Luana Pangallo - Psicologia e Giustizia
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Luana Pangallo - Psicologia e Giustizia
Psicologia & Giustizia Anno XV, numero 1 Gennaio – Luglio 2014 CORSO DI ALTA FORMAZIONE IN PSICOLOGIA FORENSE, CRIMINALE E INVESTIGATIVA Fondazione Guglielmo Gulotta di Psicologia forense e della Comunicazione Gennaio – Giugno 2013 L’ARRINGA IN QUANTO COMUNICAZIONE STRATEGICA IL CASO DEL MAESTRO MARCO DOCENTE Dott.ssa LAURA LOMBARDI ELABORATO di LUANA PANGALLO 1 Indice: 1. Dimensione linguistica del diritto: il discorrere dell’avvocato…………..………pag. 3 2. Retorica forense tra tecniche argomentative e suggestioni oratorie...…………...pag. 4 3. Argomentazione giuridica e persuasione forense………………………………..pag. 7 4. Inventio, dispositio, elocutio, memoria e pronuntiatio………………………......pag. 9 5. Efficacia persuasiva dell’arringa difensiva nell’attuale processo..……….…….pag. 11 6. Una formula sicura per la vittoria? Predisposizione dell’arringa….…………...pag. 12 7. Vicenda giudiziaria: fatti contestati…………………………..…….…………..pag. 15 8. Analisi dell’arringa mediante antiche regole argomentative.…………………pag. 16 8.1 arringa e tecniche audiovisive nel processo………………………………...…pag. 21 9. Carattere interattivo dell’arringa: l’adesione dell’uditorio…………………....pag. 22 10. Presentazione del messaggio…………………………………………………pag. 26 11. Tattiche per contrastare la parte avversa…………………………...…………pag. 28 12. E se il cavallo non ubbidisce all’auriga?..........................................................pag. 30 Bibliografia………………………………………………………………………..pag. 32 2 1. DIMENSIONE LINGUISTICA DEL DIRITTO: IL DISCORRERE DELL’AVVOCATO Per il giurista il linguaggio è qualcosa di più di un semplice mezzo espressivo: il diritto non tanto “usa”, quanto il diritto “è” linguaggio. Usare il linguaggio nei discorsi di diritto significa innanzitutto saper usare il linguaggio comune per poterlo applicare in quell’uso specialistico che è il linguaggio giuridico. Il discorrere dell’avvocato, infatti, richiede la conoscenza delle regole fondamentali della comunicazione, dell’uso della lingua parlata e scritta, dei rapporti tra linguaggio comune e linguaggio giuridico e delle regole per la corretta costruzione del testo. Il controllo della lingua e la consapevolezza dei fenomeni linguistici costituiscono un’irrinunciabile competenza dell’avvocato. Una massima forgiata dai linguisti e che vive nell’esperienza quotidiana del giurista pratico è che «ognuno di noi non riesce a dominare, come produttore e come interprete, i meccanismi di un linguaggio speciale se non ricollega nel suo intimo il linguaggio speciale ad un uso comune della lingua»1. Da ciò ne deriva che, nel diritto, lo stile espressivo è innanzitutto stile del pensiero, nel quale l’esprimersi è connesso alle idee ed è “strumento” di argomentazione. Si può, così, affermare che nel moderno linguaggio di un giurista pratico, qual è l’avvocato, l’arte di pensare e l’arte di esprimersi sono strettamente collegate. A questo si aggiunga il fatto che l’argomentazione giuridica trae validità oltre che dalla efficacia espressiva del discorso, anche dalla forza degli argomenti della propria tesi e dal modo in cui essi sono organizzati. È inoltre evidente come, per la soluzione di un caso specifico, sia il contesto e sia le finalità possano variare e quindi influire sul linguaggio, sulla scelta dei vocaboli, sull’organizzazione della frase, sulle figure retoriche da impiegare e sulla forma da assegnare al discorso. Pertanto, l’uso del linguaggio ha un ruolo fondamentale nell’arte del persuadere in quanto, in rapporto alla 1 F. SABATINI, Dalla lingua comune al linguaggio del legislatore e dell’avvocato, in L’avvocato e il processo: le tecniche della difesa, a cura di MARIANI MARINI A. e PAGANELLI M., CNF - Formazione Avvocati, Giuffrè, Milano, 2003, pp. 3-14. 3 funzione stessa dell’avvocato che deve non solo ricostruire, ma anche persuadere, la lingua funge da mezzo strategico. L’avvocato deve essere, prima di tutto, un retore giacché, come afferma Seneca e in seguito Cicerone e Quintiliano, è vir bonus dicendi peritus in quanto «uomo di valore, abile nell’eloquenza», che utilizza la retorica per il bene del cliente. Solo il buon avvocato è un retore di valore; solo il buon retore è un avvocato di valore2. Ebbene, la rivalutazione di questa definizione classica si oppone criticamente all’asettico tecnicismo della professione forense nell’età contemporanea, giacché l’autentico retore non si deve limitare ad essere interprete formalista delle norme o dei precedenti della giurisprudenza, deducendo da questi gli unici criteri argomentativi a sostegno della propria tesi difensiva. In altri termini, il formalismo giuridico più che nobilitare, svaluta la professione legale, racchiudendo il ruolo difensivo entro schemi preconfezionati (utilizzo di massimari e banche dati) che limitano la capacità innovativa e degradano l’attività del legale in banale conformismo. Ed infatti, il formalismo linguistico dei testi difensivi è innegabilmente la manifestazione di un conservatorismo culturale che si esprime, appunto, nell’uso di formule rigide e a volte desuete da parte del difensore. Nell’oratoria forense e negli scritti degli avvocati prodotti nei processi civili e penali, l’uso di pseudo tecnicismi, di costrutti impervi scarsamente leggibili e di termini antiquati spesso può rivelare la scarsa qualità dell’argomentazione3 e, dunque, della difesa stessa. 2. RETORICA FORENSE TRA TECNICHE ARGOMENTATIVE E SUGGESTIONI ORATORIE Nell’antica Grecia esistevano i logografi (il più celebre fu Lisia) che, a pagamento, redigevano per iscritto le arringhe ad essi commissionate dai clienti. Ricordiamo poi, per citarne solo alcuni, Cicerone e Demostene, ma anche i grandi oratori del Novecento (Giovanni Porzio, Francesco Carnellutti, Alfredo De Marsico) che avevano l’invidiabile 2 P. MORO, M. MANZIN, Retorica e deontologia forense, Giuffrè, Milano, 2010, pp. 30 e ss. V. VINCENZI, F. CAVALLA, G. ALPA, Ragionare in giudizio. Gli argomenti dell’avvocato, Edizioni Plus, Pisa, 2004, pp. 96-97. 3 4 capacità di parlare per delle ore con una ricchezza e varietà di vocaboli e citazioni che ha dell’incredibile, se si considera che per far ciò non utilizzavano altro che qualche raro appunto scritto. Costoro erano tutti dotati di grandi doti oratorie e ciò viene testimoniato dal fatto che nel processo penale è impensabile affrontare la discussione vincolati da un’arringa preconfezionata fin nei minimi dettagli o, peggio ancora, redatta per iscritto. Se così fosse, ad esempio, si presenterebbe il rischio di dover abbreviare o modificare il testo predisposto in considerazione della mancanza di tempo o di richieste del P.M., diverse da quelle preventivate. Tutti, indistintamente, coloro che sono passati alla storia dell’avvocatura penale quali grandi penalisti, devono questa loro collocazione alla capacità con cui si sono distinti nell’esercizio di questa virtù, che rappresentava e rappresenta ancor oggi l’emblema della difesa penale. Ma allora: vi è connessione tra retorica e diritto? Il diritto potrebbe svolgere la sua funzione istituzionale senza alcun ornamento retorico? Nella nostra cultura giuridica il rapporto tra diritto e retorica si è storicamente consumato (e si continua a consumare). Il rapporto tra retorica e diritto trova la sua manifestazione centrale nell’uso delle forme della retorica all’interno del processo. Ma quale è il ruolo della retorica? Sono stati tradizionalmente individuati due usi della retorica: in primo luogo quello che cerca di presentare come veridico ciò che non lo è, e cioè la retorica come “forma di manipolazione dell’uditorio” che Schopenhauer4 faceva derivare dalla cattiveria dell’animo umano; in secondo luogo l’utilizzo della retorica che propone “l’argomentazione che appare più giusta”, più corretta, più coerente con i principi e i valori condivisi. Roland Barthes aveva proposto la suggestione di una retorica “nera”, che è quella il cui fine è vincere, senza preoccuparsi della giustezza del risultato5. I mezzi dell’argomentazione degli avvocati devono, dunque, oscillare tra una retorica fondata sul criterio sofistico della persuasione e una retorica che si conformi ai principi di correttezza e ragionevolezza. Invero, l’avvocato ha una innegabile vocazione a persuadere sempre e comunque in vista delle sue esigenze strategiche di difesa; 4 A. SCHOPENHAUER, L’arte di ottenere ragione, a cura di F. Volpi, Adelphi, Milano, 1991. G. FERRARI, M. MANZIN, Retorica fra scienza e professione legale. Questioni di metodo, Giuffrè, Milano, 2004, pp. 332 e ss. 5 5 malgrado ciò, non può prescindere dai principi di correttezza e ragionevolezza in quanto l’avvocato che non offre al giudice