Costruire videogiochi didattici per l`insegnamento delle lingue

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Costruire videogiochi didattici per l`insegnamento delle lingue
Costruire videogiochi didattici per l’insegnamento delle lingue
Andrea Carosso
Università degli Studi di Genova
[email protected]
Il mio articolo illustra la costruzione di
videogiochi didattici per l’apprendimento
delle lingue.Inoltre, vorrei sostenere che
non solo gli studenti sono più motivati ad
apprendere attraverso i videogiochi rispetto
alla tradizionale didattica della lezione
frontale, ma che apprendono meglio e più
velocemente. Cercherò inoltre di dimostrare
come sia possibile produrre utili videogiochi
senza necessariamente avere nozioni
approfondite di programmazione.
My article is about the construction of
educational computer games for learning
languages.I would also like to reiterate the
concept that students are generally more
motivated to learn through videogames
rather that through the traditional “frontal”
methodology. Furthermore I intend to
demonstrate how easy it is to create simple
videogames, which can also be easily
adapted to different levels and tasks and
do not require specific programming
notions on the part of the teacher .
Se mi dici una cosa posso dimenticarla.
Se me la mostri anche può darsi che me la ricordi.
Ma se mi coinvolgi non la dimenticherò più.
(Rabindranath Tagore)
1. Introduzione
I videogiochi costituiscono ormai parte integrante dell’immaginario giovanile. Qualunque sia il giudizio
che si voglia esprimere in proposito, il dato di fatto non può essere negato e andrebbe preso in seria
considerazione anche da un punto di vista didattico. Questo, però, accade molto di rado: i videogiochi
infatti sono spesso stati accusati di distruggere le menti dei ragazzi (Krahè, Möller 2009), distogliendoli da
attività considerate molto più produttive per una buona crescita. Solo recentemente si è cominciato a
pensare ad un approccio nuovo al problema, anche se permangono difficoltà culturali molto accentuate.
Le ricerche che sono state effettuate hanno provato le positive ricadute dell’uso ludico-didattico delle
nuove tecnologie (Gee 2004; Raessens, Goldstein 2005; Squire 2005) per apprendenti in buona parte ormai
“nativi digitali”. Brown, per esempio, sostiene che gli studenti di oggi guardano alla tecnologia come ad
una parte integrante della propria vita: per molti di essi il calcolatore è un compagno di giochi e di studio fin
dall’infanzia (Brown 2002). Studi recenti (Ang, Rao 2008) sostengono che gli studenti sono più motivati ad
apprendere attraverso i videogiochi, che ovviamente non dovrebbero sostituire, ma integrare, la didattica
tradizionale.
Nonostante questi dati di fatto, la scuola continua ad operare con una logica culturale che sembra non
accorgersi dei cambiamenti apportati dalla tecnologia nella vita dei bambini (Squire, Jan 2007). La didattica
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curricolare rimane dominata dal materiale stampato, prodotto di teorie pedagogiche che considerano gli
studenti come semplici recettori passivi. In pratica il mondo sta rapidamente cambiando, ma la scuola no.
In questo intervento, vorrei sostenere che non solo gli studenti sono più motivati ad apprendere
attraverso i videogiochi rispetto alla tradizionale didattica della lezione frontale, ma che apprendono meglio
e più velocemente. Cercherò inoltre di dimostrare come sia possibile produrre utili videogiochi senza
necessariamente avere nozioni approfondite di programmazione: è questo un tema che mi pare
fondamentale, perché un mutamento nell’atteggiamento dei docenti verso la didattica ludica passa anche
attraverso la loro capacità di manipolare programmi che, sebbene costruiti in modo intuitivo, possono
rivelarsi produttivi. Intendo poi applicare questa metodologia alle lingue straniere, per tre motivi principali:
il primo riguarda la rapida verificabilità delle competenze acquisite, qualora si rimanga in campi ben
delimitati; il secondo perché nella lingua troviamo oggetti e relazioni, che si prestano perfettamente, con le
loro forme e i loro colori, ad incatenare l’attenzione; il terzo è legato alle tradizioni della glottodidattica, che
ha una lunga consuetudine con gli ausili multimediali.
