sono stato uno squadrista - riaffermare, rifondare e rilanciare per la

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sono stato uno squadrista - riaffermare, rifondare e rilanciare per la
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SONO STATO UNO SQUADRISTA
E ANCORA LO SONO
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SONO STATO UNO SQUADRISTA
(...e ancora lo sono)
"Lo squadrismo è stato la primavera della nostra vita, e chi è stato squadrista una volta lo è per
sempre"
Alessandro Pavolini
Cos’è lo squadrismo e, sopra tutto, che significa squadrista? In senso etimologico, “squadrismo”
deriva da “squadra”, ovvero da “quadro” più il prefisso “ex”: fuori. Quindi, in senso stretto,
“squadrismo” sta per “fuori quadro”. Ora, se a “quadro” diamo il significato che gli dà il Dardano della
lingua italiana, ovvero: “il complesso degli ufficiali, dei sottufficiali e dei graduati di un’unita, di un
corpo o di un reparto militare...” risulterà subito evidente che la “s-quadra” è uno stare “fuori” dai
“quadri regolari”, secondo modalità che magari corrisponderanno ma NON sono quelle della legalità
costituita (più o meno militarmente intesa...). Nel senso più crono-storico e recente a noi più caro e
prossimo, per “squadrismo” deve intendersi quella costituzione interna ai Fasci di Combattimento che
prende il nome appropriato di “squadre d'azione”. Infatti, per non lasciare che la vittoria nella Grande
Guerra, sia pur “mutilata”, fosse retaggio delle spinte antinazionali di chi (quella guerra...) non solo
non la voleva ma la osteggiò con forza piagnistea e basso istinto pacio-umanitarista, (senza capire,
come invece capì subito Lenin, esultando all’ingresso della Russia nel conflitto, che, quella Guerra,
sarebbe stata l’unico viatico possibile alla rivoluzione...); la costituzione delle “squadre” - dicevo non risultò vana per una certa qual “azione” drastica e propedeutica alla rivoluzione che ci fu (quella
fascista...). A conti fatti, checché ne dicano gli agiografi dell’antifascismo a tutto spiano, era del tutto
logico e consequenziale che la risoluzione rivoluzionaria fosse rivendicata da chi quella guerra l’aveva
voluta nello spirito delle “radiose giornate di maggio”: ai Mussolini, ai D’Annunzio-fiumani, ai
Corridoni-sindacal-rivoluzionari e a tutti gli interventisti-intervenuti reduci dalle trincee: Arditi in
testa. Non credo di forzare troppo la storia militare (...e para) affermando che le “squadre d'azione”
derivano direttamente dal concetto (e dalla forma...) antico-romano delle “legioni”, la cui costituzione
è tradizionalmente attribuita a Furio Camillo. Che furono istituite (le legioni...) dopo la sconfitta subita
da Roma sul fiume Ailla ad opera del gallico Brenno. Mentre la “falange” (fino ad allora operante...)
era adatta al combattimento in terreno aperto, privo di ostacoli naturali, la legione è arma vincente nei
territori accidentati strutturata, com’è, in “manipoli”. I “manipoli”, unità tattiche piccole e agili, si
schieravano, intervallandosi fra loro, in modo da modificare forma e compattezza a seconda delle
esigenze dello scontro con gli avversari. Scontri che si rinnoveranno nei secoli.... Schiere di squadristi
sono cadute (nei secoli...) invocando che altri impugnassero le insegne di una tradizione e di una
civiltà, di una cultura e di un diritto superiore che pretendeva di portarsi, come voleva Corridoni: “più
avanti ancora...”. Il distintivo di squadrista spettava (e spetta...) a chi ha fatto e fa parte dei
“manipoli”: da Marco Furio Camillo a Casapound...
S.P.Q.R.: all’alba dello squadrismo. Sono stato uno squadrista. Ero con l’esercito quirita, nel 406 a.
c., alle mura di Vejo, avanposto etrusco. Un assedio lungo dieci anni. Dieci anni di stallo. Senza
venirne a capo. Vejo sembrava inespugnabile. Addirittura, con una sortita inaspettata, i veienti,
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appoggiati dagli eserciti di Capena e di Faleria riuscirono a rompere il nostro accerchiamento e ad
insidiare Roma stessa. Fu così che il Senato ricorse nuovamente ad un dittatore, Marco Furio Camillo.