argomenti che questo possa inserire nella motivazione della sentenza, tradisce la sua funzione e non fa neppure interesse del cliente. Entra così in gioco quella parte di etica che si definisce come “responsabilità sociale dell’avvocato”. La retorica non è, quindi, una tecnica sganciata dal contenuto etico delle argomentazioni; i contenuti non sono mai indifferenti, ma quelli “veri e buoni” sono per loro natura più adatti all’argomentazione e “più persuasivi”. In ogni caso la retorica è come tanti beni (denaro, potere, forza ecc.), i quali possono essere utilizzati per fini buoni o per fini cattivi: «non basta possedere l’arte, bisogna farne buon uso». La retorica forense è perciò un’attività (téchne o ars) che presuppone una particolare abilità soggettiva (ingenium) in chi la pratica, che si può affinare con l’esercizio (pràxis) e con l’inesausta prassi dell’interrogare e del rispondere che ogni avvocato sperimenta prima e durante il processo6. Da ciò ne deriva che l’ingegno del giurista è determinante nell’attività retorica giacchè deve mostrarsi nella capacità di trovare argomenti persuasivi dell’uditorio. In altre parole la retorica è un’arte, l’arte di parlar bene, del dire, volta ad ottenere l’altrui assenso per mezzo di un uso persuasivo della parola7. Segnatamente, per il senso comune, è l’arte del discorso artificioso: essa infatti si occupa dei discorsi in prosa scritti con linguaggio ornato (quindi in certa misura artificiosi) allo scopo di persuadere qualcuno, ossia di convincere o far mutare d’opinione chi ascolta. La retorica è dunque “artificio”, tenuto conto che il retore per certi versi si traveste dinnanzi all’uditorio, e tende farsi vedere e percepire come egli vuole che sia visto e percepito; ciò è quanto accade ancor oggi nelle aule di tribunale. Invero, non può negarsi che la retorica sia materia intrisa da mendacio (quae mendacio mixa sit) che non sempre si cura della verità, in quanto la verità dovrebbe essere una e assoluta; l’avvocato, invece, dipende ora da una tesi e da un interesse, ora da un’altra tesi e da un altro interesse, fossero questi ultimi anche opposti con i primi. 6 P. MORO, Fondamenti di retorica forense. Teoria e metodo della scrittura difensiva, Libreria al segno editrice, 2004, pp. 57 e ss. 7 Prefazione in F. CAVALLA, Retorica, processo, verità, Cedam, Padova, 2005, p. 13. 6 Occorre, infine, notare che il metodo retorico non è una dimostrazione scientifica perché non si fonda su assiomi, che sono presupposti incontrastabili, ma offre al giurista una tecnica per elaborare argomentazioni che, per loro natura, sono sempre dubbie e obiettabili. Assumendo la “prova” come sinonimo di “argomento”, si può distinguere la prova giuridica dalla prova scientifica: la prova giuridica si distingue in quanto non conduce ad evidenza, ma a superare un dubbio nel segno della probabilità. Nell’universo giuridico non vi è posto per un ragionamento di tipo logico-dimostrativo, a conclusione incontrovertibili; il discorso giuridico conduce inevitabilmente a conclusioni opinabili (come dimostra il sistema delle impugnazioni). Occorre, infine, notare che le tesi esposte dal retore giudiziario sono continuamente dirette ad essere discusse nel contesto del processo e, dunque, possono considerarsi valide ed efficaci solo se sufficientemente resistenti alla contestazione che si sviluppa in un dibattimento giurisdizionale. Oggetto specifico della retorica forense è, quindi, il confronto dialettico e competitivo sulla soluzione da dare ad una questione della vita associata, per la cui normazione non esistono verità assolute. 3. ARGOMENTAZIONE GIURIDICA E PERSUASIONE FORENSE Con il termine argomentazione (in greco syllogismòs) si designa il ragionamento retorico, ossia il procedimento logico che consente di sostenere nel dialogo una tesi persuasiva per l’interlocutore, con un discorso che non si limita a descrivere o interpretare, ma cerca di giustificare, motivare e dimostrare (per esempio, l’insieme connesso degli argomenti illustrati in uno specifico ed articolato motivo di impugnazione)8. La maggior parte degli studiosi segue, ancor oggi, l’impostazione della “teoria dell’argomentazione” di Perelman, inaugurata nel Traité de l’argumentation. La nouvelle rhétorique., mediante la quale il logico belga prospetta innanzitutto una distinzione tra dimostrazione e argomentazione affermando che solo alla prima compete produrre verità, mentre l’argomentazione può servire solo a persuadere. 8 P. MORO, Fondamenti di retorica forense. Teoria e metodo della scrittura difensiva, Libreria al segno editrice, 2004, pp. 55-56. 7 Per quanto riguarda le differenze, la dimostrazione, il cui modello sono le scienze esatte, ha le caratteristiche di essere rigorosa e oggettiva, e quindi di mirare a conclusioni inattaccabili; l’argomentazione, invece, mira a persuadere facendo leva sulle passioni, ma cerca di farlo in maniera rigorosa. Nella realtà la persuasione altro non è che una modificazione celebrale che avviene a livello emotivo e nell’intelletto del destinatario del discorso, la quale porta ad aderire alla tesi esposta; in altri termini, è un fenomeno di natura psicologica, un fatto emotivo che spinge un uditorio ad aderire ad una tesi sulla base di suggestioni psicologiche. Inoltre, ciò che differenzia l’argomentazione dell’avvocato dalla dimostrazione è che punto di partenza del suo discorso sono premesse non evidenti, ma verosimili le quali portano a conclusioni relative e confutabili ed il fatto che esso si rivolga sempre a delle persone specifiche, delle quali prende in considerazione le opinioni e le sensazioni. Scopo dell’argomentazione (del ragionamento) dell’avvocato è propriamente quello di produrre adesione alla tesi presentata ove la conclusione cui giunge un argomento è solo una delle possibili; pertanto, le conclusioni non hanno mai carattere cogente per l’ascoltatore (il giudice), il che sta a dire che la loro accettazione implica sempre un atto di volontà (una delibera di aderire alla tesi presentata)9. In termini più semplici, scopo dell’avvocato è quello di persuadere il giudice utilizzando gli argomenti più efficaci al fine di ottenere, da parte del giudice, la condivisione della sua tesi e, quindi, la vittoria. L’avvocato, se efficace, può condurre il suo uditorio a credere e sentire ciò che “egli vuole e come egli vuole”. Ciò è confermato da Cicerone che nei suoi scritti affermava «se riuscirà ad apparire tale quale vuole mostrarsi e influenzerà l’animo degli ascoltatori in modo tale da condurli o trascinarli dove desidera, di certo non avrà bisogno d’altro per essere un oratore»10. Occorre, poi, sottolineare il termine argomento, che Cicerone definisce la«ragione che rende certo un elemento dubbio», mediante il quale ci si intende riferire specificatamente alla proposizione che costituisce la «fonte o la prova del ragionamento retorico» e che si identifica con il motivo o la ragione addotta a sostegno di una tesi in 9 V. VINCENZI, F. CAVALLA, G. ALPA, Ragionare in giudizio. Gli argomenti dell’avvocato, Edizioni Plus, Pisa, 2004, p. 118. 10 cit. in M. T. Cicerone, Dell’oratore, trad. it., p. 423. 8 una discussione. Dunque, sotto il profilo giuridico, gli argomenti sono le premesse del discorso retorico che conferiscono valore convincente al discorso dell’avvocato che sa selezionarle, ordinarle ed esporle nella scrittura giuridica oppure nell’arringa forense. Problema non secondario è stabilire a cosa è legata l’efficacia degli argomenti; infatti, dal momento che lo scopo dell’argomentazione pratica è convincere o conquistare qualcuno (persuadere) delle proprie posizioni, il primo metro di giudizio per giudicare della “bontà” di un argomento (e quindi della validità di un’argomentazione) non può che essere la sua efficacia11. Ciò è confermato anche da Perelman, secondo il quale un argomento deve essere valutato in base alla sua «efficacia persuasiva». Gli argomenti per essere efficaci non devono solo essere pertinenti, ma arrivare a destinazione, colpire e a tal fine occorre che siano interessanti, ricordabili e chiarificatori (il messaggio che confonde l’uditorio può, infatti, suscitare in chi lo ascolta una forma attiva di risentimento). 