L`authority dei trasporti: quale modello regolativo?
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L`authority dei trasporti: quale modello regolativo?
L’authority regolativo? dei trasporti: quale modello Marco Mazzarino Università IUAV di Venezia Dipartimento di Pianificazione Ca’Tron, Santa Croce 1957 30135 Venezia e-mail: [email protected] Abstract Il paper affronta il recente dibattito relativo alla costituzione di una Autorità di regolazione per il settore dei trasporti, proponendone una lettura critica alla luce delle recenti iniziative governative. In particolare, il lavoro si sofferma sul nodo centrale del recente disegno di legge del governo in materia, costituito dall’art.5 che detta le competenze e funzioni principali attribuite alla costituenda Authority. Lo scopo è quello, innanzitutto, di confrontare in modo critico e ragionato, attraverso una disamina approfondita dei diversi aspetti, le indicazioni governative alla luce dei paradigmi scientifici di riferimento, in modo da contribuire a delineare il conseguente modello di regolazione e la sua più o meno marcata “coerenza” interna. Successivamente, vengono tratte e discusse alcune conclusioni in merito alla congruità tra il modello regolativo delineato, i suoi assunti teorici e le implicazioni pratiche delle future attività dell’Authority. In particolare, vengono evidenziate alcune “zone d’ombra” in grado, potenzialmente, di generare effetti importanti in termini di inefficienza sociale. 1 1. Introduzione: principi costitutivi dell’authority e prerogative Lo scopo del presente lavoro è quello di dare una lettura critica alle recenti iniziative del Governo in materia di costituzione di una Authority per i trasporti. Ci riferiamo, in particolare, al disegno di legge “Disposizioni in materia di regolazione e vigilanza sui mercati e di funzionamento delle autorità indipendenti preposte ai medesimi” in cui ci concentriamo, nella fattispecie, sul principale articolo - l’art.5. L’articolo esordisce stabilendo la costituzione di una Autorità di regolazione con competenze nel campo sia dei servizi che delle infrastrutture di trasporto, nell’interesse della concorrenza e dell’utenza. L’oggetto e lo scopo, dunque, appaiono chiari: si tratta di regolare, allo scopo di promuovere la realizzazione di forme concorrenziali (anche se la qualificazione “nell’interesse della concorrenza” appare poco felice), il funzionamento dei mercati sia nel settore dei servizi, dove come vedremo i connotati strutturali sono affatto limpidi, che in quello delle infrastrutture, dove gli indirizzi regolativi appaiono, in qualche modo, più chiari. La qualificazione ulteriore “nell’interesse dell’utenza” risulta piuttosto rilevante, in quanto configura l’Italia come un paese di utenti e consumatori e non solo, come tradizionalmente, di lavoratori ed imprese. Sicuramente, il rispetto del principio di sussidarietà comporta delle conseguenze, di stampo prettamente giuridico, di non poco conto, in quanto si tratta di definire le competenze di carattere nazionale che vengono assunte dalla costituenda Autorità rispetto a quelle già in essere ai livelli inferiori. Su tale punto, del resto, il lavoro dei giuristi appare particolarmente intenso. Scendendo nello specifico (punti a)-d)), il ddl stabilisce e ribadisce il principio guida, l’assunto chiave della riforma, ampiamente discusso a livello scientifico: la regolazione nel settore viene vista quale “miglior sostituto” della concorrenza (Ponti, 2001). In altri termini, il fine ultimo dell’ordinamento è quello di realizzare condizioni concorrenziali nel mercato dei servizi e delle infrastrutture di trasporto, in base all’assunto, dimostrato dal primo e secondo teorema fondamentale dell’economia del benessere, per cui un mercato concorrenziale realizza un ottimo sociale (paretiano), ossia è lo strumento per realizzare la massima efficienza sociale nel sistema (Laffont, J.J., 2005). Del resto, tale assunto è quello fatto proprio da gran parte della normativa comunitaria, in cui il principio 2 concorrenziale costituisce l’ossatura giuridica. Come vedremo