Il quale decise le sorti della guerra con un cambio radicale di strategia militare: era inutile assediare
quella fortezza incrollabile, ed era sfavorevole affrontare i veienti in campo aperto. Serviva introdurre
un “manipolo” nella città. Fu scavato un cunicolo sotterraneo e una squadra legionaria penetrò dentro
le mura. Fu il prologo alla conquista definitiva. Era il 396 a.c.. Ero con Furio, ancora, quando ritornò
dall’esilio che gli aveva imposto il Senato ingrato e timoroso del suo auge. A Brenno, che pretendeva
oro per sgomberare il campo conquistato fin sotto le mura del Campidoglio (e le oche starnazzano
ancora...), oppose il suo: “Non con l’oro, ma col ferro si libera Roma...”. Lasciando ai manipoli della
Legione, la libertà di rispedire l’invasore là da dove era venuto: non tanto nella celtica Gallia, ma
direttamente al (suo...) Creatore... Eja
Ezzelino III: squadrista ghibellino. Sono stato uno squadrista. Ero a Padova la notte del 3 luglio
1238, con l’eroico ghibello Ezzelino da Romano. Azzo VII reggente di Ferrara, con 300 uomini, si
avvicinava a porta Torreselle che alcuni nobilastri filo comunali intendevano aprirgli, sperando in
un'insurrezione antimperiale. L’altro incanaglito, Giacomo da Carrara, con altri 100 uomini, intanto,
cercava di prenderci alle spalle. Sostituti i nobili alla porta con arcieri saraceni fidati del nostro
Imperatore, Federico II, uscimmo da Porta del Prato in squadra romana, e presi di sorpresa gli
attaccanti li aiutammo a rendere l’anima al Signore del papa loro che fu guelfo prima che romano.
Cantammo vittoria per le Insegne dell’Impero. L’avevamo giurato: “E se a Legnano un giorno /
L’Aquila fu ferita / Già sboccia a nuova vita / La rosa del ritorno...” Eja...
La squadra di Barletta. Sono stato uno squadrista. Ero con Ettore Fieramosca a Barletta. Correva
l’anno 1503. Francesi e spagnoli si spartivano i territorucoli di quella che non era ancora Italia e non lo
sarebbe stata per cinquecento anni ancora. Alla Capitanata gli eserciti furono l’un contro l’altro armati:
gli spagnoli di Consalvo da Cordova, e i francesi, conducati da Luigi d’Armagnac. Vinsero gli
spagnoli, grazie all’aiuto decisivo di noi italici mandati dal principe Colonna, e persero i francesi
d’Armagnac. La sera post-evento, alla Cantina del Veleno, Messer Guy de La Motte, nonostante il suo
cattivo stato di sconfitto, trovò poco carine parole per noi italici, ivi allocati, profferendo lo sgradito
insulto: "Senza fede, vili soldati e traditori". Diego de Mendoza, nostro compagno d’arme, non si
trattenne dall’elogiarci per coraggio e valore dimostrati sul campo, addivenendo a ciò: “Per giudicare
si avessero a misurare tanti italiani con tanti francesi". D’accordo con lui, i Colonna sostennero, con
buona licenza, che detto Messer Guy de La Motte mentiva sapendo di farlo chiedendo, di
conseguenza, campo aperto per il combattimento ad oltranza tra noi (italici...) e i franchi, in numero
pari. E così fu. Ettore Fieramosca, Cavaliere di Capua, fu messo a capo della nostra impresa: tredici
noi, tredici loro... E il 13 febbraio, araldi a cavallo per le contrade, tra squilli di trombe e rulli di
tamburi, annunciarono la sfida. È tardo pomeriggio, quando le due squadre si schierano in armi, sui lati
opposti del campo. Scambiato il ritual saluto e i segnali di battaglia, al terzo squillo di tromba il
combattimento ha inizio: armato e violento. Sbalzati di sella, gli italiani Miale da Troia e Capoccio
Romano, non si danno per vinti. Muore, infine, Miale da Troia. Invece, Capoccio, raccolte armi e
forze, si rialza e fomenta i cavalli francesi provocando la caduta dei più di Francia. Ettore Fieramosca,
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intanto, se la vede direttamente con La Motte. Disarcionato il francese, per cortesia cavalleresca, pure
lui, Ettore, scende da cavallo risolvendo alla pari il duello con furioso corpo a corpo. Ma superiore in
gesta e forze, coraggio e valor militare, Ettore Fieramosca ottenne ben presto vittoria sopra l’altro e
sopra tutti lor messer francesi. Che deposero le armi in res d’arresa. Dietro a Ettore Fieramosca, alla
volta di Barletta, prendemmo il passo di trionfal corteo. E qui li fuochi per le strade, li lumi alle
finestre, le musiche dai suoni più variati, e i canti che quella notte fur esercitati, non se potrian per
umana lingua narrare a compimento. Eja...
