l`altro - Cinema Teatro Astra

Transcript

l`altro - Cinema Teatro Astra
Stagione
presenta
2009
2010
l’altro
inema
C
via Roma 3/B
S. Giov. Lupatoto (VR)
tel/fax 045 925 08 25
www.cinemateatroastra.it
cineforum Anno XVIII
I FILM VISTI: 1 Gran Torino • 2 Diverso da chi? • 3 State of play • 4 Questione di cuore • 5 Coco Avant Chanel
Novembre 2009
lun 16 ore 20.45
mar 17 ore 21.00
merc 18 ore 21.15
Regia
Richard Curtis
~
Interpreti
Philip Seymour Hoffman,
Bill Nighy, Rhys Ifans, Nick
Frost, Kenneth Branagh,
Tom Sturridge, Chris
O’Dowd, Rhys Darby,
Katherine Parkinson,
Talulah Riley, Ralph Brown,
Sinead Matthews, Tom
Brooke, Emma Thompson,
Gemma Arterton, January
Jones, Tom Wisdom, Jack
Davenport.
~
Anno
Gran Bretagna 2009
~
Genere
Commedia
~
Durata
135’
I Love Radio Rock
A
metà anni ’60, nella rigida Inghilterra che si stava
risvegliando grazie alla Swinging London, i neo
denominati teenager trovavano una scappatoia dalla
severa realtà ascoltando le radio pirata che, a differenza
della BBC, trasmettevano canzoni rock e pop ventiquattro ore al giorno. Spaventato dall’influenza
che quella musica ribelle e trasgressiva poteva
avere sui giovani e giovanissimi, l’austero ministro Dormandy (Kenneth Branagh) decide di avviare una personalissima battaglia per farle chiudere e affida a Twatt (Jack Davenport) l’onere di
trovare un cavillo legale che possa servire al suo
scopo. Nel frattempo, al largo del Mare del Nord,
gli otto dj “ricercati” capitanati da Quentin (Bill
Nighy), accolgono il figlioccio del capo Carl
(Tom Sturridge) che è appena stato espulso da
scuola. A bordo della nave di Radio Rock Carl scoprirà
i valori dell’amicizia e dell’amore e diventerà grande.
La musica è il motore dell’azione di I Love Radio Rock,
la brillante e ispirata commedia di Richard Curtis che
ripercorre un’epoca di forte contrasto politico-sociale,
esaminando da una parte il rigore dei colletti bianchi e
dall’altra la voglia di libertà dei giovani. Negli anni in
cui la radio rappresentava un momento di raccoglimento collettivo, l’americano Conte (Philip Seymour
Hoffman) e il suo rivale inglese Gavin (Rhys Ifans) “pirati” che vivevano letteralmente per la musica - facevano sognare gli ascoltatori con le loro storie personali e tanto rock’n’roll. Giocando con l’iconografia
rock - che tramuta la copertina originale di Electric
Ladyland di Jimi Hendrix in una scena “orgiastica” Curtis manifesta tutto il suo amore per la musica e nella
fattispecie per il periodo più straordinario per il pop britannico. La storia dei dj isolati su una nave in nome della libertà - il loro battersi per la causa, la sana follia, gli
intrecci, l’amicizia e la rivalità - è commovente quanto
esilarante nella messa in scena. Puntuale, come le battute più taglienti del Conte di Philip Seymour Hoffman
(eccelso nella sua performance), è la colonna sonora
che funge da duplice protagonista. Ora descrive alla
perfezione il periodo in cui è ambientato il film, traducendo i sospiri delle giovanissime fan, ora muove i fili
della trama sostituendo la narrazione con brani mirati
cui testi colgono nel segno e sferrano un colpo dritto al
cuore.
Tirza Bonifazi Tognazzi - www.mymovies.it
F
antasia al potere in una storia tutta vera che racchiude in sé un’esperienza breve ma intensa che ha
6
fatto epoca, quella delle radio libere e clandestine che
beffavano l’impero britannico e il suo megafono (la
Bbc) trasmettendo in altomare e inondando, è il caso di
dirlo, le case dei sudditi di Sua Maestà di rock e pop. Un
bacino di 25 milioni di persone che si riunivano per
ascoltarli, di nascosto, e di adolescenti che mettevano le
loro radio sotto il cuscino per gustarsi, ad insaputa dei
genitori, la trasgressione in modulazione di frequenza. I
Una commedia brillante,
esilarante e commovente.
