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LA PICCOLA LOLA
Sito: http://www.tfmdistribution.fr/holylola/
Anno: 2004
Data di uscita: 17/6/2005
Durata: 128
Origine: FRANCIA
Genere: DRAMMATICO
Produzione: FREDERIC BOURBOULON E ALAIN SARDE PER LITTLE BEAR, LES FILMS ALAIN SARD,
TF1 FILMS PRODUCTIONS, CANAL+, SOFICA VALOR 6, SOGECINEMA 2
Distribuzione: LUCKY RED (2005)
Regia: BERTRAND TAVERNIER
Attori:
JACQUES GAMBLIN
DOTTOR PIERRE CEYSSAC
ISABELLE CARRE'
GERALDINE CEYSSAC
BRUNO PUTZULU
MARCO FOLIO
LARA GUIRAO
ANNIE
FREDERIC PIERROT
XAVIER
MARIA PITARRESI
SANDRINE FOLIO
JEAN-YVES ROAN
MICHEL
SEVERINE CANEELE
PATRICIA
GILLES GASTON-DREYFUS
YVES FONTAINE
ANNE LOIRET
NICOLE
PHILIPPE SAID
BERNARD
VONGSA CHEA
DOTTOR SIM DUONG
PRIDI PHATH
SIG. SOKHOM
NEARY KOL
KIM SALY
SREY PICH KRANG
LOLA
RITHY PANH
SIG. KHIEU
NARITH PONN
NUTRICE LOLA
ANNE-MARIE PHILIPE
MARIANNE
DANIEL LANGLET
SIG. DETAMBEL
Soggetto:TIFFANY TAVERNIER - OMINIQUE SAMPIERO - BERTRAND TAVERNIER
Sceneggiatura: TIFFANY TAVERNIER - DOMINIQUE SAMPIERO - BERTRAND TAVERNIER
Fotografia: ALAIN CHOQUART
Musiche: HENRI TEXIER
Montaggio: SOPHIE BRUNET
Scenografia: GIUSEPPE PONTURO
Costumi: EVE-MARIE ARNAULT
Trama:
Pierre e Géraldine, una giovane coppia francese, vuole adottare una bambina cambogiana ma la burocrazia del paese d'origine
della piccola è infestata dalla corruzione e dalle ingiustizie sociali. per riuscire nello scopo i due giovani affronteranno un
viaggio che cambierà per sempre le loro vite...
Critica:
"Questo convincente film di Bertrand Tavernier ha provocato in Francia il cambiamento di alcune delle troppo complesse
leggi sulle adozioni all'estero. (...) Il film semplice è tratto da un romanzo della figlia del regista che si chiama come un
negozio, Tiffany, e sceneggiato da lei." (Lietta Tornabuoni, 'La Stampa', 24 giugno 2005)
"Bertrand Tavernier, il grande regista di 'L'orologiaio di Saint-Paul', 'La morte in diretta', 'Round midnight' e 'L'esca', critico
raffinato e studioso del cinema americano, è autore che ama il racconto di impianto classico, lo scavo psicologico dei
personaggi, un approccio tradizionale al genere, lo sguardo appassionato sul passato. Con 'La piccola Lola' il regista di Lione
affronta il tema, di inquietante attualità, delle adozioni internazionali, ispirato dal romanzo della figlia Tiffany, autrice anche
della sceneggiatura con il marito Dominique Sampiero. (...) Rispetto all'iniziale progetto di un film di fiction, 'La piccola Lola'
si è gradualmente trasformato in un viaggio-inchiesta nel Paese asiatico e nelle difficoltà che incontrano gli aspiranti genitori
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europei. Tavernier con abilità ha fatto in modo che le naturali interferenze emotive e "politiche" di interpreti e troupe
diventassero un elemento narrativo e consentissero allo spettatore di individuare il confine tra realtà e finzione." (Alberto
Castellano, 'Il Mattino', 24 giugno 2005)
In La piccola Lola Géraldine e Pierre, coppia francese, vanno in Cambogia nella speranza di adottare un bambino. E'un
percorso di guerra: tra burocrazia malata, intermediari corrotti, bimbi offerti all'asta; né la comunità di aspiranti genitori è tale
da incoraggiare alla solidarietà e al conforto reciproco. Però alla fine del percorso c'è Lola, uno scampolo di cambogianina per
cui nessun sacrificio parrebbe eccessivo.
