appunti sugli hedge funds

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appunti sugli hedge funds
APPUNTI SUGLI HEDGE FUNDS
DI
GIUSEPPE BERARDINI
SOMMARIO: 1. Considerazioni introduttive. - 2. (segue). Le definizioni
di hedge fund. - 3. (segue). La struttura. - 4. Le caratteristiche
tecniche. - 5. (segue). Le strategie d’investimento. - 6. La
normativa. - 6.1. La disciplina del fondo negli USA. 6.2. La disciplina del gestore. - 6.3. La disciplina italiana. - 7. L’attivismo. – 8. Conclusioni.
1. Com'è noto, gli ultimi anni sono stati caratterizzati da una forte crisi economica i cui effetti sono ancora oggi percepibili. La grandiosità e
la velocità con cui tale dissesto finanziario si è diramato nel mercato ha
doverosamente costretto gli analisti a ricercare le cause di tale fenomeno.
Una parte di queste ricerche ha avuto ad oggetto lo studio di alcuni investitori istituzionali, considerati ed etichettati come gli artefici di
questa situazione, gli hedge funds, investitori in grado di generare cospicui
rendimenti.
Potrebbe apparire un ossimoro la considerazione per cui un investitore in grado di generare altissimi guadagni venga additato fra i maggiori
responsabili della crisi economica, tuttavia, in particolari casi, tale capacità
produttiva si è concretizzata in condotte mal concilianti con ottiche di
medio o lungo termine. Le brevi riflessioni che seguono hanno lo scopo
di delineare un quadro generale delle peculiarità del fondo hedge, rappresentate da particolari tecniche di investimento, un atipico habitat normativo ed, infine, da un comportamento assembleare inusuale.
2. Innanzitutto è opportuno tentare di definire cosa sia un hedge fund. È
doveroso parlare di tentativo poiché sono presenti numerose definizioni
a tal proposito.
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Ognuna delle seguenti definizioni è rilevante, non solo per i concetti che la stessa esprime ma, anche, per la complementarietà svolta.
In prima battuta rileva il pensiero di Esposito1, il quale non si preoccupa tanto di dare una definizione di hedge fund quanto di delinearne le
caratteristiche intrinseche. L’autore, infatti, enuncia tre criteri attraverso i
quali identificare tale investitore: «Il primo, di natura funzionale, è rappresentato dall’elevato ricorso alla leva finanziaria nelle strategie d’investimento; il secondo, il criterio ambientale, è rappresentato dall’assenza di regolamentazione e di vigilanza, grazie anche alla localizzazione in paradisi
fiscali; il terzo, il criterio sociale, è rappresentato dalla scelta di una forma
di società tale da evitare di incappare nella normativa sulla sollecitazione
del pubblico risparmio e, quindi, consente un notevole grado di opacità».
Soros, il manager del più grande gruppo di hedge funds, definisce il
fondo hedge «un fondo mutualistico che sfrutta il leverage ed usa varie tecniche di copertura». Uno dei primi libri sull’argomento definisce, inoltre, il
fondo come un «fondo d’investimento molto flessibile destinato a persone
dotate di ingenti capitali o alle istituzioni. La soglia minima di ingresso è
in genere 1 milione di dollari e il manager usualmente riceve il 20% dei
profitti. Inoltre l’hedge fund può usare qualsiasi strumento finanziario, quale
la leva allo scoperto e il leverage».
Un gruppo di studio di New York, il Republic of New York Securities
Fund selection and evaluation group, definisce l’hedge come «una limited partnership
(cittadini USA) o una off shore investment corporation (per fondi con sede off shore)
in cui il general partner ha fatto dei cospicui investimenti in prima persona e il
cui regolamento permette di prendere posizione lunghe e corte, di utilizzare
il leverage, gli strumenti derivati e di investire in molti mercati».
La Banca d’Italia qualifica i fondi hedge come «organismi finanziari,
localizzati generalmente in centri off-shore o negli Stati Uniti, contraddistinti dal numero ristretto dei soci partecipanti e dall’elevato investimento
minimo richiesto. Non hanno vincoli in materia di obiettivi e strumenti
d’investimento e possono assumere posizioni finanziandosi anche con
forti indebitamenti. Sono soggetti a una normativa prudenziale più limitata rispetto agli altri operatori finanziari».
1
Cfr. ESPOSITO, Hedge funds: la loro attività e le proposte di regolamentazione, in «Banca
commerciale italiana», 1999, 10.
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Le varie definizioni sopra riportate riflettono ancora una volta le peculiarità del fondo hedge e possono essere generalizzate nell’affermazione
secondo cui il fondo hedge è un investitore istituzionale capace di utilizzare
il leverage e lo short selling per ottenere grandi guadagni, in un contesto normativo non sufficientemente dettagliato.
3. La scarsa regolamentazione accennata incide prima di tutto sulla struttura. Il fondo, infatti, cerca di modellare la propria struttura in modo da
trarre il massimo beneficio dai vari ordinamenti in cui opera. Tale obiettivo, innanzitutto, è raggiunto con l’esternalizzazione dei servizi.