4. INVENTIO, DISPOSITIO, ELOCUTIO, MEMORIA E PRONUNTIATIO Ai fini di questo lavoro è utile chiarire meglio le implicazioni dell’arte oratoria classica di cui ancor oggi conserviamo una importante testimonianza. Fondamentale è la Rhetorica ad Herennium (oggi attribuita non più a Cicerone ma a Cornificio) in cui gli elementi che fanno capo alle “cinque sezioni dell’arte del dire” (cioè le parti di cui si compone la retorica), sono indicati come altrettante abilità12 richieste all’oratore (o, è lo stesso, al giurista). In altri termini, riprendendo e ampliando le dottrine di Aristotele, si distinguono cinque fasi nella stesura di un’orazione: inventio, dispositio, elocutio, memoria e pronuntiatio. Primo di questi elementi è l’invenzione (inventio), ossia la “ricerca”, la capacità di trovare idee e argomenti, veri o verosimili, che siano convincenti. Il primo passo che deve compiere un avvocato consiste, infatti, nello scoprire (e non nell’inventare) i possibili mezzi di persuasione che gli saranno utili al fine di far accettare le sue tesi. Naturalmente vi è chi è capace, più degli altri, di vedere gli argomenti nel mentre analizza un testo o un fatto in quanto, in un certo senso, essa dipende da un’attitudine 11 12 P. COMANDUCCI, R. GUASTINI, Analisi del diritto, Giuffrè, Milano, 2006, p. 115. B. MORTARA GARAVELLI, Manuale di retorica, Bompiani, Milano, 2004, pp. 104 e ss. 9 naturale. Si può, perciò, avanzare che l’inventio è la scoperta consapevole a cui conduce l’uso sapiente di dati in sé informi, tuttavia selezionati perché avvertiti come idonei ad essere adibiti ai fini della preparazione o della costruzione di un discorso. La retorica ha addestrato la cultura occidentale a reperire gli argumenta per persuadere della fondatezza di una determinata tesi, e quindi, per sostenere una certa interpretazione13. Secondo passo che deve compiere il giurista è la disposizione (dispositio), vale a dire la capacità di ordinare e distribuire efficacemente tali argomenti, e segnatamente, l’organizzazione del discorso: le parti di cui si compone lo stesso, l’ordine in cui presentare i contenuti e le idee, l’ordine delle parole per presentare gli argomenti stessi e così via. Essa ricopre essenziale importanza in quanto soddisfa l’esigenza di mettere in ordine il discorso per l’udienza. Si tratta di un passaggio del reticolo retorico meno creativo dell’inventio, ma particolarmente utile per l’operatore professionale. Il successo di un avvocato, in buona parte, dipende proprio dal saper dare un “ordine” orientato alla persuasione. Abbiamo poi l’eloquio (elocutio), ossia la capacità di dare «opportuna forma linguistica al discorso» con la scelta di un lessico appropriato e di artefici retorici; è, in fondo, una manifestazione di cultura letteraria che consente l’ornamento del discorso allo scopo di accrescerne il grado di suggestività tramite il ricorso a parole ed espressioni ad effetto (si pensi alla metafora). La memoria (memoria), ovvero la capacità di ricordare argomenti, parole e loro disposizione e la capacità di memorizzare il discorso avversario per controbatterlo; coinvolge, quindi, quelle tecniche che agevolano la memorizzazione delle parti del discorso, c.d. mnemotecniche (ad esempio tramite l’associazione con immagini). In conclusione, la dizione (pronuntatio/actio), è essenzialmente la capacità di regolare in modo gradito la voce e la gestualità e consiste, più precisamente, nell’arte scenica che consente di atteggiare strategicamente il proprio comportamento secondo gesti misurati e di modulare la voce secondo i toni più consoni a quanto si stia dicendo. Pertanto, un abile utilizzo di tali elementi può risultare determinante nell’impresa della persuasione dell’udienza in quanto funzionale alla maggior efficacia del discorso giuridico. 13 V. VINCENZI, F. CAVALLA, G. ALPA, Ragionare in giudizio. Gli argomenti dell’avvocato, Edizioni Plus, Pisa, 2004, pp. 41-54. 10 5. EFFICACIA PERSUASIVA DELL’ARRINGA DIFENSIVA NELL’ATTUALE PROCESSO L’arringa finale, nel processo penale, è sempre un momento ricco di pathos; è la “spada” degli avvocati: così come un pittore firma la sua opera d’arte, ogni avvocato firma il processo celebrato con la sua arringa. Dopo aver illustrato le antiche regole per la ricerca (inventio), la scelta e la disposizione (dispositio) degli argomenti nonché le principali accortezze utilizzabili per conferire al discorso un maggior rigore ed una più intensa forza persuasiva, non rimane che dare risposta ad una serie di domande che spesso l’avvocato si pone: siamo davvero sicuri che queste regole tratte dalle arti classiche siano ancor oggi valide per il moderno modello di processo penale? E, in particolare, nell’attuale processo di tipo accusatorio (in cui la prova ed il convincimento del giudice di formano per lo più nel corso dell’istruttoria dibattimentale) l’arringa difensiva può ancora esercitare una qualche funzione persuasiva nei confronti del giudice? E se si, esiste un modello di arringa essenzialmente tecnica, lineare sobria, priva di inutili ornamenti, da contrapporre al modello classico?14 Dubbi a riguardo sono stati espressi da Calamandrei il quale aveva notato come l’oratoria tende a diventare “razionale” e come l’oratore deve pensare prima di tutto alla solidità della costruzione; ciò anche in conseguenza della povertà di linguaggio comunemente usato15. Nell’attuale processo accusatorio la discussione finale ha un’importanza minore di quella rivestita nel passato e l’arringa pronunciata in un giudizio abbreviato, in camera di consiglio, senza toga e senza presenza di pubblico non può certo avere una tensione paragonabile a quella in Corte d’Assise. Tuttavia, se è vero (come studi recenti di psicologia sociale della comunicazione confermano) che anche le persone più razionali possono talora essere influenzate, seppure inconsapevolmente, da fattori di carattere emozionale, non c’è ragione di sostenere che un giudice, seppure obbligato alla rigida osservanza delle leggi, sia 14 A. TRAVERSI, La difesa penale. Tecniche argomentative e oratorie, Giuffrè, Milano, 2009, pp. 92- 15 P. CAMALANDREI, Elogio dei giudici scritto da un avvocato, ed. Le Grazie, Mlano, 1989, p. 83. 95. 11 immune da condizionamenti di questo tipo. Pertanto, un’arringa pronunciata secondo le antiche regole argomentative ha maggior efficacia suggestiva e, quindi, persuasiva. In definitiva, nell’attuale processo, è finito l’interesse per l’arringa? No, anzi, sta rifiorendo come miniera di idee, citazioni, immagini e artifici della retorica che possono essere “riciclati” nel nuovo modello accusatorio (a riguardo vi sono segni chiari nella produzione saggistica sui temi dell’argomentazione) in quanto vitali in ogni epoca. L’arringa, prosaicamente spesso denominata discussione, rimane un atto cruciale del processo accusatorio, un momento decisivo nello svolgimento del compito difensivo al fine del conseguimento degli obiettivi auspicati. Dunque, cosa deve avere un’arringa per condurre ad un proficuo risultato? Deve essere di un’oratoria densa di contenuti, ma anche fascinosa, melodiosa ed avvincente, sempre legata ad una coerenza logica e ad una costruzione razionale di immediata comprensibilità; deve essere perfettamente curata nella lingua e piena di citazioni e concetti tratti dalle scienze o dalla letteratura, oltre che, naturalmente, di argomenti giuridici; il timbro della voce deve essere magnetico e suggestivo, a volte dolce, a volte deciso e fermo, a volte denso di squarci lirici. Nell’arringa la struttura del ragionamento argomentativo deve essere caratterizzata dalla capacità dell’avvocato di sapere ricercare gli argomenti e di saperli bene disporre all’adattamento dell’uditorio, coniugando le massime di comune esperienza con logica e gestualità assieme. L’arringa, quindi, deve persuadere il giudice, far “fondere” l’avvocato con il giudicante nella decisione. 6. UNA FORMULA SICURA PER LA VITTORIA? PREDISPOSIZIONE DELL’ARRINGA Posto che ancor oggi l’arringa difensiva sia destinata ad orientare la decisione del giudice, si tratta di individuare le regole al fine di poterla predisporre nella forma più convincente. Chiunque dia indicazioni sulla tecnica dell’argomentazione forense deve, però, frustare subito le attese, anticipando che nella realtà non si possiede una formula per una sicura vittoria nel processo; del resto quella formula non può esistere per ragioni strutturali in quanto le regole tecniche dell’argomentare esistono, ma non possono 12 esistere regole per quella che l’antica retorica chiamava inventio16. L’attenzione allora non va all’invenzione (rimessa al talento e alla fantasia di ciascuno), bensì a quelle regole che sono “di metodo”. La tecnica dell’argomentazione individua, infatti, il giusto metodo di argomentare, «non garantisce una vittoria, ma più che altro insegna come evitare gli errori e come convincere altri della validità della propria tesi». All’avvocato si richiede un sapere, ovvero una conoscenza che si acquisisce attraverso lo studio: studio, prima di tutto, del fatto sul quale egli deve argomentare, di tutte le vicende (anche le più marginali) che lo possono aiutare a ricostruire un accadimento umano e, un sapere giuridico (per questo la difesa è demandata sempre ad un tecnico che deve saper ricondurre un