La falsa scienza

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La falsa scienza
Silvano Fuso
La falsa scienza
Invenzioni folli, frodi e medicine miracolose
dalla metà del Settecento a oggi
Carocci editore
Sfere
A Danilo, affinché cresca senza prendere cantonate
1a edizione, gennaio 2013
© copyright 2013 by Carocci editore S.p.A., Roma
Finito di stampare nel gennaio 2013
per i tipi delle Arti Grafiche Editoriali Srl, Urbino
isbn 978-88-430-6705-3
Riproduzione vietata ai sensi di legge
(art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633)
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Indice
Introduzione. Quando la scienza si ammala
11
Note 17
Parte prima
Abbagli individuali e collettivi
René Blondlot e i raggi N
21
Giovanni Virginio Schiaparelli e i canali di Marte
26
L’etere luminifero
32
Charles Piazzi Smyth e le piramidi
38
L’acqua anomala, ovvero la “poliacqua”
43
Giorgio Piccardi e l’astrochimica
48
Wilhelm Reich e l’orgone
53
Stanley Pons, Martin Fleischmann
e la fusione nucleare fredda
59
Note 64
Parte seconda
Frodi volontarie
Paul Kammerer e il rospo ostetrico
69
Trofim Denisovič Lysenko e la genetica sovietica
75
Charles Dawson e l’uomo di Piltdown
81
La mosca fossile nell’ambra
87
Il gigante di Cardiff
92
I teschi di cristallo
98
“The New York Sun” e la Luna
103
L’esperimento di Philadelphia
109
Cyril Burt e i gemelli
115
Jan Hendrik Schön e la rivoluzione elettronica
120
Woo Suk Hwang e le cellule clonate
125
Hiroaki Kawasaki e l’rna131
Jon Sudbø e gli studi oncologici
136
Note140
Parte terza
Invenzioni folli
Nikola Tesla e il raggio della morte
145
Padre Ernetti e il cronovisore
152
Pier Luigi Ighina e le sue strane macchine
158
Tom Bearden e il meg (Motionless Electromagnetic
Generator)164
Francis Galton e l’eugenetica
Follie pseudoscientifiche naziste (Aktion T4)175
169
Note180
Parte quarta
Scoperte “metafisiche”
Scienziati e spiritismo
183
Scienziati e poteri psichici
189
Rupert Sheldrake e gli animali telepatici
194
La Nuova Gnosi di Princeton
199
Nicola Dallaporta Xydias e la metafisica scientifica
203
Frank Tipler, Dio e la resurrezione dei defunti
207
Note 212
Parte quinta
Teorie rivoluzionarie
Oggetti fuori dal tempo (ooparts)217
Immanuel Velikovsky e le catastrofi cosmiche
222
Hanns Hörbiger e il ghiaccio cosmico
226
Michio Kaku e i viaggi nel tempo
231
Mario Pincherle e le piramidi
236
Peter Kolosimo, Erich von Däniken e il mistero a tutti i costi
241
Marco Todeschini e l’etere rotante
246
Alberto Carpinteri e le reazioni piezonucleari
250
Note 253
Parte sesta
Medicine e miracoli
Franz Anton Mesmer e il magnetismo animale
257
Samuel Hahnemann e l’omeopatia
262
Jacques Benveniste, la memoria dell’acqua e l’IgNobel
267
Ernst Hartmann, i nodi radianti e le geopatologie
272
Dinshah Ghadiali e la cromoterapia
276
George Goodheart e la kinesiologia applicata
280
Cure anticancro non convenzionali
284
Note290
Conclusioni. Modesto elogio dello scetticismo
293
Bibliografia297
Introduzione
Quando la scienza si ammala
Per uno studioso non c’è niente di così prezioso come le
menzogne. Le menzogne sono cose precise: eventi storici
quantificabili che possono essere ricostruiti. Le menzogne
hanno anche motivazioni, le quali forniscono punti di partenza per le nostre speculazioni sull’animale umano. La verità, invece, semplicemente accade.
S. J. Gould, Bully for Brontosaurus1
Irving Langmuir (1881-1957), chimico e fisico statunitense e premio Nobel per la chimica nel 1932, coniò un’espressione che ebbe ampio successo.
Durante una conferenza tenuta al Knolls Research Laboratory il 18 dicembre 1953, utilizzò per la prima volta l’espressione “scienza patologica” per
indicare quelle idee che per certi scienziati diventano delle vere e proprie
fissazioni da cui non riescono a liberarsi, nonostante siano state ampiamente smentite dal resto della comunità dei ricercatori2.
