersi vedere e per poterci tormentare.
Era come il sole nero o notturno13 che nei tempi antichi attraversava il cielo a ritroso, fra il tramonto e l’alba.
Infatti anche quella nostra misera gioia cessò presto; una notte la luna ricomparve. Era slabbrata e fumosa, cupa da non si dire, e si vedeva appena, forse solo l’amico ed io potevamo vederla, perché sapevamo che c’era; e ci guardava rabbuiata di lassù con aria di vendetta. Vedemmo allora quanto l’avesse danneggiata il suo passaggio forzato per la gola del camino; ma il vento degli spazi e la
sua corsa stessa l’andavano gradatamente mondando dalla fuliggine, e il suo continuo volteggiare ne riplasmava il molle corpo. Per molto tempo apparve come
quando esce da un’eclisse, pure ogni giorno un po’ più chiara; finché ridivenne
così, come ognuno può vederla, e noi abbiamo ripreso a rotolarci nei braghi.
Ma non s’è vendicata, come sembrava volesse, in fondo è più buona di quanto non si crede, meno maligna più stupida, che so! Io per me propendo a credere che non ci abbia colpa in definitiva, che non sia colpa sua, che lei ci è obbligata tale e quale a noi, davvero propendo a crederlo. L’amico no, secondo lui non
ci sono scuse che tengano.
Ecco ad ogni modo perché io vi dico: contro la luna non c’è niente da fare.
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