La parte sperimentale è consistita nella realizzazione di videogiochi didattici, che ho via via caricato e
reso disponibili in un sito (http://www.giocoeimparo.altervista.org), e quindi nella loro somministrazione
ad un numero molto consistente di studenti in classi curricolari in Italia e a Malta. La sperimentazione si è
conclusa con l’analisi dei risultati ottenuti
I giochi sperimentati sono finalizzati all’apprendimento delle lingue ad un livello elementare, ma è facile,
per un insegnante motivato, adattarli anche a diverse esigenze. Proprio per questo anche nel sito di cui
sopra sono stati inseriti i “file sorgente”, modificabili a piacimento: l’idea di base è quella di offrire uno
strumento “open source” dedicato ai giochi didattici, di cui non esistono attualmente molti esempi.
Per sviluppare questi punti ritengo però necessario un breve excursus storico ed una breve panoramica
sullo stato dell’arte per ciò che riguarda i videogiochi e l’apprendimento linguistico.
2. Videogiochi e apprendimento linguistico
Già le civiltà antiche usavano i giochi bellici per sviluppare le strategie di combattimento (Gredler 1996)
e da sempre l’imitazione ludica ha svolto un ruolo importante nell’apprendimento di utili abilità da
esercitare in contesti “seri”. I giochi, oggi, sono diventati –anche- “videogiochi”, ma non hanno cambiato
funzione: gli eserciti utilizzano sempre più frequentemente raffinate simulazioni basate sui videogiochi per
addestrare più velocemente i soldati (Herz, Macedonia 2002; Prensky 2001) tanto nella guerra quanto in
altre campi e abilità. Per esempio, anche nell’apprendimento delle lingue straniere (Anderson et al. 2008).
In Europa le ricerche più recenti hanno affermato l’utilità dei videogiochi nella didattica; progetti quali:
Højby school, in Danimarca, The Consolarium, in Scozia, Farm Frenzy, in Francia, DANT/IPRASE, in Italia (4
anni, 1000 insegnanti, 10000 alunni), The Games Atelier, nei Paesi Bassi, Zoo Tycoon 2, in Austria, hanno
evidenziato che gli alunni sono più motivati ad apprendere con i videogiochi rispetto alla didattica
tradizionale.
2.1. Il gioco: questo sconosciuto
Malgrado le sperimentazioni siano concordi nell’affermare la validità di giochi e videogiochi per la
didattica (Paciaroni 2008; Prensky 2008; Tanoni 2003), sussistono ancora incertezze sulla definizione di
gioco anche in ragione delle tante angolazioni dalle quali è possibile affrontare questo tema. Forse per
questo è molto difficile darne una definizione univoca. Sul dizionario enciclopedico di psicologia HarréLamb-Mecacci possiamo ad esempio leggere: “gioco (concetti e criteri) – non esiste una definizione di gioco
che trovi tutti d’accordo. Sono stati fatti innumerevoli tentativi in questo senso, ma nessuno è stato
accettato universalmente”.
La spiegazione di ciò sta forse nelle parole di Bruner: "Le scienze del comportamento sono inclini a una
certa prudenza non soltanto per quanto concerne i loro procedimenti di ricerca, ma anche per quel che
riguarda la scelta dei temi che devono prestarsi a una trattazione rigorosamente scientifica. Non c’è quindi
da stupirsi del fatto che quando gli scienziati ampliarono il loro campo d’indagine sino ad includervi gli inizi
dello sviluppo umano, girarono al largo da un fenomeno così poco serio com’è il gioco, in quanto, per
l’impossibilità di definirlo in modo corretto e preciso, esso non era suscettibile di una trattazione a livello
sperimentale" (Bruner 1981).
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Questa confusione riguardo al gioco può forse spiegare le resistenze che ancora persistono nei confronti
di un suo uso massiccio nella didattica curricolare, anche se bisogna riconoscere alla didattica delle lingue
un approccio pionieristico in questo campo.
