leggi tutto (file Pdf)

Transcript

leggi tutto (file Pdf)
L’educazione all’affettività e alla sessualità nella prospettiva relazionale-simbolica
dei legami familiari e sociali
Raffaella Iafrate
Vorrei introdurre questo corso dedicato al Programma di educazione all’affettività e
alla sessualità Teen Star, inserendolo nella prospettiva Relazionale-simbolica dei
legami familiari e sociali elaborata dal Centro d’Ateneo Studi e Ricerche sulla
Famiglia dell’Università Cattolica di Milano diretto dalla prof.ssa Eugenia Scabini.
1.Credo che valga la pena di riflettere innanzitutto sulla scelta stessa di parlare di
“educazione” all’affettività e alla sessualità.
Nella nostra società attuale ci troviamo davanti ad una cultura dominata da uno
sbilanciamento a favore degli aspetti emozionali a discapito di quelli valoriali con
un’affettività sradicata dall’ethos, da una prospettiva di senso, percepita come pura
saturazione di un bisogno, senza direzione e scopo, ridotta a puro sentimentalismo, a
“ciò che si sente”, si prova. Anche a livello educativo si osserva tale equivoco
sbilanciamento: gli affetti paiono non bisognosi di educazione.
Già nelle prime relazioni con i bambini piccoli, si educano i bambini sul piano
cognitivo e –al limite- comportamentale, ma si ritiene l’affettività come “non
educabile”, a favore di uno spontaneismo che si risolve in un puro soddisfacimento
dei bisogni immediati. E tale atteggiamento è poi mantenuto anche lungo il percorso
di crescita, dalla scuola che si occupa di educare cognitivamente e culturalmente, ma
che riserva poco spazio alle dimensioni affettive e relazionali; alla formazione degli
adolescenti, sempre più seguiti ed emancipati sul piano intellettuale e sempre più
disorientati e in balia delle proprie dirompenti emozioni sul fronte relazionale ed
affettivo.
E’ quantomeno curioso, se non inquietante, osservare come il mondo moderno, così
attento a promuovere la crescita intellettuale delle nuove generazioni, così aperto
all’investimento di energie sul piano culturale, si accontenti di formare personalità
1
che pur essendo cognitivamente evolute, sono affettivamente incistate in uno stadio
evolutivo infantile, in un’affettività primordiale e incontrollata, spesso fonte di
sofferenza, se non di vera e propria patologia relazionale.
Il mondo degli affetti chiede dunque di essere formato e per così dire “raffinato” da
un lavoro educativo, non meno lungo e impegnativo di quello richiesto per la
formazione delle menti e delle cognizioni.
In caso contrario, il rischio incombente è quello di ridurre l’affetto all’emozione e
dunque di far diventare lo spazio dell’incontro con l’altro uno spazio di esclusiva
espressione dei propri bisogni e dei propri desideri.
2.C’è infatti una notevole differenza di significato tra la parola emozione e la parola
affetto anche se oggi si tende ad utilizzarle in maniera intercambiabile.
EMOZIONE
AFFETTO
L’etimologia del termine emozione si L’affetto
invece
già
nell’etimologia
ritrova infatti nel verbo latino "ex- Affectus” (da afficio nella sua forma
moveo", che significa “muovere-fuori, passiva) significa “sono colpito, sono
uscire, sgorgare”: l'origine della parola mosso” da qualcun altro. L’affetto è
richiama
quindi
un
movimento prima di tutto un incontro con l’altro.
individuale che da “dentro” va verso Qualcosa o qualcuno colpisce il mio io
“fuori”.
ed io gli vado incontro. L’affetto ha una
direzione ed esprime un legame con
l’altro.
Nell’emozione
emerge
la
sola Nell’affetto ci sono due persone che si
dimensione individuale che sottolinea la incontrano.
valenza di “bisogno da soddisfare”, più L’esperienza affettiva mi supera e mi
che di esperienza di incontro con l’altro, apre all’ignoto dell’in-contro (ossimoro
con il “diverso da me”.
che unisce i due concetti opposti di in =
L’emozione pone in primo piano la verso e contro) e della relazione, sia nei
persona che la sperimenta
suoi aspetti di vincolo (re-ligo), sia di
2
riferimento di senso (re-fero). In quanto
“legame” (ciò che “lega”) porta quindi
con
sé
vincoli,
limiti
oltre
che
potenzialità e risorse e in quanto
“riferimento di senso” rimanda ad “altro”
rispetto a ciò che si osserva, rimanda cioè
ad un legame che precede l’interazione in
atto
e
ne
significativo.
costituisce
il
contesto
Caratteristica
della
relazione, a differenza dell’interazione
contestualizzata nel qui ed ora, sono
dunque i tempi lunghi, è la storia
personale e sociale che lega un uomo e
una donna, due amici, un genitore e un
figlio, un educatore e un discepolo.