Il fondo si caratterizza, infatti, per un’organizzazione semplice,
funzionale, spesso, basata sull’importante ruolo svolto dai consultant, cioè,
collaboratori esterni di cui un hedge fund si avvale. L’esternalizzazione dei
servizi ha, inoltre, il vantaggio di ridurre i costi strutturali rispondendo, in
questo modo, ad una logica di efficienza funzionale.
Il ruolo maggiormente rilevante è quello svolto dal prime broker, cioè,
l’intermediario che fornisce una serie di servizi quali quello di prestito
azioni e negoziazione titoli. Questi, inoltre, si preoccupa di eseguire una
serie di attività quali il finanziamento per le posizioni assunte, la custodia
dei titoli e la conferma delle operazioni avvenute.
Per quanto concerne il profilo interno, la figura di primo ordine è
quella dell’hedge fund manager. Per una visione d’insieme si riporta la seguente tabella riassuntiva.
Advisor
Board of Directors
Auditors
Consultants
Hedge Fund Manager
Analists
Custodians
Administrations
Distributors
Fund Administrator
Prime Broker
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L’hedge fund manager svolge un ruolo rilevante poiché è investito di
un’ampia autonomia decisionale in tema di gestione del rischio, trading e
asset allocation, attività volta alla definizione del portafoglio in modo tale
che l’investimento risulti ottimale rispetto alla combinazione rischiorendimento. Importante è, quindi, la sua capacità di gestire situazioni
particolari, di attirare gli investitori attraverso la sua esperienza e la sua
capacità di trasmettere fiducia agli stessi.
4. Come già detto, uno dei principali fattori che influisce sulla performance
del fondo è rappresentato dalla possibilità di sfruttamento dello short selling
e del leverage. Si tratta di due strategie finanziarie che meritano una riflessione autonoma e specifica.
La leva finanziaria, cioè il leverage, è lo strumento attraverso il quale
il gestore può investire un quantum maggiore rispetto a quello ottenuto dai
limited partners. L’indebitamento può essere conseguito, in primo luogo,
attraverso i prestiti concessi dal prime broker in funzione delle posizioni
possedute presso di lui; in secondo luogo, attraverso il reinvestimento dei
profitti derivanti dalla conclusione di operazioni di pronti contro termine2.
Il vantaggio generato con l’uso della leva finanziaria è rappresentato
dal dato positivo risultante dalla differenza tra il rendimento dell’investimento ed il costo dell’indebitamento.
Lo strumento, però, presenta dei profili di rischio rappresentati tanto dal quantum di indebitamento, quanto dall’oggetto dell’investimento.
È lapalissiano osservare che l’investimento in un bene la cui redditività
è quasi certa, quale può essere un marchio o un brevetto, sicuramente
differisce da un collocamento in titoli di stato di paesi emergenti, la cui
aleatorietà è maggiore.
2
Utile alla comprensione a tal proposito è l’esempio riportato da PIA, (nt. 3), 37:
«con il capitale conferito dai clienti, l’hedge fund acquista titoli obbligazionari X
per un importo pari a 100 dollari. Successivamente, stipula un pronti contro
termine con il quale vende i titoli X con l’impegno di riacquistarli ad una
scadenza stabilita. A fronte della vendita riceve il valore dei titoli decurtato di
un percentuale (nel nostro caso del 2%) che prende il nome di haircut. Con il
ricavato, 98 dollari, acquista altri titoli b sui quali stipula un nuovo report. Allo
stadio quattro ha acquisito obbligazioni per un valore complessivo di 388 dollari
a fronte di un investimento originario pari a 100 dollari».
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La tecnica dello short selling, invece, si basa su meccanismi di funzionamento diversi. Questa strategia si fonda sulla vendita allo scoperto di
titoli presi a prestito dal broker. Il potenziale vantaggio di una tale operazione si basa sulla prospettiva di diminuzione del valore dei titoli prestati
nel momento in cui si dovrà procedere alla restituzione degli stessi.
Il procedimento è molto complesso poiché una volta ottenute le
azioni in prestito, il gestore deve vincolare i ricavi derivanti dalla vendita
in un conto presso il broker stesso. A tale operazione deve essere affiancata
l’apertura di un margin account a carico del fondo, costituito da titoli di proprietà del gestore stesso, come garanzia per un’eventuale fluttuazione del
prezzo del titolo prestato. Questo margine di garanzia deve essere mantenuto per tutta la durata dell’operazione nella misura minima del 30%
del valore delle azioni prese a prestito, come richiesto dal New York Stock
Exchange. La posizione del gestore si chiude nel momento in cui lo stesso
acquista nuovamente i titoli sul mercato per restituirli al broker, il quale a
sua volta li rimette sul conto del cliente.
Per una migliore comprensione della tecnica dello short selling, è utile
richiamare la disciplina italiana del riporto regolata dagli articoli 1548 ss.
c.c.. Mi riferisco, in particolare, al contratto di riporto «di borsa». Quel
contratto, cioè, in cui il fine ultimo è speculativo, e che si caratterizza per
il trasferimento, ad un determinato prezzo, di beni fungibili dal riportato
nei confronti del riportatore. Questi si assume, inoltre, l’obbligo di restituire, alla scadenza del termine stabilito, la proprietà di altrettanti titoli della
stessa specie, dietro rimborso del prezzo.