love Radio Rock è la summa di quest’epoca d’oro, ispirati soprattutto dal successo e dalle vicende della mitica
Radio Caroline, oggetto di una sistematica repressione
del governo, fino alle estreme conseguenze. La radio, si
sa, è un mezzo potente e troppo sincero, ancora oggi,
nonostante gli scarsissimi investimenti e lo snobismo
nei suoi confronti, rimane un media centrale (...). Se e
quando contrasta il pensiero unico dominante (...) diventa un nemico da abbattere, senza remore. E così lo
splendido film I love Radio Rock diventa un inno di libertà. Musicale, culturale, sessuale. (...) Il governo e il
ministro (in)competente - fantastico Kenneth Branagh
nei panni del mastino civico e cinico - decidono di aprire una crociata che farà molte vittime, ma non l’arte e
l’indipendenza. Da quel biennio d’oro (1966-1967),
conclusosi con un’omissione di soccorso pubblica e un
salvataggio privato, si aprirà una nuova epoca. (...)
Woodstock, il maggio francese sono alle porte, solo questi simpatici anarchici intuiscono, anticipano e forse facilitano la rivoluzione. (...) Ma Cunis non ha solo il pregio di ricordare e far rivivere un’atmosfera speciale e un
momento storico-artistico irripetibile, sa anche raccontare l’aspetto più umano, quel puerile cameratismo che
coinvolge questi uomini soli contro tutti, che l’amore lo
conoscono solo a pagamento e diventano amici solo sfidandosi in confronti tanto pericolosi quanto stupidi.
(...) Bill Nighy è un padrone di casa-nostromo di gran
classe, Rhys Ifans un antagonista perfetto, i caratteristi che siano teneri, antipatici, alienati, completamente
folli - semplicemente irresistibili, da Ralph Brown a
Rhys Darby. Storia e cinema si fondono con la musica, e
ci ricordano che la libertà non è solo lotta e conquista,
ma anche divertimento, sensualità, ossigeno per menti
geniali. (...) Lo diceva anche Gaber, la libertà - come la
vera radio - è partecipazione.
Boris Sollazzo - Liberazione
Novembre 2009
lun 23 ore 20.45
mar 24 ore 21.00
merc 25 ore 21.15
Regia
Nick Cassavetes
~
Interpreti
Con Cameron Diaz, Abigail
Breslin, Alec Baldwin,
Jason Patric, Sofia
Vassilieva, Heather
Wahlquist, Joan Cusack,
Thomas Dekker, Evan
Ellingson, David Thornton.
~
Anno
USA 2009
~
Genere
Drammatico
~
Durata
109’
~
Teen Choice Award
Miglior Film
7
La custode
di mia sorella
C
i sono film (che ti prendono alla gola e non ti mollano più, neanche quanto torni alla luce del sole.
Film capaci di puntare dritto al cuore con temi che vanno al nocciolo delle grandi questioni umane: la vita e la
morte. Uno di questi è La custode di mia sorella di Niclk
Cassavetes, dramma morale tratto dal best seller di Jodi
Picoult ispirato a ’una storia vera che molto ha fatto discutere. La vicenda è infatti quella della piccola Anna
(Abigail Breslin, già candidata all’ Oscar per Little Miss
Sunshine), undici anni, messa al mondo dai genitori
con un dna opportunamente modificato perché possa
fornire «pezzi di ricambio» alla sorella maggiore Kate (la
brava e coraggiosa Sofia Wassilieva), malata di una rara
forma di leucemia. Sin dalla nascita Anna dona sangue,
cellule staminali, midollo osseo sottoponendo il proprio
corpo martoriato da aghi e siringhe a dolorosi trattamenti ospedalieri. Quando le viene chiesto di donare
un rene, operazione che cambierà per sempre la sua vita, nel tentativo estremo di regalare ancora un po’ di
tempo a Kate, ormai condannata a morte, la sorellina si
ribella e ricorre a un celebre avvocato per far causa ai genitori e riavere i diritti sul proprio corpo. Un gesto estremo dietro il quale si nasconde un segreto che non vi sveleremo, ma che dà il via a una profonda riflessione sulle
contraddizioni dell’ingegneria genetica, sulla possibilità di guarire da una grave malattia, ma anche dalle profonde ferite di una morte, grande tabù della società di oggi e anche del grande schermo.
Dispiace quindi che un film capace di raccontare come la morte non sia una vergogna da
evitare a tutti i costi, ma parte della vita di ogni
essere umano arrivi nelle sale il 4 settembre
distribuito dalla Warner con un divieto ai minori di 14 anni, una sorte che risparmia invece
decine di film violenti e volgari giudicati invece adatti anche al pubblico dei più piccoli.
Affidando il racconto ai punti di vista dei diversi personaggi — la madre Cameron Diaz, finalmente in un ruolo maturo, il padre Jason
Patrick e i tre figli della coppia — il film mette in scena
con grande sensibilità i meccanismi di una famiglia minata da una sciagura ma decisa a combattere unita.
