dell`androgino ne La gatta Cenerentola

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dell`androgino ne La gatta Cenerentola
Capitolo VI
L’immagine della matriarca e
dell’androgino ne La gatta Cenerentola di
Roberto De Simone 1
0.
Premessa
La gatta Cenerentola2, favola musicale in lingua napoletana di Roberto De
Simone, presentata per la prima volta al Festival dei due mondi di Spoleto nel
1976, ha riscosso negli anni un plauso nazionale e internazionale crescente.
Questo saggio analizza i temi del matriarcato e dell’androginia, che
attraversano quest’opera, assumendo due punti di vista dell’apparato critico
del semiologo Jurij Lotman : la semiosfera e il dialogo3. Per semiosfera
Lotman intende un continuum semiotico, un insieme dinamico « la cui
divisione in parti è unicamente una necessità euristica »4.
Il dialogo interno ad un campo semiotico, per Lotman, deve essere studiato
sulla base dell’opposizione simmetria/asimmetria5 : l’una si orienta
Questo saggio, qui ampliato con nuovi riferimenti bibliografici, è stato pubblicato col
titolo « Matriarcat et androgynie dans La gatta Cenerentola de Roberto De Simone », nel
libro Théories et lectures de la relation image-texte, a cura di Jean Louis TILLEUIL, CortilWodon, E.M.E., 2005.
2 Roberto DE SIMONE, La gatta Cenerentola, Napoli, Ente Teatro Cronaca - Stampa et Ars
Mario Raffone, Stampatori della Real Casa di Borbone delle Due Sicilie, 1988. È la prima
edizione, che riporta solo delle sinopsi dello spettacolo e alcune versioni orali della fiaba
raccolte su campo. La gatta Cenerentola è stata pubblicata con il testo integrale dello
spettacolo e il video da : Torino, Einaudi (libro e video), 1999.
3 Jurij Michail LOTMAN , La semiosfera - l'asimmetria e il dialogo nelle strutture pensanti, (a
cura di Simonetta SALVESTRONI), Venezia, Marsilio, 1985.
4 « Si può supporre che sistemi costituiti da elementi chiaramente separati l'uno dall'altro
e funzionalmente univoci non esistano nella realtà in una condizione di isolamento. La
loro divisione in parti è solo una necessità euristica. Nessuna di esse presa separatamente,
è in grado infatti di funzionare realmente. Lo fa soltanto se è immersa in un continuum
semiotico pieno di formazioni di tipo diverso collocato a vari livelli di organizzazione »,
ibidem, p. 56.
5 Ibidem, pp. 91-110.
Cf : Tzvetan TODOROV, Mikaïl Bakhtine : le principe dialogique, Paris, Éd. du Seuil, 1981 ;
Giulio FERRONI (a cura di), Il dialogo. Scambi e passaggi della parola, Palermo, Sellerio, 1985.
Per gli aspetti riferiti al linguaggio della televisione nel campo delle biografie di scrittori,
ne ho trattato nel testo : Beatrice BARBALATO, « Il dialogo » in Repertori letterari e
televisione, Bruxelles, Van Balberghe, 1997, pp. 61-76.
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Sul palco c’è l’autore
maggiormente verso la realtà extratestuale, e l’interpretazione chiusa dei
contenuti che si conservano nella memoria di una cultura e perseguono una
certa praticità, l’altra è caratterizzata da una crescita autonoma della seriosi,
in un libero gioco di modelli e classificazioni. Lotman sostiene che nelle
analisi semiotiche si debba applicare questo doppio concetto di dialogo che
pone le due tendenze una di fronte all’altra, in maniera asimmetrica.
Parlare di dialogo a proposito de La gatta Cenerentola significa sottolineare
da un lato le corrispondenze interne, dovute alla coerente costruzione
dell’opera ; da un altro lato sollecitare un confronto fra quest’opera e le
diverse matrici culturali che ne hanno fornito la materia prima.
Come si è detto, due nuclei appaiono fondatori nella concezione
dell’opera : 1) il matriarcato, un archetipo che risale all’origine mitica del
racconto, presente in versioni ancora diffuse in Italia, e nella regione della
Magna nel Peloponneso ; 2) l'androginia, l’efebico, un carattere culturale che
serpeggia nella regione di Napoli sin dall’antichità 6.
La drammaturgia di questi archetipi, estremizzati fino a toccare il tema
della morte, riesce a modellare un gioco barocco (o piuttosto un barocco
degradato per l’accentuazione farsesca del testo), attraverso delle ripetizioni e
delle opposizioni fra codici ridondanti, che sospendono il sostrato tragico.
C’è anche un lato enigmatico nell’opera per la pluralità dei significati
affermati e negati allo stesso tempo, che prende forma nella valenza opposta
attribuita a volte simultaneamente a differenti registri linguistici (parole,
musica, scenografia). L’obbiettivo di questo studio è di mettere in luce
alcune dominanti interpretazioni e figurazioni sceniche che permettono di
comprendere meglio la struttura soggiacente della fiaba.
Il contributo di questo saggio, in rapporto a studi precedenti, consiste in
un’analisi comparata fra l’opera di Roberto De Simone, le sue riflessioni
teoriche, in quanto artista e in quanto studioso di etnomusicologia, con altre
ricerche intorno agli archetipi culturali che hanno prodotto le varie versioni
della favola, in particolare attraverso i risultati di ricerche dell’antropologa
Margarita Xanthakou che ha registrato in interviste degli anni ’807, come dai
racconti femminili nella regione della Magna nel Peloponneso emergano dei
ritratti di vere e proprie cenerentole. Si può così constatare come esistessero
delle omologie narratologiche fra le credenze culturali in Grecia e in Italia
fino agli anni ‘80. È poco probabile che oggi persistano ancora reminiscenze
culturali così vive nei racconti della gente. Inoltre, come vedremo, delle
Cf : R. DE SIMONE, Il segno di Virgilio, Napoli, Puteoli : Studi di Storia Antica, 1982.