più avanti, alcuni dei nostri rilievi critici partono da questo equivoco di fondo: la realizzazione di un ottimo sociale viene resa possibile non tanto da forme di mercato genericamente “concorrenziali”, bensì da strutture di mercato che rispettino, in tutto, il paradigma della “perfetta” concorrenza. Si deve trattare, in altri termini, non solo di forme concorrenziali ma di forme “perfettamente” concorrenziali, secondo gli assiomi del paradigma neoclassico della perfetta concorrenza. Come rileveremo più avanti, non sembra essere, questa, la tendenza concreta e reale dei mercati del trasporto che, di fatto, presentano connotati intrinseci non tanto di carattere concorrenziali, bensì di stampo oligopolistico. Al punto successivo si tocca un principio cardine di un corretto regime regolatorio: il problema dell’accesso all’utilizzo delle infrastrutture. Come è noto, le infrastrutture di trasporto costituiscono una essential facility (Cervigni e D’Antoni, 2001), ossia un input necessario per la produzione di servizi di trasporto. In termini tecnici, si tratta di un input non duplicabile perché di fatto non rivale. Si tocca qui il problema generale della realizzazione di condizioni concorrenziali in situazioni di integrazione verticale. In particolare, il problema si pone quando a monte o a valle di mercati con connotati concorrenziali sussiste una risorsa che ha le proprietà di input necessario e che non vi è convenienza a duplicare. Il caso tipico è proprio quello delle reti di trasporto: la produzione di qualsivoglia servizio di trasporto impone il ricorso all’utilizzo dell’infrastruttura, per cui ogni soggetto produttore deve avere un accesso, attraverso la determinazione di un prezzo, non discriminato. Il principio concorrenziale viene poi ripreso al punto c), laddove si afferma la garanzia di adeguati livelli di efficienza e qualità. Anche in questo caso, il paradigma della (perfetta) concorrenza viene ripreso per affermare il concetto di efficienza: si può trattare di un’efficienza “a tutto tondo”, ossia di carattere “sociale” (ottimo paretiano) – intesa dunque come massimo benessere sociale – o, come sembra di capire, un’efficienza intesa come riduzione dei costi – ossia “economicità”. Sembra di poter rilevare come, anche in questo caso, i paradigmi e significati teorici – di “concorrenza” e “efficienza” - vengano utilizzati con un significato maggiormente “comune”, più che nel loro significato specifico e rigoroso. In ogni caso, l’associazione del principio di efficienza a quello di qualità ribadisce il principio guida della regolazione come miglior sostituto della 3 concorrenza, ossia, in questo caso, viene ribadita la necessità di “simulare”, attraverso la determinazione di regole opportune, i meccanismi concorrenziali laddove, eventualmente, questi non siano già presenti. In particolare, l’obiettivo della qualità è rilevante: la qualità del servizio risulta essere un risultato “spontaneo” di un mercato concorrenziale, laddove invece questo debba essere regolato (ossia la concorrenza debba essere simulata con il ricorso ad un insieme di regole) tale risultato deve essere espressamente previsto e, a sua volta, oggetto di regole. In caso contrario, il produttore regolato che non venga sottoposto anche a norme inerenti il rispetto di determinati standard qualitativi si riterrà libero di non perseguire tale obiettivo fondamentale (Mazzarino, 2006). Il punto successivo, in parte collegato al punto a), si concentra sul problema tariffario, stabilendo la necessità di tariffe “eque” e “orientate” ai costi di una gestione efficiente, sulla base quindi di criteri diretti ad armonizzare, da un lato, le esigenze di una gestione economicamente conveniente da parte dell’operatore, e, dall’altro lato, gli obiettivi di politica generale, in particolare sociale. In altre parole, sembra proprio che si privilegi, nella regolazione, l’obiettivo sociale rispetto ad un obiettivo di mera efficienza in base a criteri privatistici. L’obiettivo è quello di salvaguardare la gestione economica dell’impresa (tariffe orientate ai costi), evitando di