l`immortale - Marsilio Editori . blog
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La storiella imperiale dei leoni democristiani, che ap partiene ai tempi dei governi bizantini della Prima Repub blica e dei devoti e spietati dignitari dello scudo crociato, è stata spesso raccontata all’inizio della Seconda Repubblica da molti dei suoi uomini nuovi, sia forzisti che leghisti, come un marmoreo monito sull’immortalità politica dei dirigenti dorotei anche dopo la dissoluzione della Demo crazia cristiana, come una farsesca messinscena, opportu namente allestita al Colosseo, del rassegnato e romanesco detto «non li ammazza nessuno». Anche Silvio Berlusconi, in quegli anni, si serve più volte di questa storiella eloquente – ora per negare ogni possibile alleanza con i minuscoli e ostinati schieramenti che tramandano la politica della Democrazia cristiana, ora per schernire un giovane e ambizioso discendente dell’an tica oligarchia che ha cospirato invano contro di lui –, ma la versione che racconta il presidente si distingue da quella popolare per un vistoso dettaglio: l’inquieto tiranno che dà ordine a uno dei suoi pretoriani di organizzare nuovi intrattenimenti pubblici perché è «preoccupato dall’an damento dei sondaggi», che vuole altri spettacoli circensi da dare al popolo ancora prima del pane perché deve «aumentare il suo consenso», è un Nerone quanto mai novecentesco e postmoderno, un ridicolo e feroce impe ratore romano dai tratti inconfondibilmente berlusconiani. 38 ReCheRide_4.indd 38-39 l’immortale* C’è D’Alema che incontra Bertinotti. Bertinotti lo guarda e gli dice: «Sai, Massimo, che hai una brutta faccia? Cosa ti è successo?» «Ah, guarda, non…» «Ma che è successo? Sei proprio triste.» «Eh sì.» «Che è successo?» «È morto Berlusconi.» «Ma no!» «Sì.» «Oh, che peccato.» «Sì.» «Tutto sommato… era ancora giovane…» «Eh.» «Tra l’altro, abbastanza simpatico.» «Sì, l’ho detto anche in televisione.» «Ma com’è successo?» «Sai, è andata a fuoco la sede di Forza Italia.» «Davvero? E com’è potuto essere?» «Un nostro compagno passava di lì e ha buttato un cerino… sai un cerino, un incendio… un altro compagno era passato prima e aveva lasciato una macchina, un guasto, un po’ di benzina, è andato tutto a fuoco.» «Perbacco! E Berlusconi?» «Berlusconi era lì.» «Che brutta morte! Carbonizzato?» 39 22/10/10 09:09 «No, no, era su, all’ultimo piano.» «Ah. E non è morto bruciato?» «No, si è buttato.» «Al suolo? Sfracellato?» «No, c’erano i pompieri, sai con quei teloni elastici americani.» «E allora?» «È andato giù nel telone, proprio nel mezzo, è rimbalzato su su su, è andato su dall’altra parte… sai che dall’altra parte della piazza c’è l’ambasciata turca, quella che ha sempre fuori la bandiera con quell’asta acuminata?» «Ah, che brutta morte! Impalato alla turca!» «No, no, è arrivato sull’asta, ha fatto leva ed è rimbalzato su su su… e poi giù giù giù…» «Ha mancato il telone?» «No, l’ha preso, proprio nel mezzo, e poi è andato su su su, è andato di lì, sai che ci sono quelle case popolari, che sono le ultime nel centro di Roma…» «Uh, è morto povero?» «No! Cos’hai capito? È andato giù, sai che lì stendono i panni, è andato sulle corde dove stendono i panni, ha fatto leva, ha fatto elastico, e poi su su su, è andato su, è andato su, poi dopo è venuto giù giù giù…» «Si è schiantato?» «No, ha preso ancora il telone nel centro.» «E allora?» «È andato su su su, è andato in alto, 40 ReCheRide_4.indd 40-41 poi è andato giù giù giù, è finito sulle linee dell’alta tensione.» «Mamma mia, fulminato!» «No! Ha fatto leva anche lì, è andato su su su, poi giù giù giù…» «Erano andati via i pompieri?» «No, erano lì.» «E allora?» «Ha preso il telone proprio nel