Lacrime e risate si mescolano in scene di vita quotidiana dove si può sorridere e innamorarsi anche durante
una chemioterapia. Cassavetes non disdegna qualche
colpo. basso all’emotività dello spettatore e qualche cliché (come quello del malato terminale che vuole andare al mare), ma rimane abilmente in equilibrio tra le
motivazioni e i sentimenti dei personaggi in gioco conducendo lo spettatore verso un finale doloroso e sereno
al tempo stesso.
La morte di una persona cara non regala a chi l’ha perduta le risposte ai grandi interrogativi della vita. Si
muore e basta, dice la piccola Anna, ma, in attesa di ritrovarsi nell’aldilà, il rapporto con la persona scomparsa continua. Ciò che conta insomma non è che colui
che amiamo ci abbia lasciato, ma che sia esistito lasciando un segno profondo nella nostra esistenza.
Alessandra De Luca - Avvenire
N
ick Cassavetes propone, stavolta in veste sia di regista che di sceneggiatore, la trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo di Jodi Picoult, che ha
riscosso un grande successo in America ed è appena stato editato in Italia. Kate Fitzgerald (Sofia Vassilieva) ha
quindici anni e combatte da oltre dieci contro una rara
forma di leucemia. I genitori (Cameron Diaz e Jason
Patric), al manifestarsi della malattia, decidono di avere
un altro bambino manipolando geneticamente il suo
dna, affinché diventi un donatore compatibile per Kate.
Arrivata agli undici anni, la piccola Anna non vuole più
sottoporsi a operazioni e continui prelievi per aiutare la
sorella, quindi decide di far causa ai genitori rivendicando i diritti sul proprio corpo. Il dibattito in aula ha inizio
e il giudice ascolta tutte le parti cercando di andare a fondo nella questione. Il film sembra essere dapprima incentrato su una tematica prettamente etica: come possono dei genitori decidere di avere un figlio solo perché sia
donatore di organi per un altro? Ma questa impostazione
è abbandonata sin da subito: a Cassavetes non interessa
riflettere sui risvolti etici dell’ingegneria genetica, sebbene semini qui e lì qualche spunto di riflessione, vuole
soprattutto indagare le dinamiche che si innescano in
una famiglia colpita dalla malattia. Presente e passato si
mescolano: una serie di flashback racconta il decorso
della malattia di Kate, le avversità affrontate dai
Il dramma di una famiglia
fra i dilemmi della bioetica.
Fitzgerald, la determinazione di Sara (la mamma) nell’assistere la figlia. Il punto di vista non si focalizza su un
solo personaggio, a turno le voci fuori campo dei protagonisti raccontano come hanno vissuto la vicenda e i
sentimenti provati, che non sono solo di amore e totale
abnegazione verso la ragazza. La regia asciutta di
Cassavetes si sofferma per lo più sui personaggi e sul forte rapporto che li unisce, non indulge su artefatti sentimentalismi, riuscendo comunque a essere toccante. I
componenti della famiglia Fitzgerald sono in bilico tra il
dovere e i loro sogni, tra le necessità di Kate e il desiderio
di ritagliarsi un proprio spazio nella tragica quotidianità
che li circonda, loro come pure l’avvocato di Anna
(Alec Baldwin) e il giudice Di Salvo (Joan Cusack) sono
intensi, caratterizzati in maniera approfondita e forse più
vicini alla realtà rispetto a tanti altri visti in film di questo tipo. Tutto il cast da una buona prova di sé, su tutti
spiccano la piccola Abigail Breslin, che già si è distinta
in diverse importanti produzioni e sfoggia una recitazione naturale e convincente e Sofia Vassilieva.
Ilaria Ferri - FilmUp
Novembre 2009
lun 30 ore 20.45
Dicembre 2009
mar 1 ore 21.00
merc 2 ore 21.15
Regia
Woody Allen
~
Interpreti
Ed Begley jr, Patricia
Clarkson, Larry David,
Conleth Hill, Michael
McKean.