fatto ad una norma giuridica). Per orientare efficacemente il giudice è, inoltre, necessario intelligere, cioè bisogna che l’avvocato abbia l’intelligenza (secondo alcuni è un talento, ma a dire la verità è una dote naturale che si raffina con l’esperienza) di capire il punto della causa. A tale riguardo, diamo innanzitutto per scontato che un avvocato, ove il processo sia ormai avviato alla conclusione, non può non avere ben chiaro in mente almeno quale sia il punto nodale della causa, quali richieste possa ragionevolmente formulare e quali argomenti addurre a sostegno delle stesse. In tutte le cause esiste un nodo, una questione decisiva che l’avvocato deve essere in grado di individuare e che sarà il bersaglio a cui egli deve mirare nella sua argomentazione. Da ciò ne deriva che, tenendo presente il fulcro della questione, il professionista dovrà poi elaborare gli argomenti e ciò significa ricercare le ragioni che possono essere addotte a sostegno della propria tesi, raccordandole attraverso passaggi logici il più possibile ineccepibili. Per fare ciò occorre, innanzitutto, sobbarcarsi ad un lavoro che, se il processo si è protratto per più udienze, è alquanto faticoso: si tratta cioè di leggere (o almeno rileggere rapidamente) i verbali d’udienza al fine di estrapolarne i passi più significativi. Ad esempio, le eventuali risposte incongrue o contraddittorie di testi della controparte che, ai fini probatori, sono di gran lunga più importanti di quelle scontate e favorevoli dei testi a difesa e, nondimeno, i commenti e le domande. Secondo gli antichi trattatisti di retorica, un buon oratore dovrebbe utilizzare spesso «l’insistenza» per non 16 A. GENTILI, Teoria del diritto e tecnica dell’argomentazione forense, in Politica del diritto, n. 3, settembre 2008, p. 461. 13 dar modo all’ascoltatore di distogliere la propria attenzione da quello che è il punto centrale della causa. Secondo alcuni ci deve poi essere un’idea brillante, quella che in gergo forense viene chiamata “colpo d’ala” che è sostanzialmente una sintesi del discorso che collega tutto il ragionamento e che, se viene, riesce a risolvere in senso favorevole una causa in quanto essa «prima colpisce il cuore e poi arriva al cervello del giudice e come una saetta fulmina l’accusa». Tuttavia, la formulazione di un’arringa difensiva non è agevole. La validità della proposta di decisione presentata dagli avvocati al giudice si fonda su una «trama di argomenti complessa ed instabile» che è arduo concepire, comporre e guidare con coerenza al risultato17. Ciò viene spiegato in modo magistrale da MacCormick il quale afferma: «certamente, questo non è in nessun senso un compito meccanico o facile, né si tratta di una scienza esatta; è un compito che richiede immaginazione, capacità di comprendere lo spirito del sistema, una buona conoscenza del diritto, e competenza nello sfruttare utili suggerimenti nei precedenti e nella dottrina […]. La scelta precisa di come fare ciò dipende dall’acume giuridico, dall’esperienza, e certamente, anche dall’immaginazione creativa del buon avvocato. I professori universitari e gli studenti di giurisprudenza in linea di massima studiano i casi giudiziari più importanti “dopo” che essi sono stati decisi e tutto sembra ovvio e facile. Da questa prospettiva è talmente tutto facile da non permettere di cogliere l’audacia, l’ingegnosità e l’immaginazione che devono entrare nella formulazione di un caso difficile, così come esso si presenta agli avvocati “prima” che esso venga discusso davanti avanti alla Corte e “prima” che la corte decida. La capacità di fare ciò può essere appresa solo con la pratica, non dai libri, e in ogni caso, può essere appresa solo da coloro che sono dotati per natura delle qualità intellettuali necessarie». Come magistralmente affermava De Marsico «il modo di preparare un’arringa finisce per significare il modo di fare l’avvocato»: è l’arringa a fornire la misura professionale del difensore, mostrando al pubblico presente in aula quello che costituisce certamente uno dei principali requisiti attestativi di capacità, ossia l’abilità oratoria. 17 V. VINCENZI, F. CAVALLA, G. ALPA, Ragionare in giudizio. Gli argomenti dell’avvocato, Edizioni Plus, Pisa, 2004, p. 76. 14 7. VICENDA GIUDIZIARIA: FATTI CONTESTATI La vicenda ha inizio nel maggio del 2003 da un colloquio tra i nonni e la nipotina Angela, la quale racconta una storia molto confusa accaduta all’asilo, in cui qualcuno la chiamava “principessa” e i bambini “mettevano in bocca banane e mele”. I nonni, interpretando questo racconto come il discorso di una bambina sessualmente abusata, contattano immediatamente la madre la quale registra una lunga videocassetta in cui chiede alla bambina di ripetere quanto già raccontato18. La videocassetta, che per i primi 15 minuti contiene la registrazione di adulti che parlottano lontano dal microfono (di cui poi verrà fatta perizia per decifrarne il contenuto), viene in seguito depositata ai carabinieri come prova per una denuncia contro il maestro Marco, un giovane insegnante di psicomotricità, individuato come colpevole. I presunti fatti si sarebbero svolti con la complicità della maestra Chiara e del capo della cooperativa che gestiste l’asilo. In seguito i genitori di Angela contattano i genitori di altri compagni con conseguente diffondersi della notizia e della preoccupazione; ciò genera uno stato di allarme generale che conduce i genitori a reinterpretare i comportamenti ed i racconti dei figli in relazione ai fatti che si presumono come accaduti (innesco del contagio). I genitori vengono così ascoltati dalla dottoressa Gabriella e dalla dottoressa Claudia (assistenti sociali) che concludono la loro relazione nel senso della compatibilità con una eventuale esperienza di abuso sessuale. Diversamente in senso negativo conclude la Dottoressa Susanna. Tuttavia, genitori di Angela preoccupati per la piccola figlia, decidono di portarla in psicoterapia dalla dottoressa Ludovica, la quale conferma la possibilità di abuso della figlia. Successivamente la dottoressa Susanna ascolta nuovamente Angela ed altri due bambini, Paolo e Giulia, ma dal confronto dei tre emerge che l’unica a riportare dei problemi è Angela, la quale era in costante pressione da parte dei genitori e della psicoterapeuta. Intanto la dottoressa Gabriella incontra Anna e Fabio i quali presentano una palese distorsione dei fatti. I genitori e i carabinieri eseguono dei sopralluoghi sui presunti tragitti percorsi dai bambini ma, dato non irrilevante, nessuno ha mai visto i bambini fuori dall’asilo pur essendo zona trafficata e nessun bambino aveva mai riportato nei disegni qualcosa che ricalcasse ciò che si 18 M.C. ZANCONI, F. BORDINO, L. CORDOVANA, M. LIBERATORE, A. RIGHI, G. ZARA G. GULLOTTA, Processi penali e processi psicologici. Studi sull’attività forense di Guglielmo Gulotta. Introduzione Luisa Puddu, Giuffrè, Milano, 2009, pp. 137 e ss. 15 presumeva accaduto. Bisogna, inoltre, sottolineare che dalla perizia della videocassetta portata all’inizio della vicenda dalla madre di Angela ai carabinieri, emerge come le preoccupazioni e le ipotesi dei nonni e della mamma abbiano concorso a generare una realtà fittizia (dati ,questi, che il difensore utilizza nell’arringa). È l’equivoco ad aver innescato il tutto: “ sul fatto che sia vero non ci sono dubbi, il problema è come muoversi”. La convinzione che sia successo qualcosa di brutto è rinvenibile fin da subito nella mente della madre e dei nonni e questa iniziale posizione è un’ombra per tutto il resto del processo. 8. ANALISI DELL’ARRINGA MEDIANTE ANTICHE REGOLE ARGOMENTATIVE In questa sede ci limiteremo a riportare soltanto i passi più significativi dell’arringa, quali esempi di abilità nell’uso delle tecniche e delle strategie argomentative, in quanto variabili che entrano in gioco nell’arena processuale. Come precedentemente sottolineato, nell’odierno modello accusatorio l’arringa difensiva esercita una funzione persuasiva nei confronti del giudice, a maggior ragione se pronunciata secondo le antiche regole argomentative, vitali in ogni epoca. La retorica classica prevedeva una ripartizione del discorso persuasivo articolata in quattro sezioni principali: esordio, narrazione, argomentazione, epilogo (alcune delle quali ulteriormente suddivisibili)19; la prima e l’ultima fanno particolare appello ai sentimenti dell’ascoltatore (blocco passionale), la seconda e la terza parte si rivolgono alla sua intelligenza (blocco dimostrativo)20. L’esordio (o proemio, inizio, preambolo) è la parte che precede il passaggio all’argomento vero e proprio e che, nell’oratoria giudiziaria e politica, ha lo scopo di rendere il giudice o il pubblico benevolo, attento, arrendevole. In altri termini è la sequenza che apre l’orazione, tentando di accattivarsi l’uditorio; si aggiunga il fatto che, 19 G. GULOTTA, L .PUDDU, La persuasione forense. Strategie e tattiche, Giuffrè, Milano, 2004, pp. 176-177. 