I profili negativi di un’operazione del genere sono rappresentati dal
rischio di incorrere nel pericolo di un potenziale aumento del valore delle
azioni, il che comporterebbe una reintegrazione del margin account, e nel pericolo di una richiesta anticipata di restituzione dei titoli da parte del broker.
Sebbene queste due tecniche d’investimento risultino particolarmente rischiose, hanno rappresentato lo strumento attraverso il quale Jones,
giornalista americano esperto di finanza, nel ’49 ha fondato l’hedge fund.
Nelle chiare parole di un saggio3 di qualche anno fa, si legge, che
«sia la vendita allo scoperto che il leverage sono considerati altamente ri3
Cfr. EICHENGREEN - MATHIESON, Hedge funds: what do we really know?,
disponibile sul sito www.ssrn.com, 1999, 20.
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schiosi se applicati singolarmente. Jones è apprezzato per aver dimostrato
come questi strumenti possano essere combinati al fine di limitare i rischi
di mercato. L’ingegno di Jones fu quello di discernere i due diversi fattori di rischio: quello derivante dallo specifico titolo in cui si è investito,
quello derivante dalla generale perdita del mercato. Jones mantenne una
quota di azioni vendute allo scoperto per coprire la perdita del mercato.
Riuscendo a contenere il rischio di mercato, usò l’indebitamento per aumentare il ritorno economico dalle singole azioni in cui aveva investito.
Impegnò una parte del capitale su azioni che considerava sottovalutate,
assumendo una posizione lunga; investì, nel breve periodo, sui titoli da
lui ritenuti sopravvalutati. Il fondo fu considerato come una copertura al
portafoglio di azioni, a sua volta diviso tra quei titoli che avrebbero guadagnato se il volume del mercato fosse aumentato, e quelli che avrebbero
generato surplus nel breve periodo qualora il mercato avesse registrato
delle perdite».
Jones vendeva allo scoperto titoli con una potenziale diminuzione
di valore rispetto a quella del mercato di riferimento e acquistava titoli
con tendenza opposta, cioè, con possibilità di crescita superiore a quella
del mercato. Al fine di incrementare le aspettative di guadagno utilizzava
forme di prestito, garantite dal suo capitale, per assumere le posizioni dai
lui scelte.
Si creava, così, un sistema d’investimento capace di generare surplus
indipendentemente dall’andamento del mercato grazie alla copertura delle
posizioni di mercato lunghe con quelle short e viceversa. Si ricorre, cioè,
all’assunzione di una posizione secondaria esclusivamente finalizzata a coprire il rischio assunto con il collocamento primario.
Affinché si possano ottenere risultati positivi è necessario, però, che
precedentemente vi sia stata una ponderata riflessione sui titoli da scegliere. È, cioè, essenziale che lo stock picking - quella fase, cioè, in cui il gestore
di un fondo, dopo aver selezionato le classi di attività, sceglie specificatamente le singole azioni da acquisire nel portafoglio- sia stato ottimale.
La leva finanziaria e la vendita allo scoperto, in realtà, rappresentano soltanto due delle principali caratteristiche dei fondi hedge che hanno
svolto un ruolo primario al raggiungimento, per il primo fondo di tal
specie, di un rendimento pari ad oltre il 670% nel decennio ’55 - ’65.
Altri elementi concorrono al raggiungimento di tale risultato.
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Un primo fattore, funzionale al rendimento, è la subordinazione
della fee del fund manager ai risultati economici del veicolo stesso. La strategia di pay for performance4 prevede, in questo caso, che il gestore abbia diritto
ad una performance fee del 20% sugli utili conseguiti dal fondo; si dispone,
inoltre, che qualsiasi perdita subita dal fondo debba essere reintegrata prima che il gestore possa percepire parte della sua remunerazione, meglio
conosciuta come high water mark.
Un secondo fattore, è la previsione di una partecipazione diretta alla
sottoscrizione del fondo in capo al fund manager.
In terzo luogo, la previsione di un periodo di lock-up, cioè, di un
vincolo temporale dell’investimento -che varia dai tre anni ad un anno, permette all’amministratore del fondo di programmare in maniera più
efficiente e sicura i vari investimenti. La certezza di godere, per un determinato lasso di tempo, di un certo ammontare di capitali gioca a favore
dello short selling e del leverage.
5. Le varie caratteristiche tecniche sopra enunciate sono utilizzate differentemente dai vari amministratori di fondi in funzione delle diverse
strategie d’investimento la cui trattazione rileva in particolar modo in
tema di attivismo. Solo, infatti, determinate strategie creano un contesto
favorevole all’attività di monitoraggio.
Esistono due diversi criteri di analisi delle strategie d’investimento.
Un primo criterio, di cui si fa portavoce Pia5, è basato sull’esame
del comportamento del gestore. Questo tipo di approccio comporta una
dicotomia tra strategia non direzionali e quelle, invece, direzionali.