2.2. Giochi didattici per le lingue straniere
La didattica delle lingue ha una lunga tradizione ludica sia perché offre la possibilità di giochi molto vari
(corrispondenti alle differenti abilità) che consentono di accostare suoni e immagini, sia perché permette di
coinvolgere aspetti cognitivi e affettivi che formano una parte molto importante nell’apprendimento delle
lingue straniere (Stevick 1990). La motivazione offerta dal gioco può rimediare a eventuali momenti di
caduta dell’interesse e/o dell’attenzione, purché, comunque, il gioco stesso sia accattivante e facilmente
fruibile. Due caratteristiche, queste, non sempre facili da combinare insieme.
Secondo G. P. McCallum ci sono molte valide ragioni per usare il gioco in classe durante l'insegnamento
di una lingua straniera, non ultima quella di dare un po' di respiro ai ragazzi dopo un lavoro particolarmente
intenso o prolungato. L'attività ludica non deve essere però un ripiego, ma deve essere pianificata
all'interno della lezione esattamente come qualsiasi altra attività; inoltre, il gioco stimola quasi
automaticamente l'interesse degli studenti focalizzando la loro attenzione su particolari obiettivi lessicali o
grammaticali e agisce come rinforzo, ripasso e arricchimento. Giocare produce mediamente un’eguale
partecipazione da parte degli studenti, siano essi più o meno bravi nell'apprendimento, e può contribuire a
equilibrare il livello della classe. Inoltre i giochi possono favorire, in un'atmosfera di sana competizione, un
uso pratico della lingua in una situazione rilassante.
Questa metodologia può essere usata in ogni situazione dell'insegnamento linguistico e per ogni
obiettivo didattico - dalla lettura alla scrittura, dall'ascolto alla produzione orale - e fornisce all'insegnante
un riscontro immediato, oltre ad ottenere la massima partecipazione da parte degli studenti con un minimo
sforzo da parte dell'insegnante. Per quanto riguarda la tempistica, McCallum sostiene che il momento
giusto per proporre un gioco alla classe è verso la fine della lezione, esattamente come il dolce si serve alla
fine del pasto; è altresì importante, secondo lui, scegliere il gioco giusto in base a chi ci troviamo di fronte,
senza dimenticare che lo stesso gioco in alcuni momenti può dare risultati eccezionali mentre in altri può
essere un insuccesso.
Possiamo sicuramente applicare questi concetti, inizialmente riguardanti i giochi tradizionali, al campo
relativamente nuovo dei videogiochi; del resto anche un saggio sulle glottotecnologie, trattando della
disponibilità a lasciarsi invadere dal flusso in entrata degli stimoli in una lingua straniera senza opporre
resistenza, parafrasa il vangelo: “Anche per entrare nel mondo delle lingue bisogna saper tornare bambini”
(Porcelli, Dolci 1999) e quale modo migliore di tornare bambini se non giocando o videogiocando?
2.3. Videogiochi didattici per le lingue straniere
Possiamo definire il videogioco come un gioco le cui regole sono gestite automaticamente da un
dispositivo elettronico che utilizza un'interfaccia uomo-macchina basata sul video come sistema di output
[Wikipedia]; inoltre, se pensiamo che i videogiochi sono nati praticamente insieme ai moderni computer
dotati di schermo, vediamo come la ludicità sia insopprimibile nell’uomo.
Secondo alcuni studiosi i videogiochi possono essere un ottimo integratore nella didattica delle lingue;
infatti: “non bisognerà mai trascurare il fatto che l’apprendimento è in gran parte controllato dalla struttura
della propria identità personale. Questa componente affettiva, la quale è associata all’emisfero destro,
implica che la situazione in cui avviene l’apprendimento dovrà necessariamente assicurare la gratificazione
immediata e creare contesti basati su esperienze vissute” (Danesi 1988). Inoltre il software multimediale
“deve essere valutato anche per i processi cognitivi che esso presuppone e sviluppa, per le implicanze
affettive e motivazionali, e per le valenze (inter)culturali” (Porcelli, Dolci 1999), che identificano il concetto
di salienza: “ciò che è importante e ha una carica emotiva tende ad essere incamerato più rapidamente del
materiale privo di emotività e importanza” (Stevick 1976). Queste ricerche hanno portato a elaborare e
definire il concetto di CALL ludico.
