Cradle to cradle

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Cradle to cradle >>> William McDonough <<< • William McDonough (intervista) Ott 8, 2008 Il Re dell’Architettura Sostenibile: William McDonough. Assorbire CO2, produrre ossigeno ed energia più di quella assorbita: “Dalla Culla Alla Culla” per un vero Design Sostenibile In un momento di così diffuso pessimismo generale la parola “sviluppo” è spesso considerata come un eufemismo, per la distruzione ambientale (e non solo) in atto. Ma l’architetto William McDonough offre una possibilità ottimista: Che cosa succederebbe se i nostri edifici ed i materiali utilizzati per la costruzione potessero rendere il mondo un luogo migliore? Uno fra i più lungimiranti architetti William McDonough ha attraversato diversi presidenti americani e loro amministrazioni con anni e anni di progetti e clienti, cui ha fornito quella che può essere considerata un’apparente radicale speranza. Egli chiama la sua filosofia “Cradle to Cradle“, dalla culla alla culla e rappresenta una visione di un ciclo continuo di utilizzo e riutilizzo di materiali senza produzione di rifiuti. Egli spera di creare così una nuova rivoluzione industriale sostenibile attraverso modelli e progetti. Per quanto realizzato finora da William McDonough + Partners i progetti hanno raccolto un ampio plauso. Ford Motor Company ha dato $ 2 miliardi nel 1999 per trasformare completamente il suo complesso di Rouge in Deaborn, Michigan, creando così un’architettura sostenibile con il più grande tetto verde del pianeta: circa di 4 ettari, ricoprendo la copertura di Sedum, una pianta molto resistente alla siccità. La William McDonough + Partners ha creato progetti simili per Gap Inc., Herman Miller, Oberlin College e il Municipio di Chicago. William McDonough ha recentemente elaborato dei piani di emergenza per una serie di nuove città ecocompatibili in Cina. E separatamente con la MBDC, la società che aveva co‐fondato con il chimico tedesco Michael Braungart, crea nuovi prodotti, materiali e processi sani e sostenibili. Ora scendiamo nel dettaglio per scoprire questo personaggio davvero interessante. • Come vede il futuro dell’architettura e del design? William McDonough: Data l’evidente preoccupazione per la salute umana in termini di cambiamenti climatici, come l’utilizzo di metalli pesanti tossici, la qualità dell’aria all’interno degli edifici, quindi l’inquinamento atmosferico, per non parlare delle materie plastiche che si possono trovare nei mari e negli oceani, a mio parere ci sarà una grande tendenza a creare edifici che iniziano ad agire come veri e propri organismi viventi. L’utilizzo dei tetti verdi per esempio, sarà diffuso sempre più in modo da rendere gli edifici vere e proprie macchie per processare ossigeno. Vedremo naturalmente anche i tetti che producono energia dal sole. In effetti, gli edifici diventeranno “fotosintetici” e produrranno ossigeno o energia o entrambi. Vedremo naturalmente così nuovi materiali che saranno derivati da fonti sane e saranno progettati per il loro riutilizzo e il recupero. • Quali sono gli ostacoli per un abbraccio totale su larga scala delle energie rinnovabili? WMcD: I principali ostacoli per un totale abbandono verso le energie rinnovabili sono a breve termine e soprattutto si scontrano con un pensiero di un’economia che vive a breve termine. Presto potrete vedere alcune delle realtà economico‐politiche a lungo termine, il processo decisionale che include le fonti rinnovabili è ormai d’obbligo e qui potrete notare le reali trasformazioni. Un buon esempio del futuro nel presente è Masdar, questa nuova città che sta per essere realizzata ad Abu Dhabi. Dove stanno investendo miliardi di dollari nell’energia solare. Ne consegue che vediamo i paesi principali che estraggono petrolio, ma che investono ingenti somme nelle energie rinnovabili, è un segno sicuro di qualcosa che sta cambiando e che riguarda in prim’ordine la loro percezione di ciò che a lungo termine diventerà il quadro energetico con le sue possibili fonti. Non so quanto sia economicamente conveniente dire però che stiamo esaurendo il petrolio. Ma forse una possibile direzione è che esiste una nuova opportunità economica che può essere sfruttata. Ed è ora economicamente conveniente, dati gli elevati prezzi del petrolio. • State portando la sua filosofia “dalla culla alla culla” in Cina. Com’è questa nuova situazione là fuori? WMcD: I leader politici cinesi sono preoccupati per la perdita di