centro, è andato su su su su…» «E allora?» «Abbiamo dovuto abbatterlo.» Se è vero che le barzellette sono simili ai sogni – e anche per questo si dimenticano facilmente –, se è vero che una barzelletta è un sogno da cui ci si sveglia con una risata, allora si può provare a pensare a questa storiella fantasma gorica raccontata da Silvio Berlusconi proprio come a un suo sogno, il sogno onnipotente di essere imprendibile e insieme l’infinito incubo di essere preso, l’implacabile vi sione notturna delle persecuzioni contro di lui e delle sue beffe ai persecutori, dei contorti tranelli della sinistra che lo vuole morto e delle sue ingegnose acrobazie per restare vivo. Si direbbe quasi che la storiella dell’uomo immortale, un vecchio canovaccio comico, sia stata riscritta dal suo inconscio mettendo in scena le sue titaniche presunzioni e le sue infantili fobie, rappresentando il suo complesso di superiorità e quello di inferiorità che combattono in lui, e non è facile, a questo punto, resistere alla tentazio ne di interpretare questo sogno superomistico decifrando innanzitutto, nelle molteplici morti temute da Berlusconi, le pulsioni omicide che attribuisce alla sinistra: ardere 41 22/10/10 09:09 sul rogo l’eretico della politica, sodomizzare il seduttore seriale, precipitare il padrone capitalista nella più oscura povertà proletaria, condannare l’imputato che si è sottratto a tanti processi a subire infine la pena capitale, a mori re fulminato su quei tralicci dell’alta tensione che sono la scheletrica trasfigurazione di una sedia elettrica. Sono questi i foschi desideri, le innominabili speranze della sinistra che trama contro di lui nelle segrete della sua ideo logia, che cerca di nascondere il suo odio ammantandosi di buone cause, ma nessuno di quei continui complotti comunisti che ordiscono accordi parlamentari, campagne giornalistiche, inchieste giudiziarie, potrà mai prevalere su di lui, Silvio Berlusconi, sulla sua esercitata resistenza agli attacchi di ogni genere e sulla sua spettacolare destrezza nel far leva su quegli attacchi per contrattaccare, su quella fiducia ben tesa, su quell’indistruttibile convinzione in sé che è di stampo americano proprio come quel telone di salvataggio e lo proietta nuovamente in alto ogni volta che sta cadendo, e il suo unico timore è che prima o poi i suoi invidiosi avversari, non potendo più sopportare di vederlo volteggiare libero e beffardo sopra le loro teste, decidano infine di abbattere con la violenza l’unico bersaglio che non sono riusciti a colpire con la politica, perché non è agli intrighi di palazzo ma alla rivoluzione di piazza che dovranno ricorrere se vorranno farlo fuori, non alle leggi ma al linciaggio. Negli anni, come un incubo ricorrente che ritorna ogni volta che si ripete una situazione angosciosa, questa sto riella è stata spesso detta da Berlusconi dopo aver sapu to di essere stato sottoposto a una nuova indagine della magistratura, ed è parso allora che quel piccolo racconto dello yo-yo di un uomo tra il cielo e la terra fosse una rappresentazione involontariamente rivelatoria dello stato d’animo di chi stava raccontando e del suo stremante oscil lare, in quei momenti, tra la disperazione e l’onnipotenza, tra la convinzione di vincere anche questo processo e la certezza che ce ne sarà sempre un altro fino alla sua con danna, che quella fosse l’immagine onirica della dolente baldanza della tremante boria che ostenta Silvio Berlusconi davanti ai giudici. Così, se per un istante si prova a pensare non solo a questa, ma a tutte le altre barzellette come a sussulti del suo inconscio, come a un improprio sognare, si avrà di colpo la chiara, definitiva sensazione che Silvio Berlusconi, raccontando incessantemente le sue storielle, stia conducendo una lunga, ininterrotta seduta di analisi in pubblico che dura da quindici anni, che stia confidando la parte più remota e indicibile di sé a quel potente psicologo orwelliano, a quel gigantesco e invisibile analista che è l’opinione pubblica – a cui lui, alla fine, ha sempre detto tutta la verità, perché ha potuto dirla ridendo. 