Contrariamente a quello che viene spesso affermato, l’attività scientifica non è affatto priva di coinvolgimenti emotivi. Anche gli scienziati sono
esseri umani, con tutte le loro debolezze e il loro fardello di emotività:
non sono semplici macchine pensanti. Capita così che alcuni scienziati,
ritenendo erroneamente di aver scoperto un nuovo fenomeno, si affezionino moltissimo ai dati sperimentali che credono di aver osservato, anche
se questi sono inconsistenti e non riproducibili. Pur di salvare le idee che
hanno maturato, questi scienziati elaborano mille argomentazioni ad hoc
per difendere i dati sperimentali che credono di aver ricavato e che sono
inevitabilmente in contrasto con tutte le teorie scientifiche consolidate. Al
tempo stesso assumono un atteggiamento vittimista e di sfida nei confronti della comunità scientifica che, a loro dire, sarebbe troppo retrograda e
conservatrice per accettare le loro idee rivoluzionarie.
Non esiste un criterio generale che descriva i casi di scienza patologica. Tuttavia si possono individuare alcuni punti comuni a molti episodi.
Le false idee nascono spesso da una errata attribuzione di un meccanismo
di causa ed effetto. Effetti del tutto casuali vengono cioè attribuiti a cause che in realtà non c’entrano nulla. Talvolta l’effetto che si crede di aver
osservato è talmente debole da non essere significativo e ciò nonostante
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viene considerato reale. In altri casi poi il ricercatore effettua inconsapevolmente una selezione dei dati, prendendo in considerazione solo quelli
che corroborano le proprie convinzioni, trascurando invece quelli che le
contraddicono.
Nei casi di scienza patologica gioca un ruolo essenziale la psicologia del
singolo ricercatore. Può però anche accadere che diversi ricercatori si convincano, per vari motivi, della validità di quanto proposto da un collega e
finiscano in tal modo per alimentare una sorta di autoinganno collettivo.
Nella scienza patologica propriamente detta di solito vi è completa
buona fede da parte dei protagonisti. Purtroppo però non sono rari anche i casi di frode deliberata, quando gli scienziati falsificano o inventano
di sana pianta i risultati delle ricerche. In alcuni casi più che di scienziati
si tratta di veri e propri ciarlatani che, in nome della scienza, cercano di
gabbare il prossimo propinando improbabili dispositivi tecnologici o terapie miracolistiche che nulla hanno di scientifico. A fianco di questi vi
sono però veri scienziati, che appartengono alla comunità accademica e
occupano posizioni di rilievo, che riescono a pubblicare, su riviste riconosciute dalla comunità scientifica, articoli con risultati deliberatamente
contraffatti. In epoca recente il fenomeno si è verificato con una frequenza inquietante a causa di preoccupanti falle nel sistema di controllo delle
pubblicazioni sulle riviste scientifiche internazionali e ciò ha indotto il direttore della prestigiosa rivista “Science”, Donald Kennedy, a occuparsi del
problema. Secondo quanto ha affermato in un editoriale pubblicato nel
gennaio 2006, nonostante il rispetto delle regole «l’ambiente scientifico
oggi presenta maggiori incentivi per la produzione di lavori intenzionalmente fuorvianti o distorti da interessi personali»3. Tali incentivi sono
legati al fatto che attualmente la ricerca ha sempre più bisogno di ingenti
finanziamenti e i criteri di assegnazione dei fondi e la stessa carriera dei
ricercatori sono legati alle pubblicazioni: al loro numero, alla loro qualità
e al prestigio delle riviste sulle quali compaiono. Vi è pertanto una vera
e propria corsa alla pubblicazione. Nel mondo scientifico circola il detto
«pubblicare o morire» (publish or perish).
Del problema si è occupata anche la rivista “The Scientist”4, segnalando che il processo di referaggio5 delle riviste scientifiche è intasato dal numero enorme di richieste di pubblicazione, con conseguente diminuzione
di efficacia nei controlli.
Secondo il biologo molecolare Vittorio Sgaramella6, le stesse riviste
contribuiscono a creare un clima che può incentivare le frodi. Sono loro,
introduzione13
infatti, che stabiliscono quali siano i settori di punta della ricerca, creando
in tal modo una competizione spesso esasperata. Riferendosi all’editoriale
di Donald Kennedy, Sgaramella ha affermato:
Autorità come il prof. Kennedy dovrebbero compiacersi meno del rispetto di regole, evidentemente inadeguate, e chiedersi piuttosto come mai l’ambiente scientifico si sia deteriorato al punto di incentivare le frodi e se questo non sia almeno
in parte dovuto alle stesse prestigiose riviste che lo condizionano e al contempo lo
vorrebbero moralizzare.
