Banca Popolare di Vicenza, quel buco da un miliardo e i controllori

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Banca Popolare di Vicenza, quel buco da un miliardo e i controllori
Scandali
Banca Popolare di Vicenza, quel buco da un miliardo e i
controllori distratti
Sindaci, revisori, Bankitalia: nessuno ha segnalato per
tempo i guai della banca guidata da Gianni Zonin, ora
travolta da un'inchiesta della magistratura. Tra prestiti
irregolari, garanzie fasulle e soldi nei paradisi fiscali
di Vittorio Malagutti
23 settembre 2015
Adesso che Vicenza ha fatto il botto, ora che Guardia di Finanza e Procura della Repubblica hanno
finalmente deciso di scoperchiare il pentolone maleodorante dei bilanci della Popolare presieduta
da Gianni Zonin, tocca alla giustizia penale individuare colpe e colpevoli dell'ennesimo scandalo
bancario all'italiana. Uno scandalo annunciato, perché tutto, o quasi, era già chiaro da mesi,
addirittura da anni. Perché si sapeva da tempo che nella città del Palladio gli acquisti di azioni da
parte dei soci venivano finanziati dalla stessa Popolare. Era noto che la concessione di fidi e mutui
era spesso condizionata all'investimento in titoli dell'istituto cooperativo.
L'Espresso ne aveva scritto fin dal dicembre del 2013 con un articolo dal titolo “C'è trambusto a
Nordest”. Ed era quantomeno sospetto che una banca come la Popolare di Vicenza, che non è
quotata in Borsa, fosse riuscita a raddoppiare il numero dei propri soci, da 60 mila a 116 mila,
proprio tra il 2008 e il 2014, nel pieno di una terribile recessione. Tutti in fila a comprare azioni.
Certo, ma con la droga dei prestiti facili, addirittura 950 milioni, pari a un quarto del capitale della
banca come è emerso dall'ultima relazione semestrale, quella presentata un mese fa dal nuovo
amministratore delegato Francesco Iorio, il manager nominato a maggio al posto di Samuele
Sorato, che insieme al presidente Zonin e ad altri quattro tra amministratori e dirigenti ora si
ritrova indagato dalla procura vicentina.
Le norme contabili prescrivono che quei 950 milioni avrebbero dovuto essere sottratti al
patrimonio della banca. Impossibile, ovviamente, perché il provvedimento avrebbe aperto una
voragine nei conti. E invece, tra il 2013 e il 2014, la banca di Zonin aveva lanciato ben due aumenti
di capitale raccogliendo quasi 2 miliardi proprio con l'obiettivo di puntellare un bilancio sempre
più pericolante. I buchi sono emersi solo pochi mesi fa, a primavera, quando la Popolare ha
presentato un bilancio affossato da quasi un miliardo di perdite. Per fare chiarezza, però, è stato
necessario l'intervento della Vigilanza europea, quella Bce di Francoforte, perché gli ispettori di
Banca d'Italia, che a partire dal 2008 avevano più volte fatto visita all'istituto vicentino, avevano
sempre concluso le loro verifiche con rilievi marginali, un buffetto o poco più.
Nel frattempo decine di migliaia di risparmiatori, molti di loro grazie ai soldi prestati dalla banca
stessa, erano diventati soci della Popolare. Alcuni di loro, come ha rivelato l'Espresso in un
inchiesta della settimana scorsa, avevano addirittura ricevuto delle garanzie scritte da parte della
banca, che si impegnava a ricomprare quegli stessi titoli.
Non è ancora finita, perché nei prossimi mesi la Popolare di Vicenza dovrà chiedere ancora soldi ai
suoi azionisti, con un nuovo aumento di capitale da 1,5 miliardi. Intanto, si spera, le indagini
avranno fatto un po' chiarezza sulle manovre sospette del recente passato. Manovre che hanno
portato centinaia di milioni di euro, per la precisione 450 milioni, nelle casse di fondi
d'investimento ad alto rischio con base in Lussemburgo e a Malta. Queste operazioni, rivelate da
un'inchiesta de “l'Espresso” nel giugno scorso, risalgono al 2012 e al 2013, ma non erano mai state
segnalate a bilancio. Tutto regolare, secondo i sindaci e i revisori. E perfino per la Banca d'Italia.
23 set 2015 13:48
BANCHE SORDE – L’ANNO SCORSO UN SOCIO
DELLA POPOLARE DI VICENZA SCRISSE AI
VERTICI DELL’ISTITUTO ANTICIPANDO LO
SCANDALO DI QUESTI GIORNI – IL COLLEGIO
SINDACALE GLI RISPOSE: TUTTO A POSTO –
POI È ARRIVATA LA BCE…
Il socio era parecchio informato: voleva sapere se la banca avesse
finanziato soci e non soci per partecipare agli aumenti di capitale della
banca stessa (pratica vietatissima). Il collegio sindacale disse che non
risultava nulla… -
Mario Gerevini per il
“Corriere della Sera”
La firma è del presidente del collegio sindacale, la lettera è indirizzata a un
socio. È un documento chiave per ricostruire quelle manovre finanziarie
anomale che «pesano» per quasi un miliardo sul patrimonio della Banca
popolare di Vicenza e sul valore delle azioni dei 120mila azionisti.
Giovanni Zamberlan, che guida l’organo di vigilanza interno della banca, scrive
il 15 dicembre scorso. Ma sono passati otto mesi da quando il socio Maurizio
Dalla Grana aveva sollevato la questione all’assemblea di bilancio, chiedendo di
«verificare se nel recente passato la Popolare di Vicenza ha fatto affidamenti o
dato garanzie dirette o indirette ai soci o non soci, affinché questi potessero
sottoscrivere in toto o in parte azioni od obbligazioni convertibili della banca».
Non è il solito azionista bastian contrario che argomenta senza basi: il tema dei
finanziamenti per acquistare azioni (e i divieti o i limiti strettissimi imposti dalla
legge) è ben noto in una banca non quotata che tra il 2013 e il 2014 ha
collocato sul mercato 1,5 miliardi di titoli tra azioni e obbligazioni.
Di fronte a questi dubbi e richieste di verifiche il collegio prende tempo.