Evan Rachel Wood, Henry
Cavill, John Gallagher Jr,
Jessica Hecht, Carolyn
McCormick, Christopher
Evan Welch, Lyle Kanouse,
Olek Krupa, Chris Nuñez,
Nicole Patrick, Yolonda
Ross, Steve Antonucci,
James Thomas Bligh, Willa
Cuthrell-Tuttleman, Marcia
DeBonis, Cassidy Gard
~
Anno
USA, Francia 2009
~
Genere
Commedia
~
Durata
92’
Basta che funzioni
Whatever Works
È
fin commovente il modo in cui Woody Allen gira intorno ai soliti temi e ripropone sempre lo stesso «stile», a cominciare da quei titoli di testa bianchi su fondo
nero, con gli attori in rigoroso ordine alfabetico. È come
se volesse subito mettere le mani avanti: lui sa fare
«solo» quelle cose e lo spettatore che entra in sala
per vedere un suo film sa benissimo che cosa può
aspettarsi, soprattutto adesso che è tornato a girare
a New York dopo le avventure in Europa. Che sia in
scena oppure no, come appunto non c’ è in questo
Basta che funzioni, che per esplicito desiderio del
suo autore manterrà anche in italiano il titolo originale, Whatever works. Comunque, anche se non si
vede sullo schermo l’ identificazione tra Allen e l’
attore scelto per interpretare il misantropo Boris
Yellnikoff, cioè l’ attore e autore Larry David, è
spontanea e immediata, tanto le devastanti battute e l’
acido pessimismo del protagonista rimandano al personalissimo universo di Allen. A farne le spese, all’ inizio del
film, sono gli amici con cui si vede al bar e che subissa del
suo apocalittico e cosmico pessimismo. Professore in pensione con un passato di brillante fisico alla Columbia
University, sposato con una donna ricca e attraente che
gli permette di vivere nei quartieri alti, Boris è divorato
da un pessimismo e da un’ angoscia così devastanti da immaginare sempre il peggio. Anzi, da cercarlo, visto che
nelle primissime scene scopriamo che proprio durante
una crisi di panico notturno, forse per non fare i conti con
la realtà, ha tentato il suicidio. Il tentativo è fallito ma in
compenso ha perso la moglie, la casa e l’ agiatezza. È così
che lo conosciamo: con una gamba che zoppica, con un
pessimismo ancora più devastante e con un lavoro precario da insegnante di scacchi ai ragazzi del quartiere (che
regolarmente maltratta e insulta per la loro poca intelligenza). Ed è così che lo incontra, una sera, la sperduta
Melody St. Ann Celestine (Evan Rachel Wood), fuggita
dal natio Mississippi e approdata senza soldi proprio davanti alla casa di Boris. Che nonostante le sue paure e le
sue fobie, accetterà di sfamarla e di ospitarla.
Temporaneamente, pensa lui, e invece la gentilezza della
ragazza - e la sua sconfinata ingenuità - finiscono per conquistare l’iroso misantropo newyorkese che prima accetta di tenersela in casa e poi finisce anche per sposarsela.
Pur non smettendo mai di insultarla, di sottolinearne la
scarsa cultura e di disprezzarne la disponibilità alla vita.
Anche se poi Woody Allen si incarica di smontare questa
specie di amara «lezione di vita», dimostrando ad ogni
colpo di scena che il caso si incaricano di cambiare le carte in tavola. E nei 92 minuti di film le carte che distribuisce Allen sono davvero tante, perché Melody sarà raggiunta a New York prima dalla madre Marietta (una esilarante Patricia Clarkson) e poi dal padre John (Ed
Beagly jr.) e per tutti la vita, e il film, riserveranno inaspettate sorprese. Così, la «solita» commedia acida e divertente insieme (come ci si aspetta da Allen) diventa
qualche cosa di diverso e di sorprendente, dove il pessimismo e la misantropia si colorano di una più saggia condiscendenza alle complessità della vita e le catastrofiche
certezze sbandierate dal protagonista finiscono per scolo-
8
rare in un più accomodante buon senso, dove Dio continua a essere definito un «arredatore di interni» (lo ripete
dai tempi di Prendi i soldi e scappa) ma l’ uomo trova, anche contro le sue più nere previsioni, la possibilità di godere di un po’ di felicità. Nonostante sia circondato da
«vermetti» e da imberbi e irritanti aspiranti scacchisti.
Paolo Mereghetti - Il Corriere della Sera
Il misantropo scopre
anche un po’ di felicità.
S
orpresa numero 1: dopo un lungo girovagare fra generi e città, Woody Allen torna nella “sua” Manhattan
per ritrovare tutto ciò che credevamo di sapere del suo cinema di una volta, senza sbagliare un colpo. Sorpresa n.