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2.4. Il CALL ludico
Partendo dalla definizione classica di CALL (Computer Assisted Language Learning) e cioè: “the search
for and study of applications of the computer in language teaching and learning” (Levy 1997) e dalla
considerazione che “il software CALL più efficace è parte organica di una serie di materiali didattici e
consente le esercitazioni, di vario tipo, più utili per un apprendimento individualizzato con un feedback
immediato” (Porcelli, Dolci 1999), possiamo definire CALL ludico un particolare approccio alla didattica
delle lingue basato sul videogioco. Non bisogna inoltre dimenticare che l’approccio videoludico alla
didattica dell’italiano e della matematica ha sempre dato ottimi risultati (Antinucci 2007) e che
(video)giocare favorisce la messa in atto della rule of forgetting secondo cui una condizione importante da
ricercare nell’insegnamento è la perdita di coscienza del processo in atto in cui si ha una migliore
acquisizione se lo studente dimentica durante l’esecuzione di un’attività che sta imparando la lingua e si
concentra esclusivamente sullo scopo pragmatico, in questo caso sull’obiettivo del gioco in corso * Krashen,
1983].
Bisogna però tener presente che tanti siti che propongono videogiochi didattici per le lingue straniere in
realtà non fanno che proporre gli abituali esercizi travestiti da gioco. A questo proposito è a mio avviso
emblematico il sito: http://jeudeloie.free.fr dove tipici esercizi grammaticali proposti dai libri di testo
vengono presentati all’interno di un classico gioco dell’oca ancorché digitale. Questo tipo di didattica può, a
mio avviso, essere definita CALL, ma non CALL ludico, a meno che uno studente non trovi divertente fare i
classici esercizi del libro di testo.
3. Costruire videogiochi per la didattica delle lingue
Il passaggio dal libro di testo (inteso anche come “forma mentis”) alle possibilità offerte dalle nuove
tecnologie costituisce, a mio avviso, la vera sfida del CALL ludico, poiché se non si riuscirà a cambiare
l’approccio anche mentale al problema, gli insegnanti, a differenza degli alunni, continueranno a ragionare
in modo analogico anziché digitale.
Un buon punto di partenza per cominciare a ragionare in maniera digitale, può essere quello di
progettare strumenti didattici multimediali come i videogiochi.
E’ intuitivo come questo non sia un passaggio semplice; oggigiorno anche il docente più motivato,
quando ritiene di aver bisogno di un software didattico per le lingue straniere, solitamente ricorre a ciò che
può trovare in commercio o sul web: siti decisamente meritori, nonché gratuiti, come Linguagiocando
(http://www.farum.it/linguagiocando) propongono un gran numero di siti e giochi didattici specifici per
l’apprendimento delle lingue straniere, ma, poiché ogni attività curricolare può esigere giochi diversi
talvolta bisogna sperimentare un gran numero di software per trovare quello più adatto alle nostre
esigenze. Non è poi affatto scontato che, una volta trovato ciò che fa al caso nostro, non ci si trovi a
rimpiangere inevitabilmente la mancanza di una determinata funzione che ritenevamo essenziale; ed è
allora comprensibile che a questo punto sorga il desiderio di crearsi il proprio strumento didattico. Questa
idea viene di solito immediatamente accantonata per un senso di inadeguatezza verso un obiettivo che
sembra troppo difficile. In effetti creare un videogioco, anche per un programmatore professionista, non è
un’impresa semplice: gli attuali videogiochi commerciali sono infatti creati da team di esperti, ognuno dei
quali specializzato in un singolo campo.
Il focus del mio intervento è quindi quello dimostrare che realizzare artigianalmente videogiochi didattici
non è poi complesso come si potrebbe pensare, a patto di scegliere gli strumenti adatti. Di simili strumenti
ne esistono infatti moltissimi, così come vi sono molti linguaggi che possono essere utilizzati per creare
videogiochi. Qui cito solo quelli che ho sperimentato personalmente: C, C++, C#, Visual Basic, Java,
Javascript, Excel, Flash e Game Maker. Alla fine la scelta è caduta su Flash e Game Maker, due strumenti
molto diversi tra loro, ma che possono rispondere a precise esigenze.