La Vicenza nella primavera dello scorso anno era addirittura in pista per
acquisire con un’offerta pubblica d’acquisto la Banca Popolare dell’Etruria, poi,
invece, commissariata. Passati a ottobre gli stress test della Bce per il rotto
della cuffia, le acque si calmano. Zamberlan scrive a Dalla Grana che «le
verifiche richieste rientrano tra le attività delle funzioni aziendali di controllo».
E dunque sono loro, l’internal audit e le altre squadre di dipendenti-controllori ,
che informano periodicamente delle loro «verifiche effettuate», «punti di
debolezza», «interventi da adottare». E lo fanno informando
«tempestivamente il collegio sindacale e gli altri organi aziendali su violazioni o
carenze riscontrate».
L’hanno fatto? No. «Al collegio sindacale — trae le conclusioni il presidente —
non sono state segnalate situazioni afferenti alle fattispecie» descritte dal
socio. Tradotto e sintetizzato: se non ci dicono nulla noi non ne sappiamo
nulla. Dunque tutti tranquilli, inutile approfondire.
Lo farà di lì a poco la Bce che parte con un’ispezione. Emergeranno, tra l’altro,
975 milioni di fidi anomali correlati all’acquisto di azioni. E relativi propio agli
aumenti di capitale 2013-2014. L’impatto sul bilancio semestrale al 30 giugno
(un miliardo di perdita) è violentissimo e la Vicenza dovrà varare un aumento
di capitale da 1,5 miliardi.
Il presidente della banca, Gianni Zonin, scarica la colpa sull’ex amministratore
delegato, Samuele Sorato, e sostiene che se il consiglio di amministrazione
avesse conosciuto quelle operazioni le «avrebbe senza dubbio bloccate».
A settembre si viene poi a sapere che gli accertamenti della Bce erano stati
condotti «con il supporto della direzione internal audit della banca e delle altre
funzioni aziendali».
Cioè gli stessi uffici che i tre sindaci, sollecitati da un socio, avrebbero dovuto a
loro volta sollecitare oltre un anno prima. Oppure scavalcarli, indagando
autonomamente, esercitando quello scetticismo professionale che dovrebbe
essere il motore di ogni organo di vigilanza indipendente.
LA NUOVA SEDE BCE NELLO SKYLINE DI FRANCOFORTE
A fronte di tanta remissività, a Vicenza c’è chi elabora la teoria del «grande
tappo». Cioè una specie di accordo «per il bene della banca e dei soci» affinché
nulla turbasse la corsa al superamento dell’esame Bce di ottobre. Poi sarebbe
stata un’altra storia. E si è visto.
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Banca Popolare di Vicenza, 900
azionisti sotto la lente della procura
Giovedì 24 Settembre 2015, 11:37
VICENZA - Sotto la lente ci sono un migliaio di acquirenti di azioni della Banca Popolare di
Vicenza, che hanno consentito all’istituto di credito di rastrellare quasi un miliardo di euro. Con
il piccolo dettaglio che quei soldi altro non erano che finanziamenti concessi dalla banca agli
stessi clienti, proprio per consentire gli acquisti poi inseriti (irregolarmente secondo gli
investigatori) nei bilanci. E con il risultato che l’istituto appariva solido, poteva superare il
vaglio della Bce e il valore delle azioni era molto elevato, raggiungendo i 62 euro ciascuna. Che
siano "bidonati" o concorrenti nei reati ipotizzati dal pm Luigi Salvadori, tutte le loro posizioni
verranno passate ai raggi X dai finanzieri del Nucleo di polizia tributaria. In un’inchiesta che è
come una serie di scatole cinesi, proprio per la varietà delle posizioni e dei comportamenti
ipotizzabili.
UN ANNO DI INDAGINI. Non è vero che il blitz è il risultato degli esposti presentati da
associazioni di consumatori e azionisti che rischiano di vedere crollare ad un terzo il valore delle
azioni quando finiranno sul mercato in primavera.
Oggi attivisti 5 Stelle e associazioni consumatori hanno
protestato. E non sono mancate le critiche alle istituzioni di
controllo
12 settembre 2015
Oltre 200 persone, tra cui alcuni parlamentari del M5S, hanno protestato stamane nel centro di Vicenza ,
a Piazza Castello, contro i vertici della BpVi. La manifestazione, organizzata a livello nazionale in più
piazze italiane, era stata programmata da tempo proprio dai Cinque Stelle che da mesi si sono impegnati
in una battaglia fatta di interrogazioni e carte bollate in cui i volti più noti sono divenu ti il senatore
trevigiano Gianni Girotto (ieri lanciatosi in un durissimo d’accuse su Vvox) e il collega vicentino
Enrico Cappelletti: con loro c’era anche il capogruppo in Regione, Jacopo Berti.
I due hanno illustrato ai passanti i punti salienti della vicenda che ha portato ad un pesantissimo valore
nel taglio delle azioni della popolare. Circostanza che ha creato problemi e drammi in molte famiglie e in
molte piccole imprese che di fatto hanno visto sfumare in brevissimo tempo il valore dei propri risparmi
o dei propri investimenti.
La mattinata ha avuto poi un secondo momento importante quando poco prima di mezzogiorno, gli
attivisti Cinque Stelle, con l’appoggio dei consiglieri comunali pentastellati Liliana Zaltron e Daniele
Ferrarin, hanno incontrato legali e rappresentanti delle associazioni dei consumatori e degli azionisti. Ne
è uscito una sorta di gentlemen’s agreement in ragione del quale, pur tra le differenze dei singoli gruppi,
si intensificheranno gli sforzi comuni per un ventaglio di opzioni che vanno dall’azione civile, al
tentativo di mediazione, sino alla denuncia penale. In procura a Vicenza proprio sull’affaire BpVi sono
stati inviati vari esposti e segnalazioni. Ed è proprio su questo versante che tra i manifestanti si sono
concentrati gli affondi più duri: alla magistratura berica, accusata di non avere ancora fatto abbastanza;
e a Bankitalia, presa di mira perché non si sarebbe mossa in tempo per informare il mercato pur
essendo informata da anni di quanto accadeva in via Framarin. E non sono mancate le bordate a
Confindustria, accusata di contare fra i suoi esponenti coloro che hanno contribuito a portare la banca
nella situazione in cui é.