incorrere in una perdita, e di puntare alla massimizzazione del benessere (o surplus) dell’utente (tariffe eque). Ancora: sembra evidente come l’orientamento “ai costi di una gestione efficiente” faccia riferimento a meccanismi di fissazione delle tariffe di tipo incentivante (price-cap)1. Si tocca qui il tema della scelta del criterio di tariffazione da adottare. La scelta, chiara, del ddl è quella di optare per un criterio di “tariffazione al costo medio”, in quanto viene riconosciuto all’operatore una “equa remunerazione del capitale investito”, ossia, in altri termini, viene applicato il principio della remunerazione al “saggio normale di profitto” (rate of return). Resta un appunto da fare: sembra che si dimentichi di specificare il riferimento, essenzialmente, al caso delle infrastrutture. Infatti, l’argomento sopra riportato, con la relativa scelta del criterio di tariffazione, vale esclusivamente in riferimento alla gestione delle infrastrutture, in 1 Da intendersi come modelli non bayesiani ad informazione limitata di regolazione del prezzo. 4 particolare di quelle caratterizzate da condizioni di monopolio naturale (ambito entro il quale il dibattito di cui sopra si pone), mentre non si pone in riferimento alla produzione di servizi, laddove valgano condizioni di tipo non monopolistico. A meno che il ddl non consideri implicitamente il caso infrastrutturale parlando di tariffe. In questo campo, come noto, la scelta alternativa alla tariffazione al costo medio è data dal criterio della tariffazione al costo marginale: in ipotesi di monopolio naturale, è questo il criterio che massimizza il benessere dell’utenza del trasporto, mentre con il criterio del costo medio il benessere risulta minore. Dall’altro lato, tuttavia, la tariffazione al costo marginale implica la non copertura dei costi dell’impresa, e dunque risulta in contrasto con quanto previsto dal ddl in relazione all’equa remunerazione del capitale investito dall’operatore. 2. Ambiti di competenza Al comma due vengono specificati gli ambiti di competenza dell’Autorità, individuandoli nella regolazione: • delle condizioni di accesso alle infrastrutture; • dei servizi, limitatamente agli ambiti in cui non sussistano già condizioni concorrenziali. I due ambiti indicati non sono evidentemente di poco conto, in quanto dovrebbero in qualche modo esaurire le competenze dell’Autorità. In particolare, per quanto concerne il comparto delle infrastrutture, sembra utile precisare che la regolazione delle “condizioni” di accesso include: • il principio, già ricordato, di non discriminazione, sulla base del concetto di essential facility; • opportune regole, anche queste già menzionate, di determinazione del prezzo (tariffa) e di controllo della qualità: in questo senso, vale il criterio della simulazione della concorrenza, nel senso che le “regole” stabilite devono risultare una “minaccia credibile”, al pari della “minaccia concorrenziale”. Oltre a ciò, tuttavia, va ricordato come tra le condizioni di accesso dovrebbe ricomprendersi anche il principio dell’assegnazione competitiva (Demsetz, 1968): in generale, laddove la concorrenza “nel” mercato non è praticabile – e può essere questo il caso delle infrastrutture – e la scelta del monopolio regolato appare corretta, vi è comunque la possibilità di 5 migliorare il sistema regolatorio, ossia il disegno delle politiche – in termini di efficienza sociale - attraverso delle “leve” o “forze” competitive”: il sistema del tendering o franchise bidding (Laffont e Tirole, 1987; McAfee e McMillan, 1987; Riordan e Sappington, 1987) – ossia della concorrenza “per” l’accesso al mercato – è uno di questi strumenti (Armstrong e Sappington, 2005), che si configura come una forma di concorrenza tra monopolisti potenziali per l’aggiudicazione di un mercato di monopolio. L’altra forma di “leva” competitiva che può essere utilizzata è quella relativa al disegno della yardstick competition, che sta ad indicare una forma di concorrenza “per comparazione” tra monopolisti effettivi. Sul fronte dei servizi, invece, il ddl individua sostanzialmente quello