3.1. Gli strumenti utilizzati
La maggior parte dei videogiochi che troviamo in rete sono realizzati con Flash, anche perché sono
fruibili direttamente dal browser. Flash è un software nato per creare animazioni vettoriali, ma consente di
applicare comportamenti agli oggetti o ai fotogrammi dell'animazione che diventano interattivi grazie alla
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presenza di un linguaggio di scripting interno (denominato ActionScript) che viene anche utilizzato per
creare giochi o siti web molto accattivanti.
Flash è dunque uno strumento molto potente, ma ha lo svantaggio di essere proprietario e molto
costoso nonché di necessitare di tempi di apprendimento molto lunghi: possiamo quindi considerarlo a
tutti gli effetti un prodotto professionale.
Se invece ci accontentiamo di un prodotto “artigianale” possiamo in poco tempo produrre software
molto interessanti grazie ad un programma chiamato Game Maker.
Mark Overmars, professore di informatica presso l'Institute of Information and Computing Sciences
dell'Università di Utrecht e direttore del Center for Geometry, Imaging and Virtual Environments ha creato
e reso gratuitamente utilizzabile Game Maker, un completo strumento di sviluppo di videogiochi per la
piattaforma Windows, che consente di creare in tempi rapidi i propri prodotti utilizzando solo un’interfaccia
intuitiva, senza dover scrivere codice di programmazione.
Questo software, già conosciuto in Italia e raccomandato da varie organizzazioni (una per tutte l’Istituto
nazionale di documentazione per l'innovazione e la ricerca educativa che ne consigliava l’uso alle maestre
neoassunte all’interno del corso di formazione online), rende possibile costruirsi in modo semplice i propri
strumenti didattici.
Game Maker può quindi risolvere il problema dal punto di vista delle competenze informatiche. La
scelta dell'applicazione costituisce però solo il primo passo della costruzione di un videogioco: per giungere
ad un risultato finale realmente utile e divertente la strada è ancora lunga.
3.2. Caratteristiche generali dei videogiochi creati
Secondo Porcelli (1989) oltre l’80% delle sensazioni raggiunge il nostro cervello attraverso la vista,
mentre solo circa il 13% è veicolato dall’udito. Questo spiega perché, in una presentazione audiovisiva dove
le immagini sono particolarmente interessanti ed emotivamente avvincenti, il messaggio sonoro sia del
tutto secondario nella percezione degli allievi.
Quindi nella creazione di videogiochi didattici una grande attenzione è stata dedicata alla scelta delle
immagini, dei colori e dei suoni, tutti concorrenti ad aumentare la nostra capacità di apprendimento e di
memorizzazione: noi ricordiamo infatti il 10% di quello che leggiamo, il 15% di quello che sentiamo, il 25%
di quello che vediamo, il 50% di quello che vediamo e sentiamo (multimedialità), il 90% di quello che
diciamo e insieme facciamo (interattività) (Begley 1994). La multimedialità diventa allora un ausilio potente
per l’apprendimento.
Gli elementi linguistici scelti per essere inseriti nei videogiochi fanno parte della vita quotidiana dei
bambini: si tratta di concetti semplici e oggetti di uso comune che non possono essere fraintesi quando li si
accosta ad una definizione in un’altra lingua; inoltre si è fatto molto uso di elementi quali il movimento
delle immagini sul video e il ricorso alle abilità coordinative dei giocatori per procedere nel gioco. Tutte
caratteristiche, queste, che gli allievi identificano subito come elementi ludici e non scolastici.
Nella creazione dei giochi, ho cercato di tener presente sia gli elementi capaci di divertire davvero i
bambini, rinforzandone le motivazioni (rapidità dell’esecuzione, gusto della rapidità, presenza della
competizione, garantita dal punteggio e dalla classifica finale) sia la ripetizione degli elementi linguistici e
della loro relazione con elementi iconici (per favorire la memorizzazione), permettendomi anche la
citazione di un gioco "storico" che forse qualche bambino avrebbe potuto conoscere.