Quando un ricercatore invia un articolo a una rivista per la pubblicazione,
esso viene sottoposto al giudizio dei cosiddetti referees, ovvero altri ricercatori del settore che esprimono il loro parere sulla validità dell’articolo.
Tale sistema viene chiamato peer review, ossia “revisione paritaria”. I casi
di frode scientifica hanno messo in discussione la validità di tale sistema.
Qualcuno ha cercato di spiegare la pubblicazione di articoli risultati in
seguito fraudolenti, sottolineando l’estrema difficoltà da parte dei referees
di verificare l’attendibilità dei dati sperimentali. Le tecniche e le strumentazioni necessarie per ottenere alcuni risultati sperimentali sono talvolta
estremamente sofisticate e difficili da ricreare per cui, inevitabilmente, un
referee si limita a valutare solo gli aspetti formali e la plausibilità del lavoro
che deve giudicare, ma non può certo controllare tutti i dati. Questo vale
ovviamente per i lavori sperimentali ma non per lavori di tipo teorico dove
la verifica di un calcolo consente immediatamente di scoprire l’eventuale
frode. Ad ogni modo, sia pure in ritardo, il sistema del peer review generalmente alla fine funziona e le frodi vengono scoperte. Sicuramente il sistema peer review ha i suoi difetti e i suoi limiti ma, fino a oggi, la comunità
scientifica non è riuscita a escogitarne uno migliore. I sistemi di controllo
potrebbero sicuramente essere più efficaci ma, tutto sommato, essi comunque ci sono e garantiscono che, almeno su lunghi periodi, quanto prodotto dalla comunità scientifica abbia qualche validità. Per fortuna le frodi
prima o poi vengono smascherate.
I casi di frode verificatisi in epoca recente hanno indotto la comunità scientifica a interessarsi seriamente del problema. Un chiaro sintomo
di questo rinnovato interesse è la creazione della rivista “Plagiary. CrossDisciplinary Studies in Plagiarism, Fabrication, and Falsification”, la prima
a occuparsi di frodi e plagi. Nata nel gennaio 2006, è pubblicata dall’Università del Michigan e il direttore è John P. Lesko, professore associato
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di linguistica applicata alla Saginaw Valley State University. “Plagiary” si
propone di affrontare in maniera multidisciplinare tutti i temi legati al
plagio e alla creazione di dati e notizie false non solo in ambito strettamente scientifico, ma in generale in tutti i settori dell’informazione: politica,
giornalismo, editoria ecc. Organizza inoltre forum di discussione e un costante monitoraggio del fenomeno delle frodi.
Lo studio dei casi di frode deliberata o di abbagli individuali o collettivi
in ambito scientifico offre interessanti spunti di riflessione per comprendere meglio come funziona la stessa scienza. Con tutti i suoi inevitabili limiti, la scienza è l’attività umana più attendibile e affidabile proprio perché
non fa riferimento alle opinioni personali, ma ad affermazioni che possano essere condivise da chiunque. Per questo motivo in ambito scientifico è
fondamentale procedere ad accurati controlli. Esaminare perché, quando
e come i controlli falliscono è pertanto di estrema utilità per migliorare la
scienza stessa, dato che il riconoscimento degli errori è parte integrante del
processo scientifico. Con questo spirito ho scritto il presente volume e con
lo stesso spirito spero che venga letto.
Il libro è diviso in sei parti. Nella prima parte vengono esaminati alcuni casi di abbagli individuali e collettivi che hanno visto protagonisti
scienziati più o meno famosi. La seconda analizza alcuni episodi particolarmente significativi di frodi volontarie e imbrogli verificatisi in diverse
epoche7. La terza esamina una serie di invenzioni folli, ovvero idee che
avrebbero potuto influenzare enormemente la vita quotidiana di ognuno
di noi se fossero state realizzabili e che, in taluni drammatici casi, hanno avuto effettivamente inquietanti ricadute nella vita reale, nonostante
la loro infondatezza. Nella quarta parte viene messo in evidenza come le
concezioni metafisiche e religiose dei ricercatori possano fortemente influenzare la loro attività scientifica, portandoli talvolta a travisare completamente la realtà. Nella quinta si illustrano alcune teorie rivoluzionarie che, se fossero vere, determinerebbero una profonda revisione di tutto
ciò che la scienza stessa ci ha consentito fino a oggi di conoscere. La sesta infine esamina alcuni significativi casi di scienza deviante verificatisi
in campo medico. In questo ambito, particolarmente importante perché
riguarda la salute e la vita delle persone, sono necessari, più che in ogni
altro, controlli rigorosi.
Le storie di falsa scienza raccontate nel volume sono introdotte da
racconti fantastici di mia invenzione o presi a prestito dalla letteratura.
