tribunale di siracusa œ dr. scarlatta

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tribunale di siracusa œ dr. scarlatta
Insider trading - Abuso di informazioni riservate - Competenza territoriale Nesso motivazionale dell'agente nell'utilizzo dell'informazione.
Tribunale di Siracusa – Dr. Scarlatta - Sentenza del giorno 10 aprile 1997.
La massima:
Territorialmente competente a giudicare dei fatti previsti dal reato di cui all'art. 2 della l.
17 maggio 1991 n. 157 è il giudice del luogo in cui avviene la divulgazione della
informazione riservata, comunicazione che costituisce necessario antecedente logico della
sua eventuale utilizzazione.
Se l'interesse tutelato dalla norma in esame è quello di garantire parità di condizioni
conoscitive per chi opera nel mercato borsistico, per porre in essere una condotta
penalmente rilevante occorre che l'agente abbia usato delle indiscrezioni di cui conosceva
l'illecita provenienza, che l'hanno posto in una situazione di favore.
L'agente deve, quindi, essere stato motivato, nella sua condotta, dalle notizia attinte per la
funzione rivestita, al fine di una loro utilizzazione.
il testo integrale:
(Omissis). - IN FATTO E IN DIRITTO. - La Consob, con relazione ex art. 8 della l. 17
maggio 1991, n. 157, comunicava al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di
Siracusa e, per conoscenza, al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano,
una ipotesi di violazione dell'art. 2 della legge citata a carico degli odierni imputati, per i
fatti che seguono.
La Banca di Credito Popolare di Siracusa, in data 27 luglio 1991, ebbe a deliberare un
aumento di capitale in parte gratuito in parte a pagamento.
In particolare, in data 11 settembre 1991, il consiglio d'amministrazione della Banca, nel
formulare le modalità attuative, precisava che «i portatori di diritti d'opzione non iscritti al
libro dei soci, per poter procedere alla sottoscrizione di nuove azioni, devono richiedere
l'ammissione a socio ».
Per tali ragioni, rese pubbliche dall'Istituto, i possessori di azioni, non iscritti nel libro dei
soci, si trovavano in evidenti difficoltà, essendo costretti a vendere i diritti d'opzione a
qualsiasi prezzo.
Nel caso in esame, appunto, vi erano dei soggetti (Confida Fiduciaria ed altri) che erano in
possesso di un rilevante numero di azioni e che non erano stati ammessi come soci.
Tale circostanza, che non era nota al mercato, ove fosse stata resa pubblica, poteva
influenzare sensibilmente il mercato stesso.
Sulla base di tali circostanze, la Consob sottolinea nella sua relazione: « ... alla data del 17
ottobre 1991, data in cui ha avuto inizio la quotazione dei diritti d'opzione, un rilevante
numero di azioni era detenuto da azionisti i quali non avevano ottenuto il gradimento da
parte del consiglio d'amministrazione e dal comitato esecutivo della BCPS »; ed ancora
aggiunge: « ... La necessità per gli azionisti non soci di vendere i diritti d'opzione ha
causato un eccesso d'offerta sul mercato degli stessi titoli... ». Si conclude pertanto
dicendo: « ... solo il consiglio d'amministrazione ovvero il comitato esecutivo della BCPS
erano a conoscenza dell'esatta quantità di diritti d'opzione che sarebbe stata immessa sul
mercato »; « Si ritiene dunque, come già riferito, che il numero di azioni appartenenti a
soggetti non iscritti al libro soci ed in particolare a Confida e Zoppi, costituiva informazione
idonea, se resa pubblica, ad influenzare sensibilmente il prezzo dei diritti d'opzione ».
Per tali considerazioni la Consob concludeva dicendo che, poiché tra i soggetti che avevano
venduto i diritti d'opzione per il tramite della BCPS figuravano il vicepresidente Filippo Urzì
ed il figlio Pier Paolo, Carmela Conigliaro, coniuge del consigliere della stessa banca
Antonio Pavone Cocuzza, Altieri Anita e Spagna Noemi, figlia e moglie del consigliere della
BCPS Luigi Spagna, appariva che gli stessi dirigenti della BCPS avevano posto in essere
una violazione dell'art. 2 della l. n. 157 del 1991 in quanto avrebbero effettuato delle
vendite di diritti d'opzione direttamente ovvero per il tramite dei propri familiari e/o
congiunti, essendo in possesso di informazioni riservate.
Più precisamente si rileva come Filippo Urzì abbia venduto 400 diritti d'opzione ed il figlio
Pier Paolo 800 diritti maturando utili rispettivamente per lire 3.455.000 e lire 6.910.000,
mentre nella famiglia Spagna la moglie del consigliere Luigi e la figlia Noemi hanno
venduto 238 e 650 diritti d'opzione realizzando lire 1.664.570 e lire 4.554.750.
Tali circostanze venivano poste alla base della imputazione per il delitto di cui al-l'art. 2,
comma 2° della richiamata 1. 17 maggio 1991, n. 157 dalla Procura della Repubblica di
Siracusa.
IN PUNTO DI DIRITTO. - Va preliminarmente rilevato come la competenza territoriale a
giudicare i fatti dell'odierno processo appartiene sicuramente a questo giudicante. Invero
risulta commesso in Siracusa il primo reato, costituito dalla divulgazione di informazioni
riservate.
Al riguardo è appena il caso di sottolineare come la comunicazione della notizia privilegiata
costituisca necessario antecedente logico rispetto alla eventuale utilizzazione della stessa ai
sensi dell'art. 16, comma 1°, c.p.p.
Pertanto, essendo incontestato che la divulgazione sarebbe avvenuta in Siracusa, la
competenza si radica presso questo giudice.
