Chi è Genevieve? - Gabriella Franchini
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Chi è Genevieve? - Gabriella Franchini
34 | SPECIALI G enevieve c’est moi... No, non sono nata a Parigi non sono Francese, sono nata a Milano da genitori Modenesi, ultima di cinque figli, la “ribelle” di casa, la più coccolata, se si può viziare qualcuno quando i soldi sono veramente pochi. Avevamo una casa, grande, non abbastanza ampia per poter avere una camera per ognuno di noi figli, una camera dei miei genitori, una per i miei fratelli maschi, io e mia sorella in salotto in un divano, a letto matrimoniale, a quadretti in velluto (non bello, diventato per me bello nel tempo, nei miei ricordi) Fin da piccolissima avevo due grandi passioni: scrivere, scrivere e scrivere. Nel mio diario, i fogli non bastavano mai, tant’è che mio fratello, il più piccolo dei maschi e più grande di me di nove anni, mi regalava,quando riusciva a farmi un regalo, diari, blocknotes per poter raccontare solo a me stessa, le mie giornate, le mie emozioni, i miei sogni, nessuno doveva sapere, con gli amici giocavo, ma solo a quel milione di fogli aprivo il mio cuore scrivendo di come i miei occhi vedevano la vita e cosa provavo. Un altra cosa che a me piaceva e che purtroppo raramente accadeva era che mio fratello Franco e a volte mia sorella Giuliana, si sedevano vicino a me e iniziavano a leggermi le pagine di un libro. Franco, mio fratello aveva decine e decine di libri, tra i quali moltissimi di poesia, purtroppo ero troppo piccola per capire le parole, l’intensità e la profondità, però mi piaceva il tono della sua voce, adoravo quel suo- | SABATO 14 NOVEMBRE 2015 Chi è Genevieve? no per me magico. L’altra mia grande passione era la moda, quando eravamo piccoli la mamma ci portava in “centro” tutti e cinque, tutti in fila, ovviamente io ero controllata a vista da tutti, non stavo mai ferma, saltavo e ballavo sempre e ovunque mi trovassi, in casa, in cortile, all asilo, per strada, sempre! Per questo i miei fratelli, sopratutto mia sorella, quando ci trovavamo per strada, mi bloccava letteralmente il braccio, ogni volta che mi vedeva “volare” via, era una lotta continua, invece io ridevo come la più tremenda delle monelle. Spesso venivo messa in punizione, sopratutto da Franco, il più attento su ciò che combinavo o potevo provare a combinare, sentivo la sua voce severa arrivarmi da lontano: ”Gabriella”. Mi bloccavo, poi con il viso intristito, cercavo senza risultati di riuscire ad addolcirlo, imparai con il tempo a guardarmi intorno, per capire se poteva vedermi, quindi sgridarmi, cavolo non mi è mai piaciuto essere sgridata. “Andiamo in centro” ci diceva la mamma, ovviamente per lei, bisognava andarci a piedi, non era lontanissimo da cosa nostra, nemmeno vicinissimo, 6 fermate di metropolitana, vi chiederete come mai non usavamo i mezzi pubblici? Semplice: 5 biglietti costano troppo, poi come furbamente diceva mia mamma, camminare fa benissimo. Arrivando in centro a Milano, zona Duomo (Milan può dir Milan può far). A me tutto appariva bello, vedendo le vetrine, boutique di abbigliamento o arredamento a me sembrava di essere in mondo incantato, e dentro quel mondo io sapevo entrarci, immaginavo, osservavo incantata, fantasticavo, essere lì per me, era il regalo più bello. Guardavo le commesse, per me bellissime, eleganti, perfette, impeccabili, come dico io: vestite bene, mi sembrava quasi di sentire il loro profumo, un profumo diverso da quello che ogni tanto sentivo nel mio quartiere, sicuramente era la mia immaginazione ma quel profumo io lo annusavo e mi piaceva proprio. Osservavo