Un film sulle difficoltà dell'adozione è cosa da trattare con cautela, sotto il rischio continuo di scivolare nel pietismo, narrando
il supplizio psicologico patito dai personaggi, o nella caricatura. Cineasta di classe, Bertrand Tavernier lo ha affrontato con
impegno e lucidità: un'inchiesta minuziosa sulle coppie che vanno dall'altra parte del mondo per adottare, quando la loro
nazione glielo vieta, ha dato luogo a una sceneggiatura che trova quasi sempre l'equilibrio giusto tra drammaticità e
leggerezza, emozione e sorriso, fiction e taglio documentaristico (le scene girate con cinepresa a mano). I dubbi, gli slanci, le
gioie e la fragilità della coppia sono elaborati con efficacia, senza eccessi di empatia, dalla recitazione di Jacques Gamblin e
Isabelle Carré.
Se un limite c'è va attribuito, paradossalmente, allo spirito militante di Tavernier che dà luogo a notazioni giuste e acute
(quando sottolinea, ad esempio, le differenze di classe sociale tra i vari genitori adottivi), ma lo fa scivolare in un finale troppo
dimostrativo e didascalico per chiudere in bellezza il suo bel film. (Roberto Nepoti, La Repubblica - 26/06/2005)
Adottare un figlio: calvario in Asia Dopo l'affresco di Laissez passer, Tavernier, ispirato dal Rossellini di Stromboli, ripiega
sul privato di una coppia francese che vuol adottare un figlio in Cambogia, scontrandosi con pregiudizi, corruzione, burocrazia
locali. Film da referendum, che mostra come il calvario dei virtuali genitori incida sui rapporti, sull'equilibrio sentimentale.
Incontrano una realtà diversa, accolti dal monsone: ed è anche una buona occasione per un amarcord sul processo al regime
killer dei Khmer rossi. Jacques Gamblin e Isabelle Carré sono bravissimi nel rendere l'anonimato dei coniugi qualunque
travolti dalla stupidità, due ragazzi che si amano e vivono un'avventura asiatica che racconteranno al bambino che hanno
portato con sé. (Maurizio Porro, Il Corriere della Sera - 26/06/2005)
La piccola Lola, di Bertrand Tavernier, racconta un’assenza. Quell’unica cosa che manca per rendere felice la vita in comune
di Pierre e Gérakllne: il bambino che non hanno potuto avere. Ancora giovani, senza problemi economici, i due si sono accorti
da tempo di essere sterili. L’unica soluzione è dunque quella di adottare un figlio.
II film inizia con il loro arrivo in Cambogia dove, queste sono le informazioni, la faccenda può essere sbrigata senza eccessive
difficoltà. Ma si sbagliano, e di molto. Innanzitutto il Paese continua a essere estremamente povero, dominato da una
burocrazia ossessiva, e con ancora aperte le ferite della follia omicida dei khmer rossi. E poi la concorrenza è spietata:
arrivano coppie non solo dalla Francia, l’ex potenza coloniale, ma anche dagli Stati Uniti, e con un sacco di dollari che,
quando le pratiche da sbrigare sono in quantità enorme, servono sempre per rendere più “scorrevoli” gli impiegati.