Fratelli d’Italia: Roma s’è desta. Sono stato uno squadrista. Nella Repubblica Romana. Ero con
Emilio Morosini “generale di vent’anni” (De Andrè), capelli biondi e barba uguale, a difesa
repubblicana. Avanzavano i francesi, servi incoerenti di Pio IX. Mazzini e Garibaldi disputarono
sull’ora della controffensiva a Porta Portese e non se ne fece nulla. Così, restammo isolati. L'attacco fu
sferrato alle due del mattino del 30 giugno 1849. Primi ad essere assaliti, resistemmo disperati finché
restammo in squadra di quattro, più quel “generale di vent’anni”. Ferito al ventre da una palla e da un
colpo di baionetta rifiutò la barella, impugnò la spada, serrando il nemico sull’attenti all’onor del suo
(di Morosini...) eroismo. Caduto lui, continuammo a resistere insieme a Garibaldi a villa Spada: con
meno munizioni e più caduti. Vedendo che la resistenza della linea non era più possibile, il Generale
mandò ordine al Medici di abbandonar Vascello e ritirarsi a Porta San Pancrazio. Rifiutato l’ordine dal
Medici e affinché, opportunamente, si ritirasse, il Generale dovette metterglielo per iscritto: solo allora
quel pugno di eroi si decise a lasciare il rudere glorioso. Con una schiera di legionari e di soldati del 6°
reggimento, Garibaldi, il Generale, ci guidò all’ultimo assalto. Dichiarando all’istante, disperato ma
sincero: "Usciamo dalle mura con i volenti armati. Dovunque noi saremo, là sarà Roma. Io nulla
prometto. Tutto farò quanto è dato ad uomo di fare. E la Patria in noi ridotta, vivrà". Eja...
Serate futuriste: nuova alba squadrista. Sono stato uno squadrista. Futurista. C’ero anch’io al
Teatro Verdi di Firenze, la sera del 12 dicembre 1913, quando il poeta declamò: “O seimila spettatori
che accorreste al Teatro Verdi, voi che avete sentito il gusto, l’ebbrezza di un istante divinamente folle
di ribellione… Noi lirici e teorici lanciamo le nostre grida alte. Voi non ci domandate che l’occasione
di farcene udire l’eco dentro voi stessi” (Aldo Palazzeschi). Eja...
Dalla vigilia della rivoluzione... Sono stato uno squadrista. Ero con Mussolini e Corridoni, nel
maggio 1914 quando, noi socialisti rivoluzionari, in contrasto con l'ala borghese e riformista del
partito, proclamammo ai quattro venti la rivoluzione. Ero al congresso socialista di Ancona, quando
Mussolini confermò la linea rivoluzionaria. Proprio da lì (da Ancona...), prese avvio la “settimana
rossa”. Furono giornate di caldo assoluto e molto rovente, fitte di scontri con le truppe regolari, vere e
proprie insurrezioni che portarono alla proclamazione dello sciopero. Ero con Mussolini, l’uomo
nuovo del socialismo, e Corridoni, al comizio all'Arena di Milano il 10 giugno 1915 di fronte a 60.000
manifestanti milanesi, mentre il resto dell'Italia insorgeva. Mussolini dichiara: "A Firenze, a Torino, a
Fabriano vi sono altri morti e altri feriti, occorre lavorare nell'esercito perché non si spari sui
lavoratori...". Ma il Psi rinunciò a prendere la dirigenza del movimento e ci lasciò soli. Mussolini e
Corridoni vennero arrestati a Milano, nei pressi della Galleria Vittorio Emanuele II e duramente
percossi dalla polizia. Senza, peraltro, che borghesi e farabutti di ogni risma gli risparmiassero insulti e
minacce... Ero con Mussolini e Corridoni, quando il 24 gennaio 1915 formarono i Fasci d’Azione
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Rivoluzionaria, dichiarando essere la socializzazione “la soluzione definitiva della questione
sociale” (Corridoni). E i capitalisti non ce l’hanno mai perdonata. E non ce la perdonò nemmeno chi si
sentì defraudato del diritto di saper parlare meglio e più forte di giustizia proletaria. Ero con loro,
Mussolini e Corridoni, nelle “radiose giornate di Maggio” quando sentimmo scoccata l’ora della
guerra che ci avrebbe portati “dal sindacato alla trincea” e da lì, alla nostra rivoluzione. Eja...