terreni agricoli fertili a causa della rapida urbanizzazione. Ecco perché, sul piano concettuale, l’idea è quella di realizzare delle aziende agricole sui tetti in città. Si tratta di concetti che sono ormai molto diffusi nella coscienza della comunità di progettisti. E credo che per ciò progetti come questi debbano far anche riconoscere la giusta direzione e la situazione da cui partono considerandole solo una delle opzioni possibili. • Guardando indietro nella sua carriera finora, che cosa può prendere in considerazione come il suo maggiore successo? WMcD: Edifici come quello dell’Oberlin College [Adam Joseph Lewis Center for Environmental Studies], sono stati in principio degli esperimenti, un enorme quantità di ambizione avevamo per un progetto davvero piccolo. Lo abbiamo cercato di realizzare come fosse un albero che produca ossigeno, e assorbisse CO2, produce più energia di quella di cui ha bisogno per funzionare e purifica la propria acqua e tante altre cose di questo genere. Questo progetto è stato davvero un enorme ispirazione per noi. Penso che la Ford con il suo tetto verde è stato un altro grande successo, in particolare è stata una testimonianza di come mettere insieme un grande gruppo di persone focalizzato sullo stesso obiettivo. • Ha progettato dei beni durevoli, che possono essere smontati e riutilizzati. Quali sono le prossime tendenze in questo settore e come è cambiato da quando ha iniziato questi tipi di progetti? WMcD: La cosa deliziosa che è successa è che la maggior parte degli esempi su cui abbiamo lavorato, in termini di modifica di prodotti hanno portato a risparmi sui costi per i produttori, perché i loro prodotti diventavano più semplici. Se sono progettati per lo smontaggio, spesso il loro montaggio diventa più semplice. Ad esempio, se qualcosa è avvitato insieme con 50 viti, e lo si volesse smontare velocemente, si avvia un immediato processo mentale di mettere in discussione ogni vite. E ci si avvia a chiedersi il motivo per cui le cose non potrebbero essere realizzate in altro modo ottenendo prodotti tenuti insieme da una vite invece di cinque viti e cose di questo genere. Quindi, l’immediata conclusione a livello progettuale si traduce in un design molto più semplice. Un’altra cosa che abbiamo scoperto (nella progettazione di prodotti per il successivo riutilizzo) è che abbiamo ridotto i controlli per quanto riguarda tutte quelle sostanze chimiche che vengono utilizzate in svariati processi di produzione e nei prodotti stessi realizzando così delle sostanze chimiche del tutto sicure. • Può dare un esempio di come è riuscito a ridurre questi controlli? WMcD: Il tessile è un buon esempio. Nel tessile abbiamo guardato alle migliaia di sostanze chimiche che vengono adoperate e impiegate. Utilizzando solo quelle che possono essere ritenute sicure, abbiamo stabilito così che il prodotto finale non dovesse così essere sottoposto a regolamenti determinati dall’utilizzo di sostanze pericolose perché non c’è nulla di pericoloso. Prendete, ad esempio, un tessuto dei produttori Designtex Rohner, in cui abbiamo utilizzato 38 sostanze chimiche invece delle centinaia che vengono utilizzati normalmente. E successivamente l’acqua che esce dal depuratore dell’azienda non è contaminata dato che il prodotto in sé non è contaminato. Quindi, ad un tratto, l’intero quadro normativo è cambiato. Non è necessario creare così una gestione ambientale per trattare appositamente i materiali pericolosi. Non si dispone così di malloppi di pagine e pagine di documentazione e di relazioni sul trattamento dei vari materiali pericolosi, per non parlare delle discariche e di quelle abusive. Tutto questo semplicemente perché abbiamo rimosso essenzialmente dal processo di produzione e dalle materie prime le sostanze chimiche pericolose. •
Come possiamo diffondere questo approccio in modo da ridurre seriamente l’uso di prodotti chimici pericolosi? WMcD: Per quanto riguarda la progettazione da un lato, esistono un sacco di strumenti che saranno in breve tempo nelle mani del designer. Quindi, se qualcuno decide di voler fare una bio‐plastica rossa, abbiamo già catalogato i vari rossi che non sono pericolosi e che potrebbero essere utilizzati per la bio‐