Margarita XANTHAKOU, Cendrillon et ses sœurs cannibales (De la Stakhtobouta maniote
(Grèce) à l'approche comparative de l'anthropophagie intraparentale imaginaire), Paris, Éditions
de l’École des hautes études en sciences sociales, 1988. Un’opera che non mi risulta sia
stata tradotta in Italia, né menzionata in studi italiani.
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prossimità fra la figura di Cenerentola e la Santa Vergine, a Napoli, lasciano
supporre che vi sia un sostrato profondo matriarcale riconoscibile
soprattutto nell’antica versione della favola. In definitiva attraverso percorsi
diversi gli studi di Roberto De Simone (che si riversano poi con grande
fecondità culturale nei suoi spettacoli), e quelli di Margarita Xanthakou,
riconducono alla stessa idea : che persistano specifici residui matriarcali
nell’area del Mediterraneo, che ritroviamo in credenze e racconti. L’opera di
Roberto De Simone coniuga questa vena vulcanica sotterranea dell’antico
tessuto culturale napoletano all’attualità : un dialogo culturale (nel senso
dato a questo termine da Lotman) si sussegue durante tutto lo spettacolo.
I.
L'origine de La gatta Cenerentola
I a - La gatta Cenerentola di Roberto De Simone etnomusicologo, si rifà al
racconto omonimo di Giambattista Basile, il Pentamerone o Lo cunto de li cunti
overo lo trattenemiento de' peccerille (Napoli, pubblicazione postuma del 163436). Attraverso alcuni simbolismi, la messa in scena fa eco a dei significati
meno evidenti nel testo scritto : la caratterizzazione dei personaggi, i loro
costumi, i segni iconografici, rinviano al sostrato mitico del racconto.
De Simone crea un’opera che con ironia vuol far partecipare lo spettatore a
un rito, iniziarlo, e a questo fine inserisce nella pièce delle tammurriate, per
esempio, - cantate d’origine araba che incitano a danzare ad un ritmo
sfrenato, diffuse nella regione di Napoli -, in punti chiave dello spettacolo
che ha come tema principale la metamorfosi.
Roberto De Simone mette l’accento sulle origini mitico-rituali della
narrazione : « Ho concepito e messo insieme in un assoluto contrasto
differenti componenti, là dove un elemento ne nega un altro. È come se si
attivasse un ‘qui lo dico e qui lo nego’, una serie di contraddizioni che
tendono a rappresentare l’ambiguità del vivere e l’ambiguità della
comunicazione… » (intervista RAI, 1999).
La trama de La gatta Cenerentola di De Simone rinvia, come si è detto,
all’opera omonima di Giambattista Basile, scritta in napoletano. In
quest’opera una giovane povera, orfana di madre, uccide una prima
madrina e finisce col tentare la stessa azione con la seconda, in un
susseguirsi di avvenimenti dove i protagonisti sono in perpetuo
antagonismo. L’appellativo di gatta è dovuto sia al carattere magico dei gatti,
alla loro aria stregonesca, imprevedibili e sornioni come la brace che cova
sotto la cenere, sia ad alcune versioni della favola dove Cenerentola si
trasforma in gatta. Un mito molto antico, forse il racconto più diffuso in
Europa e in Oriente, che ricorda ugualmente alcune divinità con la testa di
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Sul palco c’è l’autore
gatto venerate con riti orgiastici, come Artemide in Egitto. Sulla prossimità
nell’antichità fra gatto, il femminile e la luna, dei riferimenti ce li dà Jacques
Duchaussoy8. E non si può non pensare tout court ad Isis, la dea della luna,
un mito e un’iconografia che ha attraversato tutta l’Europa e il Mediterraneo
in modo particolare9.
Scrive De Simone :
(...) l'appellativo di Gatta si riferisce ad un antico mito, secondo il quale
una dea si trasforma in donna e viceversa. [Un mito presente in Esopo,
nella fiaba de La gatta e Afrodite, precisa De Simone]. Come succede in
tutte le culture popolari, un personaggio storico persiste, cioè è
memorizzato e collettivizzato, là dove rientra o anche lo si fa rientrare in
modelli più lontani, cioè nel mito10.
Ancora nel XVII secolo, questa sedimentazione arcaica esisteva a Napoli,
come residuo di un antico rito orientale 11, di qui il racconto del Basile. Si
pensa anche al mito di Persefone che ogni primavera abbandona gli Inferi
per visitare la terra nel periodo dei polloni, lasciando la scarpetta come
traccia del suo passaggio.
La messa in scena di De Simone con la musica del XVII e XVIII secolo, sia
popolare che colta (moresche, musica sacra, madrigali, ecc.) valorizza inoltre
le intonazioni melodiose della ricca cultura mediterranea della voce12 ; e
sfrutta anche in modo dissonante differenti combinazioni costruite sul
Jacques DUCHAUSSOY, Le bestiaire divin ou La symbolique des animaux, Paris, La
Colombe, 1957, p. 147.
9 Cf : PLUTARCO, Iside e Osiride, Introduzione di Dario DEL CORNO, trad. e note di
Marina CAVALLI, Milano, Adelphi, 1998. (Prima ediz. 1985) ; APULEIO, L’asino d’oro,
(trad. di Massimo BONTEMPELLI), Torino, Einaudi, 1991, Libro undicesimo ; e Juris
BALTRUŠAITIS, La quête d’Isis, Paris, Flammarion, 1997. (Prima ediz. 1985).
10 L'antromorfismo della gatta (Cenerentola) si può far risalire alla dea Bastet (Artemide
dalla testa di gatto) raccontata da Erodoto, e alla favola La gatta e Afrodite di Esopo, in La
gatta Cenerentola, op.cit., Napoli, 1988, p. 59.
11 È anche la tesi di Vladimir PROPP che fa risalire l'origine delle fiabe di magia agli
antichi miti (Les racines historiques du conte merveilleux, trad. dal russo di Lise GRUELAPERT, Paris, Gallimard, Paris, 1983. (Prima ediz. Leningrad 1942). Uno studio dei miti lo
troviamo in Marcel DETIENNE, L'invention de la Mythologie, Paris, Gallimard, 1982. Siamo
lontani dal testo di Bernard Le Bovier de Fontenelle che classificava il mito come un errore
degli antichi. (Bernard LE BOVIER DE FONTENELLE, L'origine des fables, 1724. Paris,
Alcan, 1932).