che noi riteniamo essere uno dei punti chiave, ossia la sussistenza di condizioni concorrenziali nei mercati dei trasporti. La formulazione del ddl può apparire piuttosto neutra ed inoffensiva, tuttavia essa, a nostro parere, rappresenta una chiave di volta per l’intero assetto regolativo proposto dal ddl. In effetti, il problema cruciale che si pone è: in quali mercati (o sottomercati) dei trasporti vigono condizioni – diremo - sufficientemente concorrenziali? E’, questa, una domanda che gli economisti, dei trasporti in particolare ed in parte industriali, si sono fatti da tempo e su cui si continua a discutere (Tucci, 2001). In termini molto didattici si può pensare di ricostruire l’intero settore dei servizi di trasporto utilizzando sostanzialmente i seguenti criteri (Mazzarino, 2006): • modalità di trasporto (marittima, stradale, ferroviaria, ecc.); • tipo di bene trasportato (passeggeri vs. merci); • distanza percorsa (breve, media, lunga). Le diverse combinazioni di tali criteri identificano l’universo dei servizi di trasporto (settori) realmente offerti sui mercati. Se valutiamo tali mercati alla luce della sussistenza di condizioni concorrenziali – o quantomeno contestabili – quali ad esempio la facilità di accesso, la presenza di economie di scala, il grado di interdipendenza tra gli attori, l’omogeneità del servizio offerto, ecc. arriviamo, a nostro parere, alla conclusione che gli unici settori con connotati sufficientemente concorrenziali appaiono essere quelli dell’autotrasporto e delle autolinee. Del resto nella nostra conclusione siamo ben confortati da analoghe considerazioni espresse da Baumol e Willig (1986), i “padri” della teoria della perfetta contestabilità. Gli autori stessi, infatti, rilevano che dopo “..un entusiasmo iniziale con cui abbiamo descritto la contestabilità …. ora riteniamo che l’autotrasporto 6 delle merci, i trasporti fluviali e quelli passeggeri su autolinee siano di gran lunga più contestabili..” di altri mercati del trasporto2. Tutti gli altri mercati dei trasporti presentano delle condizioni di tipo non concorrenziale e, ciò che rileva, di stampo oligopolistico. L’impatto di questa affermazione verrà valutato in conclusione del presente contributo, ma già da adesso appare un elemento assolutamente centrale nella valutazione complessiva del ddl. 3. Ambiti esclusi dalla regolazione Al comma tre vengono affrontati ulteriori temi cruciali. Si stabilisce che l’attività regolativa non debba eccedere, diremo sul piano del benessere collettivo (obiettivo sociale), un risultato finale di tipo concorrenziale. Sembra dunque accogliersi il principio per cui l’ottimo sociale viene fatto coincidere con un regime di tipo concorrenziale: nulla di più deve essere fatto, ossia - è una nostra interpretazione - non dovrebbero essere previste ulteriori attività, rivolte a fini sociali, rientranti nell’ambito delle competenze dell’Authority. La concorrenza è una condizione necessaria e sufficiente per realizzare in modo esaustivo gli obiettivi dell’attività regolativa. Da un punto di vista economico, è noto che la condizione di libera concorrenza è data dall’eguaglianza tra prezzo (tariffa) e costo marginale. Sembra perciò rilevarsi una contraddizione con quanto affermato al comma 1 lettera d), laddove si sostiene un criterio di tariffazione al costo medio, quale criterio ottimo per il raggiungimento degli obiettivi sociali attraverso un contemperamento con l’obiettivo di impresa. Ancora: il comma tre affronta il tema del “superamento” della regolazione, tema assolutamente centrale nella letteratura economica (Armstrong e Sappington, 2006). In termini generali, la regolazione – ossia la presenza di imprese price-maker – risulta essere uno strumento adatto sotto certe condizioni (es. economie di scala), e viene, come detto, attuato per simulare le condizioni concorrenziali. L’obiettivo ultimo è l’operare di meccanismi concorrenziali. Dunque, quando tale obiettivo può essere realizzato senza un intervento regolativo, ossia quando la libera concorrenza (per definizione non regolata) è preferibile, sulla base di un 2 Gli autori, in particolare, si sono occupati del comparto aereo. 