plastica. • Quali lezioni ha imparato quando avete dovuto progettare dei modelli sostenibili per la Nike? WMcD: Siamo partiti da questo concetto: “crediamo che i nostri clienti debbano diventare come parte della propria famiglia”, così facendo nasce un nuovo rapporto con il cliente soprattutto quando si va a vendere loro un prodotto. E non è una cosa astratta, vi è una transazione che si deve verificare. Così, per esempio dire: “ho venduto un paio di scarpe e ora ne realizzerò un altro paio per rivenderle al prossimo, ma quando le prime saranno rotte e rovinate?” Ma se siete parte della famiglia, voi clienti potreste dire: “Beh, forse ho intenzione di farci un po’ di soldi da queste scarpe. Ottenendo magari uno sconto sul mio prossimo paio nuovo”. E ci si potrebbe chiedere:” Perché una società deve applicare uno sconto in cambio di scarpe vecchie, che poi finiranno ad essere macinate o riciclate, prendendosi così cura di loro? E’ davvero solo un costo?” Ma il nocciolo della questione è: aziende come Nike potrebbero tranquillamente applicare processi di questo tipo fornendo servizi come questi. In realtà queste aziende dovrebbero essere viste come servizi di manutenzione per coprire i vostri piedi. Possono anche essere viste naturalmente come società di progettazione e commercializzazione, ma non completamente. Esse lavorerebbero fuori dalla produzione. Quindi, se il 75% di una bilancio di una società è sviluppato sul marketing e non attraverso l’effettiva produzione di scarpe quindi del prodotto stesso, avere un cliente che torna da voi per acquistare il suo prossimo prodotto significa rendere il riciclaggio una vera e propria piccola parte del vostro budget destinato al marketing. E tutto ad un tratto il prodotto entra a far parte della tua campagna di marketing per la prossima generazione. Questo è il valore reale in questo senso. Non saranno le singole molecole e il valore di tali molecole di per sé. E’ il rapporto tra il cliente e il fornitore che è la cosa preziosa. • Sei stato chiamato un utopico. Come fai per essere così ottimista in questo momento? WMcD: Penso che noi progettisti dobbiamo essere per natura ottimisti, perché dobbiamo svegliarci ogni mattina cercando di rendere il mondo un posto migliore. Quindi, l’idea è quella di dire: “Le cose potrebbero essere migliori se vogliamo applicare in principio su noi stessi in modi diversi.” Noi non riconosciamo ancora il valore che i nostri processi produttivi potrebbero integrarsi con i sistemi naturali in modo delizioso, invece di distruggerli in svariati modi. Quindi sono ottimista sul fatto che ci sia profumo di caffè il che significa che è il momento di cominciare a prepararci per tale occasione. Per quanto riguarda se è troppo tardi o meno, ci sono certamente segnali ovunque e tristezza in tutto il mondo per ciò che vediamo e sentiamo parlare quotidianamente. Il cambiamento climatico e la fusione dei ghiacciai polari è un segnale che, ovviamente, qualcosa di apparentemente in corso sta avvenendo e non può essere una sciocchezza. Le cause però devono essere innanzitutto eliminate e ci impiegheremo decenni per ripulirci di tutta questa immondizia. Ma tutto deve essere fatto da designers. • Venlo (Olanda) Mar 5, 2008 Sostenibilità: “Dalla culla alla culla”, il nuovo concetto C2C diventa presto realtà per la città di Velno in Olanda. McDonough e Braungart alle prese con una grande sfida La cittadina olandese di Venlo nella provincia di Limburg in Olanda è la prima città al mondo ad adottare il concetto “Cradle 2 Cradle” (dalla culla alla culla) di William McDonough e Michael Braungart. Un fatto davvero interessante. Il concetto “dalla culla alla culla” è stato applicato ovunque, o meglio era sulla bocca di tutti, dato che è ancora troppo presto per vedere i risultati concreti di questa enorme operazione. Da uomini d’affari a giovani designer, tutti a Venlo conoscono il concetto “dalla culla alla culla” e sono molto entusiasti del nuovo approccio di vedere, produrre e vivere il mondo che li circonda. Michael Braungart ora è diventato un quotidiano visitatore di Venlo, contribuendo a diffondere il suo metodo innovativo. E come si sono accorti gli abitanti di Venlo si tratta di un ottimo strumento di innovazione che tiene conto anche oltre più che perfettamente dell’ambiente, dell’aspetto economico e del risparmio, migliorando il mondo per le generazioni future. Harry Loozen, direttore della Camera di Commercio, il cui entusiasmo è stato molto stimolante, ha spiegato che l’intero progetto è iniziato nel 2006 quando un canale televisivo olandese parlò del concetto C2C. Da allora la piccola cittadina olandese si trasformò in un terreno pionieristico per “ripensare il nostro modo di fare le cose”. Gli imprenditori di