Orbene, ciò premesso, l'articolo di legge in esame (art. 2, 1. n. 157 del 1991) prevede il
divieto di acquistare o vendere valori mobiliari, ivi compresi i diritti d'opzione, qualora un
soggetto qualificato, che esercita « una funzione anche pubblica, professione o ufficio » sia
venuto in possesso, in ragione del suo stesso ufficio, di informazioni riservate.
Il comma 2° dell'articolo di legge in oggetto impone il divieto di comunicare a terzi le
informazioni riservate, mentre il comma 4° estende ai terzi il divieto di cui al comma 1°
qualora, appunto, abbiano ottenuto informazioni, di cui conoscono la riservatezza, da
persone che le possedevano in ragione del proprio ufficio.
Da un esame delle posizioni processuali degli imputati emerge che, nell'ambito delle stesse
famiglie Urzì e Spagna, vi sono stati diversi comportamenti tra i componenti la famiglia:
mentre infatti l'ing. Urzì ed il figlio Pier Paolo hanno venduto i diritti d'opzione, la moglie e
gli altri due figli hanno invece sottoscritto le azioni.
Così pure, nella famiglia Spagna, a fronte della vendita operata dalla moglie del consigliere
Luigi e dalla figlia Noemi di diritti d'opzione, notiamo che lo stesso Luigi ed i figli Marcello e
Fausto hanno, invece, sottoscritto le nuove azioni.
Si deve rilevare, comunque, una differenza nel comportamento delle due famiglie:
mentre nella famiglia Spagna il consigliere Luigi, che era ipoteticamente il soggetto attivo,
in grado di conoscere le notizie riservate, ha sottoscritto, invece di vendere, nella famiglia
Urzì il consigliere Filippo ha venduto i propri diritti così come il figlio Pier Paolo.
Appare quindi, immediatamente, del tutto inconsistente l'accusa nei confronti dei membri
della famiglia Spagna, laddove il soggetto stesso che era in grado di conoscere le notizie
riservate e di utilizzarle in suo favore ed in quello dei familiari si è determinato ad un
comportamento diverso ed opposto, sottoscrivendo nuove azioni.
Ove si consideri l'esiguità del profitto ricavato dalla vendita, rilevare l'esistenza di
divulgazione di notizie riservate ad uso dei familiari a fronte di una situazione che presenta
diverse ed opposte determinazioni, come sopra descritto, è contrario ad ogni
considerazione logica.
Né può invocarsi la rigidità del precetto della norma in esame, perché la norma stessa va
comunque interpretata anche alla luce del titolo della 1. n. 157, che parla giustamente di «
Norme relative all'uso di informazioni riservate »; poiché se l'interesse tutelato dalla norma
è quello di garantire parità di condizioni conoscitive per chi opera nel mercato borsistico,
per porre in essere una condotta penalmente rilevante occorre che l'agente abbia usato
delle indiscrezioni di cui conosceva l'illecita provenienza, che l'hanno posto in una
situazione di favore.
Tale circostanza non è stata provata né appare verosimile per le considerazioni fatte.
Certamente le considerazioni precedenti, rilevate per la famiglia Spagna, possono valere
anche in relazione al comportamento della famiglia Urzì, considerando, anche in tal caso,
come la diversità dei comportamenti in seno alla stessa famiglia sembra escludere una
volontà di violare la norma citata.
Un approfondimento deve pertanto farsi per la posizione dell'Urzì Filippo, il quale, essendo
presumibilmente a conoscenza delle informazioni riservate, in forza delle sue funzioni, ha
alienato i propri diritti.
Sul punto va ribadito che non può soffermarsi l'interprete della norma alla semplice lettura
dell'art. 2, comma 1° senza valutare la reale portata della norma e l'interesse tutelato che
è, come detto, quello di garantire una parità di opportunità e di tutela a tutti gli operatori
di mercato.
Per le ragioni esposte sembra necessario che l'agente sia stato motivato, nella sua
condotta, dalle notizie attinte per la funzione rivestita, al fine di una loro utilizzazione, ma,
ove si consideri che gli stessi familiari dell'Urzì, ad eccezione del figlio Pier Paolo, hanno
deciso di comportarsi in senso opposto, sembra potersi affermare che l'eventuale
conoscenza di fatti riservati non sia stata determinante nel guidare i comportamenti
dell'Urzì e comunque le eventuali conoscenze che poteva avere avuto l'Urzì, per il suo
ufficio, non sembrano tali da determinare certezze sulla condotta degli azionisti non soci e
quindi sulla convenienza, certa, di eventuali operazioni borsistiche.
D'altra parte non può riconoscersi, in forza della normativa citata, un obbligo dell'Urzì a
sottoscrivere nuove azioni comprimendo così la sua autonomia e libertà negoziale.
Nel caso in esame, infatti, si arriverebbe a pretendere un comportamento attivo e non di
semplice astensione, ove si consideri che il soggetto sarebbe « costretto », per non
incorrere nella sanzione penale, a sottoscrivere nuove azioni e, quindi, ad un
comportamento attivo coatto con correlato onere economico.
Per quanto infine riguarda la posizione di Antonio Cocuzza Pavone e di Carmela Conigliaro,
deve rilevarsi come dalla documentazione offerta dalla difesa si evinca che gli stessi non
hanno operato alcuna vendita di diritti di opzione e che la loro imputazione discende da
una pura omonimia con persona estranea ai fatti.
P.Q.M. - Visto l'art. 425 c.p.p., dichiara non luogo a procedere nei confronti di Urzì Filippo,
Pavone Cocuzza Antonio, Spagna Luigi, Urzì Pier Paolo, Conigliaro Carmela, Spagna Noemi
e Altieri Anita in ordine ai reati loro ascritti perché i fatti non sussistono. (Omissis).