Parlare di relazionalità della vita affettiva
significa pertanto uscire da una visione
egocentrata e proiettare gli affetti in una
prospettiva, che non può essere esaurita
nell’istante dell’interazione di scambi
immediati e di bilanci frettolosi, come
quello che giudica la bontà di una
relazione in base alla gratificazione
immediata o da ciò che se ne ricava.
La dimensione relazionale è peraltro
connaturata
con
l’umano:
anche
l’individuo più isolato e solitario porta i
segni di un’appartenenza sociale, che è
prima di tutto familiare (già presente nel
nostro nome e cognome). Gli esseri
3
umani sono dunque "esseri relazionali".
Rivendicare la natura relazionale degli
affetti significa pertanto riconoscere la
profonda verità di una caratteristica
peculiare dell’essere umano, che non si
spiega
dentro
ad
una
prospettiva
individualistica.
L’emotività inoltre segue il principio del
L’affetto non necessariamente procura
piacere: ricerca delle emozioni positive
piacere: a volte chiede di rimandare il
ed evitamento di quelle negative (o
tempo in cui viene soddisfatto.
ricerca di emozioni anche negative ma
L’affetto è guidato da un’etica che può
sempre con l’intento di ricavarne un
spingere anche a rinunciare al piacere
piacere, seppur “per-verso”), ricerca del
immediato per il bene, il buono , il
piacere e rifiuto negazione della
giusto. Nell’esperienza affettiva si può
sofferenza.
anche rinunciare al piacere, si può anche
soffrire per il bene dell’altro (esperienza
del sacrificio di sé, del perdono dei torti
subiti…).
La prospettiva secondo cui leggere l’esperienza affettiva e sessuale è molto diversa se
fa perno sulla dimensione emotiva o affettiva in senso pieno. Un’autentica vita
affettiva, come esperienza profondamente rispettosa dell’umano, non può dunque che
essere:
a. un’esperienza di relazione;
b. congiunta ad una dimensione etica.
3. Date tali premesse, parlare di sessualità in prospettiva educativa e relazionale è già
una scelta.
4
Va detto che non esiste esperienza emotiva, né esperienza affettiva che non abbia una
profonda e larga implicazione corporea (di un corpo “sessuato”).
Che il corpo sia una parte ineludibile del nostro io e della nostra individualità è un
dato evidente ed innegabile. Basti pensare a come lo sviluppo della coscienza a
partire dall’esistenza corporea e come la nostra identità si sviluppi attraverso le
trasformazioni che il nostro corpo subisce a come il corpo possa esprimere il nostro
benessere ed il nostro malessere al di là delle parole (vedi psicosomatica, esempio di
anoressia- Anoressica con corpo trasmette sofferenza/con la parola “va tutto bene”),
ma il punto sta proprio nella concezione di questo io: se lo intendiamo cioè come un
io individuale ed astrattamente isolato dall’altro o se sostanzialmente come io-inrelazione.
Si tratta cioè di capire se a dominare la scena è un “corpo per le emozioni” o un
“corpo per gli affetti”.
A partire da quanto detto fin qui, l’esperienza dell’emozione pare maggiormente
riconducibile al corpo inteso in un suo primo significato individualistico-narcisistico.
Non si fatica a trovarne espressione nel nostro contesto sociale: il corpo oggi è infatti
vissuto spesso in termini narcisistici: il corpo è interpretato prevalentemente come
un bene dell’individuo da curare, di cui godere, da coccolare, da tenere in forma, da
esibire: pensiamo all’impressionante diffusione ed al successo sempre crescente di
palestre, centri di benessere, beauty-farm e alla dominanza dell’ “immagine” o
meglio del “look” come condizione fondamentale per sostenere qualsivoglia
esperienza socialmente accettabile.