L’approccio Directional Market timing è caratterizzato da un continuo
«gioco» tra investimento e disinvestimento in relazione alle previsione
sull’andamento del prezzo del titolo; il profitto, in questo caso, si basa
sulla corretta previsione del trend del mercato. In questa classe rientrano le
strategie dello short seller, global macro ed emerging market.
4
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Cfr. K RAAKMAN ET A L ., Diritto societario comparato, ed. it. a cura di Enriques,
Bologna, 2008, p. 30 : «La pay for performance è una particolare forma di
strategia di governance finalizzata al miglioramento e alla risoluzione degli agency
problem».
PIA, autrice del libro Hedge funds: Fondi di copertura o fondi speculativi?, Giappichelli,
Torino 2002.
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L’orientamento, invece, Non Directional non si basa su una relazione
con l’andamento del mercato, bensì sfrutta in termini positivi le disfunzioni temporanee del mercato. Appartengono a questo stile i fondi market
neutral, event driven e short long.
Un secondo criterio di analisi si basa, invece, sulla relazione che
esiste tra le varie strategie di mercato ed il benchmark, cioè, il parametro
di riferimento di un determinato mercato per il confronto rendimento/
rischio degli strumenti finanziari.
In base a questo approccio possono identificarsi cinque diverse
categorie.
La prima, c.d. Relative value o Market neutral strateg y è finalizzata ad
assestarsi su una posizione neutrale al mercato; la seconda, c.d. Event driven
strateg y ha come obiettivo quello di focalizzarsi su operazioni aziendali
straordinarie quali fusioni o scissioni etc.; la terza, c.d. Equity hedge fund,
tende ad investire in titoli azionari con una posizione lunga sul mercato; la
quarta, c.d. Global Asset Allocation, sfrutta le situazioni vantaggiose offerte
dai mercati di tutto il mondo; infine, la quinta, c.d. Short selling, ha come
obiettivo l’investimento nel mercato azionario con particolare attenzione
alla selezione dei titoli da vendere allo scoperto.
All’interno di questa classificazione meritano particolare attenzione
la strategia del market neutral e quella della event driven.
La prima di queste comprende quelle strategie basate su una volatilità minima e finalizzate ad ottenere profitto indipendentemente dall’andamento del mercato. Alla base di tale forma d’investimento vi è la necessità
di creare una relazione funzionale tra le posizioni corte e quelle lunghe
come, ad esempio, la sottoscrizione dello stesso quantitativo di azioni nelle due posizioni. Si sottolinea, cioè, la necessità di una relazione sostanziale tra le due posizioni, c.d. paired trading.
Nonostante questa strategia annulli il rischio di mercato
- finanziariamente il ß6, il parametro con cui si esprime l’esposizione che
uno strumento finanziario ha nei confronti del rischio sistemico, è pari a
6
Cfr. A. M ANULI, (nt. 3), 140: «Qualora questo valore sia maggiore di uno il
rendimento è maggiore perché si ha una variabilità superiore a quella del mercato.
Se, invece, il valore dovesse essere inferiore a uno, la variabilità del rendimento
sarebbe uguale».
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zero -, sopporta dei rischi dovuti alla qualità della singola società in cui si è
investito.
L’assunzione di posizioni lunghe e corte in modo da annullare la generale influenza del mercato richiede in capo al prime broker la capacità di
selezione del titolo (stock picking) e di scelta del momento (market timing). La
neutralità del mercato è generata dalla liquidità prodotta nel momento in cui
si vendono allo scoperto titoli sopravvalutati e si investe in altri sottovalutati.
La seconda strategia - Event driven strateg y - si caratterizza, invece, per
un’esposizione positiva al mercato grazie alla focalizzazione su specifiche
operazioni aziendali. A tal proposito è possibile distinguere all’interno
della categoria tre aree. Nella prima, c.d. Merger arbitrage, vengono sfruttate le operazioni di fusione attraverso un investimento lungo sull’azioni
dell’impresa acquisita e corte sull’acquirente tenendo conto del rapporto
di cambio, ai fini della determinazione del quantitativo da investire nelle
due posizioni. Nella seconda, c.d. Distressed securities, vengono utilizzate le
occasioni di guadagno derivanti da operazioni quali la bancarotta, la liquidazione e la ristrutturazione. In questa ipotesi è richiesta ai fund manager
un’adeguata analisi del valore degli assets della società. La terza, c.d. Regulation D, si basa sull’opportunità offerta dalla stessa norma che permette
una collocazione privata di azioni preferenziali convertibili in azioni ordinarie, senza seguire i lunghi e costosi percorsi delle offerte pubbliche
d’acquisto. Affinché ciò avvenga si richiede che la collocazione privata sia
rivolta nei confronti di accredited investors e/o verso non accredited investors nel
limite massimo di 35 investitori. Una volta acquisiti privatamente questi
prodotti finanziari il fund manager ricolloca gli stessi sul mercato generando
un surplus dalla differenza dei due prezzi.
