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30 Tempi liberi
Venerdì 24 Gennaio 2014 Corriere della Sera
italia: 58555358505057
Tecnologie divertenti
Se la «Google
europea»
resta solo
un sogno
L’Agenda Digitale, l’europrogramma di cui si discute
in questi giorni a Davos, è
seriamente a rischio: sta infatti
emergendo un profondo divario
tra il crescente traffico dati
mobile e la capacità delle reti di
supportarlo. Stiamo perdendo il
vantaggio conquistato negli Anni
90 con il Gsm (3G) e oggi
rischiamo di restare indietro agli
Usa e alla Cina nelle nuove
generazioni tecnologiche. La
colpa, ha scritto il capo di AlcatelLucent Michel Combes sul Wall
Street Journal, è innanzitutto di
un sistema competitivo
esageratamente centrato sulla
riduzione dei prezzi finali. Uno
squilibrio che nel breve periodo
beneficia gli utenti, ma nel medio
li penalizza perché spinge la
maggior parte degli operatori di
telecomunicazioni a ridurre gli
investimenti nelle reti e
nell’innovazione, con effetti
negativi sulla qualità dei servizi e,
dunque, sulla soddisfazione dei
clienti. L’associazione delle
telecom (Etno) stima che, per
stare nella road map dell’Agenda,
servirebbero tra i 110 e i 170
miliardi di euro di investimenti
aggiuntivi da qui al 2020. Ma non
è solo questo. L’Europa ha
bisogno di innovare anche nelle
applicazioni, oggi dominate dagli
americani e, in misura minore, dai
cinesi. Se però non cambiano le
condizioni competitive, la nascita
di una «Google europea» non è
neppure immaginabile. Esiste poi
un eccesso di regole, assurdo
dopo sedici anni di
liberalizzazione, che scoraggia
l’innovazione e deprime gli
investimenti. Negli Stati Uniti,
dove la banda larga non è
regolamentata e gli operatori non
hanno l’obbligo di condividere
l’infrastruttura con i concorrenti,
chi investe sa di poter contare su
ritorni allettanti; senza contare la
frammentazione in 28 regolatori
nazionali, che penalizza l’Europa
rispetto alle aree più forti. In
sostanza si tratta di pensare
a un mercato digitale davvero
comune, favorevole alle fusioni
tra operatori nazionali e capace di
competere con un’America in cui
operano 4 giganti della telefonia
mobile contro i nostri centoventi,
con i relativi vantaggi in termini
di economie di scala. Serve
insomma un contesto in cui gli
utenti possano scegliere i prezzi
ma anche il livello di qualità che
desiderano. Altrimenti l’Agenda
Digitale resterà un sogno.
@SegantiniE
© RIPRODUZIONE RISERVATA
1977
S
ATARI 2600
È la prima console domestica di successo:
venduta in oltre 30 milioni di esemplari,
è stata in produzione in diverse versioni
fino al 1991
COMMODORE 64
NOLAN BUSHNELL
Nato in una famiglia di mormoni
nel 1943, Nolan Bushnell
è universalmente conosciuto
come il «papà dei videogiochi».
Nel 1972 fondò la Atari dando via
di fatto all’industria
dei videogame con la versione
«coin-op» (coin operated,
a gettone) di Pong
1982
di Edoardo
Segantini
tate giocando a un videogame.
Le sue atmosfere vi hanno catturato, avete quasi la sensazione di vivere quelle esperienze
di persona, di essere «dentro»
il mondo virtuale raffigurato
sul vostro schermo. Vedete all’orizzonte qualcosa che vi incuriosisce, che vorreste «toccare» con mano. Vi muovete nella
sua direzione ma dopo pochi passi una barriera
invisibile vi blocca misteriosamente. Non potete
andare avanti, solo tornare indietro e di colpo ricordate che davanti non avete la realtà ma semplici poligoni generati da un motore grafico. E
che quel mondo che vi sembrava così vero è come set cinematografico, dietro le cui scenografie
vi è il nulla. Fine del coinvolgimento.
Una situazione, questa, che i videogiocatori di
lunga data hanno vissuto molte volte, d’altronde
in passato computer e console non potevano che
limitarsi a ricreare gli ambienti strettamente necessari al completamento delle missioni. Poi però, anni fa, hanno iniziato a uscire i primi giochi
«open world», nei quali l’esperienza non consiste solo nel completare le missioni assegnate ma
nel vivere un’esperienza, nei modi e nei tempi
che preferiamo.
Tra gli esponenti più illustri di questa categoria troviamo i Grand Theft Auto e gli Assassin’s
Creed ma l’elenco è sempre più ampio. Basti
COMPUTER
Io & tech
CONSOLE
I migliori del 2014
I giochi che stanno per
arrivare sul mercato
potranno essere «vissuti»
utilizzando anche Xbox One
o la Playstation 4. L’attesa
per «Destiny»
Con l’arrivo sul mercato del C64
i videogiochi hanno finito di essere
un’esclusiva delle console. Grazie
al prezzo abbordabile (anche se, nel 1983,
in Italia venne lanciato a 973.500 lire)
e alla possibilità di «piratare» i giochi,
è diventato un vero fenomeno di costume
In giardino
Per chi desidera alternative meno
seriose c’è Plants Vs. Zombies:
Garden Warfare, che trasforma il
gioco casual in uno «sparatutto»
pensare che il nuovo Tomb Raider: Definitive
Edition, in uscita in questi giorni su Xbox One e
PlayStation 4, ci metterà a disposizione un’isola
liberamente esplorabile. Un trend inarrestabile,
insomma, al punto che l’appassionato ormai
storce il naso se si accorge che la sua libertà di
movimento è limitata a un percorso prestabilito.