...Alla festa della rivoluzione... Sono stato uno squadrista. Ero a Fiume con il Comandante Gabriele
D’Annunzio: “Nei mesi dell’occupazione fiumana cambia l’esperienza del tempo: all’improvviso esso
appare di una qualità insolita. A leggere le pagine di Comisso, risulta ora dilatato fino alla noia, ora
accelerato in ritmi che ne rovesciano la consueta nozione. Si vive e si agisce non inseguendo una
tattica o una strategia, ma abbandonandosi all’istinto, al bisogno del momento, al capriccio. L’azione
è bella di per sé, perché non ha scopo ma è disinteressata, frutto del desiderio. È questa una forma di
vita intensa fuori dal tempo storico. L’idea della sospensione temporale in una sorta di eterno
presente senza passato né futuro viene colta anche da Nino Valeri, che la vede come effetto di quello
stato febbricitante che, a suo dire, ha invaso dall’inizio tutti i legionari, ma soprattutto i giovani:
“Una febbre fatta, nei più risoluti di orrore per la vita dura e grigia di tutti i
giorni, di disprezzo per gli ordini costituiti, di disinteresse per il passato e per
l’avvenire, di irridente spregio per la virtù e per il risparmio, per la famiglia,
per gli avi, per la religione, per la monarchia e per la repubblica: di
nichilistica aspirazione, in fondo, di finirla in bellezza questa inutile stupida
vita, in una specie di orgia eroica. Sono sentimenti codesti, che giacciono
anche nel remoto sottofondo di molti benpensanti ma normalmente repressi e
condannati in nome della rispettabilità. L’esplosione sfrenata di essi fu forse la
caratteristica più importante dell’ambiente legionario fiumano e segno di una
situazione politica intrinsecamente rivoluzionaria...”(Nino Valeri, Da Giolitti a
Mussolini..., Il Saggiatore, 1967). (Dall’introduzione di: “Alla festa della
Rivoluzione” Claudia Salaris, Ed. Il Mulino).
Eja...
...Rivoluzione!!! Sono stato uno squadrista. In Marcia su Roma. 29 settembre 1922, Firenze: in una
seduta segreta della direzione fascista si prospetta l’ipotesi di una presa di potere con la forza
squadrista. 16 ottobre 1922, Milano: si decide di passare all’azione e viene colà costituito il
quadrumvirato che avrebbe diretto l'insurrezione: De Vecchi, De Bono, Balbo e Bianchi. 24 ottobre,
Napoli (Congresso del Pnf) Mussolini proclama pubblicamente: "O ci daranno il governo o lo
prenderemo calando a Roma". Siccome non ce lo danno con le buone (il governo...), ce lo daranno con
le cattive. 26 ottobre 1922: occupiamo tutta l’Italia centro settentrionale. Mussolini, al Teatro
Manzoni, dissimula l’attenzione dei servizi monarchico-liberali assistendo, auspicale, al “Cigno” di
Molnar. Uno squadrista lo avvisa che “Tutto è pronto”. Mussolini si precipita a casa. Chiama al
telefono il segretario del partito, Michele Bianchi che lo informa: i fascisti sono alle porte della
capitale. Infatti, eravamo 26.000 uomini inquadrati in quattro colonne (una di riserva e tre concentrate
a Santa Marinella, Monterotondo e Tivoli) che movevano verso Roma. Mussolini rimane a Milano in
attesa di sviluppi. 27 ottobre 1922, Roma: Vittorio Emanuele è deciso a non cedere alla “bravata di
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quattro facinorosi”. Il Consiglio dei ministri prepara i manifesti e i telegrammi per proclamare lo stato
d’assedio. 28 ottobre 1922: i cittadini italiani apprendono: “Di fronte ai tentativi insurrezionali, il
governo, dimissionario, ha il dovere di mantenere con tutti i mezzi e a qualunque costo l’ordine.”
Facta si reca a Villa Savoia, dove il re lo attende per la firma del decreto. Ma il re si rifiuta (infatti,
s’era fatto, nello stretto frattempo, una mezza idea che non fosse il caso di scatenare la guerra civile...).