È ora possibile delineare il rapporto con l’attivismo.
È sicuramente legittima l’esclusione dalle forme di attivismo di quei
fondi che basano la loro strategia su investimenti a reddito fisso o non
focalizzati su titoli societari, come ad esempio, le strategie Market neutral e
Relative value. Rientrano nella categoria, invece, quei fondi che utilizzano
le strategie Event driven ed Equity long/short. Questo tipo di tecniche, caratterizzate da forti investimenti in titoli societari, spingono tendenzialmente
il fondo ad intraprendere operazioni di creazione del valore.
Il tutto, però, risente del tipo di mercato in cui si opera. Ecco perché
un attivismo dei fondi hedge vede nel mercato americano ed anglosasso33
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ne l’habitat naturale per il compimento di queste operazioni di corporate
restructuring.
6. I mercati finanziari sono strutturati al fine di garantire la tutela dell’investitore, l’integrità dei mercati e, infine, limitare il rischio sistematico,
cioè, quel fenomeno, caratteristico dei mercati finanziari, capace di generare un effetto a catena all’interno del sistema, dovuto alla nascita di
limitate situazioni di crisi.
Poiché i prodotti fi nanziari si caratterizzano come credence goods
-cioè, prodotti per i quali l’accertamento della qualità e dell’affidabilità
può avvenire solo dopo l’acquisto e necessita, comunque, di interventi normativi pubblici fi nalizzati a garantire la tendenziale oggettività
della valutazione, generando, in questo modo, costi d’informazione-, la
tutela dell’investitore è fi nalizzata a preservare la fiducia del pubblico
in relazione ai prodotti offerti, affi nché siano oggetto di contrattazione e scambio tutti gli strumenti messi a disposizione sul mercato dagli
intermediari.
La tutela del mercato è, invece, finalizzata a scoprire quei fenomeni di market abuse, per favorire il processo di corretta determinazione
dei prezzi. La limitazione del rischio sistematico è finalizzata, infine, ad
evitare che si possa generare sul mercato un meccanismo di contagio di
particolari e limitate situazioni di crisi.
In materia di hedge fund la regolamentazione, seppur minima, è intervenuta seguendo due diverse strade.
La prima, di tipo diretto, riguarda la disciplina del fondo e quella
del gestore. La disciplina del fondo riguarda la modalità di collocamento,
sottoscrizione e riscatto delle quote, nonché la struttura del fondo; quella
del gestore concerne la definizione delle strategie di investimento, degli
obblighi di disclosure e la prevenzione di situazioni in conflitto di interessi.
La seconda, di tipo riflesso, concerne la tutela dell’investitore. Le
argomentazioni che favoriscono una lettura in tal senso trovano giustificazione in due diverse riflessioni. La prima è basata sul divieto, in capo
agli hedge fund, di procedere a sollecitazioni pubbliche d’investimento. La
seconda, si basa sulla assenza di disciplina nel rapporto con l’investitore.
In realtà, il risultato è ottenuto, indirettamente, attraverso una serie
di precetti concernenti la disciplina del fondo e quella del gestore. Ci si
riferisce, in particolare, all’elevato ammontare della quota di sottoscrizio34
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ne che, tendenzialmente, circoscrive il campo dei destinatari del prodotto
agli investitori istituzionali o ai soggetti dotati di ingenti capitali.
Come già accennato questi principi sono contenuti nella disciplina
riguardante il gestore ed il fondo che è di seguito analizzata secondo lo
schema dicotomico tra la normativa americana e quella italiana.
6.1. Il funzionamento del mercato finanziario americano è retto dall’operare di tre autorità: la Securities Exchange Commissions (S.E.C.) che disciplina l’attività dei gestori di pubblici investimenti, The CFTC regolamenta il
mercato degli strumenti derivati, al fine di evitare frodi, The Federal Reserve
che interviene nel settore bancario.
Questi soggetti si preoccupano di garantire la funzionalità e la sicurezza del mercato attraverso una serie di vincoli e doveri. Tra questi vi
è, ad esempio, l’obbligo di registrazione del fondo presso la Sec e l’obbligo d’informazioni relativo ai titoli disponibili per la vendita al pubblico
(come previsto dal Securities Act del 1933).
Tali vincoli sono facilmente derogabili dagli hedge fund attraverso lo
spazio normativo concesso dalla Section 3(c)1 e dalla Section 3(c)7.
La prima norma prevede un’esenzione agli obblighi previsti dal Securities Act del 1933, nel momento in cui le quote di partecipazione non siano
oggetto di offerta pubblica e, contemporaneamente, la sottoscrizione non
riguardi più di cento partecipanti.
La seconda, invece, introdotta nel 1996 prevede la possibilità di sottoscrizione delle quote partecipative del fondo da un numero illimitato
di soggetti purché si tratti di qualified purchasers. Con tale locuzione ci si
riferisce alle persone fisiche ed alle family-owned company con investimenti
non inferiori a 5 milioni di dollari e non appositamente sorti per acquisire
quote di fondi. Alla base di queste due esenzioni vi è la condicio sine qua non
che il collocamento delle quote del fondo avvenga attraverso un’offerta
privata e non pubblica ex Section 4(2) del Securties Act.