42 43 ReCheRide_4.indd 42-43 Non è un caso, probabilmente, che questa storiella così profondamente sua lo abbia sempre messo a proprio agio ogni volta che l’ha raccontata, meritandogli perfino, quan do l’ha recitata in televisione, i lusinghieri complimenti di quel signorile cabarettista d’antan, di quel maggiordomo milanese della barzelletta che è stato Gino Bramieri, che definì la sua esibizione «degna di un bravissimo attore che calca i palcoscenici da anni». In quell’ormai famosa in terpretazione televisiva, Berlusconi introduce la barzelletta, come ogni consumato barzellettiere, annunciando che «è proprio nuova» – del resto sono sempre nuove per chi non se le ricorda, avrebbe detto Bramieri – e sorride come pregustando già la risata, quindi comincia a raccontare, ed è un lungo virtuosismo della comicità. Il presidente imposta subito le voci di D’Alema e Bertinotti e assume perfettamente il tono di amarezza ancora incredula dei due leader mentre commentano la sua improvvisa dipartita, poi le sue dita sfrigolano alte e veloci disegnando l’incendio alla sede del partito e il braccio comincia a sollevarsi e riabbassarsi per accompagnare il volo dell’immortale in questa storiella pindarica; raccoglie le prime risate del pubblico con il buon calembour dell’impalamento alla tur ca sulle inferriate dell’ambasciata turca, ne raccoglie altre 22/10/10 09:09 ancora con quello, ottimo, di un miliardario che muore povero perché muore cadendo tra le case dei quartieri popolari, come avendo ricevuto l’estrema unzione della povertà. Infine, appena prima della battuta conclusiva, il presidente piega la testa di lato, incupisce il volto e abbas sa la voce di un’ottava, imitando un D’Alema fintamente contrito che sentenzia con un mezzo sorriso: «Abbiamo dovuto abbatterlo». la rapina Due persone entrano in un ufficio e gridano: «Mani in alto, questa è una rapina.» E gli impiegati, con un sorriso di sollievo: «Meno male, pensavamo che fosse la finanza.» Alla vigilia di un processo in cui è accusato di corru zione della guardia di finanza, l’uomo politico che è stato fino a poco tempo addietro la seconda carica dello stato diffama impunemente il corpo delle fiamme gialle, defi nendolo «una forma di associazione a delinquere» e pa ragonandolo, nella sprezzante storiella che racconta, a una temibile banda di rapinatori. Cinque anni dopo, ridivenuto premier, Berlusconi pro pone di nuovo la barzelletta sulle fiamme gialle, in una versione opportunamente riveduta, durante un vertice con i sindacati sul problema dell’economia sommersa. È notte, e una donna dorme nel suo laboratorio abusivo. A un certo punto sente bussare. Si sveglia di soprassalto, si avvicina alla porta e chiede con il cuore in gola: «Chi è?» Dall’altra parte una voce sibila: «Siamo i ladri.» «Ah, meno male» dice sollevata. «Mi avete fatto prendere uno spavento: pensavo che fosse la guardia di finanza.» Lesto abracadabra di un’invettiva in un inno, accorto tocco di trasformismo oratorio, questa seconda storiella è la versione politicamente corretta della prima, e la stessa battuta che accusava gli agenti della finanza di essere ladri in divisa li saluta ora come draconiane guardie, come le incessanti ronde della legge che perseguono anche di notte gli imprenditori abusivi. 44 ReCheRide_4.indd 44-45 45 22/10/10 09:09