7 rapporto costi-benefici, a situazioni di mercati regolati caratterizzati da un certo grado di monopolio (firms with market power), è corretto sollevare quel mercato da obblighi regolativi. Come abbiamo notato sopra, a nostro parere i casi di sussistenza di condizioni concorrenziali - dunque quelli che dovrebbero ricadere nel comma tre - risultano sufficientemente esplicitabili, anche se è corretto sottolineare come il confronto tra concorrenza e monopolio (competition vs. monopoly) non possa essere risolto esclusivamente da un punto di vista strettamente teorico. Al contrario, è la teoria stessa (Armstrong e Sappington, 2005, 2006) che evidenzia come la valutazione comparata tra i due regimi di mercato dipenda da una serie di condizioni relative al contesto istituzionale di ogni singolo paese e da altri fattori “empirici”, rilevando quindi la necessità di un elevato grado di empirismo nelle analisi per poter essere messi in grado di adottare le politiche migliori nel contesto specifico. Un inciso: il dibattito monopoly vs. competition vale, per evidenti ragioni, per i servizi di trasporto, mentre non sussiste per il caso delle infrastrutture. Resta quindi da chiedersi il significato, suggerito dal comma, di “usi infrastrutturali in cui la regolazione non risulti più necessaria”. 4. Ambiti specifici di regolazione Al successivo comma 4, si propone, a complemento di quanto previsto in materia di servizi al comma 3, un elenco specifico di servizi di trasporto che, unitamente agli usi infrastrutturali, vanno sottoposti a regolazione. Essi risultano: • i servizi ferroviari passeggeri, sia a media che a lunga distanza, esclusi i servizi al alta velocità; • i servizi aerei sovvenzionati e quelli con destinazioni esterne basati su accordi bilaterali; • i servizi di navigazione sovvenzionati. E’ chiaro l’intendimento di ricomprendere tra gli obblighi di regolazione – con l’eccezione dei servizi aerei sottoposti ad accordi bilaterali - quei servizi che costituiscono il c.d. trasporto “pubblico”, ossia quei servizi gravati da oneri di servizio pubblico. E’ noto, al proposito, come tali tipologie di servizi evidenzino un connotato pubblicistico, che giustifica un contributo pubblico, in quanto esso viene imposto da ragioni di carattere 8 politico (es. servire aree marginali) e non di carattere economico. La letteratura, anche non troppo recente (Del Viscovo, 1980), ha dimostrato come in relazione al sistema dei trasporti non si possa parlare di un bene “pubblico”, sulla base dei criteri stabiliti dalla teoria economica di non rivalità e non escludibilità. Dunque, nessun intervento nel sistema può essere giustificato sulla base della “natura” pubblicistica del settore, bensì esso può derivare esclusivamente da motivazioni di carattere politico in senso lato (es. equità). E’ questo il caso, appunto, del trasporto “pubblico”, ossia di quei servizi di trasporto che possono essere convenientemente prodotti da un punto di vista economico, ma ai quali vengono assegnati degli obiettivi di carattere “sociale” che li portano ad essere definiti di “pubblica utilità”. Si manifesta qui, a nostro parere (Mazzarino, 2006), un caso “atipico” di fattispecie di fallimento del mercato che porta ad interventi regolativi: la mancata realizzazione di condizioni concorrenziali è dovuta non tanto a connotati intrinseci del settore di carattere economico (es. presenza di economie di scala) bensì proprio dall’assegnazione “politica” di obiettivi sociali. Come noto, prevedendo un sistema di sovvenzioni per la fornitura di tali tipologie di servizi ci si scosta dal principio concorrenziale (prezzo pari al costo marginale), e dunque si genera nel sistema una perdita di efficienza paretiana (benessere sociale), perdita che tuttavia viene giustificata proprio in relazione all’obiettivo sociale. Dal comma risulta evidente un fatto: è certo che bisogna assoggettare a regolazione, dando per scontati gli usi infrastrutturali, determinati servizi di trasporto per motivazioni che rientrano nella sfera “politica” e non economica. In altri termini: l’assoggettamento alla regolazione di certi servizi piuttosto che di altri non deriva dall’analisi economica relativa alla sussistenza di condizioni concorrenziali (più o meno marcate) in quei mercati, quanto piuttosto si limita a quei servizi a cui viene assegnato politicamente un obiettivo di carattere sociale. 