Venlo hanno subito intravisto i benefici del nuovo concetto C2C e hanno deciso di applicarlo alla loro città. I famosi William McDonough e Michael Braungart, sono riusciti così a convincere le industrie, i responsabili politici e le persone creative di Venlo a come adottare il nuovo modo operare: “cibo = rifiuto”. Tuttavia approfondendo nei vari settori toccati e ricevute diverse confessioni, questa enorme operazione risulta essere una grande sfida più del previsto. Il designer Qreamteam, uno studio di progettazione ha abbracciato immediatamente la nuova sfida, sperando di fare la differenza ed è d’accordo pienamente che è più facile a dirsi che a farsi. Nemmeno McDonough e Braungart hanno una vera soluzione per molti esempi pratici. Un esempio è stata una fabbrica di tappeti ed un industria di automobili (Ford Rouge) con un tetto giardino, non è sufficiente che le persone siano desiderose di dimostrare che il concetto “dalla culla alla culla” possa veramente funzionare: deve essere concretizzato. I cittadini di Venlo sono d’accordo sul fatto che non esistono soluzioni pratiche ancora a molti processi ed il concetto C2C risulta ancora un utopia, difficile da mettere in pratica dalla maggior parte dell’industria. Ma una cosa è certa: non si può rinunciare per pochi scettici che ritengono il concetto C2C una montatura e che in pochi anni la popolazione possa davvero adottare quest’altra metodologia di lavoro. Perché questo avvenga numerose persone nel mondo come a Venlo stanno cercando di dimostrare che “dalla culla alla culla” è possibile e su grande scala. E Venlo sta diventando certamente un esempio. La cosa più impressionante è che i suoi 90.000 abitanti hanno adottato questo concetto in modo comune, industrie, politici, settore pubblico e designer, per creare un gigantesco progetto comunitario. Molti progetti così si sono ormai trasformati e uniti in un singolo “calderone sostenibile”. A Venlo il termine C2C è noto a quasi tutti e rappresenta l’obiettivo del lavoro di tutti, condividendo idee, sollevando domande, trovando risposte e adottando misure necessarie per far funzionare l’intero sistema. Il grande progetto che ora stiamo attendendo è il Floriade nel 2012, la fiera mondiale di prodotti orticoli che si tiene ogni 10 anni. E gli organizzatori di Floriade naturalmente hanno deciso di adottare il concetto C2C come tema principale che si concretizzerà nella trasformazione dell’area floristica, precedentemente utilizzata, per costruire un parco. • Materiale isolante Apr 20, 2009 L’Isolante Organico e Sostenibile. Greensulate: Funghi e Rifiuti Agricoli Come Promessa per la Protezione dal Caldo e dal Freddo in Architettura
Finalmente con certificazione ASTM International, Greensulate è uno di quei nuovi materiali per la bioedilizia che potrebbe entrare con prepotenza nel mercato nei primi mesi del 2010, unendo tutta una serie di prodotti da costruzione sostenibile ed in grado di guadagnare una forte popolarità dovuta alla diminuzione delle risorse naturali, l’aumento dei costi energetici e la ricerca anche da parte dei consumatori di soluzioni sostenibili per l’ambiente. Ma non siamo solo in ambito della bioedilizia i test internazionali appena conclusi con successo possono dare il via ad una produzione di un nuovo materiale che in pieno coglie la filosofia del C2C, dalla culla alla culla. I proprietari di case di tutto il mondo sono sempre ansiosi di scoprire nuove modalità sostenibili per tenere le loro case fresche in estate e calde in inverno e potrebbero presto scoprire una alternativa agli isolamenti in materiali leggeri espansi o in fibra di vetro utilizzati per decenni. La Ecovative così con i suoi Greensulate è stata in grado di creare un materiale sostenibile da costruzione composto da fibre di funghi, scarti di riso e carta riciclata offrendo un resistere e leggero isolante, ignifugo, idrofugo e comunque conforme a tutte quelle norme imposte dall’American Society for Testing and Materials (ASTM) o dalle nuove normative internazionali. Dopo i diversi test McIntyre e Bayer sono piuttosto soddisfatti dei risultati. Il prossimo ostacolo sarà quello di penetrare il mercato. Il Greensulate ha notevoli vantaggi rispetto a materiali concorrenti, primi su tutti il costo. “Questa è la bellezza di questo nuovo materiale”, spiega McIntyre. “Gli scarti del riso sono rifiuti agricoli. Li vendono per circa cinque dollari la tonnellata. I funghi sono facili da coltivare e la carta riciclata è sempre più