4. La sperimentazione
La ricerca svolta interessa, dal punto di vista linguistico, soprattutto l'apprendimento del lessico, anche
in considerazione del pubblico molto giovane, del livello scolastico e delle metodologie usate in genere
nelle classi. L'obiettivo era quello di verificare se e quanto il gioco potesse davvero aiutare a memorizzare
parole straniere, e se la sua eventuale efficacia agisse solo sulla memoria a breve o anche su quella a lungo
termine.
In sei diverse sperimentazioni sono stati testati tre diversi videogiochi, uno per l’italiano, uno per il
francese e uno per lo spagnolo. I soggetti coinvolti dalle varie sperimentazioni sono stati nel complesso 502,
divisi in gruppi di diversa consistenza a seconda della disponibilità delle varie istituzioni scolastiche. Dalla
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tabella possiamo notare che quasi tutti i soggetti coinvolti dalla sperimentazione hanno tra i 10 ed i 17 anni,
e che solo un piccolo gruppo di soggetti è più adulto. Questo gruppo, costituito da professori universitari
afferenti alla facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’Università di Genova, ha consentito di effettuare
un interessante confronto tra immigrati digitali e nativi digitali.
Nome del gioco
Lingua
Il gioco delle 30 parole
Il gioco delle 30 parole
Il gioco delle 50 parole
Il gioco delle 50 parole
Il gioco delle 50 parole
Falsi amici
Francese
Francese
Italiano L2
Italiano L2
Italiano L2
Spagnolo
Numero di soggetti testati
Età
105
11
14
13
270
92
10/11
30/60
11/15
11/15
11/13
11/15
4.1. Caratteristiche generali
L’impianto generale delle sperimentazioni è stato simile per tutti i test che hanno riguardato gli studenti
(i docenti universitari meritano un discorso a parte): nella prima fase veniva fornita una lista di parole, per
vedere quanti vocaboli gli studenti già conoscessero della lingua straniera; la seconda fase consisteva
nell'esecuzione del gioco stesso; nella terza era riproposto il questionario precedente per verificare la
quantità di parole memorizzata con il videogioco. In un caso è stato riproposto il questionario a distanza di
un mese, ma solo ad alunni che non seguivano un programma curricolare di quella lingua specifica.
A tutti gli alunni è stato anche chiesto di valutare il gioco con un apposito ulteriore questionario di
gradimento.
4.2. Il gioco delle 30 parole
Il primo software ad essere testato è stato: “il gioco delle trenta parole”, un semplice gioco pensato per
far apprendere, appunto, trenta parole francesi; il protagonista è Pacman (una star dei videogiochi degli
anni Ottanta), che deve essere guidato a “mangiare” gli oggetti che gli vengono indicati in lingua francese.
Questo videogioco è stato somministrato in sei classi (tre quinte elementari e tre prime medie) ed ha
interessato un totale di 105 alunni. I 50 bambini frequentanti la quinta elementare non avevano mai
studiato francese e non conoscevano quasi nessuna parola in quella lingua, mentre i 55 alunni di prima
media avevano frequentato quasi un anno di lezioni curricolari di lingua francese.
Per "pesare" questa differenza, prima del gioco è stato ogni volta somministrato agli alunni un
questionario molto semplice, con la lista in italiano delle trenta parole presenti nel gioco: si tratta di parole
di uso comune, come i numeri da uno a 10, nomi di capi di vestiario, alimenti e mezzi di trasporto. I ragazzi
sono stati invitati a scrivere accanto ad ogni parola la traduzione in francese del termine. I risultati di
questo test preliminare sono stati quelli attesi: gli alunni della quinta elementare, che non avevano mai
seguito lezioni di francese conoscevano in media meno di un termine su 30 (risultato acquisito grazie ad un
immigrato francofono che ha alzato la media, ma quasi tutti hanno restituito il questionario in bianco);
mentre gli alunni di prima media dopo circa otto mesi di scuola conoscevano in media quasi 10 (9,5, in
realtà) delle parole proposte.