20 V. VINCENZI, F. CAVALLA, G. ALPA, Ragionare in giudizio. Gli argomenti dell’avvocato, Edizioni Plus, Pisa, 2004, pp. 54-56. 16 talvolta, può essere utilizzato anche come divagazione (parlar d’altro). .“Il dibattimento è stato lungo abbiamo sentito tanti testi, il Presidente e il Tribunale ci hanno concesso vasto spazio e io concordo con il P.M. nel senso che spesso abbiamo abusato di questa apertura, naturalmente non tutto quello che è venuto fuori può essere utilizzato nel senso non giuridico del termine ma perché è utile, molto però a mio giudizio è servito” Si distinguono due varianti nell’esordio: l’inizio (il principium), ove la qualità della questione permette di chiedere esplicitamente all’uditorio di essere benevolo e attento; l’insinuazione (l’insinuatio), in cui l’oratore cerca di introdursi insensibilmente nell’animo degli ascoltatori, sorvolando sulle apparenze a lui sfavorevoli, per portare l’attenzione sui punti sfavorevoli della tesi avversa. Nel caso in oggetto è interessante notare come, già nell’esordio di un’arringa che si preannunciava certamente non breve (nonostante Gulotta sottolinei volontariamente che l’arringa vera durerà “non più di un quarto d’ora”), l’avvocato si sia premurato di illustrare ai giudici il proprio piano di lavoro e le proprie conclusioni: “Dico subito che il fatto non sussiste e soprattutto, se mi permettono l’invenzione di una formula, il fatto non può sussistere. Mi dedichino un po’ della loro attenzione su questo punto: la cooperative aveva come stile che si chiedesse ai bambini, dopo che venivano fatte le lezioni di psicomotricità, di fare dei disegni. Questo il maestro Marco lo sapeva.”. Di notevole importanza è la captatio benevolentiae, «impresa di seduzione nei confronti degli ascoltatori, che si tratta di conciliarsi subito con una prova di complicità»21facendo sì che chi ascolta sia inconsapevolmente indotto a identificarsi con l’oratore. Utile è non ostentare superiorità, ma dichiarare, almeno in giusta misura, la propria inadeguatezza: c’è un moto naturale di simpatia per chi si trovi in difficoltà. In seconda posizione troviamo la narratio (narrazione o esposizione dei fatti) che serve, in concreto, ad informare. Tre sono le qualità necessarie alla narrazione efficace: l’essere chiara, verosimile (secondo Roland Barthes il verosimile permette di argomentare sia a favore, sia contro) e breve. A riguardo, bisogna tener sempre presente alcuni consigli: evitare le oscurità di espressione e le ambiguità nei discorsi; tenere a mente che i fatti della vicenda sono quello che sono, ma la narrazione deve essere 21 R. BARTHES, La retorica antica, a cura di F. Ravazzoli, trad. it. di P. Fabbri, Bompiani, Milano, 2006, p. 92. 17 sincera, perché la falsa ricostruzione può essere sconfessata dall’avversario; non affermare ciò per cui non si è in possesso di prove adeguate; esporre quanto bisogna e quanto basta, e cioè il necessario e il sufficiente (non deve esserci nulla da togliere né da aggiungere); ed infine la pertinenza degli argomenti nell’esposizione. Il difensore, nella ricostruzione dei fatti, evidenzia chiaramente come nei disegni non siano mai stati raffigurati i bambini e lo stesso maestro in nudità, o alcunché potesse rilevare sospetto. Tali disegni, riguardanti i giochi, sono stati utilizzati da Gulotta come elementi probatori durante il dibattimento e spiegati ad uno ad uno dal Maestro Marco quando richiesto. Per esempio: “Si, il gioco dei cerchi, perché ho in dotazione dei cerchi (…)”. Come infatti dirà la sentenza: “alcun elemento preoccupante in questi disegni vi hanno scorto le maestre e la psicopedagogista e che chiunque altro osservi (…) non può notare alcunché di preoccupante”. La narrazione è a sua volta suddivisa in: digressione (facoltativa), ossia la provvisoria deviazione dall’argomento principale per trattare temi aggiuntivi, ma pertinenti alla questione giuridica in esame; proposizione, vale a dire la presentazione dei termini essenziali del fatto che viene esposto che, per aver compiutezza, deve contenere una serie di elementi e fattori della narrazione detti circostanze (risponde essenzialmente alle domande: chi, che cosa, perché, dove, quando, in che modo, con quali mezzi); partizione, cioè l’enumerazione dei punti da narrare. Quanto all’ordine che si può scegliere nella narrazione, vi sono due alternative: o l’ordine cronologico dei fatti, che segue lo svolgimento logico e naturale degli eventi (c.d. ordo naturalis); o partendo da un punto intermedio, o anche dalla fine della vicenda fattuale (c.d. ordo artificialis) in quanto orientato alla resa estetica al fine di dargli speciale rilevanza, di far suscitare una particolare emozione, ecc. Quest’ultimo è anche più intellettuale, poiché rompe la linearità del tempo per assecondare le esigenze della situazione e degli argomenti22. La narrazione essenzialmente mira a preparare la tappa successiva del reticolo discorsivo in quanto funzionale all’argomentazione: occorrerà, quindi, sottolineare alcune circostanze (in particolare quelle che si crede 22 R. BARTHES, La retorica antica, a cura di F. Ravazzoli, trad. it. di P. Fabbri, Bompiani, Milano, 2006, pp. 94-96. 18 torneranno utili quando si tratterà di sostenere le conclusioni proposte al giudizio dell’udienza). Nel caso in esame, l’esposizione dei fatti coincide, per lo più, con l’inizio della confutazione (confutatio) della tesi avversaria. Poiché l’accusa riteneva che i presunti fatti potevano essere accaduti oltre che all’interno, anche all’esterno della scuola, la difesa mostra la cartina dei luoghi, con i percorsi ipotizzati, mettendo in luce progressivamente l’assurdità della tesi avanzata dall’accusa. Interessante al fine di giustificare il supporto multimediale, è come introduce l’argomento: “loro hanno deciso di non fare il sopralluogo e se Maometto non va alla montagna…Vediamo”. Riguardo la discesa dal muretto (e cioè che il maestro utilizzasse questo passaggio per portare i bambini in luoghi lontani da occhi indiscreti), dove il P.M. diceva, invece, che tutto sommato si poteva fare: “No, però io l’ho vista, però è possibile” e Gulotta continua: “Naturalmente, siccome le chiacchere, le mie chiacchere, non sono sufficienti, ecco che (…)” e mostra il filmato. Le difficoltà incontrate dal maresciallo nella discesa mostrano l’impossibilità della tesi dell’accusa (nessun bambino si è mai fatto male? Nessuno li ha mai notati pur essendo zona di passaggio?). La difesa procede poi nello stesso senso, mostrando una seconda uscita, ugualmente impraticabile in quanto si tratta di un foro di altezza da terra di circa due metri; e così ancora con altri ipotetici passaggi confutati dalla difesa mediante i supporti multimediali. Oltre a mostrare l’oggettivo paradosso di credere percorribili le ipotesi dell’accusa, utilizza questi strumenti per smascherare le illogicità, le false interpretazioni e i fraintendimenti che stanno alla base. Per esempio, la madre riferisce che:“Angela ha risposto che passavano sotto la sbarra”; in realtà Angela si riferisce al gioco della sbarra ed il luogo indicato dall’accusa risulta privo di sbarre. La difesa volge, poi, l’attenzione agli spazi interni, in primo luogo alla casetta dei giochi aperta e sottolinea: “Vi rendete conto che qui abusi non se ne possono fare, o si possono fare con la complicità di tutto, dico tutto l’asilo!”; in secondo luogo passa alla casetta chiusa, piena di giocattoli ed anche essa inutilizzabile per gli abusi ipotizzati; alla stesa conclusione si arriva anche per l’aula di ginnastica. 