Presentazione - Alfredo Camisa

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Presentazione - Alfredo Camisa
Alfredo Camisa:
il “realismo formale”
di un dilettante impegnato
A. Camisa, Composizione n.1, 1953
A. Camisa, Falcetti bianchi, 1955
Potrebbero non esistere i saloni, le mostre, i premi e le critiche: noi fotograferemmo
egualmente, e come ora, perché non è in funzione di tutto questo che fotografiamo. Per
noi la fotografia esiste solo come “emozione”, come possibilità di esprimere
sinceramente e poeticamente la realtà, il nostro modo di vedere e di pensare, il nostro
modo di vedere o di trasformare quel che ci circonda. Il copiare gli altrui “magistrali
cromatismi” o l’altrui “potenza figurativa”, per giungere poi modestamente alla vuote e
triste immagini dei minuscoli ometti vestiti di nero che camminano sotto i bianchi
padiglioni della Fiera di Milano non ci interessa, francamente.
Noi fotografiamo per nostra soddisfazione: e la soddisfazione nasce dalla creazione di
un risultato che ci parli e commuova, non dalla copia delle altrui esperienze o dal
ricalco sino alla nausea di un motivo o di uno schema felicemente riuscito.
E soprattutto non guardiamo al risultato delle Mostre come alla classifica del giro
d’Italia.
Da Un appunto sulla recensione alla Mostra di Padova di Alfredo Camisa e Piergiorgio Branzi, in «Fotografia», IX, giugno 1956, 6, p. 25
A. Camisa, La vetrina del civaiolo, 1955
A. Camisa, Bancarella n. 2, 1955
A. Camisa, Impressione di Erice, 1955
A. Camisa, L’uomo del bersaglio, 1955
A. Camisa, Elezioni in Sicilia, 1955
A. Camisa, Elezioni in Sicilia, 1955
A. Camisa, Pescatori di Sicilia, 1955
A. Camisa, Mondina, 1956
A. Camisa, Sappada, 1960
A. Camisa, Uomini della confraternita, 1955 A. Camisa, Leonforte: il cantastorie, 1957
A. Camisa, Bambina a Comacchio, 1953
A. Camisa, Bambina alle giostre, 1955
A. Camisa, Ragazze in Sicilia, 1955
A. Camisa, Olanda, 1956
A. Camisa, Bambino portatore d’acqua, 1956
A. Camisa, Ragazzo di Calabria, 1961
A. Camisa, L’attrice Milly, 1958
A. Camisa, Piccolo Teatro: camerino delle comparse, 1959
A. Camisa, Valentina Cortese, 1959
A. Camisa, L’attore Marcello Moretti, 1957
A. Camisa, Lettera X, 1961
Alfabeto Urbano. Stampe a
contatto, 1959
Le linee di taglio tracciate sul
provino originale sono
dell’Autore
A. Camisa, Lettera S, 1959
A. Camisa, Lettera A, 1959
Che cos’è la fotografia? Trascuriamo le eterne e sterili disquisizioni sulla
fotografia come arte che lasciano il tempo che trovano.
Per me la fotografia è la rappresentazione “rielaborata” della realtà (o, se
preferite, una rielaborazione personale della rappresentazione della
realtà). Ove in “rielaborata” vi sta dentro tutto: in chiave tonale, formale,
compositiva, poetica, lirica, ironica, e via dicendo.
Da Raccolta di “mozziconi” di appunti trovati su foglietti sparpagliati di Alfredo Camisa
«Il Mondo», 8 maggio 1962, p. 3
A. Camisa, Leonforte: il cantastorie,
1957
«Il Mondo», 13 febbraio
1958, p. 9
A. Camisa, Il fotografo suburbano, 1957
A. Camisa, Sud, 1960
A. Camisa, Contadino di Adrano, 1960
A. Camisa, Donna con pescespada, 1960
Vi sono fotografi che scattano le loro immagini con le dita e con l’occhio, altri che lavorano con
il cervello e il cuore. La mia fugace presenza nella Fotografia Italiana credo mostri abbastanza
chiaramente quale sia stata, sin dall’inizio, la mia “scelta di campo”. Giunto poi fatalmente, come
altri miei amici e colleghi, al bivio della scelta tra dilettantismo e professionismo, mi resi conto
che lavorare nell’unico modo al quale ero abituato, e nel quale mi consideravo realizzato, per mia
cultura e per forma (o deformazione) mentale, non avrebbe prosaicamente permesso di risolvere
il problema del pane quotidiano, almeno a breve e medio termine. La via del lavoro alle
dipendenze di qualche editore, ammesso che ve ne fosse qualcuno disponibile, suonava d’altra
parte troppo “prostituzione” a un giovane come me, ancora imbevuto degli ideali postresistenziali, convinto assertore matteiano del riscatto del sud, lettore, a Milano, de «La Stampa»
di Torino, affascinato dal frangar non flectar del suo sottotitolo (poi perduto per strada negli anni
del grande compromesso politico). E così mi imposi di lasciare, di uscire dalla full immersion
prima di esserne completamente sommerso, e prima che la scelta […] potesse divenire
irreversibile e pregiudicare il mio “privato”. L’incalzare degli impegni di lavoro (doppio
trasferimento al Sud) e la conseguenti delusioni ideologiche sul fallimento di qualsiasi iniziativa
industriale e sulle utopie del riscatto meridionale fecero il resto.
La scelta mi costò. Mi costò moltissimo per la dedizione e l’impegno che avevo dedicato alla
fotografia. Tempo profuso a piene mani, sottratto ad altri doveri certamente più importanti, di cui
solo ora, a cinquant’anni di distanza, si intravede qualche segno di riconoscimento e
apprezzamento. La decisione fu drastica e irrevocabile. Allora fu dolorosa, ma giusta. Ne uscii
deluso, ferito, ma non pentito. Oggi, oggi forse sarebbe tutto diverso.
Da Epitaffio alla mia biografia fotografica, di Alfredo Camisa