5. Il caso aeroportuale e del trasporto pubblico locale Il comma 5 si concentra sul caso aeroportuale, stabilendo che l’Autorità “vigila” sull’allocazione degli slot. Come sappiamo, il problema della ripartizione della capacità delle infrastrutture, al fine di garantire l’obiettivo 9 di un accesso aperto e non discriminato, è un problema centrale, che, come nel caso aeroportuale, ha ricevuto grande attenzione a livello europeo. Sono stati proposti diversi modelli per realizzare un’assegnazione ottimale degli slot aeroportuali, tenendo conto anche del grosso problema relativo al ruolo degli incumbent. E’ chiaro, infatti, come il tema dell’accesso libero e non discriminato si ponga nella misura in cui sussistano posizioni di privilegio antecedenti le nuove regole che ostacolano l’entrata di nuovi competitors nel mercato. Devono essere previsti, perciò, dei meccanismi di allocazione che progressivamente mettano in gioco gli interessi già esistenti. Il comma, tuttavia, sembra adombrare, su questo tema assolutamente centrale di ogni azione regolativa, un ruolo dell’Autorità che in realtà assomiglia a quello di un’attività antitrust, nel senso che invece di stabilire delle regole ex-ante per l’allocazione degli slot, viene assegnata all’Autorità una mera attività di vigilanza. Ciò, nell’ambito del problema del riordino delle competenze dell’Authority rispetto ad altri enti, rappresenta sicuramente un paradosso: una delle più importanti funzioni di un ente di regolazione – l’allocazione efficiente della capacità infrastrutturale – non appartiene all’ente stesso, che si limita a vigilare. Analogamente, al comma 6, per quanto riguarda l’apertura al mercato nel campo dei servizi di trasporto pubblico locale, il compito dell’Autorità è quello di dare “pareri”, evidentemente in applicazione del principio di sussidarietà, ossia immaginando che siano altri enti – di livello non nazionale – a dettare le vere e proprie regole di apertura al mercato. Ciononostante, sembra proprio che l’assoggettamento al regime regolatorio previsto al comma 4 si riduca, in questi casi di non poca rilevanza, ad un ruolo ben poco incisivo e soprattutto non caratterizzante per un ente regolatorio. Ancora: si tratta di capire se i pareri rilasciati siano da intendersi di tipo vincolante o meno. 6. Il problema degli investimenti Al comma 7 viene sancito un principio corretto: la regolazione non si occupa della pianificazione e programmazione degli investimenti in infrastrutture. Essa, per definizione, agisce esclusivamente per indirizzare il funzionamento dei diversi mercati dei trasporti verso obiettivi di massima efficienza sociale, non occupandosi di ciò che riguarda il 10 “dimensionamento” del sistema. In altri termini, l’ambito di applicazione della regolazione riguarda la “gestione” del sistema dei trasporti, e non i suoi aspetti “realizzativi”. Lo stesso comma prosegue stabilendo che una serie di funzioni di carattere tipicamente regolatorio (rilascio delle concessioni, definizione degli obblighi ed oneri di servizio pubblico, stipula dei contratti di programma, ecc.) restano ferme in capo ai diversi organi esistenti ministeriali, con ciò sancendo il principio per cui le “regole” dell’’Authority debbano essere recepite dagli organi competenti esistenti. Dall’altro lato, si stabilisce un riordino delle competenze, precisando che determinate funzioni, da definire, ora in capo al CIPE, Ministero dei trasporti, Ministero delle Infrastrutture, ANAS, ENAC ed altri vengano trasferite all’Authority. Il ddl si chiude stabilendo che il governo è delegato ad adottare entro due anni una serie di decreti legislativi finalizzati a riordinare tutte le competenze dei diversi enti preposti in materia di regolazione in armonia con le funzioni da attribuire alla nuova Authority. 