2: dopo tanti film in cui non appariva o si confinava in
ruoli di fianco (Anything Else, Melinda e Melinda,
Scoop, Vicky Cristina Barcellona...), Woody trova finalmente un alter ego in grado di riprendere il suo personaggio di newyorkese nevrotico senza far rimpiangere l’originale. Il prescelto si chiama Larry David e come lui è un
comico ebreo nato a Brooklyn, anche se ha faticato a
lungo per arrivare alla fama. Fisicamente i due non si somigliano troppo. David è più alto di Allen, è pelato, ha
dieci anni di meno. In Basta che funzioni trascina pure
una gamba, ricordo di un tentato suicidio dall’esito ridicolo ma non fatale. Per il resto la parentela è evidente:
egocentrico, brontolone, afflitto da pessimismo cosmico,
con un che di vanaglorioso in più rispetto ai personaggi
di Allen, il professor Boris Yellnikoff è un ex-docente di
meccanica quantistica, ex-marito di una donna bella e
ricca, insomma ex-tutto, che passa le giornate al bar a
pontificare con gli amici o a insegnare scacchi ai bambini. Perché questo campione di misantropia, incapace di
dare e provare piacere, debba imbattersi in una candida,
ignorantissima, deliziosa ragazza in fuga da un paesino del
profondo Sud (Evan Rachel Wood) è un mistero che solo il Caso più capriccioso potrebbe spiegare. Ma il Caso è
da sempre il motore dei vorticosi capovolgimenti alleniani che mettono ogni personaggio di fronte al suo opposto e a una serie di prove che innescano cambiamenti
imprevedibili. L’ingenua Melody St. Ann Celestine, a
sua volta un “doppio” meno sessuato dei personaggi di
Scarlett Johansson, fa infatti da apripista a una catena di
mutamenti personali che dopo il burbero Boris e i suoi
pazienti amici coinvolgono la famiglia della ragazza,
giunta a New York sulle tracce della fuggiasca. In un susseguirsi di colpi di scena tanto annunciati, in fondo,
quanto godibili, proprio per la finezza con cui Allen intesse le sue variazioni sul tema, facendo leva sulla complicità dello spettatore ma finendo per iniettare in questi
“tipi” così idealizzati qualcosa di noi e dei nostri umori
più segreti. Così si esce sollevati e sorridenti, pensando il
solito Allen, e ci si ritrova a pensarci su, come se non
avessimo mai visto niente di simile.
Fabio Ferzetti - Il Messaggero
Dicembre 2009
lun 7 ore 20.45
mar 8 ore 21.00
merc 9 ore 21.15
Regia
Michele Placido
~
Interpreti
Riccardo Scamarcio,
Jasmine Trinca, Luca
Argentero, Massimo
Popolizio, Alessandra
Acciai, Dajana Roncione,
Federica Vincenti.
~
Anno
Italia, Francia 2009
~
Genere
Drammatico
~
Durata
101’
~
Mostra d’Arte
Cinematografica
Internazionale di Venezia
2009
Premio
Marcello Mastroianni
attrice emergente
Jasmine Trinca
Premio
Francesco Pasinetti speciale
Riccardo Scamarcio
Il grande sogno
I
l film, girato a Roma, è prodotto dalla Taodue, distribuito dalla Medusa. Racconta la storia di tre personaggi, i cui destini si intrecciano, tra amicizia, amore e
passione ideologica, sullo sfondo della rivoluzione sessantottina: Nicola è un giovane poliziotto, che rappresenta lo stesso Placido (interpretato da Riccardo
Scamarcio): Anna, una ragazza della buona borghesia
(Jasmine Trinca); e Libero, uno studente-operaio, leader del movimento studentesco. Spiega Placido:
«Libero rappresenta quei leader dotati di fascino: un po’
intellettuali e politici, un po’ seduttori, di cui tutte le ragazze erano innamorate. Ma rappresenta anche coloro
che, poi, sono diventati cattivi maestri: nel film non
raccontiamo solo la parte buona, ma anche quella che
ha gettato i primi semi del terrorismo, sfociato negli anni di piombo».
Con Placido, firma la sceneggiatura Angelo Pasquini,
ex leader di Potere operaio, che spiega: «Io c’ero, quel
giorno a Valle Giulia: avevo 19 anni e mi beccai una
manganellata in piena fronte. Fare ora questo film è forse un segno di pacificazione». Il punto di riferimento cinematografico è C’eravamo tanto amati di Ettore Scola.
Ammette Placido: «Sì, ma anche Jules e Jim di Truffaut,
per l’intrigo amoroso fra i tre personaggi». Nel ricco
cast, tra gli altri, anche Massimo Popolizio e Margherita
Buy. Le musiche sono del Premio Oscar Nicola Piovani.
Per sé, Placido, ritaglia un cameo: «Farò la parte di un
colonnello di polizia, realmente esistito: era il comandante della mia caserma e mi aiutò molto. A
veva saputo che, tra i celerini, c’era un ragazzo che studiava all’Accademia: diceva che era onorato dei fatto
che la polizia non producesse solo rozzi soldati, ma anche attori, così mi dette il permesso di accedere alla biblioteca della caserma, ben fornita di classici, anche
fuori orario». È la prima volta che Placido realizza un
film autobiografico: «Ricordo il ’68 come un periodo
colorato, euforico, pieno di libertà anche sessuale: crollarono i tabù».