Un ulteriore «escamotage» normativo è la «rule 506 of Regulation D», la
quale consente l’esenzione di registrazione delle proprie azioni presso la
Sec qualora queste vengano vendute ad accredited investors e/o ad un numero
massimo di 35 investitori non accreditati. Ai sensi della rule 501 gli accredited investors sono individui che dispongono di un patrimonio superiore
ad un milione di dollari o che abbiano registrato un reddito superiore
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a 200.000 dollari (300.000 se in unione con il coniuge) in ciascuno dei
due anni precedenti all’acquisto, le banche, le compagnie d’assicurazione,
i fondi comuni, le organizzazioni no-profit che abbiano un totale attivo
superiore a 5.000.000 di dollari ed, infine, un qualsiasi veicolo i cui equity
owners siano accredited investors.
6.2. Per quanto concerne la disciplina del gestore, i capisaldi sono rappresentati dall’ Investment Advisers Act of 1940 (IAA) e dal Securities Exchange
Act (SEA) del 1934.
Lo IAA prevede a carico degli investment advisor - sono così definite
le persone o le società che forniscono raccomandazioni per l’investimento
o effettuano l’analisi finanziaria come contropartita di commissioni - la
possibilità di improvvisi controlli da parte della SEC, per quanto concerne
i libri sociali e la documentazione societaria, la potenziale limitazione della
performance fee. Gli hedge fund pur rientrando tra i destinatari di tale previsioni
normative, possono facilmente eludere il precetto attraverso la «private advisor
exemption». Tale esenzione si applica qualora i gestori dimostrino che abbiano
avuto meno di 15 clienti nel corso dei dodici mesi precedenti, non abbiano
fornito al pubblico consulenza in termini di investimento ed, infine, non
agiscano come investment advisor per nessuna investment company registrata.
La seconda fonte –SEA-, invece, prevede pressanti obblighi di disclosure per i dealers di azioni tanto da spingere i manager di un hedge fund
a cercare di essere qualificati come trader anziché come «broker-dealers» secondo la Section 15 di tale atto. Tale qualificazione, si ottiene attraverso
lo scambio di azioni, da parte dei managers, per conto proprio invece che
come fine della loro attività economica.
In realtà il panorama normativo è, in parte, cambiato con le trasformazioni apportate dalla rule 203(b)(3)-2. La stessa, modificando lo IAA.,
dispone che la società di gestione che amministra un private fund debba
registrarsi come investment advisor qualora la massa gestita sia più alta di 25
milioni di dollari e i clienti siano superiori a 15.
Si dispone, inoltre, il rispetto di alcuni requisiti. Tra questi rileva
l’obbligo di compilazione dell’Adviser Registration Form. Per poter essere
registrati gli hedge fund manager devono compilare e tenere aggiornato il
cosiddetto Adv Form, documento inviato alla SEC e composto da due
parti. Nella prima, il modulo contiene informazioni circa i soggetti cha
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abbiano un ruolo strategico all’interno della società, la sede, l’azionariato, le funzioni di base della società e i provvedimenti disciplinari passati.
La seconda parte, invece, contiene dati circa le commissioni richieste, lo
stile d’investimento, i potenziali conflitti di interesse, le pratiche di brokeraggio, l’affiliazione con altre società e tutte le informazioni relative alle
decisioni di investimento.
Un secondo requisito è rappresentato dall’obbligo di nomina di un
Chief Compliance Officer.
In tema di performance fee si dispone che un investment advisor non possa richiedere una performance fee a clienti che non siano riconosciuti come
qualified investor; aggiungendo che gli investitori che risulteranno sottoscrittori di fondi hedge prima del 10 febbraio del 2005 saranno comunque
considerati qualificati.
In tema di documenti contabili si prescrive che le società di gestione alternative debbano mantenere e archiviare una serie di libri contabili
e pubblicare annualmente un «financial statement» redatto secondo precisi
principi contabili. Le società devono, inoltre, dotarsi di un «compliance manual» dove verranno indicate le procedure e le responsabilità seguite per
conformarsi ai principi normativi.
Per ciò che riguarda la valutazione degli attivi, lo IAA prevede il
principio generale che il N. A. V., cioè, il valore netto del fondo, debba
essere calcolato con i prezzi di mercato dei titoli in portafoglio. Importanti
limitazioni sono introdotte sull’utilizzo di valutazioni di strumenti finanziari diversi dai prezzi di mercato e forniti da controparti terze.
Al fianco della disciplina dettata appositamente per un hedge fund, il
sistema americano prescrive una serie di obblighi a cui non ci si può sottrarre, indipendentemente dalla natura del prodotto finanziario. Si tratta
delle norme antiriciclaggio e quelle antifrode, le norme sull’insider trading
ed, infine, la previsione derivante dalla Section 13(d) del Securities Exchange
Act. Questa dispone che chiunque detenga una quota di titoli con diritto
di voto in una public company superiore al 5% è tenuto ad obblighi informativi nei confronti della Sec.