7. Conclusioni e commenti critici In conclusione, vogliamo rimarcare una valutazione critica sull’intero approccio adottato dal ddl, che, del resto, è lo stesso che ha ispirato la politica europea e quella nazionale. Come già sottolineato, il principio fatto proprio è quello per cui l’efficienza nella fornitura dei servizi di trasporto e la loro efficacia dipende dal raggiungimento di condizioni concorrenziali, superando posizioni di carattere monopolistico. In altri termini, solo l’impianto concorrenziale è in grado di generare concreti benefici per il sistema e dunque la realizzazione di regimi concorrenziali rappresenta l’obiettivo ultimo del regolatore. Il principio è quello della regolazione come miglior sostituto della concorrenza: è necessario, dove possibile, lasciare operare le condizioni concorrenziali, intervenendo laddove sussistano degli “ostacoli”. Da un punto di vista regolativo, sappiamo come è necessario tener presente che il sistema dei trasporti si compone del settore delle infrastrutture e di quello dei servizi. Il primo, con buona approssimazione, può essere ricondotto a forme di monopolio naturale, anche se va 11 sottolineato come, in un panorama globalizzato, anche tale settore presenti situazioni più complesse che portano a configurare situazioni di stampo oligopolistico3. Per il settore dei servizi, come già sottolineato, vige la convinzione della sussistenza di condizioni concorrenziali, per cui di fatto vengono suggerite opportune politiche di liberalizzazione4. Il problema concreto che poniamo, e che abbiamo già accennato, sta proprio qui: è vero tale “assioma”? Da un’analisi abbastanza superficiale emerge la consapevolezza che anche nel settore dei servizi sussistono condizioni di carattere non concorrenziale, salvo i casi ricordati, a nostro parere, dell’autotrasporto e delle autolinee. Il punto è: quali regimi di mercato risultano prevalenti? E soprattutto: quali sono gli strumenti di intervento più opportuni, sempre nell’ottica del raggiungimento dell’ottimo sociale? E’ ragionevole affermare, con Tucci (2001), che l’edificio della concorrenza che si sta faticosamente costruendo a livello nazionale ed europeo, sia minato fin dalle fondamenta? Se analizziamo i diversi comparti del trasporto ci accorgiamo di una serie di segnali piuttosto chiari (Mazzarino, 2006): • il numero delle imprese appare limitato; • le interdipendenze tra di esse piuttosto forti; • il servizio offerto non è omogeneo, ma tende a diverse forme di differenziazione. Sono questi chiari segnali della presenza di condizioni di stampo oligopolistico, per cui l’utilizzo del termine concorrenza appare senz’altro fuorviante. Appare, in altri termini, una tendenza diremo “strutturale” del sistema dei servizi (e forse non solo) verso forme oligopolistiche. Alcuni autori, in riferimento a mercati con poche imprese e prodotti differenziati, hanno suggerito il termine di “eteropolio”, con l’aggiunta dell’aggettivo “circolare” se il grado di interdipendenza risulta elevato. Da questo punto di vista, possiamo senza dubbio affermare che, oggi, quando si parla di “concorrenza tra sistemi di trasporto” si intenda in effetti parlare di regimi di “eteropolio circolare”. Qualcuno (Farris, 1969) ha fatto notare come gli economisti, piuttosto che sviluppare le indagini partendo da queste chiare evidenze, e dunque promuovendo l’utilizzo di strumenti appositi di analisi e di policy, si siano rifugiati nel più sicuro appello ad una “maggiore 3 Si pensi alla concorrenza in particolare tra infrastrutture nodali (porti, aeroporti, ecc.) Salvo il caso, discusso, relativo al connotato di “servizio pubblico”, tale da giustificare un sussidio. 