19 Dunque, nell’argumentatio (argomentazione) che, ancor oggi, è il cuore del discorso persuasivo; si adducono le prove e si dispongono strategicamente i propri argomenti (probatio o confirmatio, conferma) ma, al contempo, si ribattono anche le tesi dell’avversario (confutatio o reprehensio, confutazione degli argomenti dell’avversario che è indispensabile nel caso in cui si esponga per secondi, o in replica, e soprattutto quando l’avversario abbia ottenuto successo). È, quindi, la parte del reticolo discorsivo in cui si “sfoderano gli argomenti” scoperti nell’inventio; è il momento in cui si presentano le prove argomentative a sostegno della propria tesi. Infine, l’epilogo (o peroratio, ossia perorazione), è la conclusione del discorso. I retori antichi vi distinsero due parti, corrispondenti ad altrettante funzioni: la prima è la ricapitolazione dei temi trattati, in cui si riprendono sinteticamente e schematicamente gli argomenti in discussione al fine di darne una visione d’insieme: “e in più signor Presidente, sempre perché il fatto non può sussistere, perché il fatto che questi bambini vengono indotti a dire, di fare queste cose brutte o belle come scavalcare i muri insieme a bambini che non sono con loro, cioè questo è straordinario e che francamente avrebbe dovuto mettere sul chi va là i genitori nel momento in cui sentono queste cose (…)”; la seconda è la mozione degli affetti che si suddivide a sua volta in indignatio (tramite la quale, secondo Cicerone, si riesce a suscitare lo sdegno verso un’azione o un uomo) e commiseratio (ossia la compassione) tramite le quali si provoca, appunto, il coinvolgimento emotivo degli ascoltatori. Si aggiunga il fatto che, quanto detto, è confermato anche da Aristotele secondo il quale: «l’epilogo è composto da quattro elementi: dal provocare una buona disposizione dell’ascoltatore verso di sé e una cattiva verso l’avversario; dall’amplificazione e dall’attenuazione; dal disporre l’ascoltatore alle passioni; dalla rievocazione di ciò che si è detto»23. “Io dovrei finire, però il codifensore mi ha detto che dovrei parlare di più. Il processo, è finito il processo. Come fa? Non possumus. Il fatto non può essere sussistito (…) Signor presidente e signori del tribunale, come dicevo, avrei finito, ma il codifensore mi dice che devo aggiungere qualche parola, perché tu, mi dice, devi anche spiegare, anche se non sarebbe nostro compito per la verità, come diavolo è montata questa maionese (…) Molti genitori hanno solo una sfortuna, di non avere incontrato su tutta la loro strada, nessun senso qualcuno dotato di senso critico, che dice momento, un momento fermati un 23 ARISTOTELE, Retorica, trad. di Marco Dorati, Mondadori, Milano, 1996, pp. 10 e ss. 20 momento(…)” Una conclusione è sempre raccomandabile ed è opportuno che non sia semplicemente riepilogativa, ma che aggiunga qualche nuovo elemento alla riflessione dell’udienza. 8.1 Arringa e tecniche audiovisive nel processo Supporti audio-video, documenti digitali, fotografie e presentazioni grafiche, oggi, accompagnano ed integrano l’eloquenza dell’oratore e le carenze della documentazione cartacea. Queste tecniche multimediali danno un plus alle arringhe e, quindi, ne avvalorano la loro esposizione in quanto, oltre ad avere una maggior efficacia persuasiva, permettono un approccio diretto con la fattispecie di reato. Infatti, all’interno del Foro, le tecniche multimediali hanno reso possibile la creazione di una nuova metodologia processuale che pone il giudice come testimone oculare, senza la necessità dell’intermediazione di terzi, con il vantaggio di una maggior discrezionalità nella sua decisione24. Nel processo, queste tecniche strategiche vengono utilizzate per rendere più immediata la fruizione delle informazioni poiché, in questo modo, esse vengono prontamente recepite e maggiormente ricordate; l’informazione veicolata da immagini e filmati può essere considerata “vivida”, cioè in grado di attrarre e mantenere viva l’attenzione dell’uditorio. Inoltre, offrono la possibilità di poter studiare il comportamento verbale e non verbale di un teste, catturando così particolari di non immediata percepibilità che influiranno sul processo decisionale del giudicante. Nondimeno, nel processo, permettere di illustrare le argomentazioni con supporti audiovisivi, atti a verificare le ipotesi accusatorie e difensive, è utile per semplificare concetti difficili e poco conosciuti, per far vedere nel concreto quanto si suppone essere successo. Tuttavia, resta pur sempre necessario contestualizzare tali strumenti con gli altri dati processuali. 25 . 24 M.C. ZANCONI, F. BORDINO, L. CORDOVANA, M. LIBERATORE, A. RIGHI, G. ZARA G. GULLOTTA, Processi penali e processi psicologici. Studi sull’attività forense di Guglielmo Gulotta. Introduzione Luisa Puddu, Giuffrè, Milano, 2009, pp. 113 e ss. 25 G. GULOTTA, Compendio di psicologia giuridico-forense, criminale e investigativa, Giuffrè, Milano, 2011, p. 469. 21 La preparazione di un’arringa multimediale ha come punto nodale la scelta delle immagini da presentare che vanno selezionate con cura in base all’impatto che si presume possano avere. Ma come far entrare nel processo tali supporti audiovisivi? Come ha suggerito Gulotta durante le sue lezioni, è possibile utilizzare estratti di filmati e immagini dei Carabinieri, dei loro sopralluoghi, in quanto questi sono già ed effettivamente documentazione del processo; ciò non nega la possibilità di aggiungere grafici di studio personale, ancora meglio se elaborati con l’ausilio di esperti. Dunque, possono essere utilizzati tutti i supporti audiovisivi che fanno parte del fascicolo del dibattimento, sopralluoghi, incidenti probatori etc. ossia tutto il materiale confluiti nella documentazione processuale. Questa strategia è ben rinvenibile nella nostra arringa, ove uno dei punti salienti è rappresentato dall’estratto del filmato in cui il maresciallo cerca di scendere il muretto, operazione che gli riesce solo con estrema difficoltà: minuto 00:00:48 “Scenda scenda pure Maresciallo, scenda normale”/ o ancor meglio, minuto 00:00:10 “Mi dici come fanno a scavalcare qua i bambini?” Si palesa, quindi, l’importanza dell’ausilio di tali supporti nella fase difensiva in quanto fondamentali per dimostrare l’assurdità dell’ipotesi avanzata dall’accusa. Infine, nella nostra arringa, si possono riscontrare altri fattori cruciali quali il miglioramento delle qualità delle immagini, l’eliminazione del rumore, la ricostruzione dell’ambiente ed il confronto con altri esperti. Ciò in particolare emerge dalla perizia riguardo ai primi 15 minuti di “registrazione ambientale”, consegnata dalla madre ai Carabinieri, in cui gli adulti parlottano tra di loro; inizialmente indecifrabile per la difesa, viene in seguito resa comprensibile mediante filtri speciali e conseguentemente utilizzabile dal difensore nell’arringa. 9. CARATTERE INTERATTIVO DELL’ARRINGA: L’ADESIONE DELL’UDITORIO Perelman riconosce nell’uditorio il fulcro della pratica argomentativa: «occorre che l’oratore rivolga il suo discorso all’uditorio, cioè all’insieme di coloro che si propone di 22 influenzare» affinché si realizzi una «comunanza spirituale»26, punto di partenza per ottenere l’adesione alla propria tesi. Egli afferma: «poiché lo scopo di un’argomentazione è quello di suscitare o accrescere l’adesione di un uditorio alle tesi che si presentano alla sua approvazione, essa […] presuppone un contatto delle menti fra l’oratore e il suo uditorio». Pertanto, «se vuole agire efficacemente mediante il suo discorso, l’oratore deve adattarsi» all’interlocutore, e questo «significa anzitutto scegliere come premesse dell’argomentazione tesi che l’uditorio stesso ammetta»27. I giudici, infatti, non si convinceranno altro che di argomenti compatibili con il loro approccio al problema giuridico e perciò, «la tecnica argomentativa dell’avvocato è necessariamente condizionata alla tecnica argomentativa dei giudici, per esserle compatibile». La retorica dell’avvocato deve, quindi, tener conto del modo di ragionare dei giudici per influenzarlo. In primo luogo, chi vuole persuadere deve anzitutto, per quanto possibile, «conoscere il suo uditorio, cioè conoscere la tesi che esso è disposto a condividere fin dall’inizio e che quindi si presta come aggancio all’argomentazione». L’avvocato deve, perciò, conoscere la c.d. area di accettazione (affermazioni su cui l’ascoltatore concorderebbe per assimilazione alle sue idee) e la c.d. area di rifiuto (affermazioni su cui dissentirebbe) del ricevente28. Perelman, inoltre, assegna rilevanza all’ambiente sociale in cui l’individuo esercita la sua azione: detto in termini più precisi, coglie l’aspetto più pragmatico dell’argomentare per il quale le strategie argomentative sono scelte dal contesto; il consenso e l’adesione di chi ascolta richiede di considerare il contesto nel quale il discorso si cala e l’atteggiamento interpretativo dei destinatari. In sintesi, la «nuova retorica» raccomanda di modulare il discorso alla luce delle caratteristiche dell’udienza e in particolare dell’uditorio: bisogna mostrare di essere quello che l’udienza desidera che si sia e, dunque, entrare in “contatto con la mente” degli ascoltatori, in particolare tenendo in considerazione la mentalità, gli orientamenti e le debolezze del decisore (sia esso 26 C. PERELMAN, L. OLBRECHTS-TYTECA, Traité de l’argumentation. La nouvelle rhétorique, Presses Universitaires de France, 1958, Paris (=Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, trad. it. a cura di N. Bobbio, Einaudi, Torino, 1966, pp. 16-21). 27 G. GULOTTA, Strumenti concettuali per agire nel nuovo processo penale, Giuffrè, Milano, 1990, p. 232. 