disponibile. Così il nostro prodotto non è legato direttamente al prezzo del petrolio, perché non c’è petrolio in esso. In questo modo il nostro materiale ha proiezioni attuali di costo inferiori alle attuali coibentazioni (come il polistirolo).” Greensulate si è rivelato anche ottimo ignifugo e con successo ha toccato tranquillamente punte di 600 °C. Bayer e McIntyre stanno già ottenendo un forte riscontro di mercato da parte di paesi tra cui l’India e la Cina, dove vi è una sempre più crescente domanda di materiali da costruzione provenienti da fonti rinnovabili. “Non ho mai visto una cosa simile”, afferma Jeff Brooks, responsabile vendite. Bayer e McIntyre spiegano che il successo imprenditoriale ora si deve misurare sul versante finanziario, la sostenibilità ambientale e l’equità sociale. “Vogliamo fare in modo che tutti possano permettersi Greensulate“, continua McIntyre. Obiettivo quindi è raggiungere non solo un mercato di massa, per un nuovo materiale organico isolante, ma anche trovare un sostituto per Styrofoam, il materiale non biodegradabile, ampiamente utilizzato nel confezionamento e negli imballaggi spedizione. Il processo di produzione del Greensulate è molto interessante: in pratica dei rifiuti agricoli locali, tra cui scarti di grano saraceno, riso e cotone e altri materiali ad alto contenuto di lignina, vengono mescolate con le spore di un determinato tipo di funghi. Entro una settimana circa, spiega Bayer, il fungo digerisce la lignina, producendo una forte matrice biologica. La miscela viene versata in uno stampo e poi disidratata, ed ecco creato il prodotto finito. Dato che Ecovative utilizza materie prime di provenienza locale e cresce i suoi prodotti in un luogo buio a temperatura ambiente, la società afferma che in questo modo si utilizza molta meno energia e quindi i costi di fabbricazione rispetto allo Styrofoam diminuiscono. •
Oberlin College 4 giugno 2008 Una green house nei college Usa. Così gli studenti aiutano il pianeta ALZI la mano chi farebbe volentieri la doccia fissando la foto di un politico attaccata alle pareti della cabina. Eppure, per quanto poco invitante, gli studenti dell'Oberlin College dell'Ohio sopportano questo e altro. Anzi, la faccia del senatore democratico John Edwards, incollata alla parete e impermeabilizzato dal cellophane, li incoraggia a chiudere qualche minuto prima il rubinetto dell'acqua. E' solo uno dei tanti stratagemmi adottati dal SEED, Student Experiment in Ecological Design, un movimento di sensibilizzazione per lo sviluppo sostenibile e contro il global warming, che si sta diffondendo nei i college americani. Da quelli piccoli e innovativi come l'Oberlin e il Middlebury del Vermont, ai Lansing Community College del Michigan e Morehouse College di Atlanta, fino all'Università pubblica del New Hampshire, sono sempre più numerosi gli istituti americani che considerano il surriscaldamento globale come un problema che li riguarda direttamente. E poco importa se i risultati di tanto impegno non saranno visibili nell'immediato. "Ciò che conta ‐ spiega Lucas Brown, 21 anni, dell'Oberlin College, impegnato in prima persona nel progetto ‐ è trasmettere un messaggio positivo. Non si tratta di indottrinare né di costringere altri a cambiare o rispettare regole. Noi cerchiamo di risparmiare energia, acqua, di agire in modo ecologicamente sostenibile. Nella speranza che gli altri, guardandoci, decidano di imitarci". Le parole di Brown fanno eco al comportamento di centinaia di ragazzi negli States. E la filosofia del "nessun obbligo, solo senso di responsabilità" dà i suoi frutti. Proprio l'Oberlin College, famoso per la sua attenzione ai temi sociali, è il fiore all'occhiello del progetto. E' da qui che, meno di un anno fa, è partito il SEED. Così organizzato da portare alla realizzazione di una vera e propria "green house": due stanze, normali, abitate da tre ragazzi altrettanto normali, che però hanno avuto un'idea speciale. Impegnarsi seriamente per combattere gli sprechi. Lucas Brown, Amanda Medress e Kathleen Keating, i tre studenti fondatori del SEED, hanno avuto l'idea dopo aver seguito il corso di Ecological Design del professor David Orr, nel 2005. Trascorso un intero semestre a cercare soluzioni domestiche, pratiche ed efficaci, contro il global warming, ecco l'idea: perché non creare una "green house" proprio all'interno del college? Non è stato uno scherzo, ma nemmeno un'impresa impossibile. L'Oberlin ha investito circa 40 mila dollari per costruire