Nel pomeriggio la protesta ha avuto un’appendice imprevista. Un pugno di azionisti capeggiati da
Daniele Marangon e Davide Lunardon ha fatto tappa a Gambellara presso il quartier generale della
Zonin, la società vinicola di proprietà di Gianni Zonin, presidente della banca. Alla reception è stato
chiesto se il Cavaliere fosse nei paraggi: risposta negativa. Stesso copione lo si è visto a Montebello
Vicentino dove gli azionisti, anche in questo caso seguiti da una troupe di Ballarò, hanno chiesto se
«Gianni» fosse in casa. «Noi chiediamo al presidente i nostri soldi indietro» ha detto polemicamente
Marangon mentre una pattuglia dei Carabinieri si avvicinava alla villa, chiedendo informazioni sul motivo
della loro presenza. La protesta si è conclusa senza incidenti.
BpVi, Procura Vicenza apre indagine
21 settembre 2015
Si fa sempre più alta l’attenzione sui fidi ai soci di Banca Popolare di Vicenza per comprare azioni
dell’istituto. L’istituto berico oggetto giovedì scorso di un question time alla Camera al sottosegretario
all’Economia, Pier Paolo Baretta, è già un osservato speciale della Bce che insieme a Banca d’Italia
potrebbe rafforzare le misure di vigilanza. BpVi è in pieno processo di trasformazione in spa ma dopo le
perdite ingenti e il taglio secco dell’azione da 62,5 a 48 euro, si trova ora a dover affrontare un enorme
aumento di capitale da 1,5 miliardi. C’è poi l’anomalia di finanziamenti per 975 milioni correlati
all’acquisto di azioni della banca, passata inosservata al cda, agli organi di vigilanza e al collegio
sindacale. Dopo lo scambio di accuse tra il presidente dell’istituto Gianni Zonin e l’ex ad Samuele
Sorato, la procura di Vicenza ha ora aperto un fascicolo affidato al pm Luigi Salvadori.
Un’altra bella gatta da pelare anche per il collegio sindacale di BpVi. Come riporta il Corriere
Economia, i loro membri guadagnano ben più dei colleghi di Unicredit o dell’Eni: 180 mila il presidente,
120mila gli effettivi, più gettone di 500 euro ogni seduta (circa 100 nel 2014). Tra i loro membri c’è
il presidente Giovanni Zamberlan, 76 anni, in carica da 28, con altre 27 aziende da seguire; oppure
Paolo Zanconato, 66 anni, che ne ha 25. Entrambi hanno anche incarichi nel sistema societario della
famiglia Zonin (dalle holding alla Casa Vinicola). Zanconato è inoltre l’unico amministratore di una
società del presidente Zonin, da cui riceve «un modesto ma regolare stipendio».
Sempre Zanconato è al centro delle vicende dell’Hotel San Marco di Cortina. Come ricostruisce il
Corriere Economia, «nel 2011 una cordata di imprenditori rileva lo storico, e da anni abbandonato, Hotel
San Marco, nella centralissima Piazza Roma. Obiettivo ristrutturazione, con una porzione già prenotata
dalla Bpvi per farne uno sportello. La banca concede alla San Marco srl un mutuo ipotecario da 20
milioni. Ma dopo appena un anno gli imprenditori fanno retromarcia e la Bpvi rileva per 900 mila euro il
46% della società a cui aveva appena prestato 20 milioni. È a questo punto che nella partita, a fianco
della banca, entra Zanconato acquistando il 5% per 100 mila euro. Allora era presidente del collegio
sindacale della controllata Farbanca. Quando nel 2015 rivende il 5% a una collega commercialista di
Padova (finanziata da Bpvi) è già sindaco della Popolare. E l’immobile è sempre lì, abbandonato e da
ristrutturare».
L’articolo di Mario Gerevini prosegue elencando i compensi dei vertici dell’istituto berico: Sorato con 1,7
milioni è al terzo posto tra i manager bancari più pagati. Zonin dalla sua Casa Vinicola riceve 320 mila
euro di emolumenti, mentre dalla banca prende 1,1 milioni. Tra i soci di BpVi c’è poi la Fondazione
Giuseppe Roi, che si occupa di interventi nella cultura e nell’arte. Prima del taglio dei titoli, quasi 30
milioni di euro risultavano investiti a fine marzo in azioni e bond convertibili della Popolar e di Vicenza.
Dopo la morte del suo fondatore la presidenza della Fondazione è stata affidata a Zonin e il resto del
consiglio è controllato da Bpvi stessa.
BpVi, retroscena: la strategia del “tappo”
23 settembre 2015
Il Corriere della Sera ha ricostruito alcuni retroscena della bufera che ha investito la Banca Popolare di
Vicenza. Il socio BpVi Maurizio Dalla Grana aveva sollevato già sollevato dubbi sulla gestione
dell’istituto in aprile dell’anno scorso all’assemblea di bilancio: «verificare se nel recente passato la
Popolare di Vicenza ha fatto affidamenti o dato garanzie dirette o indirette ai soci o non soci, affinché
questi potessero sottoscrivere in toto o in parte azioni od obbligazioni convertibili della banca». Il
tempo passa e dopo gli stress test della Bce il presidente del collegio sindacale Giovanni Zamberlan
scrive a Dalla Grana: «le verifiche richieste rientrano tra le attività delle funzioni aziendali di controllo»,
l’organo di vigilanza interno alla banca adotterà le misure necessarie informando «tempestivamente
il collegio sindacale e gli altri organi aziendali su violazioni o carenze riscontrate».
Ma «al collegio sindacale – dice il presidente – non sono state segnalate situazioni afferenti alle
fattispecie». Tradotto: non ne sappiamo nulla. Dopo le ispezioni della Bce che hanno svelato la
questione dei fidi anomali correlati all’acquisto di azioni, a settembre si viene poi a sapere che tali
accertamenti erano stati condotti «con il supporto della direzione intern al audit della banca e delle altre
funzioni aziendali». Cioè gli stessi uffici che i tre sindaci, sollecitati da un socio, avrebbero dovuto a loro
volta sollecitare oltre un anno prima, oppure scavalcarli come farebbe ogni organo di vigilanza che si
rispetti. Per questo a Vicenza si parla già della strategia del “grande tappo”. Cioè una specie di
accordo «per il bene della banca e dei soci» per non ostacolare il superamento dell’esame Bce di
ottobre. Il seguito sarebbe stata un’altra storia e la conosciamo tutti.