le loro clienti, con le loro gonne a pieghe, si vedeva da lontano quel tessuto corposo, il taglio della gonna e i colori, un bellissimo blu, verde scuro, il nero, il color cammello, le loro camicette dal collo piccolo, bianche, un bianco impeccabile, sotto a quei golfini blu o grigi allacciati con cura. Io ero lì, piccola, bloccata da tutto questo. Niente e nessuno, nemmeno ricevere in dono le bambole più belle potevano creare in me la stessa emozione. A me le bambole non piacevano, non ne ho mai avute e mai le ho desiderate. Il mio gioco da bambina era un orsacchiotto e tanti cuscini da vestire. C’era un altra cosa che mi rendeva veramente felice, a parte giocare con gli amici in cortile, ed era quella di andare a casa della mia amica Rebecca. Casa sua sembrava uscita da A.D. (rivista delle case più belle del mondo), tappeti colorati distesi su pavimenti di marmo pregiato, un salone grandissimo con quel divano in pelle color marrone e quel tavolo lunghissimo in legno (quello bello o meglio quello buono) e riviste di moda sparse ovunque, Rebecca mi osservava stranita, quando le chiedevo: “Posso sedermi sul tuo divano e guardare le riviste moda di tua mamma?”. “Si, si prendile pure, però Gabri lo sai che sei un po’ strana, ho mille giochi in camera mia, potremmo giocare con le bambole, le cucine o altri bellissimi giocattoli” mi rispondeva. Non potevo risponderle “No, non mi piacciono quei giochi”, lei era così gentile da voler giocare con me, però le rispondevo: “Dai magari più tardi” e continuavo così a sfogliare quelle riviste, rapita da ogni abito e da ogni sua modella. Non so spiegare cosa provassi in quel momento, però una cosa era certa, mi emozionavo ogni volta. Tutto è nato qui, le mie passioni, libri, scrivere e moda, certo ero piccola, non potevo sapere dove mi avrebbero portato queste grandi emozioni, ma sapevo o meglio sentivo che ciò che veramente mi faceva stare bene era tutto questo. Da Milano negli anni mi trasferì a Modena, città natale dei miei genitori. Quante cose accadute prima del mio trasferimento, quante cose accadute dopo. Non ho potuto studiare (ciò che si vuole veramente comunque si riesce a fare) grave peccato e grande errore. Ho iniziato a fare la commessa a soli quattordici anni, in una via del centro storico, via Trivellari, boutique “Camomilla”, li ero felice. Dopo di lì ho lavorato in diversi negozi e fatto altre esperienze nel campo della moda, sempre un passo più avanti all’altro fino al famoso gruppo MaxMara (Max&CO), ottima scuola di formazione a livello alto, di abbigliamento donna. Infine da 16 anni lavoro in una boutique del centro che io amo, grazie ai miei titolari, nonché amici ho imparato tanto, ho fatto la “gavetta” come tutti, a volte ho anche pianto, non mi sentivo all’altezza di tanto “sapere” di questo “mondo”, però tante innumerevoli volte mi sono sentita felice, orgogliosa, fortunata. Non mi dimenticherò mai, la prima sfilata a Milano in veste di “compratori”, quella notte non ero riuscita a dormire, troppo agitata, sentivo il cuore che mi batteva forte, le sfilate a Parigi; in silenzio ad osservare i miei titolari ad imparare e carpire piccoli “segreti” del mestiere, ogni tanto potevo dire la mia, ci provavo, quanto ero grata di tutto questo. Arrivò anche per me il momento degli acquisti negli show room per il negozio, bè lì mi sentivo come un Direttore d’Orchestra (della moda), che gioia, guardare, vedere e SCEGLIERE. Scegliere è una delle cose più belle, emozionanti, pensi alla “tua” città, vedi i visi dei tuoi clienti e provi ad immaginare quale capo potrebbe stare bene, ad uno e all’altro, poi ti spingi