Come osserva Carmelo Vigna, tuttavia, “il corpo che mostriamo “in ordine”
sostanzialmente per lo sguardo degli altri è divenuto il luogo disordinato dell’io. In
questo senso il corpo dell’uomo contemporaneo sembra un luogo di contraddizione:
servito e vezzeggiato dall’esterno,è invece sovente violato dall’interno perché i moti
dell’animo vi spadroneggiano. Questo in qualche modo spiega i corsi e ricorsi
dell’ossessione dietetica, l’affidamento alla chirurgia estetica, l’uso indiscriminato
dei farmaci, la tentazione delle droghe, l’uso smodato della sessualità intesa come
puro “sfogo degli istinti” e via discorrendo.
5
Il problema di questa prospettiva individualistico-narcisistica è dunque che si tratta di
una prospettiva “esterna”, che non incontra e non si armonizza con la natura più
profonda dell’uomo.
La chiave di lettura per parlare del corpo opposta a quella individualistico-narcisistica
è invece quella relazionale.
Abbiamo visto come ciò che fa problema alla nostra cultura è proprio il riferimento
ad “altro” fuori dal sé, al vincolo dei legami al senso del limite che inevitabilmente
accompagna l’incontro con l’altro (tu sei ciò non sono io).
Parlare di corpo in relazione significa invece introdurre l’idea di corpo inteso come
“limite”, “confine” con il quale continuamente fare i conti. Il paradosso di questa
prospettiva è che proprio su questo limite intrinsecamente umano si colloca la più
grande potenzialità, la più straordinaria risorsa della persona: solo in questa seconda
prospettiva (che si basa sull’affermazione della natura relazionale dell’individuo) è
infatti possibile interpretare il corpo come mediatore tra me e l’altro, come potente
strumento di comunicazione (anche con la comunicazione non verbale, in particolare
sessuale), come mezzo espressivo, come un “corpo-dono”, “corpo per gli altri”.
corpo ci parla del legame nella sua origine (vedi ad esempio come la somiglianza
fisica ci parla del legame tra generazioni “ assomigli a tua nonna,”, “hai il naso di tuo
padre” ) e nel suo scopo (il corpo , nella sua differenziazione sessuale può procreare).
A fronte di una realtà culturale dove spesso ci si pensa “autogenerati” e forse proprio
per questo spesso spaventati dalla differenza –se non addirittura violenti nei confronti
di essa; a una cultura attraversata dalla fantasia onnipotente di superamento del
limite (tra cui quello del genere di appartenenza) e poco interessata a fornire di senso
e ad indicare obiettivi alle esperienze di vita degli individui, la concezione di corpo in
relazione si propone come luogo dell’incontro tra le differenze orientato ad un
obiettivo che si può tradurre nell’espressione “generatività biologica e sociale”:
sappiamo infatti che la generatività è propria dell’incontro tra differenze e questo è
vero sia a livello biologico (come avrete modo di trattare ampiamente durante questo
corso), sia simbolico.
6
La vera sfida culturale di oggi sta dunque nel recuperare il senso, l’obiettivo della
vita umana, la sua più intrinseca funzione, ossia quella generativa.
Erikson rimarcava come dal punto di vista psicologico, la tendenza fondamentale
che segna l’età adulta è riassumibile nella “generatività”. Tale tendenza indica la
capacità di uscire dalla narcisistica esclusiva preoccupazione di sé per prendersi cura
delle nuove generazioni, non necessariamente nei termini della procreatività
biologica.
Condizione fondamentale perché l’adulto sia “generativo” è che egli
abbia raggiunto un equilibrio tra dimensioni di bisogno individuale e dimensioni di
responsabilità verso l’altro. Totale intimità e totale alterità sono infatti i due estremi
che si toccano nell' esperienza del generare .Gli aspetti individuali sono dunque
fondamentali, ma non sufficienti per definire una piena identità adulta.
Il superamento di una prospettiva individualistica è inoltre la condizione che consente
di passare da una concezione di generatività tutta interna al nucleo familiare ad una
concezione di autentica generatività sociale. St. Aubin, Mc Adams, e Kim descrivono
la generatività sociale come interesse ad impegnarsi ad andare al di là di se stessi per
promuovere le future generazioni. La presa in carico dei giovani, contribuisce al
rafforzamento e alla continuità delle generazioni poiché fornisce guida e direzione, e
si prende carico della crescita e del benessere non solo dei propri figli, ma anche
degli altri giovani che appartengono alla medesima generazione di questi ultimi.
Mentre la generatività biologica assicura la continuità del proprio patrimonio
genetico, quella sociale si estende a tutti i ragazzi che devono diventare adulti: si può
cioè considerare la capacità di “far crescere i figli altrui come se fossero i propri
figli”. La stagnazione è soprattutto il fallimento della generatività sociale, perché essa
minaccia il futuro dell’intera società.