Ulteriori previsioni normative sono previste per i fondi on-shore, nel
momento in cui un hedge fund, strutturato come limited partnership, venda le
proprie azioni ad un investitore. È prevista la redazione di un «Offering memorandum», cioè, il prospetto dell’investimento nei quali si descrivono i titoli
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posseduti dal fondo e si riassume il contenuto dell’accordo della società. Si
prescrive, inoltre, la sottoscrizione del «Limited partnership agreement», cioè il
contratto stipulato con il gestore in cui sono elencati i diritti e gli obblighi
del general partner e dei limited partners, indicando le linee generali di gestione
dell’impresa. È, inoltre, disposta la redazione del «Subscription agreement»,
cioè, il prospetto in cui l’investitore manifesta la sua volontà di partecipare
alla società come limited partner e si impegnano a versare la propria quota di
partecipazione a titolo di conferimento.
6.3. Il testo unico della finanza, in particolare gli artt. 37 e 42, ha rappresentato la base normativa con cui si è proceduto a recepire questa forma
alternativa di intermediario in Italia.
L’art. 37, in particolare, assegna al Ministro del Tesoro il compito di
emanare un regolamento in cui indicare gli elementi fondamentali della
struttura degli organismi di raccolta collettiva del risparmio, con particolare riferimento all’oggetto dell’investimento, alla categoria degli investitori e alle varie forme di partecipazione.
Il recepimento degli hedge funds, in particolare, è avvenuto nel 1999
con il Decreto del Ministero del Tesoro n. 228 del 24 Maggio (art. 16) e con
il provvedimento della Banca d’Italia del 20 Settembre, in cui si evidenzia
già dal punto di vista lessicale la concezione che lo stesso strumento ha
nel nostro paese. Il termine «hedge fund», che letteralmente significa «fondo
di copertura», è stato tradotto, infatti, nell’art. 16 del Decreto n. 228/1999
con il termine «fondo speculativo», quasi a voler sottolineare la rischiosità
e l’oscurità informativa che si cela dietro a tale forma d’investimento.
L’art. 16 del Decreto n. 228/1999 prevede un’ampia autonomia concernente i limiti e l’oggetto dell’investimento disponendo al primo comma
la possibilità di derogare ai beni previsti nell’art. 4, 2° co., in difformità alle
norme prudenziali di contenimento e frazionamento dal rischio stabilite
dalla Banca d’Italia, ex art. 6, comma 1, lett. c) del T.u.f. «La facoltà riconosciuta ai fondi speculativi di poter determinare liberamente l’oggetto del
proprio investimento permette di considerare una serie di beni, come ad
esempio i quadri d’ autore, in cui potrebbe essere impiegato il patrimonio
del fondo, il che rappresenterebbe una sicura novità nel panorama italiano
dei fondi comuni di investimento».
All’ampia autonomia in termini di oggetto di investimento fanno da
contrappeso i vincoli imposti per la sottoscrizione delle quote del fondo
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stesso. Si prevede, infatti, sempre all’art. 16 di cui sopra, che tali fondi debbano: a)avere un numero di partecipanti non superiore alle duecento unità7;
b) prevedere un investimento minimo iniziale pari ad almeno €500.000 8.
L’articolo in questione non dispone nulla in merito alla natura dell’investitore lasciando, quindi, la possibilità a chiunque di sottoscrivere quote
di un fondo di tal natura. È pur vero, però, che i limiti appena menzionati
fungono da criterio selettivo all’interno del mercato. Sembrerebbe evincersi, infatti, uno sforzo del legislatore a limitare la diffusione del prodotto
tra gli investitori istituzionali e privati con elevate disponibilità finanziarie.
Un'ulteriore forma di contrappeso è rappresentata dalla particolare
attenzione che il legislatore italiano ha avuto nei riguardi degli obblighi
informativi previsti a favore dell’investitore, attraverso la redazione del
regolamento del fondo. È, infatti, disposto che lo stesso debba contenere
informazioni sugli investimenti che potranno essere realizzati specificando che gli stessi potranno avvenire in deroga ai principi generali stabiliti
dalla Banca d’Italia in materia di contenimento e frazionamento dei rischi;
indicare le strategie scelte dalla società, le spese di commissione, le condizioni di partecipazione quali la sottoscrizione ed il rimborso, entry/exit
dates, blocco di nuove sottoscrizioni e le clausole di lock-up.
Tale previsione regolamentare trova la sua ragione nel presupposto,
implicito nel nostro ordinamento, per cui il grado di rischiosità dell’investimento in fondi speculativi debba necessariamente risultare superiore a
quello caratterizzante gli altri fondi di investimento.
L’offerta della sottoscrizione di quote del fondo non dovrà avvenire
pubblicamente, facendo venire meno, quindi, l’obbligo di redazione di un
prospetto informativo.