Saggiamente, decidono per la revoca dello stato d’assedio. Iniziano le consultazioni per la costituzione
del nuovo governo. Si tenta un compromesso con la soluzione di un ministero Salandra-Mussolini.
Interpellato telefonicamente, Mussolini declina gentilmente l’invito. Salandra, avveduto, declina a sua
volta. Il generale Cittadini telefona a Mussolini comunicandogli che il re gli conferisce l’incarico di
formare il governo. 29.10.1922: Mussolini si presenta al re con le note parole: “Porto a Vostra
Maestà l’Italia di Vittorio Veneto, riconsacrata dalla vittoria...”. Il colloquio dura mezz’ora. Quando
Mussolini riappare al portone del Quirinale è passato da poco mezzogiorno. Ritornando all’Hotel
Savoia è acclamato dalla folla. Il duce saluta dall’albergo i romani: “Fascisti! Cittadini! Il movimento
fascista è vittorioso su tutta la linea...” . 31 Ottobre, Roma: sfiliamo di fronte al Milite Ignoto e al
Quirinale per celebrare la vittoria. Eja...
Anni ’70: i rossi e i neri. Sono stato uno squadrista. “1971. Due gruppi, imbardati e bellicosi, si
fronteggiavano sul piazzale esterno. Il Nautico era assalito. Fatto che, di lì a poco, imparai a
considerare ciclico ricorrente. Davanti al cancello d’ingresso, i fasci. All’imbocco della via, più
numerosi, gli altri. Si scambiavano slogan truci. Dalle bombe sui treni alle nostre non rare incursioni
contro le altre scuole di zona, ogni pretesto era buono per essere puntati. La cosa non ci dispiaceva.
Se c’era da menare, nessun fascista se ne è mai rammaricato granché. Rimasi per qualche minuto
muto osservator di scena. Ero fermo, tra un “Camerata basco nero il tuo posto è al cimitero” ed un
“Piazzale Loreto sarà vendicato”. Avrei potuto schierarmi con la stessa consapevolezza politica (in
quel momento, quasi nulla…) in uno o l’altro dei due gruppi. Restare neutro, no. Non è da me. Il
ragionamento abbassò lentamente le sue pretese. Si mise in moto qualcos’altro. Ho una vocazione
metafisica per il centro. E lì, c’era un accerchiamento in atto. Fui fatalmente attratto dal fuoco, non
dalla linea di circonferenza. Inoltre, per quanto politicamente semi-analfabeta, sapevo con certezza
qual era l’appostamento che aveva già perso in partenza. Ecco, prima ancora di leggere Nietzsche,
per non dovermi chiedere se, al getto di dadi favorevole, tante volte non fossi un baro, ho sempre
preferito la puntata a perdere piuttosto che la giocata giusta. Che non è la cosa più furba del mondo.
Lo riconosco. Ma credo che salvo è fatto ognuno dalla propria croce. Oggi, so che anche gli altri non
erano destinati “a una meravigliosa vittoria [.] che non esisteva”, però, lo intuiva in quel momento solo
Pasolini… Sia come sia. Il thymos surriscaldò il frullio cerebro spinale. alzai la sciarpa sul viso. feci
il saluto romano. e mi calai nella mia parte.” (Memme Desimo, “I rossi e i neri” Ed. Settimo
Sigillo...). Eja...
Tutti a Casa... Pound (ovviamente...). Sono stato uno squadrista... e ancora lo sono. Sono con la
squadra che il 26 dicembre 2003 occupa Casapound, al motto “L’affitto è usura”... Sono con loro,
“Inquilini di una barricata”, il 4 giugno quando, asserragliati “Sul fronte dell’essere”, opponendo le
nostre solite facce toste e tanti saluti romani ai 2000 “(dis)obbedienti antifa” che, in libera
circolazione dietro i cordoni di polizia, imprecano al loro stato“sevvile”, molesti e inesistenziali. Anzi:
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molesti in quanto inesistenziali... Sono con loro: ZetaZeroAlfa, Una Macchina Targata Paura, Akira,
Cutty Sark, Legione Motorizzata Fratelli Omunghus, Rupe Tarpea, Accademia della Sassaiola... alle
occupazioni dei Parioli, Boccea, Torrino, OSA(ndo) essere Casa d’Italia e ONC (Occupazioni Non
Conformi). “Il fascismo del terzo millennio riparte dalla lotta per la casa...”. E da Roma. E qui,
chiudendosi, il cerchio rivoluzionario quadra. Anzi: squadra... Alalà.
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