28 G. GULOTTA, Trattato di psicologia giudiziaria nel sistema penale, Giuffrè, Milano, 1987, pp. 826830. 23 giudice singolo, collegiale o giuria popolare); si parla a proposito di argumentum ad iudicem. Quanto detto sinora lo si può riscontrare nella quotidianità e ciò vale, soprattutto, per il processo davanti alla Corte d’Assise che si caratterizza per avere una composizione mista, formata da giudici togati e giudici popolari. Sarà quindi necessario informarsi all’inizio del processo sull’attività professionale, sul grado di istruzione e sulla condizione familiare dei giudici popolari osservando, al contempo, il loro comportamento nel corso dell’esposizione introduttiva e dell’istruttoria dibattimentale, al fine di individuare i passaggi che hanno destato maggior attenzione. Queste indicazioni possono attagliarsi anche ai giudici togati in quanto di essi è necessario conoscere attitudini, impostazione culturale e orientamenti giurisprudenziali allo scopo di articolare adeguatamente l’argomentazione (in termini più semplicistici, quando un avvocato va a fare un processo fuori sede, è opportuno che chieda sempre al collega di “quel Foro” come è il giudice). Inoltre è bene ricordare che la scelta dei giurati è, come ben noto, una scelta fondamentale nel processo penale anglo-americano. A ciò si collega la lettura del pensiero la quale consiste nel far apparire che la fonte di comunicazione possa «leggere e, di conseguenza, guidare il pensiero dell’ascoltatore» mediante l’uso di ovvietà o luoghi comuni, il che provoca nel ricevente un’aspettativa che lo influenza nel senso voluto dall’emittente. Risulta, pertanto, fondamentale il riferimento a valori, credenze e luoghi comuni che spesso è accompagnata dalla mozione degli affetti, ossia far leva sugli aspetti emotivi del ricevente, per ottenere un’adesione alla propria tesi. In questa arringa si evidenzia come i bambini sono facilmente esposti a scene a contenuto sessuale trasmesse dalla televisione in orari protetti. “Figuratevi! Noi non sappiamo che cosa sanno i nostri bambini. Non lo sappiamo, Perché oggi, con questa cosa dei mass media, c’è una situazione che non riusciamo a controllare (…)”. Il contatto delle menti a volte ingloba al suo interno l’appello alla responsabilità: si tratta di richieste esplicite di adottare la propria versione, inviti e riflessioni che direttamente si rivolgono al giudicante volti a sottolinearne il “ruolo di responsabilità”. In altri termini, mettono in guardia chi giudica dalle conseguenze di una sua decisione 24 sbagliata29. Tuttavia, capita che l’avversario carichi il giudicante di eccessiva responsabilità facendo leva sulla sua emotività. Si attuano, allora, per controtendenza, delle tattiche di deresponsabilizzazione che hanno lo scopo di alleggerire il magistrato del peso della decisione (che potrebbe incidere sulla serenità del giudizio). “Ma Signor Presidente, Signori del Tribunale, ma i miei colleghi lo sanno che pedofili e donne sono una rarità assoluta anzi probabilmente inesistente (…)” Un’altra alternativa fa leva sui meccanismi di divisione che consiste nel prospettare varie soluzioni di una certa questione, nell’esaminarle separatamente, eliminando quelle che non appaiono ammissibili o credibili per trarre, poi, la conclusione da una sola di esse. Secondo la ricostruzione dei fatti presentata dall’accusa il maestro, mediante l’utilizzo di minacce, avrebbe convinto i bambini a tacere: “Ma, uno può convincere un bambino, non dire questa cosa, poi vedremo come, e se, ma, come faccio a convincere un bambino a dire non solo non la devi dire, e non farti capire dai genitori, ma mi devi fare in più dei disegni belli? (…)”.“ È possibile? Non è possibile. Ergo, il fatto non può essere successo. Basta che vi fermiate qui.” Troviamo, poi, la tecnica dell’esagerazione delle richieste: chiedere molto per ottenere quel meno che si è premeditato; spesso l’accusa contesta un reato più grave per ottenerne almeno uno minore. Infine, per quanto riguarda l’opportunità di esplicitare o meno le conclusioni30 e cioè se sia più efficace un messaggio che le enuncia in modo esplicito oppure quello che le presuppone e le lascia trarre ai destinatari della comunicazione. Secondo la ricerca è più facile che si raggiunga l’effetto persuasivo quando le conclusioni sono enunciate in modo esplicito; la parte che, al contrario, pensa sia meglio lasciar parlare i fatti, corre il rischio di veder giungere l’ascoltare alla conclusione non voluta. Quando si ritiene opportuno esplicitare le conclusioni è comunque sempre meglio non esprimerle in modo troppo perentorio, perché ciò può suscitare in chi è chiamato a decidere (giudice) una sensazione di prevaricazione e indurre, di conseguenza, al rigetto psicologico (ossia la reazione che si verifica per l’appunto quando la pressione verso una certa conclusione 29 30 G. GULOTTA, A. CURCI, Mente, società e diritto, Giuffrè, Milano, 2010, pp. 327-329. G. GULOTTA, Strumenti concettuali per agire nel nuovo processo penale, Giuffrè, Milano, 1990, p.246. 25 riguardante una vicenda controversa è avvertita come una minaccia alla propria “libertà di decisione”). 10. PRESENTAZIONE DEL MESSAGGIO Il presentare entrambe gli aspetti di una questione controversa risulta più efficace che non fornire solo gli argomenti a proprio favore e ciò, soprattutto, nel caso di uditorio inizialmente ostile e nel caso di soggetti con grado di istruzione elevato31. “Ora Signor Presidente voglio assumere, mi tocca, come dire, la visione malevola nei confronti del mio assistito dei miei illustri contraddittori che possono dire bè, va bè qui c’è tutta la faccenda del segreto, già ma uno può convincere un bambino a non dire questa cosa”. Il difensore espone, oltre alla propria versione, anche quella del P.M., fornendo però una diversa interpretazione dei fatti. Le persone hanno differenti rappresentazioni della realtà in quanto differenti sono le strutture cognitive e gli interessi; dunque, non solo i testimoni percepiscono e quindi riferiscono in modo diverso lo stesso fatto, ma le parti processuali selezionano i fatti che sono più utili per supportare la propria posizione. Da questo approccio nasce la narratologia forense (Gulotta e Puddu, 2004) che si serve di alcune strategie che si possono riscontrare anche in questa arringa. La prima è l’accumulazione, ossia creare contiguità tra le idee espresse nel messaggio in modo che ognuna richiami quella precedente e quella successiva. La difesa vuole dimostrare attraverso l’ausilio di supporti multimediali come sia possibile che l’imputato abbia allontanato dalla scuola i bambini attraverso il percorso ipotizzato dall’accusa poiché esso è impervio e impraticabile. “Vogliamo vedere adesso l’altro percorso [viene mostrato un video girato dai carabinieri dove si vede che il percorso descritto dalla bambina è impraticabile]. Il percorso cioè, che è ipotizzato da un’altra bambina. (…) Vediamo il percorso ipotizzato da Anna, voi vedete qui, che in questo, vogliamo vederlo, che si passa da un buco nella rete e si va all’Asl. Vogliamo provare a far vedere alcune scene che riguardano, per esempio, il buco nella rete [da dove sarebbero passati i bambini]”. 31 G. GULOTTA, Trattato di psicologia giudiziaria nel sistema penale, Giuffrè, Milano, 1987, pp. 812- 813. 26 Per quanto riguarda poi la progressione, ovvero la descrizione del fatto aumentando in maniera progressiva il tono emotivo man mano che ci si avvicina alla scena centrale, la difesa ha ricostruito gradualmente e concerto pathos il pensiero della bambina, la quale ha ben compreso l’argomento da trattare per attirare l’attenzione della madre. Riscontriamo, inoltre, l’insistenza sui temi centrali del messaggio e la ripetizione di parole chiave in frasi diverse rafforzando così l’idea portante, la credibilità e l’accettazione del messaggio. L’obiettivo della difesa è, qui, quello di provare come l’imputato sia estraneo ai fatti contestati, “fatti che non sussistono e che soprattutto non possono sussistere”/ “ (…) Non è possibile. Ergo il fatto non può essere successo, basta che vi fermate qui”/ “Il fatto non può sussistere” Altra strategia di fondamentale importanza è la concatenazione che consiste nel fare in modo che tutti gli elementi della fattispecie siano collegati tra di loro. Altre tecniche utilizzabili nella presentazione del messaggio sono l’umorismo, l’ironia e il sarcasmo sull’avversario, comunque difficili da raggiungere ma, se ben padroneggiati, possono lasciare il segno, così pure l’utilizzo di metafore, analogie, esempi. Cicerone a riguardo affermava: «quando l’occasione si presenta, bisogna approfittarne: cogliere il lato ridicolo, farlo valere e servirsene senza pietà è coscienza di buon gladiatore». “Come diavolo è montata questa maionese, cioè come diavolo