lo spazio da destinare ai ragazzi, che hanno dato una mano personalmente, facendo un po' i carpentieri un po' i facchini. E si sono trasferiti là nel settembre scorso. Ripassare la lezione tutti in un'unica stanza piuttosto che ciascuno nella propria, per risparmiare la luce delle lampadine. Raccogliere il cibo in un unico frigorifero, così da non tenerne acceso uno a persona. Installare dei timer alle docce, così che ognuno possa constatare quanto tempo trascorre sotto l'acqua. E ancora: la casetta sostenibile, divisa in due ambienti e dotata di due cucine, dà loro la libertà di abbassare la temperatura del termostato e persino di rinunciare alla tv. Semplici accorgimenti che in pochi mesi hanno conquistato l'interesse e la stima della comunità studentesca. La "green house" è diventata punto di riferimento e modello di "vita sostenibile" che sta facendo il giro del college. I tre ragazzi considerano la tutela dell'ambiente come qualcosa di strettamente connesso alla realtà sociale ed economica del Paese. Il progetto prevede anche programmi di assistenza per le famiglie reduci dal dramma dell'uragano Katrina, e la creazione di uno sportello di lavoro in zone disagiate come il South Bronx di New York. Idealismo, pragmatismo, serietà e voglia di divertirsi: queste parole hanno trovato, tra le pareti di questo college, la possibilità di coniugarsi e rafforzare il proprio significato. Il progetto, ancora in di sperimentazione, promette sviluppi importanti, come l'adozione di un circuito energetico basato sulle energie rinnovabili e l'installazione di elettrodomestici a bassissimo tasso di inquinamento. La casa è un esperimento importante non solo dal punto di vista ambientale ma anche umano. Adesso che si avvicina l'estate, i tre coinquilini hanno intenzione di organizzare qualche piccola festa con altri studenti. "Non vogliamo che resti un'esperienza di innovazione e isolamento" conclude Brown. Ma niente paura: la loro "green house", per le matricole dell'Oberlin College, è già diventata un mito. • Masdar city 01 settembre 2009 Masdar City: la città del futuro Una città che non utilizza il petrolio ubicata in uno degli Stati famoso per esserne uno dei maggiori esportatori al mondo? Gli Emirati Arabi, nonostante la crisi economica si sia fatta sentire anche da quelle parti, costringendo gli sceicchi a rimandare alcuni progetti avveniristici, non smettono di stupire e se esiste un luogo in cui la fantascienza può trasformarsi in realtà, beh, è questo. Masdar (sorgente in arabo) City, sorgerà entro il 2015 (stima vagamente ottimistica) in mezzo al deserto, a pochi chilometri da Abu Dhabi. Accoglierà poco più di 50 mila abitanti e sarà la prima città al mondo pensata e realizzata per non dipendere dall'oro nero. Al suo posto saranno utilizzate tutte le altre energie alternative oggi conosciute: il vento, l'idrogeno, la luce solare, persino l'energia proveniente dallo smaltimento e contestuale riciclo dei rifiuti. I tetti delle case (a loro volta realizzate con materiali riciclati) saranno quasi interamente coperti da pannelli fotovoltaici, l'acqua che scorrerà al loro interno sarà erogata da impianti di desalinizzazione e gli stessi abitanti avranno un quantitativo limitato di energia elettrica e acqua da utilizzare ogni giorno, onde evitare sprechi. A Masdar City non troverete concessionarie d'auto perchè...le auto saranno definitivamente bandite. Niente più clacson, semafori, pirati che sfrecciano sulle strisce pedonali, emissioni nocive che avvelenano l'ambiente. Per muoversi all'interno della città si potranno utilizzare taxi elettrici senza conducente che seguiranno, grazie all'utilizzo di magneti,percorsi sotterranei predefiniti con fermate distanti non più di 200 metri l'una dall'altra, in modo da permettere a tutti di raggiungere la meta desiderata con poco sforzo (la superficie totale della città sarà di 7 km quadrati). L'inventore del Prt, questo avveniristico sistema di trasporto rapido è italiano, si chiama Luca Guala e lavora in un’azienda di ingegneria di trasporti italiana, la Systematica. A realizzare la città del futuro è l'onnipresente Norman Foster con il suo studio: tra i lavori più celebri dell'archietetto ricordiamo il Millenium Bridge ed il grattacielo 30 St Mary Axe a Londra, la Hearst Tower a New York e la Torre della Commerzbank a Francoforte. Il costo della città è stimato attorno ai 22 miliardi di dollari. • Città 100% “riciclate” 28 gennaio 2009 Wall‐e versus Homer Simpson: la nuova sfida per le città costruite 100% di rifiuti