Veneto Banca, piccoli soci: presi in giro da Bankitalia
23 settembre 2015
«Lo scorso anno la fusione di Veneto Banca in Banca Popolare di Vicenza era caldamente
suggerita da Bankitalia. Se Montebelluna avesse ceduto alle pressioni cosa sarebbe successo?». Lo
domanda il presidente dell’Associazione degli azionisti di Veneto Banca, Giovanni Schiavon, in
relazione alla vicenda giudiziaria relativa all’istituto berico. «Ci sentiamo un po’ presi in giro, all’epoca
Bankitalia era impegnata in forze ad ispezionare sempre e solo Veneto Banca. A Montebelluna –
aggiunge Schiavon – si è rischiato di squassare una banca pur di eliminare un uomo di vertice e questa
è una cosa notissima».
«Non dovrebbe forse Bankitalia rivedere criticamente l’organizzazione stessa della propria Vigilanza? E
non dovrebbe Bankitalia – si chiede ancora il leader del comitato – essere un po’ più attenta e prudente
nell’elaborare le sue scelte di indirizzo gestionale? Attendiamo con (moderata) fiducia – conclude
Schiavon – qualche spiegazione, anche dal mondo politico, soprattutto con riferimento a quei
personaggi che, a suo tempo, predicavano, in virtù di un marcato pressapochismo culturale e
conoscitivo, la praticabilità di una soluzione che oggi si sarebbe rivelata disastrosa ».
BpVi, Gdf indaga da marzo
24 settembre 2015
L’indagine sulla Banca Popolare di Vicenza non è iniziata con il blitz di martedì scorso. Il nucleo della
tributaria della Gdf di Vicenza era all’opera fin da marzo scorso e aveva già in mano i documenti di
riacquisto delle azioni rilasciati ad alcuni soci prima ancora di far partire le perquisizioni. Lo si apprende
oggi in ambienti investigativi. Per mesi i finanzieri del nucleo di polizia tributaria hanno lavorato
sottotraccia, raccogliendo elementi, classificando gli esposti e trovando riscontri . Gli uomini del
colonnello Fabio Dametto e di Livio De Luca stanno scavando almeno dallo scorso marzo.
Non è un caso che il pm Luigi Salvadori nel decreto citasse l’esistenza di documenti sottoscritti da
esponenti della banca e contenenti l’impegno verso i soci al riacquisto di azioni per un importo pari a
circa 300 milioni di euro, a fronte di crediti concessi pari a 974 milioni per comprare ti toli della banca. Nel
fascicolo quei documenti ci sarebbero già, e ciò sarebbe frutto anche della collaborazione fra
Guardia di Finanza e ispettori della Banca d’Italia che, a loro volta da mesi, hanno avviato una
ispezione negli uffici di via battaglione Framarin. Non serviva trovarli nelle perquisizioni: Procura e
inquirenti li avevano già visti. L’indagine ora è destinata a proseguire nel riserbo degli uffici per il tempo
necessario a digerire l’imponente mole di carte sequestrate. La ricerca sarebbe ora indirizzata verso chi,
anche fuori dalla banca, avrebbe dovuto controllare ma non lo avrebbe fatto.
Berti: «lettere BpVi provano malafede dirigenti»
24 settembre 2015
«Alcuni documenti sono la prova che i dirigenti erano d’accordo per salvarsi affondando i cittadini.
Andiamo avanti nonostante la censura, devono pagare». Così denuncia Jacopo Berti capogruppo del
M5S in Consiglio regionale, e annuncia azioni mediatiche per dar voce ai cittadini danneggiati. « Abbiamo
scoperchiato un vaso di Pandora e quello che ne sta uscendo conferma tristemente le nostre accuse -,
prosegue l’esponente dei Cinquestelle, – le perquisizioni alla BpVi hanno portato alla luce documenti che
dimostrano che la banca ha prestato soldi ai soci per comprare proprie azioni (ricapitalizzazione)
scrivendo una lettera di garanzia solo ad alcuni di loro, una cinquantina.
«Primo, questo è scorretto perché privilegia alcuni azionisti rispetto ad altri. Secondo, è impossibile
garantire per un titolo, che è per sua natura mobile. Soprattutto queste lettere dimostrano – secondo la
procura – che la ricapitalizzazione era fittizia. In questo modo i dirigenti e consiglieri della BpVi
nascondevano quei soldi dal bilancio e dalla vigilanza. Inoltre quei pezzi di carta non aumentavano
realmente la ricchezza della banca. Questi pirati in giacca e cravatta erano già d’accordo fra loro per
salvarsi e far affondare i cittadini».Berti conclude: «Non ci stiamo, dirigenti e consiglieri della banca
devono pagare! Nonostante gli episodi di censura che stiamo subendo, continueremo a denunciare
questo scandalo. Sempre più forte. Stiamo organizzando una class action e un’azione mediatica per
accendere i riflettori non solo sugli indagati, ma su chi in questa vicenda ci ha rimesso: i cittadini onesti
che si sono fidati devono essere risarciti. Solo allora potremo dire che è giustizia è stata fatta».
Caso BpVi, Bankitalia sapeva dal 2001
24 settembre 2015
I bilanci della Banca Popolare di Vicenza erano nel mirino della Banca d’Italia già dal 2001. Come
riporta il Sole 24 Ore, all’interno di un rapporto datato 27 febbraio-5 luglio si evidenzia che il valore delle
azioni non era congruente con il patrimonio e le attività. «Le modalità di determinazione annuale da
parte del Consiglio del prezzo di emissione e di rimborso delle azioni sociali, fissato per l’esercizio
2001 – si legge nel documento -, non sono ispirate a criteri di oggettività, ma esprimono il risultato di
un compromesso di valutazioni dei singoli consiglieri».
Viene criticata anche l’azione di vigilanza interna («non sufficientemente incisiva è risultata l’azione
del collegio sindacale»), le modalità decisionali dei vertici («non emerge dalle verbalizzazioni l’esistenza
di una reale dialettica all’interno del consesso, caratterizzato altresì da uno scarso ricambio») e la
rappresentatività geografica («Il consiglio continua a essere espresso pressoché integralme nte dalla
zona storica del vicentino: mentre la banca ha registrato una rilevante crescita territoriale»). Tuttavia ai
rapporti non è seguita alcuna segnalazione in procura da parte di Bankitalia.