Ma recentemente quegli anni sono stati messi da molti
sotto processo. Qual è il bilancio personale di Placido?
Riflette: «Non è stato un fallimento. Il movimento nacque in America, sull’onda emotiva della guerra in
Vietnam e di altre tragedie: dagli omicidi di Martin Luther King e Bob
Kennedy alla Primavera di Praga. Non
si poteva non prendere coscienza, ma
noi abbiamo fatto un ’68 all’italiana. È
stato strumentalizzato dai partiti, quelli
di destra e quelli di sinistra. È giusto
meditare su questo fenomeno a quarant’anni di distanza.
Emilia Costantini
Il Corriere della Sera
I
mbarcarsi sul ’68 è sempre tanto affascinante
quanto
rischioso.
Affascinante perché si parla di «formidabili anni» nei quali noi giovani di allora (ci si permetta la citazione) volevamo cambiare il mondo. Rischioso
perché bisognerebbe capire se cambiammo il mondo o il
mondo ha cambiato noi. Insomma tema più politico
9
che sentimentale. E sul quale, ci mancherebbe in Italia,
si continua a buttarsi i pesci in faccia, come avvenuto al
festival di Venezia. Del resto in Italia si litiga ancora
non solo su fascismo-antifascismo, ma sull’Unità di 150
anni fa, e sul 1799 di 208 anni fa. Siamo un Paese che soprattutto litiga.
Ma Michele Placido è uno che ci va dentro. Anche perché nel ’68 che ci racconta lui c’era addirittura da poliziotto (celerino) venuto dal Sud (la Torremaggiore dei
braccianti, Puglia), cioè col destino di tanti meridionali che volevano lavorare. E il compito di andare a menare i ragazzi che all’università contestavano e «okkupavano», lui che invece voleva fare l’attore. Anzi siccome
sapeva recitare, lo mandano a fare l’infiltrato tra i ragazzi, compito pericoloso e, se scoperto, infamante, perché
ti trattano da «pezzo di merda».
Infatti così fa, specie perché il Riccardo Scamarcio che
lo impersona alla grande anche nei tic e nel linguaggio,
si innamora della cattolico-borghese convertita alla rivoluzione dei «compagni» (la deliziosa Jasmine
Trinca), insomma ci entra anima e corpo anche in concorrenza col capo della rivolta, quel Libero (il sempre
appropriato Luca Argentero) che finirà nel terrorismo.
Alla fine però ce la fa ad entrare nell’Accademia d’arte
drammatica, complice una docente un po’ mignotta
(Laura Morante) che non stravede solo per il suo talento. Lui (Placido) diventa il grande che conosciamo, fuori il ’68 fa il suo bene e il suo male finché non arrivano
gli (anni di piombo) della lotta armata.
Il film procede dunque su due piani paralleli, il personale e il sociale, si diceva, e il problema era farli andare
d’accordo. Placido è tanto convincente nel raccontare
se stesso quanto didascalico nel raccontare lo scenario,
appunto il ’68: quasi un documentario, con ampi spezzoni di documentari del resto, dal Vietnam, a Martin
Luther King, a Che Guevara, a Nixon, e la bellissima
colonna sonora di allora.
Un difetto di emotività, una staticità senza prospettiva,
sia pure con ammirevole tecnica alta, un grande sogno
più di parole d’ordine che di immaginazione al potere,
quasi già prefigurasse il grande freddo di dopo. Ma c’era,
vivaddio, un’ansia di futuro, si abbatterono tanti tabù, si
tolse tanta muffa, si misero in discussione tante autorità, anche se si fece un danno irreparabile ai principi di
valore e di responsabilità.
I giovani di oggi dovrebbero vedere questo film per ca-
Il ’68 di Placido, dal Sud
verso il Grande Sogno.
pire. Soprattutto i giovani del Sud, molti dei quali erano allora poliziotti come Placido. Cioè proletari che,
come disse Pasolini che prese le loro parti, erano picchiati da borghesi che volevano atteggiarsi a proletari.
I borghesi ex sessantottini, poi, si sono piazzati, magari
passando a destra come dice velenosamente Placido.
I poliziotti proletari sono rimasti proletari. E terroni.