Come afferma Scabini, va detto peraltro che vi è una relazione reciproca tra
generatività e paura della morte: è la consapevolezza della fine che spinge ad essere
generativi, e tutte le forme di generatività progressivamente favoriscono
l’accettazione della morte facendo maturare l’amore per la vita. Drammatico dunque
quando una società non è più generativa, perché paradossalmente ci sta dicendo che è
7
una società che non è in grado di affrontare la sfida più importante ed ineludibile per
l’essere umano, ossia la propria morte.
La tentazione onnipotente di un corpo senza limiti, nemmeno quello della sua definizione sessuale, forse ci parla di questa paura inaffrontabile, fondamentalmente di
una mancanza di speranza.
4.Sottolineare la natura intrinsecamente relazionale del corpo (diverso da oggetto
narcisistico) è dunque rifiutare l’attuale stravolgimento antropologico ossia una
concezione di uomo che nel campo affettivo tende sempre più a diventare “ciò che si
sente”, frutto di una separazione tra corpo e mente; una concezione dalla quale ciò
che viene a mancare è l’idea stessa di Persona come essere umano con suoi attributi
di dignità e libertà, in cui fisicità e spiritualità, natura e cultura sono ricondotti ad
unità secondo una prospettiva che supera e trascende ogni deriva spiritualistica e
materialistica, ma anche individualistica e collettivistica. Nella “persona”, coscienza,
affetti e responsabilità sociale infatti non si contraddicono, ma sono dimensioni
indispensabili per la piena realizzazione dell’uomo che, proprio in quanto persona, è
fondamentalmente “relazione” con l’altro.
Occorre dunque ribadire con forza che veramente degno dell’uomo è un’esperienza
affettiva che non si riduce alla dimensione istintivo- biologica, ma al tempo stesso
non la rinnega a favore di un astratto spiritualismo; è un’esperienza che trascende il
determinismo dell’ordine biologico per approdare ad un orizzonte di libertà; è
un’esperienza che è espressione della persona nella sua interezza, ossia dell’essere
umano come essere individuale e sociale, dotato di istinto e di ragione, di passione e
responsabilità.
Rilanciare il tema della sessualità in prospettiva relazionale e della generatività come
obiettivo intrinseco dell’esistenza è la via privilegiata per dare ai nostri limiti un
respiro di speranza e di piena realizzazione dell’esperienza umana.
Il mio augurio è che questo percorso che oggi state per intraprendere possa aiutare
ciascuno di voi a prendere coscienza fino in fondo di quella misteriosa e meravigliosa
“eccedenza” che il nostro corpo comunica. Buon lavoro.
8
BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO
Botturi F., Vigna C., (a cura di) (2004), Affetti e Legami, Vita e Pensiero, Milano
Bradbury, T. N., Karney, B., Iafrate, R., e Donato, S. (2010). Building Better Intimate
Relationships: Advances in Linking Basic Research and Preventive Interventions. In V. Cigoli e M.
L. Gennari (a cura di), Close relationships and community psychology: an International perspective,
Milano, Franco Angeli, pp.224-240
Cigoli V., Scabini E. (2006), Family Identity. Ties, Symbols and Transitions, Taylor Ed., New York
Erikson, H.E. (1963). Childhood and society (2nd ed.), Norton, New York.
Gomarasca, P. (2007). La ragione negli affetti. Radice comune di logos e pathos, Vita e Pensiero,
Milano.
Greco, O., Comelli, I., & Iafrate, R., (2011) Tra le braccia un figlio non tuo. L’esperienza degli
operatori e delle famiglie nell’affidamento di neonati, Milano, Franco Angeli.
Iafrate R. (2008). Prevenzione in famiglia, ricetta contro le crisi? Vita e Pensiero, 5, pp.129-135.
Iafrate R. (2006), Vita Affettiva, Il Regno, 1000, pp.633-641
Iafrate R., Famiglia ed educazione al bene comune, in G.C. De Martin e F. Mazzocchio (ed),
Formare al Bene Comune, AVE, 2007, pp.103-114.
Iafrate R., Vita Affettiva. Le sfide odierne, Vita Pastorale, 8-9, 2007, pp. 90-92.
Iafrate R., Prevenzione in famiglia, ricetta contro le crisi? Vita e Pensiero, 5, 2008, pp.129-135.