I soci coperti da garanzia sull'acquisto di azioni in cambio di
fidi disonorano la categoria di imprenditori. E intanto Zonin,
dopo tre giorni, è ancora lì
24 settembre 2015
La prossima volta che ci parlano di “cultura d’impresa”, sventoleremo il caso dei magnifici 50 ipergarantiti, stra-fortunati, mega-paraculati soci della Banca Popolare di Vicenza. I quali, rispetto a tutti gli
altri sottoscrittori di azioni scambiate coi fidi, hanno pure goduto di una “lettera di garanzia” (put-option,
in gergo), che impegnando la banca al riacquisto delle quote, li metteva al riparo da qualsiasi rischio .
E tutti gli altri cosa sono, dei fessi? Parrebbe di sì. Ora: posto che è presumibile siano tutti soci mediograndi, ergo imprenditori, ci chiediamo che razza di imprenditore é un imprenditore che si accorda con la
banca in modo che, alla scadenza, se il valore dell’azione è inferiore a quello iniziale (e nelle
ricapitalizzazioni del biennio 2013-2014, l’azione valeva 62,5 euro, fissata dalla banca stessa, mentre
oggi è a 48 euro), lui non ci rimette un euro. Un furbo, un ganzo, un figo, secondo la mentalità del
“vincente disonesto”.
Un esempio degenere e indegno della categoria, secondo chi ha ancora presente il basilare concetto
secondo cui l’impresa si fonda sul rischio, chiamato appunto rischio d’impresa. In ogni caso, se giudicato
colpevole, un complice della banca in questione, nell’ipotesi di reato per cui i vertici della Banca Popolare
di Vicenza abbiano macchinato un’operazione di aggiotaggio da 974 milioni di euro, con 339 milioni
accantonati per i “magnifici 50″, 611 indisponibili e altri 26 legati a non meglio precisati “altri profili di
rischio connessi a posizioni specifiche”. A meno che questi mirabili capitani d’industria non siano stati
colti da un attacco generalizzato di “insaputismo”, malattia molto diffusa in Italia che genera affari
vantaggiosi all’insaputa di chi li promuove, e soprattutto di chi ne gode.
Si parla di cordate fra i “grandi soci” del “territorio”, di cui Vvox l’altro giorno aveva fornito il volume di
quote possedute, con nomi e cognomi. Nel caso in cui questi combaciassero con quelli della cinquantina
di fortunelli, Dio ce ne scampi: se questa è la statura quanto a etica d’impresa, meglio l’amministrazione
controllata.
Ma questa è solo l’ultima vergogna dello scandalo BpVi. L’altra é rappresentata da un presidente, il
signor Gianni Zonin, che a tre giorni dall’avviso di garanzia (e dalla nostra richiesta di dimissioni), non
si è ancora schiodato dalla sedia. Forse perché diventato all’improvviso afono e paralizzato agli arti
superiori (con cui ha vergato una recente missiva a tutti i soci chiedendo di fare atto di fede e pazienza:
ammesso e non concesso fosse opportuna, non era meglio la firmasse il neo-ad Iorio?) Zonin ha fatto
conoscere al popolo il suo pensiero tramite l’avvocato, Enrico Mario Ambrosetti. E’ «questione di tempi e
di modi», ma prima o poi, e come vorrà lui, il Presidente Eterno abbandonerà la sua condizione di
eternità Lassù nell’Armonia dei Cieli e toccherà finalmente terra. Il legale, che è anche uno stimato
docente di diritto penale a Padova ed è pure vicepresidente della Cattolica Assicurazioni
(incidentalmente succeduto in questa posizione proprio a Zonin, visto che la Popolare è prima azionista),
secondo noi avrebbe dovuto dissuadere il suo cliente da passare per uno che non si rende conto della
gravità della situazione, prendendosela comoda mentre gli eventi precipitano e la gente comune (ce
l’avete presente, la gente comune?) si accalca nelle filiali. In preda al panico e al furore.
Zonin, dia retta: anche se è già tardi, si dimetta immediatamente. E con lui lascino i consiglieri
d’amministrazione indagati, Maria Dossena e Giuseppe Zigliotto. Quest’ultimo farebbe bene a
presentare le proprie dimissioni anche dalla presidenza di Confindustria Vicenza. Sarebbe un gesto che
restituirebbe credito all’imprenditoria vicentina, che ora deve ringraziare pure i “furbetti della letterina” se
si sta impantanando sul credito. Parola ormai stravolta nel suo significato originario, che era fiducia.
BpVi, le piste: aumenti finti e fidi gonfiati
25 settembre 2015
Prestiti “gonfiati” a famiglie e imprese per consentire alla Banca Popolare di Vicenza di
ricapitalizzarsi per 974 milioni di euro. Questa l’ipotesi al vaglio degli inquirenti coordinatori dal
procuratore Antonino Cappelleri e dal sostituto Luigi Salvadori. Si ipotizza che l’operazione sia stata, di
fatto, una finta ricapitalizzazione, perché ottenuta con fondi della banca, prestati ai soci affinché
comprassero azioni. Circa 300 milioni di quella somma sarebbero stati “coperti” dalla banca con le
lettere di garanzia sottoscritte da una sessantina di soci – fra cui i gruppi imprenditoriali che fanno
capo alle famiglie Marchini, Degennaro e Fusillo – che avrebbero goduto della possibilità che la banca
riacquistasse quelle azioni. Dalle carte poi carte sequestrate, poi, spunterebbero falsi rimborsi sui conti
correnti per tutelare alcuni azionisti.
Le posizioni singole analizzate dalle Fiamme gialle sono circa 900 ma poi c’è il nodo degli altri 850 soci,
che hanno contribuito agli aumenti di capitale 2013-2014 con circa 680 milioni. Si tratta di azionisti
“non tutelati” che BpVi aveva convinto a comprare azioni concedendo prestiti, mutui e fidi. In questo
modo BpVi ricapitalizzava con i soldi stessi dalla banca: una modalità irregolare per Bankitalia e Bce. Nel
mirino degli inquirenti anche i 350 milioni nei fondi Optimum e Athena che sarebbero serviti per
acquistare azioni della banca; i 136 milioni di euro (nel 2013) e i 146 (2014) raccolti con le
sottoscrizioni finanziate dalla banca per aumentare il capitale; e infine i 223 milioni di euro di
finanziamenti che, secondo le indagini, BpVi avrebbe prestato per far riacquistare azioni già esistenti dal
“fondo di acquisto azioni proprie”.