Alla fine del gioco, per il quale erano previsti 20 minuti, veniva riproposto lo stesso questionario. I
risultati relativi all’incremento delle parole apprese sono stati praticamente uguali per i bambini delle
scuole elementari e per i ragazzi delle medie, con un progresso medio di poco più di sei parole per i due
gruppi.
Dopo circa un mese è stato riproposto lo stesso questionario, ma solo agli alunni della scuola
elementare, in quanto le lezioni curricolari di francese nella scuola media avrebbero potuto rendere meno
attendibili i risultati del gruppo "avanzato" (nella scuola elementare campione il francese, invece, non è
insegnato e gli alunni non hanno più avuto, dopo il gioco, alcun contatto curricolare con la lingua). I
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risultati si sono rivelati ancora una volta molto positivi, poiché gli alunni hanno ricordato in media quasi
tutte le parole apprese con il gioco, scendendo soltanto da una media del 6,4 del mese precedente al 5,9;
un dato che mi ha colpito favorevolmente e che ha impressionato anche le insegnanti dei bambini stessi.
Dopo il gioco e la seconda somministrazione del questionario sulle parole, è stato anche proposto agli
alunni un questionario di gradimento sull’attività svolta.
Possiamo sicuramente affermare che l’attività proposta è stata apprezzata da vari punti di vista; alla
domanda: ”ti sei divertito?” hanno risposto positivamente in 102 su 105, ed alla richiesta: “ti piacerebbe
ripetere questa lezione con altri giochi simili?” i sì sono stati 103. A quasi tutti sarebbe piaciuto esportare
questa modalità di apprendimento: infatti alla domanda “Ti piacerebbe poter fare lo stesso tipo di
esercitazione in altre materie?” i sì sono stati 97. Anche la percezione di utilità è risultata molto alta, cosa
del resto confermata dai test. Infatti al quesito: “pensi che sia utile per imparare una lingua straniera?” i sì
sono stati 100.
Infine agli alunni è stato chiesto di trasformarsi in docenti e di dare una valutazione al gioco, cosa che
hanno apprezzato molto. Le valutazioni possibili erano le stesse che maestri e professori usavano con loro
ed andavano dal non sufficiente all’ottimo. I risultati sono stati: 5 buono, 15 distinto e 85 ottimo: la
mancanza di valutazioni negative o anche solo sufficienti e l’alta incidenza di “ottimo” testimoniano
l’apprezzamento dei giovani allievi verso questo tipo di approccio alla didattica, per loro completamente
nuovo.
4.2.1. Il gioco delle 30 parole con i docenti universitari
Ho deciso di testare alcuni docenti universitari con un gioco espressamente pensato per i bambini delle
scuole elementari e medie perché molti insegnanti cui avevo fatto provare il gioco sostenevano che fosse
troppo difficile e che i bambini non sarebbero riusciti a portarlo a termine nei 20 minuti stabiliti per il test.
Poiché il gioco ha una forte componente ludica e necessita di una discreta coordinazione oculomanuale, uno degli interrogativi riguardava infatti la capacità dei ragazzi di eseguirlo dal punto di vista
motorio. I risultati da questo punto di vista sono stati decisamente incoraggianti, 104 allievi su 105 hanno
terminato il gioco e lo hanno terminato mediamente in poco più di 10 minuti; ma anche i docenti
universitari hanno ottenuto un tempo medio di completamento molto simile a quello dei ragazzi di prima
media.
Possiamo quindi concludere che sia gli immigrati digitali sia i nativi digitali hanno competenze che nei
videogiochi si compensano consentendo di raggiungere risultati mediamente simili.
4.3. Il gioco delle 50 parole
Questo videogioco è stato realizzato in varie lingue, ma le sperimentazioni sono state effettuate solo
con l’italiano per stranieri.
L’idea è quella di far familiarizzare gli studenti con cinquanta vocaboli di uso comune in una scuola.