12 Su un intervento dal vivo nell’ott. 1995 alla Protomoteca del Comune di Roma di De
Simone e il gruppo Media Aetas ne ho scritto in un breve un saggio : B. BARBALATO,
Coltivare le emozioni, il teatro in musica di Roberto De Simone : un coro che canta da più di
duemila-cinquecento anni, Dialogos, rivista trimestrale, Roma, 1995, pp. 85-88.
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registro orale, iconografico e musicale, impedendo degli automatismi
interpretativi.
I b - In quale maniera l’iconografia dello spettacolo amplifica i significati
del racconto di Basile ricollegandolo ad epoche più arcaiche ?
Sul filo del tempo, Cenerentola ha perduto la crudeltà e la ferinità che
possedeva all’origine. La versione di Charles Perrault è esemplare.
Perrault, contemporaneo al Basile, modella un personaggio positivo, una
qualità tra l’altro ripresa nella versione cinematografica di Walt Disney,
probabilmente la più conosciuta.
Anche durante il XIX secolo questo tema è stato elaborato sia ne La
Cenerentola di Rossini, che nell’adattamento teatrale di Storia di una capinera
di Verga13.
Marc Soriano14 è convinto che non sia importante sapere se Perrault
conoscesse il testo napoletano crudele e ridanciano di Giambattista Basile,
perché è evidente che egli ha scelto di scrivere un racconto giocosamente
cartesiano, ricco di corrispondenze d’ordine logico ed epurato da referenze
popolari. « Il ‘cartesianesimo’ di questi tratti si trova non nelle equivalenze
sbalorditive che essi stabiliscono, ma nella volontà burlesca di considerarli
come principi logici »15.
Perrault si allontana dagli archetipi presenti nelle versioni popolari per
farne una narrazione letteraria di miroiterie. Un effetto specchio che ripete in
molti racconti e soprattutto in maniera esplicita ne Le miroir ou la
métamorphose d'Orante. La Cendrillon di Perrault è elegante e delicatamente
burlesca. Perrault, spiega Soriano, si serve dei clichés del racconto popolare
13 Ricordiamo
fra le opere in musica la Cendrillon di Nicolas (detto Nicolò) ISOUARD, dal
libretto di Charles-Guillome ÉTIENNE, Paris, Bibliothèque de l’Opéra, 1810, e La
Cenerentola o La bontà in trionfo di Gioachino ROSSINI, dramma gioioso in due atti di
Giacomo FERRETTI. Un commento di Stendhal accompagna la lettura di quest'opera (in
Tutti i libretti d'opera : Gioachino Rossini, a cura di Piero MIOLI, Roma, Newton, 1997).
Questa versione è interessante per il ruolo attivo del padre.
14 Marc SORIANO, Les contes de Perrault - Culture savante et traditions populaires, Gallimard,
Paris, 1977. Si veda, per esempio, la nota 1 alla pagina 143 : « Naturellement si notre
auteur s'était directement inspiré de La gatta Cenerentola – ce que je ne crois pas – il
faudrait faire entrer en ligne de compte l'élimination du meurtre de la première marâtre,
qui est particulièrement atroce chez Basile : Cenerentola lui brise le cou et la colonne
vertébrale avec le couvercle d'un coffre. Au nom de la morale et des vraisemblances,
l'adaptateur ne pouvait de toute façon attribuer un tel forfait au personnage le plus
sympathique ».
15 « Le ‘cartésianisme’ de ces traits se trouve non dans les équivalences ahurissantes qu’ils
établissent, mais dans la volonté burlesque de les considérer comme des principes
logiques », ibidem, p.144.
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Sul palco c’è l’autore
per garantire la sua memorizzazione e comprensione a un gran numero di
persone, ma ne rarefà i tratti archetipici ed elimina gli elementi volgari 16.
Numerose varianti del racconto sono coesistite durante i secoli. Fino agli
anni '60/'70 in Italia si potevano trovare correntemente dei testi con diverse
versioni (fra le variabili più frequenti : la presenza di molte sorelle e del
padre).
II.
Il matriarcato
II a - Bruno Bettelheim, nella celebre opera The uses of enchantment. The
meaning and importance of fairy tales17, mette l’accento sul carattere edipico del
racconto, proiezione di un desiderio tabù della figlia per il padre e viceversa,
che porta a punirsi o a punire con la marginalizzazione. Marian R. Cox, nel
suo studio sulle 345 versioni di Cenerentola, mette soprattutto in evidenza il
ruolo del padre e spesso di un padre snaturato, che vuole sposare sua
figlia18.
Se non si può escludere questa interpretazione, è altrettanto vero che ciò
che sembra dominare le relazioni fra i personaggi, è piuttosto lo spirito di
conflittualità femminile. In effetti se si analizzano i differenti ruoli, a partire
dalla versione di Basile, si riconoscono dei tratti matriarcali. Forse il racconto
potrebbe testimoniare la crisi di transizione fra la società matriarcale e quella
patriarcale. Anche se le giovani donne si contendono il principe, esse
gestiscono e intendono dominare il sistema parentale.
La scarpetta come pretesto per l’intreccio della favola non è casuale in tutto
questo. Già nella mitologia egizia, un sandalo conduce al matrimonio la
cortigiana Nitocris19. Freud20 ricorda che il feticismo venerava le calzature
femminili e i piedi come simbolo di sostituzione del fantasma del pene
perduto. Il piede e la scarpa costituirebbero dunque contemporaneamente
un simbolo di un atto sessuale e del rimpianto per un’identità maschile
perduta. Il tema del piede è ricorrente nelle narrazioni fiabesche della regina
Marc SORIANO, Le dossier Perrault, Paris, Hachette, 1972, p. 298 e p. 303.
Bruno BETTELHEIM, The uses of enchantment. The meaning and importance of fairy tales,
New York, Alfred A. Knopf, 1976.