Lino Patruno - La Gazzetta del Mezzogiorno
Dicembre 2009
lun 14 ore 20.45
mar 15 ore 21.00
merc 16 ore 21.15
Regia
Giuseppe Tornatore
~
Interpreti
Francesco Scianna,
Margareth Madè, Nicole
Grimaudo, Angela Molina,
Lina Sastri.
Salvatore Ficarra, Valentino
Picone, Gaetano Aronica,
Alfio Sorbello, Luigi Lo
Cascio, Enrico Lo Verso,
Nino Frassica, Laura
Chiatti, Michele Placido,
Vincenzo Salemme, Giorgio
Faletti, Corrado Fortuna.
~
Anno
Italia, Francia 2009
~
Genere
Drammatico
~
Durata
150’
~
Mostra Internazionale
d’Arte Cinematografica di
Venezia 2009
Premio “Pasinetti”
Migliore Regia
Giuseppe Tornatore
Academy Awards 2010
(Oscar)
Nomination per
Miglior Film Straniero
Baarìa
L
a storia di una famiglia siciliana che prende le mosse
dal ventennio fascista in cui Cicco, sin da bambino
apertamente contestatore, è un pastore che ha la passione per la letteratura epica. Suo figlio Peppino, cresciuto
durante la guerra, entrerà nelle file del Partito
Comunista divenendone un esponente di spicco sul piano locale e riuscendo a sposare, nonostante la più assoluta opposizione della famiglia di lei, Mannina che
diventerà madre dei loro numerosi figli che saranno
comunque considerati da alcuni sempre e comunque
’figli del comunista’. Tornatore riprende a narrare
della terra che ama, la Sicilia, e lo fa con un affresco
collettivo che abbraccia numerosi decenni della storia del secolo scorso. Lo fa con quel piglio che a tratti travalica nell’enfasi che ormai gli è proprio quando
torna cinematograficamente a varcare lo Stretto di
Messina ma anche con la sincera voglia di fare cinema a tutto campo. Fare cinema si traduce per lui in
un omaggio consapevole e dichiarato a quanti lo
hanno preceduto senza però rinunciare a un proprio stile
narrativo che procede per accumulo di immagini e di situazioni. È una corsa contro il tempo quella che ci viene
proposta sin dall’inizio con la figura del bambino che
apre il film. Corsa contro il tempo che cancella una memoria collettiva che sembra progressivamente non esistere più e che Tornatore vuole restituirci scegliendo la
via della spettacolarità rivolta al pubblico più vasto possibile. (...) Oggi ben pochi sembrano accorgersi della perdita della conoscenza di un passato recente in cui umiliazioni, lotte e parziali vittorie lasciavano segni profondi
nella collettività. Segni che, come l’affresco sulla volta
della chiesa, ’dovevano’ essere cancellati. Ma ciò che al
regista sembra premere ancor di più è il mostrare come il
retaggio di un passato di tradizioni ormai incancrenite
nella società non sia stato ancora superato nella realtà sociale siciliana e non solo. La sequenza dell’assessore all’urbanistica non vedente che si fa portare i piani regolatori in plastico e li apprezza solo dopo aver intascato l’ineludibile mazzetta è di quelle che si ricordano. Così come resta presente, nello scorrere degli anni e delle vicende, la pessimistica sensazione di una sorta di atavica maledizione a causa della quale le uova rotte e i serpenti neri finiscono col far parte del passato, del presente e del futuro di una terra che ha bisogno di una frattura traumatica per poter liberare una volta per tutte una vitalità creativa che certo non le manca.
Giancarlo Zappoli - My Movies
V
orremmo rivolgere un appello a Giuseppe
Tornatore: Baarìa è troppo corto, allungalo! È un
paradosso: il cinema è pieno di film estenuanti ai quali farebbero assai bene robuste sforbiciate, ma il kolossal sulla memoria collettiva di Bagheria (in dialetto, appunto,
«Baarìa») è esattamente l’opposto. Nella prima mezz’ora, il film va troppo di corsa è troppo pieno di roba, di personaggi, di situazioni, di musica. Vedendolo, siamo stati
sommersi: e mentre sudavamo le proverbiali sette camicie per orientarci fra le mille figurine che Tornatore espone nel suo album, ci auguravamo che il ritmo si allentasse, che il film prendesse ogni tanto fiato, che ci fosse il
tempo per affezionarsi a un personaggio. Dal trentesimo
10
minuto in poi, succede. Di gran lunga il più bello di
Tornatore dai tempi del Camorrista e di Nuovo cinema
Paradiso. Soprattutto perché diventa la storia di una famiglia, i Torrenuova, attraverso tre generazioni che partono dai tempi duri del fascismo, attraversano il dopoguerra e arriva al ’68, lasciando idealmente il testimone
al Grande sogno di Placido, e addirittura all’oggi, a Le
ombre rosse di Maselli. Sì, è una Mostra in cui la sinistra
si troverà di fronte a diversi ritratti, o autoritratti. Baarìa
è, appunto, un autoritratto. In gioventù Tornatore è sta-
Un affresco corale sulla
memoria collettiva.
to un militante del Pci e la storia dei comunisti italiani
incrocia continuamente la storia dei Torrenuova.