Con l’arrivo della nuova generazione di console questa tendenza è destinata ad accentuarsi,
perché non è più un problema trovare la potenza
di calcolo necessaria a raffigurare i mondi virtuali con quella dovizia di particolari necessaria
a renderli credibili. Ecco spiegato perché gli appassionati di videogiochi devono attendersi un
2014 all’insegna degli «open world».
La francese Ubisoft, ad esempio, quest’anno
ne proporrà quattro: oltre all’immancabile Assassin’s Creed avremo The Crew, Watch Dogs e
The Division. Il primo è un gioco di corse che ci
metterà a disposizione gli interi Stati Uniti da
esplorare a bordo di qualsiasi veicolo abbia
quattro ruote. In Watch Dogs invece impersoneremo un pirata informatico capace di violare
qualsiasi dispositivo elettronico, impegnato in
sparatorie e inseguimenti in quel di Chicago. E il
fatto che sia stato annunciato un film in collaborazione con Sony Pictures, dà l’idea della portata
del progetto. In The Division, infine, saremo degli agenti sotto copertura intenti a riportare l’ordine a New York dopo che un virus, che si diffonde attraverso le banconote, ha distrutto l’economia mondiale e gettato la società nel caos. Il
nostro compito sarà applicare la «Executive Directive 51», realmente esistente ed emanata sotto la presidenza di George Bush: cercatela su Google per sapere come reagiranno gli Usa qualora
il mondo cada un giorno nell’anarchia.
Sempre appartenente alla categoria degli
«open world» ma di tutt’altra natura è Destiny,
l’atteso sparatutto fantascientifico di Activision.
Difficile inquadrarlo con esattezza ma potremmo definirlo un Call of Duty ambientato in un
mondo persistente alla World of Warcraft, che
verrà popolato dai milioni di giocatori già in trepidante attesa del suo arrivo. La regia è nientemeno che dei Bungie, i creatori di Halo, il blockbuster di Microsoft da qualche anno nelle mani
dei 343 Industries. I quali stanno lavorando proprio ad Halo 5: al momento se ne sa davvero poco ma è certo che dalle prestazioni di Master
Chief dipenderà buona parte del 2014 dell’Xbox
One. Che però potrà contare su un altro peso
massimo, ossia Titanfall, prodotto da Electronic
I livelli? Non esistono
I nuovi videogiochi
Il concetto di «Open World»:
mondi virtuali e sconfinati da
esplorare liberamente. Come pirati
informatici, agenti sotto copertura
o guerrieri fantascientifici
Arts in esclusiva per Xbox e sviluppato dai creatori di Call of Duty: in esso saremo dei marines
del futuro capaci di pilotare robot da combattimento e di correre anche sulle pareti, in un tripudio di esplosioni e di adrenalina.
A questo fuoco di sbarramento di Microsoft,
Sony al momento risponde con due sole esclusive quali #DRIVECLUB e The Order 1886. Il primo
è un gioco di corse dai forti connotati social (com’è ormai di moda), che ci permetterà di creare
una scuderia insieme ai nostri amici e di restare
permanente collegati con loro inviando e ricevendo sfide. Il secondo, The Order: 1886, è un
gioco d’azione ambientato in una realtà alternativa alla nostra, in cui gli uomini lottano da secoli con una razza di creature metà umane e metà
bestiali. Lo scontro finale verrà combattuto in
una Londra industriale dalle connotazioni vagamente steam-punk.
Se siete alla ricerca di alternative meno seriose
potreste considerare Plants Vs. Zombies: Garden
Warfare, che trasforma il gioco casual più famoso di tutti i tempi in uno sparatutto in terza persona per Xbox One, Xbox 360 e PC. Ma non fatevi
trarre in inganno dalla grafica cartoon: la guerra
per il dominio dei nostri giardini è molto più seria di quanto non sembri. E sempre restando
nell’ambito dei giochi apparentemente innocui
ma capaci di inchiodare al monitor anche i vete-
I ruoli
I due giochi di ruolo più attesi
dell’anno sono «Dragon Age:
Inquisition» e «The Witcher 3: caccia
selvaggia»
rani del joystick, non possiamo non menzionare
Mario Kart 8 per Wii U, in cui il baffuto idraulico
italiano e i suoi amici si sfideranno in folli corse
stavolta anche sott’acqua e persino sui muri.
Chi nei videogiochi predilige un’impostazione più ragionata si segni invece Metal Gear Solid
V: The Phantom Pain, il nuovo capitolo della
storica saga di Konami, capace di fondere azione
e stealth come sa fare solo il suo ideatore, Hideo
Kojima. L’impostazione sarà anch’essa «open
world» ma a sorprendere è la grafica, pensata
per sfruttare al meglio le potenzialità della nextgen. A breve uscirà anche Metal Gear Solid V:
Ground Zeroes, il prequel di The Phantom Pain:
attenti a non confondervi!
Chiudono infine la carrellata i due giochi di
ruolo più attesi dell’anno, Dragon Age: Inquisition e The Witcher 3: Caccia Selvaggia. Il primo
è il terzo episodio della saga fantasy più celebre
di Electronic Arts, che dovrà recuperare il consenso dei molti fans rimasti delusi da Dragon
Age II. L’annunciato ritorno alle origini della serie e l’utilizzo del potentissimo motore grafico di
Battlefield 4, sono in tal senso delle ottime credenziali. The Witcher 3 è invece il nuovo capitolo
di una serie divenuta ormai il punto di riferimento degli appassionati e con una grafica superlativa, pensata per PC, Xbox One e PS4, esalterà le fantasie dello scrittore polacco Andrzej
Sapkowski. Anch’esso manco a farlo apposta sarà «open world», perché i videogiochi sono belli
ma i mondi virtuali lo sono ancor di più.
Stefano Silvestri
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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