BpVi, indaga anche Prato
25 settembre 2015
La bufera che si è abbattuta sulla Banca Popolare di Vicenza non accenna a placarsi. Dopo il blitz
ordinato dalla procura berica, questa volta sono i magistrati toscani ad aprire un fascicolo d’indagine.
Un passo indietro: nel 2010 l’istituto di credito vicentino aveva inglobato la Cassa di risparmio di
Prato, rafforzando la propria presenza sul territorio al punto che oggi Bpvi conta cinquemila soci e il
maggior numero di sportelli nella provincia. La Procura di Prato, tramite i sostituti procuratori Laura
Canovai e Lorenzo Boscagli, ha avviato un’indagine conoscitiva sulla modalità con cui le azioni
della banca venivano distribuite ai risparmiatori.
Si sospetta – come denunciato da Tommaso Bruno Caparrotti, leader di alcuni piccoli azionisti che hanno
fatto causa alla banca – che alcuni dirigenti avessero promesso «agevolazioni professionali» a chi
sottoscriveva l’acquisto di azioni. Gli inquirenti inoltre stanno verificando se la garanzia di un prezzo
stabile delle azioni fatta alle famiglie che stipulavano mutui non possa costituire un comportamento
penalmente rilevante. Al momento non risultano indagati
BpVi, Finanza setaccia compravendita azioni
26 settembre 2015
Il prossimo passo dei finanzieri, coordinati dai sostituti procuratori Luigi Salvadori e Gianni
Pipeschi, impegnati nelle indagini sulla Banca Popolare di Vicenza sarà quello di verificare se vi siano
state cessioni di quote azionarie nei momenti precedenti alla svalutazione del titolo . E se qualcuno
dei soci o dei funzionari dell’istituto fosse a conoscenza appunto della imminente svalutazione e
abbia agito di conseguenza, vendendo le proprie azioni.
La mole di documenti da analizzare è di dimensioni notevoli: si tratta di tutti i faldoni individuati nelle sedi
di BpVi, oltre che dei documenti rinvenuti nelle casseforti e nelle cassette di sicurezza degli
indagati durante le perquisizioni dei giorni scorsi. Le ipotesi di reato su cui per ora sta lavorando la
procura sono di aggiotaggio e ostacolo alla Vigilanza. Secondo quanto riportato dal Giornale di
Vicenza risultano iscritti al registro degli indagati il presidente Gianni Zonin, l’ex dg Samuele Sorato e i
suoi due vice dell’epoca, Andrea Piazzetta ed Emanuele Giustini, i membri del Cda Giuseppe Zigliotto e
Giovanna Maria Dossena.
BpVi, Finanza ricostruisce “linea di comando”
26 settembre 2015
Da martedì scorso, cioè dal giorno in cui la sede della Banca Popolare è stata perquisita da cima a fondo
e sono scattati gli avvisi di garanzia la presidente Gianni Zonin e all’ex dg Samuele Sorato, gli
investigatori della guardia di finanza di Vicenza e del nucleo di polizia valutaria di Ro ma stanno cercando
di ricostruire la “linea di comando” che avrebbe portato alla vendita di azioni dell’istituto berico nelle
modalità denunciate dagli esposti che hanno dato il via all’indagine. I finanzieri, infatti, in settimana
hanno già sentito alcuni dirigenti e capi-area della banca, altri ancora verranno ascoltati nei prossimi
giorni.
Ciò su cui si vuole far luce è se in passato sia stato diramato l’ordine di vendere azioni tramite «artifici –
come li descrive il pm Luigi Salvadori negli avvisi di garanzia citati dal Corriere del Veneto – idonei a
incidere in modo significativo sull’affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale della
banca». E, in tal caso, gli investigatori vogliono capire da chi sia partito quest’ordine e chi abbia ideato
questo sistema. Per ora, quindi, i finanzieri stanno ricostruendo il sistema gerarchico della BpVi tramite
le testimonianze dei dipendenti della banca ma anche delle presunte vittime.
L'Adusbef scrive al Csm sul comportamento della
magistratura negli anni 2008-2010. E critica anche le indagini
di oggi
26 settembre 2015
Sono passati appena tre giorni dall’esplosione del caso che ha portato sotto inchiesta i vertici della
Banca Popolare di Vicenza. Se da una parte si sono accesi i riflettori sulla condotta del presidente
Gianni Zonin e dei vertici dell’istituto, dall’altra non sono mancate le polemiche su coloro che
avrebbero dovuto mettere in pratica i controlli del caso. Cioé Bankitalia.
E c’è anche chi punta l’indice contro il comportamento di coloro che, secondo l’accusa, avrebbero dovuto
agire prima: il Tribunale e la Procura di Vicenza.
Determinatissima su questo fronte è l’associazione dei consumatori Adusbef. Il suo presidente, Elio
Lannutti, aveva rivolto una serie di doglianze alla Procura berica (molte delle quali anticipate a più riprese
da Vvox). In sostanza, Lannutti accusa la magistratura vicentina di aver tenuto in passato un
approccio troppo morbido rispetto a situazioni opache denunciate fin dal 2008. «Inerzia collusiva»,
sono le esatte parole contenute in un articolo pubblicato sulle colonne del FattoQuotidiano.it del 23
settembre scorso, in cui Lannutti investe del problema il Consiglio Superiore della Magistratura .
Di più, in quel servizio la testata diretta da Peter Gomez nella sua ricostruzione allarga l’orizzonte
scrivendo che «in alcuni casi è poi emerso che alcuni magistrati o loro congiunti abbiano ottenuto
prestigiosi incarichi dalla banca vicentina». È il caso del magistrato in pensione Antonio Fojadelli, già
procuratore a Vicenza, «che è stato nominato amministratore di Nordest sgr, società di gestione
controllata al 100% da BpVi». E soprattutto il quotidiano romano cita Paolo Pecori: «sostituto anziano
reggente la procura tra il 2003 e il 2005 e tra il 2010 e il 2012, il cui figlio Massimo è divenuto uno
degli avvocati della banca presieduta da Zonin ed esercita nel foro di Vicen za, lo stesso del padre».