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Originariamente l’art. 16, comma 5° del Decreto 228/99 prevedeva che «il numero
di soggetti che partecipano a ciascun fondo speculativo non può superare le cento
unità». Ma con il Decreto n. 47 del 31 gennaio 2003 del Ministro del Tesoro,
del Bilancio e della Programmazione Economica l’articolo 16 è stato modificato,
prevedendo l’innalzamento a 200 del numero massimo delle unità che possono
partecipare ad un fondo speculativo. Decreto pubblicato nella Gazzetta Ufficiale
del 25 marzo 2003 n. 70.
L’ammontare dell’investimento minimo era precedente previsto ad un milione di
euro. Successivamente il valore è stato abbassato alla metà con il Decreto n. 47 del
31 gennaio 2003.
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Sulla base delle considerazioni precedentemente svolte, sembra facile
delineare lo schema operativo a cui un fondo speculativo debba sottostare:
a) costituzione di una Sgr; b) creazione di un fondo in cui confluiscono i
capitali da investire; c) una banca depositaria con il compito di monitorare la
consistenza del fondo; d) un prime broker che offra una serie di servizi quali il
prestito dei titoli per lo short selling o i finanziamenti per il leverage.
7. Il c.d. Hedge fund’s activism rappresenta l’ulteriore fattore concorrenziale
alla creazione del cospicuo rendimento offerto da questa tipologia di fondi.
Il c.d. attivismo è un fenomeno ormai consolidato nel tempo, che ha
assunto peculiarità specifiche riguardo al comportamento degli hedge funds.
Il raggiungimento dell’elevato profitto richiede, infatti, comportamenti ed
impostazioni strategiche peculiari.
È, innanzitutto, necessario un sistema di governance efficiente che
risponda, adeguatamente, alle esigenze di mercato, in particolare, all’evoluzione e al mutamento della natura dell’azionista.
È, inoltre, opportuno che il mercato in cui si investe sia ben predisposto alla presenza degli investitori istituzionali. L’attualizzazione di
questi principi trova conferma nei dati statistici dell’attivismo. I più importanti fenomeni, infatti, si sono registrati nei paesi di common law, in
quei paesi in cui il meccanismo di raccolta del credito da parte delle società avviene attraverso il mercato e non il canale bancario. È per questo
motivo che i paesi mercato-centrici hanno, da sempre, dimostrato una
particolare attenzione al tema. Si registra, in questi contesti, la tendenza
degli hedge funds, e più in generale degli investitori istituzionali, alla raccolta
di grandi quantità di capitale dei singoli sottoscrittori, al fine di assumere una posizione più rilevante all’interno delle singole società. In questo
modo aumentano la loro forza contrattuale.
Il fenomeno dell’attivismo, in realtà, non sfrutta solo le regole di
governance ma, più in generale, si basa su un potere di influenza che il fund
manager sfrutta nei confronti del management societario al fine di ottenere
un aumento del valore del titolo. Il perseguimento di questo obiettivo,
come già detto, avviene attraverso le regole di governance e dei meccanismi
di funzionamento del mercato.
Il problema generato da questo comportamento è rappresentato dal
potenziale conflitto tra la sforzo del fondo a raggiungere ingenti guadagni,
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attraverso risultati di breve periodo, e l’ottica di going concern che sottende
al funzionamento della società. Si crea, cioè, una tendenziale discrasia tra
gli obiettivi finanziari e quelli industriali. È un conflitto che suscita grandi
dibattiti ma è basato su una piccola «sfumatura» giuridica: il momento di
determinazione della concretizzazione dell’abuso. Ci si preoccupa, cioè, di
capire quando l’esercizio di un diritto diventi abuso, cioè, violazione e superamento della stessa ratio ispiratrice del principio dispositivo. È questo
l’oggetto che viene trattato nei capitoli successivi.
8. Alla luce di quanto detto, è possibile schematizzare le peculiarità di
questo investitore istituzionale in tre macrocategorie.
La prima è rappresentata dalla caratteristiche tecniche utilizzate dal
fondo, in particolare lo short selling, il leverage ed, infine, la pay for performance.
La seconda, è rappresentata dalla maggiore discrezionalità di investimento e di regolamentazione dello stesso. Tuttavia, si rileva che questa lacunosa disciplina non comporta un pregiudizio estremo per l’investitore. Si
prevede, infatti, un quantum minimo di sottoscrizione che non permette al
piccolo azionista, tendenzialmente estraneo alla materia, di prendere parte
ad un gioco di cui non si conoscono bene le regole ed i pericoli. Diversi
sono stati i vincoli legali imposti per il perseguimento di questo obiettivo:
a) la limitazione del numero dei soggetti partecipanti; b) l’impossibilità di
frazionamento della quota del fondo; c) il cospicuo ammontare dell’importo minimo di sottoscrizione; d) l’impossibilità che le quote del fondo
siano oggetto di sollecitazione all’investimento; e) la previsione per cui il
regolamento del fondo debba menzionare la rischiosità dell’investimento
e la circostanza che lo stesso avvenga in deroga alle norme prudenziali di
contenimento e frazionamento del rischio stabilite dalla Banca d’Italia.
La terza categoria, è rappresentata dall’iniziativa di monitoraggio
all’interno delle società attraverso le regole di governance e la pressione sul
management.
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