Per Pierre e Géraldine, come del resto per tutti gli altri, la prova si fa subito ardua. Annunci improvvisi di orfani “disponibili”,
seguiti da altrettanto improvvise disillusioni; funzionari nervosi, corrotti, sempre assenti, che rendono la ricerca quasi
impossibile; giri estenuanti per istituti sparsi nella capitale e sul territorio circostante, sempre con la speranza di trovare il
neonato giusto, il direttore disponibile, il colpo di fortuna che può risolvere in un attimo la situazione. II viaggio si rivela però
molto produttivo, anche quando sembra senza soluzione: ci si impara a conoscere, si approfondisce il rapporto di fronte alle
difficoltà, ci si rende davvero conto che non si tratta solo di un capriccio. E, soprattutto, si vede con occhi nuovi la tragica
realtà del Terzo mondo: le strade percorse da una torma di esseri umani in lotta per la pura sussistenza, i quartieri fatiscenti, i
tanti mutilati dalle mine antiuomo che continuano a mietere vittime. Arriverà, infine, la piccola Lola, e troverà due genitori
molto più maturi di quando sono partiti. (Luigi Paini, Il Sole-24 Ore - 12/07/2005)
Bertrand Tavernier va in Cambogia e trova la Francia. Vuole raccontare l’odissea sfibrante e talvolta umiliante delle coppie
che vanno in Estremo Oriente alla ricerca di bambini da adottare, le defatiganti trafile burocratiche, la perenne incertezza circa
regole e condizioni cui sottostare, l’impatto emotivamente devastante con un paese segnato da miseria, malattie, corruzione,
per non parlare dello sterminio perpetrato dai khmer rossi e dei campi minati che ancora mutilano e uccidono, ma finisce per
ricostruire un angolino di vieille France . “Vieille”, cioè vecchia, non solo perché ogni comunità di emigranti temporanei,
come quella formata da questi aspiranti genitori adottivi concentrati in una specie di centro d’accoglienza, tende ad esasperare
codici e comportamenti in vigore in patria, ma anche come immagine, stile, sostanza cinematografica.
L’idea non era affatto peregrina. E’ vero che ritrovarsi in situazioni limite, lontanissimi da casa, costretti a dividere sogni e
paure con estranei spinti dalle nostre stesse identiche motivazioni, può ingenerare dinamiche come quelle descritte con
puntualità da La piccola Lola . Ma Tavernier è troppo ansioso di dire tutto, mostrare tutto, spiegare tutto, e forse troppo
innamorato di certo cinema classico americano, per non cadere vittima di una sorta di effetto paradosso per cui l’accumulo di
informazioni soffoca l’emozione; mentre i mille accorgimenti e trucchetti messi in opera a tutti i livelli (scrittura, recitazione,
regia), anziché restare invisibili e generare realismo, finiscono per suscitare un tono ricercato e artificioso.
Al centro del film ci sono Pierre e Géraldine (Jacques Gamblin e Isabelle Carré), un medico e sua moglie, sterile, i loro slanci
e le loro ansie, vissute naturalmente in modo assai diverso da lui e da lei. Tutt’intorno, in una baraonda continua (mai uno
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stacco o un silenzio, come se Tavernier soffrisse di horror vacui ), ci sono gli altri. I francesi in primis , divisi in una casistica
abbastanza ovvia (la single , l’antipatico, l’angosciata, l’amicone, etc.). E dopo, molto dopo, i cambogiani, medici, trafficanti,
burocrati, mendicanti, ora benevoli ora ambigui, comunque distanti.
Fra delusioni e sorprese, orfanotrofi e commissariati, bimbi sani e altri già condannati, Pierre e Géraldine lottano, si illudono,
si amano, sperano, litigano, tengono ognuno un diario registrato (altra trovata artificiosissima), arrivano al punto di rottura;
insomma si spendono con tutte le loro energie ma senza quasi mai risvegliare vero interesse o identificazione. E’ un problema
comune a molti film occidentali che interrogano il nostro rapporto con tragedie lontane ma non estranee (vedi Hotel Rwanda ).