Discariche straripanti, aree sommerse da cumuli di rifiuti abbandonati. Il problema ha colpito la nostra Napoli in modo molto pesante. Una soluzione innovativa potrebbe essere utilizzare la spazzatura per costruire addirittura le città ecologiche del futuro. L'idea viene niente meno che da Wall‐e, ricorderete l'adorabile robottino in CGI (immagini generate al computer) abbandonato dagli umani sulla terra disabitata, che si alimenta con l'energia solare e ricompatta piramidi di immondizia. Ora un rivoluzionario architetto‐ecologista di New York sta riportando l'animazione di Walt Disney ai confini della realtà. Con il suo progetto Re(f)use City, Joachim Mitchell sta dimostrando al mondo che “un’altra città” è possible, costruita al 100% con i rifiuti che produciamo quotidianamente. “Qualcuno può pensare che le città siano concepite per generare rifiuti, noi vogliamo invece concepire rifiuti che generino le città, in una sorta di relazione simbiotica perpetua dove tutto si ricicla e non si produce niente di nuovo”. L’illustre caso studio è una delle metropoli più grandi del mondo, New York, dove Mitchell, PhD al MIT (Massachussets Insitute of Technology), ha co‐fondato Terreform1, un'organizzazione no profit che si occupa di design ecologico. “Solo nella discarica di New York, spiega Mitchell, si accumulano 38 tonnellate di spazzatura al giorno, quanto basta per costruire altre 7 Manhattan”. E come? Possiamo andare a scavare nelle discariche e recuperare i materiali da costruzione che abbiamo buttato come cemento, vetro, legno, mattoni e poi schiacciarli ed assemblarli, sagomandoli insieme in archi e cupole, e sormontarli a formare ampi volumi abitabili. Non un’impresa faticosa come sembra, visto che macchinari e tecnologia per farlo ci sono già. “Con il vetro recuperato dai rifiuti possiamo ad esempio costruire le finestre di una casa. Oggi abbiamo un sacco di tecnologia industriale disponibile, presse, trattori a tenaglie, trituratori e frantumatori che possono separare i rifiuti e poi trattarli e comprimerli. Stiamo sviluppando anche altri tipi di tecnologia, come ad esempio il Rapid Prototype e il 3D Printing, geometrie generate al computer che predicono la forma dell’oggetto che può essere poi riprodotto materialmente. Attualmente questi prototipi vengono fatti con polveri, resine e altre sostanze nocive per l’ambiente ma noi pensiamo di riprodurli con materiali di scarto raccolti dalle discariche locali, senza importarli”. Non dobbiamo inventare niente di nuovo, la novità, dice Mitchell, è che possiamo provare e montare i macchinari esistenti per smalitire i rifuti su grosse catene “ricompattatrici” automatizzate. Le nostre città così non solo saranno sostenibili ma costeranno anche di meno visto che non dovremmo più pagare i materiali da costruzione o importarli da altri paesi. Il fondatore di Terreform1, selezionato per la Smart List di Wired tra le 15 persone che Barack Obama dovrebbe ascoltare, ha sviluppato anche The Fab tree House, la città dove si vive dentro agli alberi. Circa due anni fa ha cominciato la sua indagine storica sulla spazzatura di New York e sulla relazione tra energia e politiche governative. L’analisi di Mitchell parte dal 1600, ai tempi degli indiani d’America e proietta lo scenario fino al 2160. “Ogni newyorkese produce 9 chili di rifiuti al giorno" ‐ dice lui ‐ "Negli Stati Uniti non riusciamo a riciclare mentre in Europa va molto meglio, a Zurigo ad esempio il 95% dei rifiuti sono riciclabili. Lo studio di Mitchell è in fase di pubblicazione ed è pronto a ricevere commenti e critiche, ma anche qualche dimostrazione d'interesse da parte di clienti che vogliano mettere in pratica il progetto. L’architetto americano sembra molto convinto che la spazzatura sia il materiale del futuro. In noi si accende quasi una speranza: se New York ce la può fare, cosa può accadere alla nostra Napoli? “In generale ‐ spiega Mitchell ‐ per trasformare una città ci vogliono 100 anni, nel caso di Napoli potrebbero volercene diverse centinaia. L’Armageddon della spazzatura si è già compiuta nel capoluogo campano e ora anche le altre città del mondo, soprattutto l’America, non possono più ignorare i pericoli legati ad una cattiva gestione dei propri rifiuti. La spazzatura non sparisce da sola, non abbiamo abbastanza spazio per eliminarla completamente dunque è arrivato ufficialmente il momento di USARLA.” Da quale città potremmo cominciare ? “Grazie di