18 Marian R. COX, Cinderella : Three Hundred and Forty-five Variants, London, David Nutt,
1893.
19 Un’aquila ghermisce un sandalo della cortigiana Nitocris, lasciandolo poi cadere in
mezzo al collegio dei giuristi, presieduto dal re. Il sovrano incuriosito fa ricercare la
proprietaria del sandalo che poi sposerà. Cf : Pierre KLOSSOWSKI, Le dame romane, (trad.
di Giancarlo MARMORI), Milano, Adelphi, 1973, pp. 26-27. (Prima ediz. : « Origines
culturelles et mythiques d'un certain comportement des dames romaines », La NRF – La
Nouvelle Revue Française – Paris, Gallimard, n° 155, novembre 1965, pp. 778-809).
20 Sigmund FREUD, Leonardo, trad. di Ezio LUSERNA, Torino, Boringhieri, 1975, p. 50.
(Prima ediz. Leipzig -Vienna, 1910).
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di Saba – veri riti di fondazione –21; e nel racconto dei fratelli Grimm la
sorella maggiore perde sangue essendosi tagliata l’alluce pur di calzare la
scarpetta.
È a partire dagli studi di Johann Jakob Bachofen che si è riusciti a conoscere
meglio la dominante culturale del matriarcato nei miti, nelle tragedie, nelle
antiche testimonianze storiche22. E d’altra parte nell’area mediterranea
sopravvivono ancora ai nostri giorni (come si vedrà fra breve) dei racconti
analoghi al personaggio di Cenerentola del Basile, con dei forti residui
culturali dell’organizzazione sociale del matriarcato.
II b - Il confitto femminile per l’egemonia si concretizza attraverso la
crudeltà di differenti comportamenti, soprattutto quando Cenerentola lascia
cadere volontariamente il coperchio di una cassapanca sul collo della
matrigna (nel racconto di Basile Cenerentola uccide la prima matrigna,
mentre nella ‘favola’ di De Simone si tratta solo di un tentato omicidio).
Nella messa in scena de La gatta Cenerentola di De Simone, la matrigna è
interpretata da un uomo e mostra in più occasioni un temperamento
maschile, mettendo in rilievo delle caratteristiche meno presenti nell’opera
scritta. La matrigna, uomo in sostanza e donna in apparenza, è nella pièce
interpretata da un uomo, non solo in base a una tradizione teatrale, ma
soprattutto perché nel fondo della storia vi è ambiguità sul ruolo femminile
della matrigna. E questa ambiguità è amplificata da De Simone con gli attori
maschili che interpretano le sorellastre, mentre Cenerentola resta il solo
personaggio incarnato da un’attrice.
Un tono di comando caratterizza la matrigna (sono una donna che può
rivaleggiare con un generale d’artiglieria, dice nello spettacolo). In una
canzone racconta di aver avuto sei mariti tanti quanti sono le figlie, morti
dopo la prima notte di nozze… Insomma è un’ape-regina, che uccide gli
uomini che ha posseduto.
Una disposizione al comando della matrigna tipicamente maschile si
manifesta attraverso la voce e la gestualità ne La gatta Cenerentola di De
Si legge in Comment le royaume de David passa aux mains du roi d’Abyssinie, che la Regina
di Saba era nata con uno zoccolo al posto del piede, in quanto sua madre incinta aveva
sognato una capra ammirandone la bellezza. Solo quando la regina di Saba incontrerà il re
Salomone e inciamperà su un legno prezioso – che sarà in seguito la croce di Cristo –,
vedrà il suo piede tornare alla normalità. « Contes et romans de l’Egypte chretienne », a
cura di Émile AMÉLINEAU, Paris, Ernest Leroux Ed., 1888, in La Reine Saba-Bilqîs-Makêdâ,
Une légende noire et dorée - Anthologie de textes, (a cura di Anne-Marie KÄPPELI),
pubblicata in occasione dell’Esposition du Musée d’ethnographie de Genève, 18 mai –
30 juin 2001, pp. 55-59.
22 Johann Jakob BACHOFEN, Introduzione al diritto materno, Torino, Editori Riuniti, 1983, a
cura di Eva CANTARELLA, (trad. di Pasquale PASQUINO). (Prima edizione : Das
Mutterrecht, Stuttgart , 1861).
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Sul palco c’è l’autore
Simone, alternata di tanto in tanto a delle maniere affettate femminili, che
mettono in luce qua e là una sorta di duplicità sessuale. La matriarca è una
donna-uomo.
Johann Jakob Bachofen in Das Mutterrecht (il matriarcato) è stato il primo a
dare un quadro coerente della presenza del matriarcato come ginecocrazia,
soprattutto nell’area del Mediterraneo. Un tipo di organizzazione che
cronologicamente avrebbe preceduto il patriarcato, una struttura parentale
guidata dal pater familias. Friedrich Engels fa risalire l’origine del capitalismo
al patriarcato. Nel libro L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello
stato23, considera Bachofen un pioniere e spiega come l’uomo, per
trasmettere la proprietà privata, abbia impedito la continuità della società
matrilineare, esercitando un potere privato sulla donna e i figli, che durante
il matriarcato, invece, vivevano in maniera comunitaria e comunistica.
La teoria di Bachofen è stata relativizzata da studi ulteriori, che mettono in
dubbio che il matriarcato sia stato una tappa obbligata dello sviluppo della
società. Per questo, si attribuisce una più grande credibilità a delle
interpretazioni che parlano di strutture parentali madrilineari 24. In effetti,
non c’è dubbio che vi sia stata e sussista ancora una forte continuità e
presenza dalla preistoria ad oggi di forme di dominazione della donna nella
struttura familiare, in particolare nell’area mediterranea. Ne sono
testimonianza la statuaria, le tragedie greche, i miti. Anche Erodoto ricorda
come i Licii davano ai loro figli il nome della madre 25.