Informare però non equivale a raccontare. E il senso di colpa, esplicito o occulto, difficilmente è un buon consigliere. (Fabio
Ferzetti, Il Messaggero - 20/06/2005)
Ovvero, giovani coppie, se volete adottare un bambino non andate in Cambogia perché finirete in un mare di guai. La morale,
metà polemica, metà ironica del film di oggi, diretto da Bertrand Tavernier dopo quella felice escursione nel cinema francese
durante l’occupazione tedesca di Parigi che è stato, nel 2001, «Laissez-passer». Lui e lei giovani sposi, però senza figli e
desiderandone invece uno, ardentemente. Presto l’idea dell’adozione, destinazione Cambogia perché là, si sentono dire, ci
sono ottime facilitazioni. Al contrario Lunghe settimane di attesa, difficoltà all’Ambasciata di Francia, complicazioni a non
finire con gli organismi in loco, ufficiali e no. Mance, corruzioni di impiegati anche a nome dei loro superiori, intralci d’ogni
sorta nei vari orfanotrofi, poi, dopo aver quasi superato tutto, la necessità di verificare, con accertamenti medici, lo stato di
salute del bambino, anzi della bambina prescelta, la Lola del titolo. Con nuovi inciampi al momento di ripartire perché i visti
d’uscita ritardano, gli aerei non aspettano, eccetera, eccetera. Non si può dire che tutto questo interessi o che, ai momenti
voluti, riesca a divertire. I personaggi centrali, trascritti dalla figlia di Tavernier, Tiffany, un po’ sulla base di un suo romanzo,
hanno caratteri solo sbozzati, divisi tra le smanie dell’adozione, il furore per gli ostacoli in cui si imbattono, certi conseguenti
scontri reciproci. E così i molti di contorno che, fra i locali e stranieri, tendono quasi solo a proporsi come documentazione del
problema adozioni, colori convincenti. Nonostante Taverner, che sa bene cos’è il cinema, abbia coinvolto tutti (e tutto) in
ritmi affannati: per arrivare a soluzioni fatte comunque ritardare in modo artificioso. I protagonisti, Jacques Gamblin e
Idabelle Carré, si muovono solo all’insegna dell’agitazione. (Gian Luigi Rondi, il Tempo - 20/06/2005)
Le piogge monsoniche, i mercati odorosi, le strade malridotte, il traffico, gli insetti fastidiosi, gli sciami di motorette, i caotici
sfondi urbani e la campagna, il caldo afoso, i piatti piccanti, l’economia di strada, i visi. La macchina da presa di Bertrand
Tavernier si lascia irretire dalla Cambogia. Pedinando il calvario burocratico ed emotivo di una coppia, Pierre (Jacques
Gamblin) e Geraldine (Isabelle Carré), arrivata in Asia per adottare una bambina, il regista denuncia/constata il “mercato”
delle adozioni e racconta, con un rispetto e una discrezione rosselliniana, il presente di un Paese in cui il ricordo degli orrori
dei khmer rossi non è svanito. Il film non è né un polemico dossier da inchiesta televisiva né un generico docu-fiction: lo stile
e la forma riflettono un punto di vista morale. Scritto anche dalla figlia di Tavernier, La piccola Lola per 128 minuti (qualche
taglio in più non avrebbe minato l’intreccio) si sintonizza sulle preoccupazioni, i picchi nervosi, i sorrisi, gli scoramenti, le
ansie, la scelta di “paternità” e di “maternità” dei due protagonisti e delle altre coppie bloccate negli alberghi cambogiani in
un’assurda lista d’attesa. Adozione e commercio dei bambini, corruzione e traffici illeciti, fax e moduli, firme e timbri,
“donazioni” e visti, lacrime dei piccoli e commozione degli adulti in un film incalzante e ammirevole. (Enrico Magrelli, Film
TV - 21/06/2005)
La vicenda di Géraldine e Pierre (Isabelle Carré e Jacques Gamblin), sposi alla ricerca di un bimbo da adottare in Cambogia,
nasce dall’elaborazione di un romanzo di Tiffany Tavernier, sceneggiatrice (insieme al marito Dominique Sampiero) del film
diretto dal padre, il celebre Bertrand. La lavorazione dela pellicola, che affronta un tema di stretta attualità non solo in Francia
(le adozioni internazionali, per cui è al varo una legge che intende facilitarle), si è trasformata in un viaggio-inchiesta della
troupe nel martoriato Paese asiatico, nel tentativo di capire quali sono le difficoltà che le coppie di aspiranti genitori europei
devono affrontare. Un’esperienza trasferita sullo schermo nell’avventura straordinaria e allucinante che cambierà nel profondo
i protagonisti, sballottati tra gli orfanotrofi, le autorità poco collaborative e i trafficanti di bambini, e confortati dalle persone
nella loro stessa situazione. «Questo non è solo un film sull’adozione, ma sulla coppia» racconta Gamblin «Io e Isabelle
avevamo emozioni diverse rispetto a ciò che vedevamo nel Paese e abbiamo deciso di costruire il rapporto tra i protagonisti su
queste differenze». (Marco Consoli, Ciak - 08/06/2005)
Un fiume di fango accoglie Pierre (Jacques Gamblin) e Géraldine (Isabel Carré) al loro arrivo a Phnom Penh. Giovani e
determinati, hanno scelto di affrontare il lungo viaggio dalla Francia fino in Cambogia per poter adottare un bambino.