è possibile umanamente, che delle persone certamente in buona fede come i genitori (…)”. Attraverso l’utilizzo di tale tecniche si mostra come l’accusa abbia creato un mostro basandosi su delle ipotesi errate. “Immagini che se lei prende, voi prendete, come me, una compressa di talco che credete sia aspirina, aspettandovi che essa abbia i risultati dell’aspirina. Solo perché lo avete atteso il vostro organismo si comporta come se, si trattasse di aspirina. E una volta che commettete l’errore iniziale di credere che sia aspirina va a finire così”. Nel caso qui riportato, altro fattore di rilevante importanza è l’uso giudizioso di interrogazioni o domande. Mediante queste si vuole provare come sia impossibile che il maestro accusato di abusi abbia portato fuori dalla scuola, di nascosto, dei bambini e come nella abitazione dell’imputato non sia stata trovata nessuna traccia di materiale pedo-pornografico. “Il cancello è chiuso a chiave, bisogna uscire, e va bene si arrangia, 27 ma poi come rientra? Come rientra poi? Gli devono dar le chiavi. Chi gliele ha date? Come poteva garantirsi che, in quella uscita altri non l’avrebbero visto e comunque che qualcuno quando rientra gli avrebbe detto dove siete andati?” Tutto ciò è farcito con argomenti ex auctoritate: in generale collegare un messaggio con una fonte estremamente esperta aumenta la persuasione e, nel caso in oggetto, la difesa si riferisce a fonti scientificamente importanti. “Questo che vi leggo è, diciamo, decisivo per la comprensione di questo processo (…) poi un libro come L’inferenza umana di Nisbett e Ross che ci insegna che gli errori cognitivi in cui cadiamo, e fa riferimento agli studi di Kahneman, che è uno psicologo che ha vinto il premio Nobel 2002 (…)” Infine, può rivelarsi utile il c.d. ragionamento contro-fattuale: si tratta di confrontare ciò che è accaduto nella realtà con ciò che sarebbe potuto o dovuto avvenire; per cui se l’avvocato riesce a proporre possibili alternative peggiori all’accaduto, il fatto compiuto appare meno grave e ciò può esser utile ai fini del convincimento più favorevole del giudice. 11. TATTICHE PER CONTRASTARE LA PARTE AVVERSA Innanzitutto, tecnica di contrasto che cerca di indebolire o rendere insostenibile l’argomentazione dell’antagonista è la c.d. ristrutturazione che consiste nel connettere diversamente gli elementi di cui si compone l’argomentazione stessa: basta, per così dire, mutare l’ordine del discorso avversario e, quindi, ricodificarne il messaggio, senza cambiare il significato delle cose, ma mutando i rapporti che gli elementi hanno tra di loro. L’ascoltatore viene così indotto a guardare le cose da un altro punto di vista e, modificando il punto di osservazione, la realtà cambia. Nel nostro caso viene contestata l’interpretazione fatta dei disegni e delle parole dei bambini e di come essa sia stata utilizzata a conferma delle ipotesi di abuso sessuale. “A un certo punto dice[la mamma]: teneva un comportamento masturbatorio e lo chiamava fare i saltoni. Questo si chiama avere le gambe divaricate su qualcosa o anche per terra (…) [nel video viene mostrato il gioco di cui parla la maestra. Si tratta di un gioco per bambini che prevede l’utilizzo di una grande palla rimbalzante con le maniglie suc cui ci si siede e si rimbalza]” 28 Un’altra valida alternativa nell’interazione tra le due parti avverse consiste nell’ammettere qualcosa in favore dell’altro per ottenere reciprocamente delle ammissioni che interessano (e la c.d. concessione). In questo caso ci sono genitori che hanno indotto i figli, attraverso delle domande suggestive, le risposte che precisamente volevano ottenere. “Ci sono dei genitori spaventati, ed è normale che siano spaventati. È normale che facciano delle domande, diciamo sbagliate, sotto il profilo tecnico, e che cerchino di verificare se il fatto è successo.” Da questi ultimi i estratti si può notare anche una sorte di attacco al prestigio dell’avversario: dal momento che l’antagonismo presente in aula punta a far prevalere la propria tesi rispetto a quella dell’avversario, si può agire anche attaccandone il prestigio e la reputazione (posseduti dall’avvocato grazie alla sua competenza, abilità e onestà); occorre però tener presente che si tratta di una sorte di percorso minato in quanto se questo attacco non viene fatto con eleganza, può essere interpretato dall’uditorio come una sorta di fatto personale che può anche infastidire. Altra tecnica di carattere polemico è l’ri-utilizzazione degli argomenti, dello stile e del comportamento dell’avversario ossia ritorcere contro l’avversario ciò che ha detto (per quello che significa, o per come l’ha pronunciato). Un esempio è quello di sfruttare una eventuale posizione estremistica assunta dalla pubblica accusa che, proprio per questo suo carattere, può suscitare un fenomeno di rifiuto totale da parte dell’uditorio32. “Ma Signor Presidente, Signori del Tribunale, ma i miei colleghi lo sanno che pedofili e donne sono una rarità assoluta anzi probabilmente inesistente, cioè lo sanno che le donne avete ogni tanto non so fermati non so nei computer guardano siti pornografici tutti maschi reato complesso di pedofilia tutti maschi(…) e in particolare donne e perversioni sono rarissime”. Si tratta cioè di prendere un argomento eccessivo dell’avversario per sottolinearne l’aspetto estremistico in modo che ciò getti una luce screditante su tutta la sua impostazione Altro esempio è la c.d. reductio ad absurdum che, come fanno notare Perelman e Olbrechts-Tyteca è una tattica che consiste nel supporre come vera una proposizione dell’avversario ( ovvero nell’ammettere momentaneamente una tesi opposta a quella che 32 G. GULOTTA, Trattato di psicologia giudiziaria nel sistema penale, Giuffrè, Milano, 1987, pp. 827- 828. 29 si vuole difendere) e nel portarla alle estreme conseguenze per, poi, dimostrarne l’inconsistenza. In termini più semplici, è la forza del “mettere in ridicolo” l’altro. “Ora Signor Presidente voglio assumere, mi tocca, come dire, la visione malevola nei confronti del mio assistito dei miei illustri contraddittori che possono dire bè, va bè qui c’è tutta la faccenda del segreto, già ma uno può convincere un bambino a non dire questa cosa (…) Non è possibile. Ergo il fatto non può essere successo”. Troviamo, poi, un’altra tecnica che è nota con il nome di immunizzazione: essa si rifà al concetto di vaccinazione e si propone di immunizzare il soggetto contro le manovre persuasive di parte avversa. Ad esempio, capita sovente in ambito giuridico che il difensore dica cose che screditano il suo assistito (svelare per primi qualcosa di negativo riguardo al proprio assistito prima della controparte in modo tale che non lo possa più utilizzare a proprio favore) al fine di attenuare agli occhi di chi deve esprimere un giudizio il suo significato negativo. Infine, un’altra alternativa consiste nella sfida, ossia nello sfidare l’avversario su un terreno in cui si è certi di non poter essere validamente contraddetti; nel caso in oggetto la difesa mostra attraverso i video come sia impossibile che il maestro abbia condotto i bambini fuori da scuola attraverso il percorso ipotizzato dall’accusa: “Vediamo se è possibile che questo percorso sia avvenuto. Vogliamo vedere ad esempio la discesa ad uomo. Ora quella che il P.M. dice No, però io l’ho vista, è possibile.” 12. E SE IL CAVALLO NON UBBIDISCE ALL’AURIGA? Talvolta l’avvocato non riesce a far presa sull’uditorio: ciò costituisce senza dubbio un grosso inconveniente. Il guaio peggiore è che mentre colui che parla spesso non se ne accorge (a riguardo Gulotta sottolinea spesso l’importanza del registrarsi), altri con anche solo una minima esperienza, dall’esterno, se ne accorgono immediatamente. Come? Secondo Cicerone basta una semplice occhiata « Se si vede il giudice che sbadiglia o parla con un altro(…), si capisce subito che non c’è in quel dibattimento un oratore che sappia toccare con la sua parola l’animo dei giudici»33 L’avvocato che si 33 A. TRAVERSI, La difesa penale. Tecniche argomentative e oratorie, Giuffrè, Milano, 2009, pp. 244- 245. 30 lagna di non essere capito dal giudice, biasima non il giudice, ma sé stesso. In un caso del genere sembra proprio che non ci sia rimedio se non, come afferma Giurati, «se la sua causa fosse magra, e il difensore avesse mai qualche cosa di nuovo con cui ristabilire un po’ di equilibrio (caso raro!) non deve tardare un istante a far fuoco con la sua unica cartuccia». Il giudice non ha il dovere di capire: è l’avvocato che ha il dovere di farsi capire. 31 BIBLIOGRAFIA ARISTOTELE (1996), .Retorica, trad. it. di M. Dorati, Mondadori BARTHES R (2006), La retorica antica, a cura di F. 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