Un sostrato di questa cultura matriarcale è ancora presente in qualche
comportamento attuale, come confermano le interviste e gli studi fatti in
Campania negli anni '70 da Roberto De Simone 26. E del resto di queste
permanenze culturali ne hanno discusso sotto il profilo psicanalitico
Deleuze-Guattari27.
Friedrich ENGELS, Sull'origine della famiglia, della società privata e dello Stato, Roma,
Editori Riuniti, 1963. (Prima ediz. Zurich, 1884).
24 Si veda anche : Les femmes avant le patriarcat (di Françoise d'EAUBONNE, Paris, Payot,
1976), un testo dove l'autrice sostiene che l'errore di Bachofen è stato di confondere « le
società matrilineari con il matriarcato » (introduzione p. 9). Il matriarcato non si sarebbe
affermato come una tappa indispensabile dell'evoluzione sociale tutta, bensì come una
trasmissione del diritto materno che ha convissuto con altre forme di organizzazioni
sociali.
La tesi di Bachofen fu rifiutata anche da Max HORKHEIMER & Theodor W. ADORNO,
Dialettica dell’illuminismo, Torino, Einaudi, 1966, p. 62. (Dialektik der Aufklärung : prima
ediz. 1944).
25 J. J. BACHOFEN, Diritto materno, op.cit., p. 42.
26 R. DE SIMONE, La gatta Cenerentola, op.cit. In questa prima edizione (Napoli 1988) sono
riportate diverse interviste su campo.
27 Gilles DELEUZE - Félix GUATTARI, L'antioedipe, Paris, Éd. de Minuit, 1972. Uno studio
psicanalitico sul tema del matriarcato è anche quello di Erich FROMM, Die sozial
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II c - Allo stesso modo, una ricerca condotta nella regione della Magna
Grecia rivela la continuità nella memoria collettiva delle versioni più
arcaiche del racconto, mettendo parallelamente in luce l’esistenza di una
società dominata dalla figura materna e fortemente conflittuale. In uno
studio d’antropologia comparata di Margarita Xanthakou 28, pubblicato in
Francia nel 1988, si trovano strette omologie fra i racconti orali e la struttura
matriarcale della favola. L’autrice vi menziona le versioni di Cendrillon – la
Stakhtobouta maniote – che circolavano nella regione della Magna in Grecia
negli anni ’80.
Questi racconti riprendono una versione cannibalesca : le sorellastre
trasformano la madre in vacca, la mangiano, ad eccezione di Cenerentola,
che, dopo aver esumato le ossa materne, riceve tre noci magiche che la
rendono particolarmente attraente e finisce con lo sposare il figlio del re. In
nota si riporta il ritratto-robot, l’identikit, che ne fa Margarita Xanthakou.
La versione della Stakhtobouta maniote interpreta il tema del cannibalismo
fra donne : una lotta per il dominio, dove il padre è assente o poco presente.
Una struttura parentale dominata dalle donne che genera dei conflitti simili
a quelli descritti in diverse versioni di Cenerentola29.
Margarita Xanthakou accompagna il suo studio con inchieste su campo.
Una delle intervistate, Artemide, figlia di Fedra, dice : « Lei [sua madre] mi
psychologische Bedeutung des Mutterrechts, in Zeitschrift für Sozialforschung 1934 (ristampato
in Analytische Sozialpsychologie und Gesellschaftstheorie, Frankfurt a.M., 1970).
28 Questo studio antropologico condotto negli anni '80 da Margarita Xanthakou permette
di stabilire dei collegamenti fra la struttura della società matriarcale o matrilineare e il
racconto sull’archetipo della Cenerentola greca. Margarita Xanthakou non solo riporta le
versioni più correnti in Grecia simili al racconto di Cenerentola, ma ha messo in evidenza
come nell'allora attuale struttura sociale (anni ’80) nella regione della Magna, una delle
più povere e arretrate in Grecia, esistevano delle conflittualità fra madre e figlia
paragonabili a quelle descritte nella favola.
Queste versioni, scrive Margarita Xanthakou, « m'ont été narrées par deux vieilles femmes
(yiayiadhes 'grand-mères'), comme il se doit, sur le perron de leur porte, le soir, en
présence de quelques parents et voisins, enfants et adultes. J'en ai donné ci-dessus la
traduction libre, mais intégrale. En voici le 'portrait-robot' :
‘La mère de Cendrillon est changée en vache puis égorgée – dans un cas par ses deux filles
aînées (l'héroïne est leur cadette) qui ensuite la dévorent. Cendrillon (lorsque le repas
cannibale a lieu, elle le refuse) trouve ensuite des présents somptueux dans les restes exhumés
de sa mère, cadeaux qui lui permettront de se rendre incognito à l'église où un 'fils de roi'
(vassilopoulo) sera ébloui par sa beauté. Puis elle perdra son soulier, et la suite reste proche,
à quelques nuances près, des versions bien connues de Perrault ou de Grimm’ ». [il
corsivo è nel testo]. M. XANTHAKOU, Cendrillon et ses sœurs cannibales (De la Stakhtobouta
maniote (Grèce) à l'approche comparative de l'anthropophagie intraparentale imaginaire), op.cit.,
p. 16.
29 Sul tema del 'cannibalismo e società matrilineari' esistite fino a tempi recenti, si veda
Marvin HARRIS, Cannibali e re. Le origini delle culture, Milano, Feltrinelli, 1977. (Prima ediz.
Cannibals and Kings, 1977).
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Sul palco c’è l’autore
dà sempre dei vecchi vestiti da portare… Non pensa che ad andare dal
parrucchiere, a truccarsi, ad abbigliarsi. [...] Ho a volte voglia di
strangolarla [...]»30.
Un conflitto fra figlie e madri, ritualizzato dal racconto.
Le narrazioni di Cenerentola potrebbero dunque rappresentare la traccia
del momento di passaggio dalla società matriarcale o matrilineare (per la
matrigna che comanda brutalmente e per la struttura da gineceo del gruppo
familiare) al patriarcato, un passaggio rappresentato nel racconto dal
desiderio di tutte le sorelle di essere scelte dal principe, e dunque di voler
uscire dal circolo ginecocratico.