Questi vocaboli sono distribuiti su cinque livelli. Al primo livello appartengono i numeri da 1 o 10, al
secondo appartengono i colori (bianco, nero, giallo, verde, blu, rosa, rosso, azzurro), il terzo e il quarto
contengono gli oggetti che si trovano di norma rispettivamente all’interno dell’astuccio e dello zaino e che il
bambino utilizza per scrivere disegnare e svolgere le varie attività didattiche (astuccio, matita, penna,
gomma, temperino, righello, pennarello e foglio, quaderno, diario, zaino, disegno e libro); al quinto livello
troviamo gli oggetti che fanno parte dell’arredamento di una classe (banco, cattedra, finestra, porta,
computer, lavagna, sedia e appendiabiti) infine il sesto comprende gli oggetti che il bambino utilizza per
mangiare in un refettorio scolastico (forchetta, coltello, cucchiaio, cucchiaino, tovagliolo, tavolo, bottiglia,
piatto, bicchiere, tavolo).
I risultati sono allineati con quelli del gioco delle 30 parole per il francese, sia dal punto di vista
dell’apprendimento dei vocaboli che da quello del gradimento.
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4.4. Falsi amici
In linguistica si dicono falsi amici tutti quei lemmi o frasi di una certa lingua (L1) che, pur presentando
una notevole rassomiglianza morfologica (omografia) e/o fonetica (omofonia) con altre espressioni di
un'altra lingua (L2), ne differiscono sostanzialmente per il significato, e traggono perciò in inganno il
parlante della lingua L2 (Wikipedia).
Questo specifico videogioco è stato pensato per apprendenti ispanofoni e italofoni frequentanti le
scuole medie e superiori italiane.
Sono state scelte 15 parole che presentano affinità nelle due lingue e a queste sono state aggiunte altre
15 parole che abbiamo definito “veri amici”, in quanto la coincidenza tra le due lingue non è apparente ma
reale (Solinas 2010).
Particolarmente interessanti sono le conclusioni di chi ha testato il gioco: “il software, benché presenti
dei fini ludici e ricreativi, ha attivato un impegno mentale notevole, richiedendo concentrazione e
ragionamento e, nel suo piccolo, ha chiamato in causa strategie cognitive rilevanti” (Solinas 2010) e anche il
gradimento è stato molto alto, come peraltro quello degli altri giochi testati.
5. Conclusioni
I videogiochi costituiscono ormai parte integrante dell’immaginario infantile. Qualunque sia il giudizio
che si voglia esprimere in proposito, il dato di fatto non può essere negato e va preso in seria
considerazione anche da un punto di vista didattico, come sostengono diversi studi autorevoli, concordi
nell’affermare come i videogiochi possano contribuire notevolmente a sviluppare competenze cognitive.
I risultati delle varie sperimentazioni sono stati molto positivi, anche se il punto di partenza (vedere
quante parole in una lingua straniera possano essere memorizzate attraverso l’utilizzo di un semplice
videogioco con una forte connotazione ludica) potrebbe sembrare decisamente modesto.
La
sperimentazione però ha una portata molto più ampia, che investe non solo molti altri possibili aspetti della
didattica della lingua, ma che va la di là di questo campo specifico.
In gioco c'è, infatti, la fondamentale possibilità di adattare i vari programmi alle proprie esigenze (in
stile open source), che rappresenta, a mio avviso, il vero valore aggiunto di questa proposta. Una proposta
che ho cercato anche di rendere in un certo senso "concreta" (e coerente con la potenza della Rete)
costruendo un sito "esemplare": modello di un possibile “luogo” dove tutti i programmi didattici (finalizzati
o no a didattiche di singole materie) creati o modificati in questo modo possano essere indicizzati, recensiti
e votati da chi li utilizza.
Possiamo concludere ricorrendo alle parole che Francesco Antinucci (2007) ha usato per commentare i
risultati del progetto DANT (Didattica assistita dalle nuove tecnologie): ”Si dimostra inequivocabilmente che
giocare-fare delle attività ludiche che i bambini vogliono fare (e vogliono fare, ovviamente, a preferenza di
altre attività)- fa apprendere, a parità di tutte le altre condizioni, meglio e di più che non giocare”
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