4 12 concorrenza”. Ciò che vogliamo sottolineare è che il perdurare di una concezione della regolazione come miglior sostituto della concorrenza a fronte di una realtà economica che evidenzia una strutturale tendenza verso forme oligopolistiche, non è un gioco a somma zero ed un mero esercizio teorico: il rischio concreto è quello di non massimizzare il benessere sociale. In particolare, proprio a causa di tale mancata consapevolezza, la “sfrenata” promozione della concorrenza nei diversi comparti del trasporto porta con forte regolarità ad un rafforzamento delle posizioni oligopolistiche. Il punto cruciale è questo: sicuramente il passaggio da forme di carattere monopolistico (più o meno spiccato) a forme più latamente concorrenziali può essere favorito, ma è necessario essere consapevoli, innanzitutto, che il paradigma di riferimento è un modello strettamente teorico, basato su un numero molto stringente di ipotesi ed assiomi che di fatto mai si ritrovano nella realtà economica. Nella realtà, come detto, si rileva una incontestabile tendenza “genetica” all’oligopolio, dunque è necessario prender atto che il passaggio da regimi monopolistici a regimi “concorrenziali” non può essere un passaggio immediato e diretto, ma sconta uno step intermedio dato dalla presenza di condizioni oligopolistiche, che, dunque - è questo il punto - vanno affrontate di per se stesse con gli opportuni strumenti. Del resto, in termini generali, anche la letteratura più recente (Armstrong e Sappington, 2006) mette in evidenza come la scelta tra monopolio e concorrenza non è semplice, soprattutto in condizioni di imperfetta informazione. E, ciò che più conta, si evidenzia come il cammino dal monopolio alla concorrenza sia un cammino tortuoso che viene a dipendere crucialmente dal contesto istituzionale, storico ed economico di riferimento. Ragion per cui si afferma con forza, al fine di proporre delle politiche di liberalizzazione realmente efficaci, la necessità di un approccio empirico. Infatti, i modelli teorici (bayesiani e non) predigono il coordinamento tra agenti (in conflitto) sulla base di determinate condizioni, sotto le quali una delle forze economiche viene a prevalere. Nella realtà, invece, non vi è una chiara evidenza di quali forze economiche tendano a prevalere, in quanto ciò viene a dipendere dal contesto specifico. In ciò un elemento di valutazione dell’intero approccio del ddl: la promozione tout court della concorrenza non porta direttamente alla realizzazione di tale regime di mercato, in quanto l’evidenza empirica dimostra che essa porta verso forme oligopolistiche. C’è chi potrebbe 13 vedere, in questo, un elemento fortemente negativo di valutazione del ddl: se la promozione della concorrenza porta a situazioni di oligopolio, il ddl può risultare fuorviante o addirittura dannoso, in quanto non ha in sé previsto alcun strumento adatto a regimi oligopolistici. In altri termini: il risultato dell’impianto del ddl non è la concorrenza, bensì l’oligopolio, ma di ciò non c’è consapevolezza nel ddl stesso, per cui si prefigurano elementi di rischio. Noi vogliamo dare un contributo costruttivo: il raggiungimento di condizioni oligopolistiche non necessariamente deve rappresentare un fatto drammatico, ma è necessario, come detto, essere consapevoli di ciò e prevedere una serie di strumenti adatti a gestire tali situazioni, in particolare per valutare gli effetti sul sistema in termini di benessere sociale. Ben sanno gli economisti qual è stato l’impatto dello studio dell’oligopolio rispetto all’impianto neoclassico della perfetta concorrenza e del monopolio - in termini di principi, strumenti, ecc. Oggi, nel settore dei trasporti, è necessario, con coraggio, abbandonare la sicurezza dello slogan della concorrenza come medicina di tutti i mali – come lo slogan della nazionalizzazione del settore lo fu nel secolo scorso – e mettere in campo nuovi strumenti di analisi e di policy tipici di mercati oligopolistici. Bibliografia Armstrong, M. e Sappington, D.E.M. (2005) Recent development in the theory of regulation. In Handbook of Industrial Organization, Vol. III, Mark Armstrong and Robert Porter, eds. Amsterdam: North Holland. Armstrong, M. e Sappington, D.E.M. (2006) Regulation, competition and liberalization. The Journal of Economic Literature, vol.44, No. 2, June, 325-366. Baumol, W.J. e Wittig, R.D. (1986) Contestability: developments since the book. 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