un po’ più in là, e provi a scegliere e comprare quello che ancora non si conosce, un nuovo stile, una nuova idea, piacerà? Non si può sapere, ma tu ci credi, piace a te, a noi “addetti” ai lavori, e questo è importante, è bello, è sano comprare ciò che sentì, ciò che ti crea emozione, è bello scegliere ciò che veramente ti piace, perché potrai offrire, vendere “verità”, credetemi non è solo questione di “cassetto”, di soldi quindi, è passione, rispetto, coraggio e amore per le scelte, per il proprio negozio, per i clienti che hai o che potranno arrivare, è amore per ciò che fai. Questa è la grande vittoria. Questa è la grande scommessa ogni volta che un “negoziante” acquista per il suo negozio. Insieme al negozio, alla moda, alle sfilate, agli show room, alle fiere, alle vetrine e manichini vestiti, cresce sempre di più in me l’altra mia grande passione: “scri- vere”. Ecco che mi si presenta la grande occasione di poterlo fare (ringrazio Prima Pagina). Scrivere di moda, del mio lavoro, delle tendenze, con umiltà e quella “conoscenza” che ho imparato da altre persone, da viaggi vicini o lontani nel mondo della moda, le mie non sono le “verità”, non sono “leggi” sono solo opinioni, come io interpreto la moda, ciò in cui credo e vivo e ho vissuto nei giorni e negli anni. Arriva quindi lo pseudonimo “Genevieve” (intanto il nome Genoeffa un po’ lo sento mio, Genevieve è più artistico però), non mi sembrava corretto scrivere il mio nome e cognome, un po’ per sana “vergogna”, un po’ perché volevo sentirmi libera di poter scrivere ciò che veramente mi piace senza creare condizioni a nessuno, un po’ perché nella mia vita non c’è solo la moda. Se avete letto o leggerete i miei vecchi articoli dove mi firmavo solo “Genevieve”, non ho scritto solo di stilisti che trovate nel negozio dove lavoro (certo ciò che vendiamo è sicuramente ciò che sento e ciò che mi piace), ho scritto anche ciò che veramente sento vicino al mio modo di essere e di interpretare la moda, non vendevo e non vendo Armani, Valentino, Givenchy, Dries Van Noten, Saint Laurent, Jil Sander e altri creatori, però ho scritto anche di loro, perché se una loro creazione a me piace è giusto dirlo è giusto esprimerlo. Martin Margiela è una cosa a s’è, scriverò sempre e parlerò sempre di lui, e delle sue linee, perché è lo stilista che in assoluto veramente “sento” dentro, che ammiro, che trovo geniale, rispecchia veramente il mio modo di vedere e sentire la moda, si è proprio così. È arrivato il libro, ringrazio Modena per l’affetto e l’amore che mi ha dimostrato e ho sentito così forte, facendomi provare emozioni che nessuna frase o ringraziamento riuscirebbe ad esprimere cosa ha voluto significare per me. Ecco quindi che “Genevieve” parla di moda, di stagioni, di tendenze, di pensieri di opinioni, e anche di me, di una parte importante, parla del mio lavoro, sono una commessa (definizione “addetta alle vendite”), più o meno capace, non lo so, quello che è certo che sono orgogliosa di esserlo. Devo tanto, tantissimo al mio lavoro, a chi mi ha insegnato, a chi mi ha donato gli strumenti per poter dire comunque la mia opinione, in questo mondo dove credetemi non ci sono solo tessuti, abiti, cappotti, scarpe o vetrine allestite, c’è molto di più, perché ciò che indossiamo, davvero, parla di noi. Il mio lavoro mi ha anche permesso di “crescere” la persona più importante della mia vita: mia figlia, oggi ragazza splendida. Commessa? Presente, felice di esserlo. L’altra parte, la mia vita, la mia storia, il libro, la mia famiglia, chi amo, li c’è davvero il mio nome e il mio cognome. Genevieve Franchini Gabriella