Un’agenzia li ha dirottati verso un hotel e un centro di accoglienza dove si ritrovano altre coppie francesi, tutte in attesa di un
bambino da adottare. I primi passi dei nuovi arrivati seguono alla lettera le istruzioni ricevute, ma i giorni passano e la risposta
dell’orfanotrofio è sempre negativa: non ci sono bambini disponibili.
I sospetti insinuati dalle altre famiglie in attesa diventano gradualmente una certezza: la burocrazia cambogiana ostacola
piuttosto che facilitare i processi di adozione, l’amministrazione francese non riesce a salvaguardare gli interessi dei suoi
cittadini in terra straniera, il traffico di bambini rubati pesa come un macigno sulla coscienza inquieta degli aspiranti genitori.
Le settimane passano, tra illusioni e false speranze, attese snervanti di autorizzazioni, timbri, telefonate. Tutto ha un prezzo e
le risorse economiche di Pierre e Géraldine si assottigliano, mettendo a repentaglio la loro ricerca.
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Nervi a fior di pelle, corpo proteso verso un unico desiderio, sguardo spaurito, la Géraldine di Isabelle Carré incarna un’ansia
di maternità che rende la giovane donna fragile e forte insieme. Jacques Gamblin dà a Pierre un’apparenza di razionalità e di
senso pratico che crollano meravigliosamente davanti alla bambina, Lola, che incarna l’ultima speranza della coppia di
lasciare il paese con un figlio.
Sullo sfondo del dramma delle adozioni c’è la Cambogia, la sua miseria presente, il suo passato intriso di dolore, la povertà
che spinge le famiglie a vendere i bambini, i traffici nascosti, la corruzione dei funzionari. Su questo sfondo si intrecciano i
legami tra le famiglie in attesa: le incomprensioni, la gelosia, la solidarietà, il modo, diverso per ciascuna, di resistere alle
pressioni esterne evitando la dissoluzione della coppia.
Fino a che punto è giusto spingersi per adottare un figlio? “La piccola Lola” dà voce alla dolorosa ricerca di tante coppie
contemporanee, mettendo in scena il dubbio, la determinazione ostinata, la disperazione. Nonostante l’importanza e l’attualità
del tema e la bella interpretazione dei protagonisti, il film tuttavia manca a tratti di incisività: la moltiplicazione delle difficoltà
incontrate da Pierre e Géraldine allenta la tensione, diminuendo la presa emotiva sullo spettatore. La finzione lascia il posto, in
questi momenti, al documentario e il tono del film diventa didattico, ma nel finale, la storia spicca di nuovo il volo,
trascinandoci nell’abbraccio dei protagonisti alla piccola “santa” Lola. (www.fice.it)
Note:
-SAN SEBASTIÁN INTERNATIONAL FILM FESTIVAL 2005
Won Audience Award: Bertrand Tavernier
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