Si suppone anche che la tragedia greca Orestea testimoni questa complessa
transizione dalla dominazione femminile a quella maschile, come riflette
Freud vedendo in Amleto un analogon di Oreste, iniziatore di una società più
moderna, una volta liberatosi di Clitennestra 31.
III.
La messa in scena enigmatica de La gatta Cenerentola
III a - Attraverso quali immagini, quali scene Roberto De Simone rende
conto della vitalità del racconto, dei suoi significati sotterranei, dei suoi
legami con i miti e i riti che il personaggio di Cenerentola evoca ?
Roberto De Simone riprende lo spirito dell’opera buffa : sia nella figura
della matrigna, donna/uomo che gareggia con le sue figlie e con
Cenerentola molto femminile e graziosa, ma determinata e cattiva, sia
attraverso i registri musicali che sottolineano o contraddicono i
comportamenti in scena, alternando brani di musica colta del XVII e XVIII
secolo, musica sacra, madrigali con moresche e tammurriate. Riferimenti,
allusioni e registri messi in antagonismo, portano ad interrogarsi sui diversi
significati che vanno al di là di una lettura di primo livello.
« Elle me donne toujours de vieux vêtements à porter […]. Elle ne pense qu’aller chez le
coiffeur, se maquiller, mettre de belles robes […]. J’ai quelque fois envie de l’étrangler
[…] », in M. XANTHAKOU, Cendrillon et ses sœurs cannibales (De la Stakhtobouta maniote
(Grèce) à l'approche comparative de l'anthropophagie intraparentale imaginaire), op.cit., pp. 105106.
31 Sigmund FREUD, « Totem et tabou », in Œuvres complètes, tome XI, Paris, PUF, 1998.
30
Capitolo VI – L’immagine della matriarca e dell’androgino
117
IMM. 1
Tra i simboli evocati attraverso la musica, le danze e i costumi, primeggia il
sole, principio maschile della vita. L’ultimo vestito di Cenerentola (quello
del terzo ballo) è ricamato con l’immagine della luna e del sole nella prima
versione (’76), mentre in quella del ’97, Cenerentola porta un vestito
sontuoso, una parrucca da Re Sole, e dietro il trono dove è seduta, all’altezza
della sua testa uno specchio con dei raggi d’oro costituisce una specie di
aureola (imm. 1).
Una mela d’oro – altro riferimento al sole – si trova nelle mani delle sei
sorellastre (imm. 2) mentre cantano un madrigale elegante che si oppone alla
terrigna pulsione sessuale esplicitata con le parole.
118
Sul palco c’è l’autore
IMM. 2
Tuttavia, questo gineceo, dove aleggia una presenza maschile (il simbolo
del sole, la matrigna mascolinizzata), non conduce sic et simpliciter a opporre
maschile e femminile. De Simone ci traghetta puntualmente da un genere
all’altro, e drammatizza questo aspetto attraverso il personaggio del
femminella32.
Il femminella è un uomo/donna, un asessuato integrato nella società e nella
cultura napoletana, familiarizzato dall’antichità con l’efebico e l’androgino.
Il personaggio della femminella – in scena al III atto in un momento chiave
(quello che segue l’ultimo ballo) si trova con un gruppo di lavandaie e con
Cenerentola. Fa l’elogio della dolcezza della donna, della madre, fa cenno
alla perdita della scarpetta, ma quando il canto delle lavandaie fa allusione
alla sessualità, diventa insicuro, mortificato : si avvicina al pozzo, e si suicida
gettandovisi.
32
Più comunemente chiamato femminiello o femminello (diz. De Mauro).
Capitolo VI – L’immagine della matriarca e dell’androgino
119
Nel coro, il femminella entra e esce dal cerchio delle lavandaie, che danzando
evocano il sole, il maschile, agente di fecondità , in una delimitazione
circolare dello spazio scenico (imm. 3) simbolo di inclusione e di esclusione,
della possibilità o meno di entrare nel circolo delle donne 33.
IMM. 3
Il femminella è cittadino di diritto in un mondo senza separazioni, né uomo
né donna fa parte della piccola comunità di lavandaie 34, ed è spinto verso la
Riporto il termine così com’è menzionato da De Simone. Il femminiello è una figura
presente da secoli soprattutto nei quartieri spagnoli napoletani : un maschio allevato come
una bambina (un processo oggi accentuato con ormoni) destinato a diventare un
transessuale.
34 Sulla figura della lavandaia De Simone scrive : « Alla vergine Maria riconduce la figura
rappresentante LA LAVANDAIA, personaggio caratteristico della nostra tradizione
presepiale. Come testimone del parto verginale di Maria […]. […] si trovano sui presepi
orientali più levatrici di Maria (lavandaie) che dopo aver lavato il bambino, stendono ad
33
120
Sul palco c’è l’autore
morte quando le donne invocano il maschile, il contrario di sé, l’altro, e
attraverso il canto frenetico si trasformano in baccanti scatenate.
L'universo enigmatico de La gatta Cenerentola si risolve nel punto
culminante e drammatico della morte, dopo di che il carattere
dell’androginia sparisce per condurre la storia verso una fine chiara e felice,
senza più ambiguità sessuali.
Vi è in questa parte dell’opera il riferimento a una figura sessualmente
duplice presente sin dall’antichità, raffigurata e sublimata nell’ermafrodito,
che porta con sé il maschile e il femminile, e che tuttavia in questa perfetta
unità non è in grado di proliferare. La presenza del femminella ampiamente
accettata nella società napoletana, trova il suo punto fragile
nell’impossibilità a riprodursi. Fatto sta che i femminielli a Napoli nei
quartieri spagnoli, spesso interpretano, in drammatizzazioni teatrali, l’atto
del partorire.
Denis Diderot, alla voce « Hérmaphrodite » da lui redatta per
l’Encyclopédie, avanza interessanti riflessioni sulla portata, sul significato
culturale, e sulle reazioni sociali intorno al possesso di attributi sessuali
maschili e femminili35.