Tutto ciò a Vicenza non è passato inosservato: nei palazzi, nei corridoi, nei bar, nelle stanze della
politica. Sui media la vicenda è stata ripresa, con Massimo Pecori che si difende parlando di «smania di
voler andare trovare a tutti i costi qualche relazione che non esiste».
Rimane la circostanza comunque che Adusbef già, nel nel 2008, aveva inviato un corposo esposto sul
caso BpVi alla procura allora guidata da Ivano Nelson Salvarani; nella segnalazione si ipotizzavano
diversi illeciti: nel dettaglio, false comunicazioni sociali (articolo 2621 del codice civile) e false
comunicazioni sociali in danno dei soci o dei creditori (articolo 2622 del codice civile). Nel medesimo
esposto per di più si invitava l’autorità giudiziaria a valutare eventuali illeciti puniti dal Testo unico sulla
finanza, il Tuf. Il quale alla voce delle sanzioni penali (parte V, titolo 1°) prevede, fra gli altri, il falso in
prospetto, l’abuso di informazioni privilegiate e la manipolazione del mercato. Per non parlare degli
illeciti non penali, rispetto ai quali la magistratura requirente non interviene direttamente, ma segnala
eventuali irregolarità agli organi di vigilanza. Nel complesso si tratta di illeciti che per certi versi molto
ricordano quelli contestati in queste ore al management dell’istituto di via Framarin.
Ad ogni buon conto, pur a fronte del ponderoso dossier redatto da Adusbef uno dei pm di allora, la
dottoressa Angela Barbaglio il 15 aprile 2009 chiede comunque l’archiviazione senza informare
l’associazione. Che dal canto suo, in punta di codice di procedura penale, aveva invece chiesto di
essere informata circa l’esito delle indagini quale parte offesa. Il 21 aprile, appena 6 giorni dopo, il Gip
Eloisa Pesenti accoglie l’istanza del pm e motiva così la mancata comunicazione dell’esito ad Adusbef:
«… in relazione alla fattispecie di reato ipotizzabile non è ravvisabile la qualità di persona offesa in capo
all’esponente cui pertanto non spetta l’avviso ex articolo 408 del codice di procedura penale».
L’associazione capitanata da Lannutti non ci sta. Contro la decisione del Gip ricorre in Cassazione.
Quest’ultima si pronuncia il 28 settembre 2010 e dà ragione all’avvocato Antonio Tanza che patrocina
Adusbef: sentenza 1382, registro generale 3082/2010. Sempre la Cassazione ordina quindi al Gip
vicentino di esprimere un nuovo giudizio al riguardo e lo fa usando parole che non lasciano
scampo: «Non può invece affermarsi… come fa il Gip… che Adusbef non possa assumere la qualità di
parte offesa in relazione ai fatti da lei denunciati, non solo perché in generale ad un ente esponenziale,
quale è certamente l’associazione ricorrente, tale qualità non può essere disconosciuta con affermazione
meramente assertiva del tutto priva di motivazione», ma anche e soprattutto per «la considerazione che
la verifica in ordine alla sussistenza di detta qualità costituisce oggetto di valutazioni di merito attinenti
alla rilevanza penale dei fatti denunciati ed alla loro qualificazi one giuridica». Tutto ciò lo si evince da un
lungo memoriale pubblicato sul portale dello studio del legale, documento che a parte qualche nota
introduttiva è esclusivamente ricostruito con le carte vergate dai magistrati. Da quel 2010, sui radar dei
media locali poco o nulla appare in merito alla vicenda.
Che deflagra oggi con lo scoppio dell’affaire Zonin.
Eppure le circostanze ricostruite da Tanza erano state richiamate anche in alcune interrogazioni
parlamentari del M5S. Rimaste, secondo gli estensori, ancora senza risposte chiare.
Tuttavia in questi ultimissimi giorni Lannutti è intervenuto nuovamente. A suo parere la Procura vicentina,
oggi retta da Antonino Cappelleri, avrebbe dovuto puntare sulle ipotesi di estorsione, concussione e
corruzione, che sono poi i reati di cui parla il suo ultimo esposto inviato nel novembre 2014. E non su
aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza, che secondo quanto da lui dichiarato giustappunto al Fatto
Quotidiano del 23 settembre, costituirebbero «un salvagente che viene lanciato in automatico a favore
delle autorità di controllo e che danneggia ulteriormente i risparmiatori come dimostrano i tanti casi cui
abbiamo assistito in questi anni. (…) la contestazione del reato di ostacolo alla vigilanza permette alle
autorità di controllo di presentarsi sempre come vittime, di costituirsi parte civile e di beneficiare de facto
di una sorta di impunità, mentre i risparmiatori oltre al danno sono costretti a subire anche l’ennesima
beffa».
BpVi, azioni vendute prima di svalutazione
27 settembre 2015
Dai documenti sequestrati dalla procura durante il blitz di martedì scorso nella sede della Banca
Popolare di Vicenza emergerebbero le prove di movimenti del mercato azionario di BpVi fino al mese di
febbraio, ovvero poche settimane prima dell’assemblea dell’11 aprile in cui l’istituto di credito ha
abbassato il valore delle azioni da 62 euro a 48. Alcuni soci, quindi, avrebbero avuto la possibilità di farsi
riacquistare i titoli nel momento in cui vendere le azioni era di fatto impossibile . L’istituto di credito,
secondo quanto riportato da Corriere del Veneto e dal Mattino, avrebbe permesso ad alcuni soci di
“liberarsi” delle azioni poco tempo prima della svalutazione, riacquistandole, mentre da tempo ai
risparmiatori che si recavano in filiale era negata addirittura la possibilità di vendere le proprie quote.
«Fino allo scorso anno la banca disponeva di un fondo cospicuo, il “Fondo per acquisto azioni proprie” –
aveva detto il presidente di BpVi Gianni Zonin all’assemblea dei soci dell’11 aprile, come ricorda il
Mattino – che funzionava a fisarmonica come una stanza di compensazione fra le richieste dei soci
intenzionati a vendere e quelle dei soci vecchi e nuovi interessati ad acquistare le azioni della banc a».
Poi aveva aggiunto: «Con il passaggio dal regolatore Banca d’Italia al regolatore Bce, il fondo è stato
quasi azzerato. Per questo motivo, nel corso del 2014 e in questi ultimi mesi, la nostra banca si è trovata
nella obiettiva impossibilità di operare con le modalità e i tempi del passato per assecondare le
richieste di vendita e di acquisto». Ma forse per qualche socio l’istituto avrebbe aggirato l’ostacolo.