Peppino, il protagonista, è un ragazzino figlio di pastori,
che regala una piccola (e transitoria) fortuna alla famiglia rubando un po’ di soldi dalla casa del fascio mentre
gli americani sbarcano in Sicilia e tutta l’isola impazzisce.
Ma il denaro non sudato dura poco, e crescendo Peppino
diventa un militante del Pci, che lo manda a scuola (alle
mitiche Frattocchie), lo alleva per un futuro da dirigente, lo spedisce addirittura nell’Urss di Stalin dalla quale
torna con l’orrore negli occhi e il destino segnato; sarà,
per sempre, un riformista, a costo di vedersi contestare
dai figli negli anni ’60 e di dover spiegare a uno di loro
che riforrnista «è chi sa che, dando la testa contro il muro, si rompe solo il muro». Non ci sembra di cogliere revisionismi alla moda, nella lettura di Tornatore del passato d’Italia; la militanza è raccontata in modo problematico e orgoglioso, la mafia è sullo sfondo ma incombe
su tutto, i democristiani corrotti vedono benissimo le
mazzette anche quando sono ciechi. Non crediate, però,
ad un film di stampo neorealista. Baarìa è visionario, sfarzoso, esagerato, pomposo. Ti travolge con un’inventiva
che qua e là sfocia nel bozzetto, e regala nel finale una dimensione onirica. (...) Il gioco sulla memoria, la rievocazione del passato spingono Tornatore sul terreno del mito. Non si spiegano altrimenti le forti componenti magiche, il passaggio di generazione per cui i personaggi invecchiano all’interno di una singola inquadratura, il sogno dì un leggendario tesoro nascosto sui monti. Ci sono
tutte le componenti politiche e spettacolari perché
Baarìa sia un successo di pubblico, confermando in
Tornatore uno dei pochi narratori popolari del cinema
italiano. (...) I protagonisti sono due giovani sconosciuti
ma lungo il film non si contano i cammei, a volte brevissimi, di volti famosi: Monica Bellucci, Donatella
Finocchiaro, Angela Molina, Nino Frassica, Michele
Placido, Vincenzo Salemme, Giorgio Faletti, Leo
Gullotta, Aldo Baglio, Raoul Bova, Enrico Lo Verso,
Luigi Lo Cascio, Laura Chiatti... ma due parole vanno
spese per Ficarra & Picone, che come sempre capita ai
guitti di talento rivelano doti drammatiche da attori veri. Se Tornatore avesse girato il film 20-30 anni fa, ci
avrebbe messo Franco e Ciccio, con lo stesso risultato:
vittoria piena.
Alberto Crespi - L’Unità
Cucine, soggiorni, camerette, salotti,
armadi, arredobagno, complementi.
Via Palazzina, 135
tel. 045 8266122 - fax 045 8265922
Palazzina - Verona
Produzione propria,
Specialità dolci e salate,
Torte nuziali e rinfreschi
Viale Olimpia, 6 - tel. 045 545771
San Giovanni Lupatoto (VR)
Presentando
la tessera del Cineforum
sconto del 10%
Via F. Garofoli, 1
tel. 045 8753435
fax 045 547878
San Giovanni Lupatoto
(Verona)
Via Garofoli, 157 - Info line 045 545316
S. Giovanni Lupatoto - Verona - Chiuso lunedì
BANCHETTI CERIMONIE MEETING
NEL
CENTRO COMMERCIALE
SAN GIOVANNI LUPATOTO
S. S. VERONA-LEGNAGO
Via Isolella 7A - Asparetto di Cerea (VR)
Tel. - Fax +39 0442 83795
www.villaormaneto.com
Confezioni personalizzate
Oggettistica
Complementi d’arredo
MATRIMONIO BATTESIMO COMUNIONE
CRESIMA LAUREA ANNIVERSARIO
Piazza Umberto I, 127
San Giovanni Lupatoto (VR)
tel. 0458753610 - fax 0458775142
www.nelmiocielo.it - [email protected]
www.alma-it.net
Le proiezioni de
“L’Altro Cinema”
riprenderanno
l’11 gennaio 2010
))) Alma realizzazioni grafiche (((
Il Cinema Teatro Astra
augura a tutti voi
un Sereno Natale
e un Felice Anno Nuovo