III b - Sacro e profano fanno parte della simbologia della scarpetta. In
Perrault, il sottotitolo di Cenerentola è La pantoufle de verre. Honoré de Balzac
pensava ad un errore di trascrizione da vair (pelliccia) a verre (vetro).
Secondo Marc Soriano, invece : « Se il nostro narratore ha scelto questo
materiale, non è malgrado, ma proprio per la sua fragilità. [...] Si tratta
asciugare i panni del parto, il cui candore è suggestivo per un confronto con la verginità di
Maria ». R. De Simone, Il presepe popolare napoletano, Torino, Einaudi, 1998, p. 20.
Sulla presenza delle lavandaie nel presepe, De Simone si richiama ai vangeli apogrifi.
Ne La gatta Cenerentola le lavandaie sono sempre in qualche modo connesse al tema della
sessualità, e nel caso specifico sottolineano il tema della perdita della verginità :
III atto : «Prima Lavandaia (…) Ma tu 'o ssai chi la perza la scarpa ? [traduzione : Ma tu sai
chi ha perso la scarpa ?]
La zingara : Io ?… Certo ca 'o ssaccio ! … 'A primma a perdere la scarpa fui' la Maronna.
[trad. : Certo che lo so, la prima a perdere la scarpa fu la Madonna] », in R. De Simone , La
gatta Cenerentola, op.cit., (ediz. Einaudi), p. 87. Si veda anche :
Dunque, in De Simone l'immagine teatrale delle lavandaie viene collegata come si è visto
alla Madonna, e la Madonna come si dirà più avanti ha perso a Piedigrotta la sua
scarpetta, un tema arcaico vicino al racconto di Cenerentola.
35 Denis DIDEROT, voce « Hérmaphrodite », in Encyclopédie, t. VIII.
Cf. : Aurélie SURATTEAU, « Les hermaphrodites de Diderot », in Annie IBRAHIM (a cura
di), Diderot et la question de la forme, Paris, PUF, 1999, pp. 107-137.
Capitolo VI – L’immagine della matriarca e dell’androgino
121
dunque nel racconto di un’impossibilità logica scelta con un proposito
deliberato [...] »36.
Ne La gatta Cenerentola, il tema della scarpetta è apparentemente meno
centrale : interviene meccanicamente come risoluzione finale del racconto,
anche se è messo in relazione con un universo simbolico secondo le
differenti credenze presenti a Napoli. L’episodio della scarpetta come è
annunciato dal femminella è carico di molti significati. Nello spettacolo
del ’97, in effetti, ha nella mano una bambola senza scarpa e spiega che
questa puttana l’ha perduta al ballo, facendo allusione probabilmente alla
perdita della verginità. Un riferimento che è sotterraneamente presente
anche nel taglio sanguinolento dell’alluce della sorella maggiore nella
Cenerentola dei fratelli Grimm.
A quali altri motivi più antichi l’autore fa riferimento ?
In diverse occasioni Roberto De Simone ha riflettuto sul tema del maschile
e del femminile all’interno della cultura napoletana e mediterranea. Nel libro
Il segno di Virgilio, spiega alcuni dei simboli e delle denominazioni di Napoli
detta Partenope, o Vergine o Sirena, città devota sia a Diana che ad Apollo
solare, il dio che appariva in forma d’Efebo o di Toro come sole
primaverile37. De Simone ricorda come nel quartiere e nel cimitero delle
Vergini si praticassero dei culti oracolari.
I napoletani danno anche l’attributo di Partenia o Verginella a Virgilio :
come tale egli è la vergine e la verga, inteso come ambiguo sessualmente, e
sacro androgino : « egli è divinità eponima della città di Partenia o la
verginella in stretta relazione con Partenope »38.
Virgilio, chiamato ancora oggi ‘strologo, cioè astrologo, mago39 dai
napoletani, è « il poeta degli oracoli in relazione con la mitica sirena, infine
« Si notre conteur a choisi ce matériau, ce n’est pas malgré mais à cause de sa fragilité.
[…] Il s’agit donc dans le conte d’une impossibilité logique choisie de propos délibéré
[…] », in M. SORIANO, Le dossier Perrault, op.cit., p. 300.
37 R. DE SIMONE, Il segno di Virgilio, op.cit., pp. 81-82.
38 « L'ermafrodito non significa altro che un'unione di contrasti più forti ed appariscenti.
Tale unione risale innanzitutto alla forma primitiva dello spirito, nel cui crepuscolo
differenze e contrasti sono poco accennati e addirittura confusi », in De Simone, Il segno di
Virgilio, op.cit., pp. 81-82 (citazione riferita a Jung : Carl Gustav JUNG e Karl KERÉNYI,
Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia, Torino, Boringhieri, 1972 , pp. 50-51-52).
39 I napoletani attribuiscono a Virgilio molti interventi magici sulla città. La bibliografia è
molto vasta. Tra i molti testi esistenti, si ricordano :
« Cronica di Parthenope », in Raccolta di vari libri ovvero opuscoli d'Historia del Regno di
Napoli, Napoli 1680.
La « Cronica di Parthenope » è presente anche nel capitolo IX di Virgilio nel Medioevo di
Domenico COMPARETTI, Nuova ediz. riveduta a cura di Giorgio PASQUALI, 2 vol.,
Firenze, La Nuova Italia, 1941-1943.
Cronaca di Partenope, a cura di Antonio ALTAMURA, Napoli, Società Editrice Napoletana,
1974.
36
122
Sul palco c’è l’autore
egli è l’epifania solare nel suo aspetto iniziatico e adolescenziale come
Apollo Ebone »40.
Come si sa, Virgilio è considerato quasi un profeta per l’annunciazione
nella IV egloga delle Bucoliche, scritta intorno al 41-40 A.C., della nascita di
un bambino nel quale è stato visto Gesù. Inoltre ne La divina commedia, Dante
sceglie Virgilio come guida nel viaggio dell’al di là, fino alle soglie del
Paradiso. In altre parole, il poeta simboleggia il passaggio dalla sensibilità
pagana al cristianesimo, costituendone la cerniera.