BpVi, 20 cessioni di azioni sospette
28 settembre 2015
Una ventina di soci della Banca Popolare di Vicenza avrebbero venduto alla banca le
loro azioni poco prima della loro svalutazione da 62,5 a 48 euro decisa all’ assemblea dell’11 aprile.
La rivelazione emerge dal filone dell’inchiesta sulla BpVi per aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza (sei gli
indagati) sulle modalità di gestione del “fondo per riacquisto azioni proprie” poi azzerato dalla Bce.
L’operazione in sè non costituirebbe reato. Ma diverso il caso in cui qualcuno, dall’interno dell’istituto,
abbia consigliato al socio di vendere in fretta, finchè il valore era elevato. Si configurerebbe quindi un
danno agli altri azionisti, in un momento in cui vendere era quasi impossibile.
L’identità dei 20 azionisti al momento è top secret e, secondo quanto trapelato alcuni di loro
avrebbero ceduto importi assai ingenti. La questione si intreccia con quella delle “lettere di riacquisto”
consegnate a 43 soci. Al momento le Fiamme Gialle stanno scandagliando le operazioni sospette
concentrandosi sulla data di tali missive.
BpVi, 3 fondi esteri nel mirino
28 settembre 2015
Diversificare, diversificare sempre. È quello che ogni gestore consiglia a un piccolo investitore. Mai
mettere i propri soldi in un unico paniere. Tanto ovvio, ma non per tutti. Sorprende la scelta dei vertici
della Popolare di Vicenza oggi sotto inchiesta di investire ben 250 milioni in due soli fondi
lussemburghesi gestiti da Optimum asset management società guidata da Alberto Matta, finanziere per
anni attivo sulla piazza di Londra. Quell’investimento in un colpo solo fatto a fine 2012 per 100 milioni nel
fondo Optimum Multistrategy I e nell’agosto del 2013 per 150 milioni nel fondo Optimum Multistrategy
II valgono oltre la metà dell’intero capitale che la Banca vicentina ha investito in fondi di ogni tipo. Una
concentrazione di rischio inusuale. Non solo. Sempre a fine 2012 i vertici dell’istituto comprano per 100
milioni quote del fondo Athena Capital Fund.
Tre fondi esteri per 350 milioni su 452 milioni del totale portafoglio fondi della banca.
Saranno piaciute molto le performance passate, saranno fondi redditizi per concentrare così tanto i propri
investimenti. Sarà. Sta di fatto che quei 3 fondi sono citati nel decreto di perquisizione della Procura di
Vicenza che ha aperto l’inchiesta sulla Popolare. I due Optimum gestiti da Alberto Matta e Athena
sarebbero secondo la Procura dietro la pratica, sotto inchiesta, del maxi-finanziamento da 974 milioni
concesso a clienti e soci per acquistare titoli della Vicenza, in particolar e negli aumenti di capitale del
2013 e 2014. Per gli inquirenti quindi, e l’accusa andrà ovviamente dimostrata, quei 350 milioni totali
usati per comprare quote di fondi esteri da parte della Vicenza non erano un mero investimento di
portafoglio.
Sempre per gli inquirenti, per le carte finora prodotte, sotto accusa ci sono anche le lettere sottoscritte
dalla Banca che garantivano solo ad alcuni grandi soci e clienti, il riacquisto dei titoli della Banca per un
valore di circa 300 milioni. Insomma un fondo di liquidità per riacquistare le azioni se i grandi soci
volessero rivenderle.
Una garanzia che non valeva per tutti, come dimostrano le valanghe di lettere e denunce di piccoli
investitori che da mesi e anni non riuscivano a rivendere alla Vicenza i suoi titoli. Il fondo azioni proprie
era limitato ed è stato congelato dalla Bce nel mesi scorsi. Cifre come si vede (i 350 milioni investiti nei
tre fondi sotto la lente dei magistrati e della Gdf e i 300 milioni di liquidità di garanzia per alcuni gr andi
clienti) che sembrano in stretta relazione. Si vedrà dagli sviluppi dell’indagine
Ma certo è che le anomalie dei fondi sono tante. La prima è che di fatto secondo fonti investigative la
Popolare di Vicenza era pressochè l’unico investitore-cliente dei due fondi Optimum di Alberto Matta.
Vicenza infatti ha versato in totale in entrambi 250 milioni su un patrimonio totale gestito di poco più di
260 milioni. È assai raro se non del tutto inconsueto che un fondo d’investimento abbia un solo
sottoscrittore. Di fatto quel fondo è uno strumento in cui entra liquidità di un unico cliente e che vien
investita. In cosa? I fondi Optimum Multistrategy nella loro descrizione ufficiale dicono di investire in più
classi di attività: azioni, bond governativi e così via.
Hanno reso bene quegli investimenti a Vicenza, unico cliente?
Non si direbbe proprio e questa è l’altra anomalia. Nella semestrale del 2015 quella delle pulizie, siglata
dal nuovo ad Francesco Iorio e sotto la lente della Bce, quei 3 fondi mostrano una gran sorpresa.
Vengono effettuate infatti dal nuovo corso svalutazioni di valore per la bellezza di 103 milioni, il 30%
del valore di acquisto dei due Optimum e Athena di fine 2012, metà 2013.
Un periodo in realtà favorevole per i fondi con Borse e bond in rally continui. Eppure ecco la perdita del
30%. Per l’ultimo bilancio della Vicenza la svalutazione è dovuta non più al calcolo del Nav fornito dal
gestore, ma dall’allineamento degli investimenti «al presumibile valore di reali zzo». Significa che in quei
fondi ci sono titoli che hanno perso molto valore in poco tempo.
L’ipotesi che regge il lavoro degli inquirenti e che andrà suffragata è che i 3 fondi fossero strumento di
liquidità con cui Vicenza assicurava quel famoso patto di garanzia e riacquisto dei titoli della banca in
mano a clienti privilegiati che avevano sottoscritto gli aumenti. Ma è un’ipotesi che filtra e su cui le
carte sequestrate dovranno fare luce.
Fabio Pavesi
“Quel mistero dei tre fondi esteri”
Il Sole 24 Ore
25 settembre 2015