Iafrate, R. (2008). Il contributo della famiglia alla sensibilizzazione dei figli al bene comune,
Dialoghi, 4.
Iafrate R. (2008), Vita Affettiva, in CEI, Testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo, Atti del
4° Convegno ecclesiale nazionale, EDB, pp. 207-227.
Iafrate R. , Educo i miei figli mostrando che sono una mamma felice, Intervista rilasciata a Paola
Bignardi, Educazione. Un’emergenza?, La scuola, 2008, pp.73-83.
Iafrate R., Costruire gli affetti e le relazioni, in AAVV, Fare Progetto Culturale, Ed. San Paolo ,
2008, 35-43.
Iafrate R., Donare e far crescere la vita, in AAVV, Fare Progetto Culturale, Ed. San Paolo 2008,
45-54.
Iafrate, R. (2009), Frattura del legame e giovani generazioni: effetti della separazione coniugale sui
figli adolescenti e giovani adulti, in L. Melina C. A. Anderson (a cura di) L’olio sulle ferite Una
risposta alle piaghe dell’aborto e del divorzio, pp. 41-52, Ed. Cantagalli, Siena.
Iafrate, R. (2009). La resa all’emotività crea non -relazioni, Piuvoce.net, novembre 2009.
Iafrate, R. (2010), La ruptura del vínculo y las generaciones más jóvenes: los efectos de la
separación conyugal en los niños adolescentes y adultos jóvenes, in L. Melina, C. A. Anderson (a
9
cura di), Aceite en las heridas. Analisis y respuestas 0del aborto, Madrid, Ediciones Palabra, pp.3951
Iafrate R., La relazione come luogo primario dell’educazione. Gli orientamenti Pastorali per il
decennio 2010-2020, (in press) Vita Pastorale,
Iafrate, R., & Giuliani, C. (2006). L’enrichment familiare: interventi preventivi per la famiglia.
Carocci editore.
Iafrate, R., Bertoni, A. (2007), Rilanciare l’identità della famiglia per renderla protagonista nella
comunità: i Percorsi di Promozione e Arricchimento dei Legami Familiari, Psicologia di comunità ,
1, pp. 95-116.
Iafrate, R., Rosnati Rosa (2007),. Riconoscersi genitori. I Percorsi di Promozione e Arricchimento
del Legame Genitoriale, Edizioni Erikson, Trento
Iafrate, R., Rosnati R., Bertoni A. (2007). Percorsi di Promozione e arricchimento dei Legami
Familiari. In E. Scabini, G. Rossi (a cura di), Promuovere famiglia nella comunità, pp.113-140,
Milano, Vita e Pensiero.
Iafrate, R., Barni, D. (2010). La trasmissione dei valori tra genitori e figli, Vita e Pensiero, 3, pp.
100-105.
Iafrate, R., & Bertoni, A., (2010), Gli affetti. Pro-muovere i legami familiari e sociali, Editrice La
Scuola, Brescia.
Iafrate, R., Donato, S., Bertoni, A. (2010), Knowing and promoting the couple bond: research
findings and suggestions for preventive interventions, INTAMS review, Journal for the Study of
Marriage & Spirituality, 16,1,65-82.
Iafrate, R., Marzotto, C., & Rosnati, R. (2010), Buone pratiche di intervento per la promozione dei
legami familiari, in E. Scabini, G. Rossi (a cura di), La ricchezza delle famiglie, Milano, Vita e
Pensiero, pp.159-177.
Iafrate, R., & Regalia, C. (2010), Come colonne di un tempio. L’identità di coppia, in Camillo
Regalia, Elena Marta (a cura di), Identità in relazione. Le sfide odierne dell’essere adulto, The
McGraw-Hill Companies, S.r.l., pp. 35-51.
McAdams, D.P., & De St. Aubin, E. (1992). A theory of generativity and its assessment through
self-report, behavioral acts, and narrative themes in autobiography. Journal of Personality and
Social Psychology, 62, pp. 1003-1015.
Scabini E., G. Rossi G.(a cura di), (2006), Le parole della famiglia, Milano, Vita e Pensiero.
Scabini E., Rossi G.(a cura di) (2007), Promuovere famiglia nella comunità, Milano, Vita e
Pensiero, pp.113-140.
Scabini, E., & Cigoli, V. (2000). Il Famigliare,Ed. Cortina, Milano
Scabini, E., & Iafrate, R. (2003). Psicologia dei legami familiari. Bologna, Il Mulino.
Sito : www.unicatt.it/centrofamiglia
10