avermi contattato ed avermi ricordato Napoli” ‐ ci risponde Mitchell ‐ in questa città c’è davvero bisogno di ripensare i rifiuti. Anche città esemplari come Zurigo, ad esempio, possono ancora migliorare perché ancora parte della sua spazzatura finisce in discarica. L’energia di Mitchell è contagiosa soprattutto quando spiega che sì, saremo anche riusciti a danneggiare l’ambiente e ad impoverire le risorse della Terra, ma il cielo non è ancora caduto e, di fatto, siamo già entrati nell’ “era della guarigione”: abbiamo cominciato a pensare a città più ecologiche e anche a progettarle. Con il suo re(f)use Jochim Mitchell (vincitore dell'Infiniti Design Excellence Award for the City of the Future, Best Invention of the Year 2007 del New York e Time Magazine) vuole dare una road‐map dell’ambiente ad architetti e designer ma anche cambiare la nostra mentalità. “La difficoltà maggiore del nostro progetto è cambiare il sistema di valori sia in America che in Europa. Dobbiamo passare dall’idea che tutto ciò che buttiamo nel cestino non ci riguarda più perchè sporco e contaminato e pensare invece che possiamo vivere dentro una casa di rifiuti” dice Mitchell . Il suo approccio è quantomeno originale: ai suoi studenti che vogliono prendersi subito un bel 10, Mitchell chiede di passare una settimana in compagnia di un sacco di plastica trasparente: gli studenti devono portarselo dietro ovunque vanno, dalla biblioteca al ristorante e buttarci dentro tutti gli avanzie e rifiuti che producono. Obiettivo: vedere concretamente loro “footprint” ecologico. “Vogliamo partire dal robottino di Walt Disney per arrivare a comunicare su vari livelli anche con soggetti come Homer Simpson, bonaccioni ma senza tempo per pensare alla propria città”. Forse così Wall‐
e non resterà solo con la spazzatura della terra e noi umani, invece di intristirci con i video giochi su uno space shuttle, ci divertiremo a giocare con lui. • Albero‐Hotel ecologico 04 marzo 2009 L'albergo verde sarà la nuova frontiera del turismo eco‐friendly Sulle sponde del fiume Kowie, in Sud Africa, si sta lavorando all'ideazione di un eco‐albergo che farebbe invidia a Tarzan. Il My Pond è un quattro stelle che si prepara a rivoluzionare l'industria locale con eco‐tecnologie non particolarmente nuove, ma fino ad oggi poco sfruttate nell'ambito dell'industria alberghiera. Il progetto, seguito dalla Novate Property Investment, dovrebbe portare ad una riduzione del consumo energetico del 70 percento. Per questa magia si serviranno della tecnologia geotermale, che trasforma in energia il calore presente sotto la crosta della terra. L'energia servirà per l'acqua calda, compresa quella della piscina, e per far funzionare gli impianti di condizionamento. Con questa mossa dovrebbero ridurre in maniera significativa l'impronta al carbonio sia dell'hotel che dei suoi ospiti. E non è finita. L’albergo verde del futuro concepito come CO2‐free combina infatti la strategia geotermale con altre di risparmio idrico: l'acqua piovana verrà riciclata, raccolta e filtrata sul luogo e imbottigliata, le bottiglie verranno poi riciclate insieme al 50% dei rifiuti dell'albergo, in una catena di riciclaggio totale. Tutto sarà all'insegna dell'eco‐friendly, la maggioranza delle luci usate saranno a basso consumo energetico grazie ai LED, e il design stesso dell'albergo è stato studiato per la massimizzazione dell'uso di luce e ventilazione naturale. Persino le matite per firmare il conto avranno la certificazione DOCG delle foreste sostenibili! L'avvento dell'albergo 'verde' sembra stia prendendo piede, da un sondaggio realizzato da Ernst & Young è stato rilevato il tasso di eco‐sostenibilità degli alberghi in otto parti del mondo. L'Asia è risultata essere la capo fila del trend, addirittura sembra che in Cina siano previsti 10.000 eco‐alberghi da realizzare entro il 2010. Mentre in Medio Oriente si sta pianificando la costruzione di resort di lusso verdi e la prima città con un livello zero di carbonio e di rifiuti. Anche in Europa ci si sta interessando un po' di più a questo tema anche se in Italia siamo ancora un po' indietro. È di un paio di anni fa il progetto‐evento Nemo Next Hotel, presentato dal Ministero dell’Ambiente e EXPOCTS alla fiera di Milano, esempio per un hotel del futuro a bassa emissione di carbonio e con ogni tipo di confort 'verde'. In attesa di Nemo non resta che testarci con la calcolatrice del carbonio per scoprire quanti chili di CO2 possiamo risparmiare ogni anno.