IMM. 4
40
R. DE SIMONE, Il segno di Virgilio, op.cit., p. 82.
Capitolo VI – L’immagine della matriarca e dell’androgino
123
Mantua me genuit, Calabri rapuere, tenec nunc Parthenope : questi versi scritti
da Virgilio stesso per il suo epitaffio esprimono il suo sentimento di
appartenenza a Napoli. I napoletani ne sono riconoscenti, non solo perché
venerano la sua tomba a Posillipo, ma perché attribuiscono al poeta/profeta
una serie di miracoli, considerandolo un protettore della città.
III c – La parola Piedigrotta, deriva dalla credenza secondo la quale la ninfa
Partenope posò il suo piede con il corpo disteso lungo il golfo 41.
Testimonianze orali registrate negli anni '70 da De Simone parlano di una
scarpetta perduta dalla Vergine sulla spiaggia. Un tema che, nella cultura
popolare, sottolinea il legame fra scarpa e verginità.
Alle raffigurazioni che ricordano i temi di Cenerentola (l’effigie della
Vergine con il gatto e il camino, o con il sole e la luna) si aggiungono le
immagini votive a forma di suola (imm. 4)42. Insomma, la cultura napoletana
vive senza traumi la continuità fra tradizione pagana e tradizione sacra.
Ne Il segno di Virgilio, De Simone segnala i differenti punti di contatto fra
simbologia pagana e iconografia cristiana.
Questa continuità è ancora oggi leggibile sul territorio napoletano. Nella
chiesa di S. Maria di Piedigrotta le promesse spose il giorno prima del
matrimonio depositano votivamente una scarpetta sotto l’altare della
Madonna (imm. 5, foto che io stessa ho ripreso).
Si racconta in una leggenda che Fra Bernardino non avendo trovato la
statua della Madonna sull’altare, pensò che l’avessero rubata. Ritornato in
chiesa per la verifica, dopo essere andato spaventatissimo dall’abate, vede la
Madonna tutta bagnata :
La Madonna allora disse che alcuni marinai, in quella notte di tempesta,
avevano chiesto aiuto e lei, quindi, era andata a salvarli. Poi la Madonna
si tolse la scarpa per far cadere la ‘rena’ cioè la sabbia, in essa contenuta.
Bernardino allora ritornò di corsa, e ancora più spaventato, dall’abate che,
scese in chiesa, dove vide la Madonna al suo posto, ma si accorse che Ella
non aveva una scarpetta e che il mantello era ancora bagnato. Andato
41 «
[...] il culto della Madonna di Piedigrotta [...] riferito a questa simbologia del piede ci
viene attestato e convalidato da una particolare forma di devozione popolare. Vale a dire
che le donne napoletane conservavano un piccolo talismano in forma di scarpetta detto 'O
scarpunciello d' ‘a Maronna, il quale era ritenuto efficace per favorire il parto. […]
Ma il fatto più considerevole è che la stessa tomba di Virgilio è anche denominata dalla
tradizione ‘la scarpa del monte’ per la forma del piede o scarpetta, […] il che è anche
verificabile da alcune stampe antiche [...] », in R. De Simone, Il segno di Virgilio, op.cit.,
p. 118.
42 Immagine ripresa da R. De Simone, La gatta Cenerentola, (ed. Ente Teatro Cronaca, 1988),
p. 3.
124
Sul palco c’è l’autore
allora verso l’uscita, sulla soglia della chiesa, ritrovò la scarpetta e la
sabbia […]43.
Si deve osservare, inoltre, che in molte versioni di Cenerentola le sorelle
sono sei (come nella fiaba musicale di De Simone), e in Campania vi è una
tradizione che crede che le Madonne siano sei sorelle.
Ritornando allo spettacolo, un richiamo profano si trova anche nella figura
del monacello, una specie di animula (« per questo sogno d’essere qui fra voi,
e forse lo sognavo già quando ero in vita, di raccontarvi la misteriosa cabala
di una città anziana con la denominazione bugiarda di Napoli »), un frate
portafortuna sacro e blasfemo, che dà dei consigli, ma anche dei numeri per
giocare al lotto, che permette la trasformazione di Cenerentola con l’aiuto di
una pianta magica, per condurla verso un finale felice 44.
IV.
Alcune conclusioni
IV a - Nel sistema di rappresentazioni della pièce teatrale, troviamo
almeno quattro figure che mettono in rilievo dei punti chiave in maniera
molto più netta che nel testo scritto :
1) la matrigna ; 2) il monacello, che celebra la metamorfosi/magia di
Cenerentola e con i gesti fa allusione al significato sessuale degli
avvenimenti ; 3) il personaggio efebico del femminella, simbolo di un mondo
circolare senza distinzione sessuale, che muore per compiere il rito ;
4) l’ultimo vestito di Cenerentola ricamato simbolicamente con immagini del
sole e della luna (versione ’76), declinazione del maschile e femminile per un
compimento felice degli eventi. Nella versione del ’97 domina unicamente
l’immagine del sole.
In definitiva, De Simone fragilizza la narratività, l’intreccio del racconto, e
con i ruoli, gli abbigliamenti e la musica, pone in una sconcertante
prossimità tecnica e possessione 45, per usare le parole che Mario Perniola
applica ad altre opere analoghe. In effetti, La gatta Cenerentola azzera i
concetti del prima e del poi, di antico e moderno per sollecitare nello
spettatore la ritualizzazione di antichi miti e leggende.
Claudio CANZANELLA, La Madonna di Piedigrotta : il culto, il mito, la storia -, Napoli,
Edizioni Scientifiche Italiane, 1999, p. 71.
44 R. DE SIMONE, La gatta Cenerentola, op.cit . (ediz. Einaudi, 1999), pp. 45-52.
45 Mario PERNIOLA, Enigmi barocchi e neo-barocchi, in M. Perniola, Enigmi : Il momento
egizio nella società e nell'arte, Genova, Costa & Nolan, 1990, p. 112.
43
Capitolo VI – L’immagine della matriarca e dell’androgino
IMM. 5 – Altare di S. Maria di Piedigrotta, Napoli, 2004. Foto di B.
Barbalato
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