Con essi si è voluto immaginare quali sarebbero state le conseguenze del-
introduzione15
le presunte scoperte, nel caso in cui esse fossero risultate vere, per farne
comprendere meglio il significato e per rendere la loro descrizione meno
accademica e, si spera, più divertente.
Mettendo in evidenza gli abbagli in buona fede, le illusioni, le aspirazioni, le debolezze, le frodi e gli inganni volontari di alcuni scienziati, il
volume mostra quale sia la vera natura della ricerca scientifica, quali siano
i suoi metodi, le sue procedure, i suoi criteri di validazione e soprattutto i
suoi efficacissimi meccanismi autocorrettivi, che permettono, prima o poi,
di rendersi conto degli errori e di determinare quindi la continua evoluzione della scienza e il costante e straordinario progresso nelle conoscenze che
essa consente di realizzare.
Il riconoscimento degli errori è di fondamentale importanza per la
scienza. Ogni affermazione scientifica è infatti potenzialmente erronea e
viene ritenuta vera fino a quando non viene dimostrata falsa. Questo carattere di continua provvisorietà non è indice di debolezza ma, al contrario,
rappresenta il principale punto di forza della scienza.
Nel volume non verranno presi in considerazione quei casi che rientrano nelle normali dinamiche di trial and error tipiche della scienza, ma
solamente alcuni episodi particolarmente clamorosi che rappresentano
un’eccezione. Il confine è ovviamente piuttosto incerto e la scelta dei casi
trattati è, in parte, inevitabilmente arbitraria, tuttavia la differenza, almeno in certi casi, è evidente. Nel volume, ad esempio, non viene trattato
il caso dei “neutrini superluminali”, verificatosi nel settembre 2011 presso
il cern di Ginevra8. Contrariamente a quanto è stato sostenuto da molti mezzi di comunicazione, la notizia e la successiva smentita dell’esperimento che avrebbe dimostrato che i neutrini possono viaggiare a velocità
superiore a quella della luce (violando quindi la teoria della relatività di
Einstein) non è un episodio di scienza deviante. I ricercatori del progetto
opera9 coinvolti nella vicenda hanno tenuto infatti un comportamento
assolutamente corretto dal punto di vista della deontologia scientifica: essi
hanno condotto difficili misure, ottenendo dapprima risultati inaspettati e
in disaccordo con le teorie consolidate. Ne hanno dato comunicazione alla
comunità scientifica, sottolineando le loro perplessità e ribadendo l’assoluta necessità di ulteriori esperimenti. La ripetizione delle misure ha messo
in evidenza un problema strumentale e ha smentito i primi risultati ottenuti. Non c’è nulla di anomalo in tutto ciò. Sono stati solamente alcuni
organi di stampa che, volendo inseguire a tutti i costi un inopportuno sensazionalismo, hanno enfatizzato l’intera vicenda pubblicando dapprima
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titoli del tipo: Einstein aveva torto, Einstein vacilla ecc. e, dopo le nuove
misure che smentivano le precedenti: Einstein batte neutrini 1-0, Neutrini
più veloci della luce: era solo una bufala o simili. Non c’è stata nessuna sfida
e nessuna fantomatica gara dei neutrini contro Einstein, ma solamente una
normale dinamica scientifica che ha ottenuto dapprima certi risultati, non
confermati da successive misure. Gli stessi mezzi di comunicazione, che
hanno voluto vedere a tutti i costi una bufala dove non c’era, presentano
poi come teorie scientifiche consolidate reali bufale come la fusione fredda (cfr. pp. 59-63), la memoria dell’acqua (cfr. pp. 267-71) o l’omeopatia
(cfr. pp. 262-6). Comportamenti di questo tipo generano solamente confusione nel pubblico non esperto che riceve, di conseguenza, un’immagine falsata di come funzioni la ricerca e di cosa sia realmente la scienza.
La corretta comunicazione scientifica è fondamentale per far comprendere al pubblico l’importanza della ricerca e la conseguente necessità di
investire risorse economiche in questo settore. La disinformazione scientifica va infatti di pari passo con il crescente atteggiamento antiscientifico
che caratterizza la nostra società10.
Mi auguro che il volume possa, in una forma leggera e divertente, contribuire a far apprezzare la scienza e a far comprendere, soprattutto alle
nuove generazioni, l’assoluta necessità di investire in ricerca e conoscenza.
Buona lettura!
Voglio esprimere il mio sincero ringraziamento a Carlo A. Martigli, per avermi suggerito di scrivere un libro di questo genere; a Giorgio Dobrilla, a Marco Ciardi e a mia
moglie Irene, per aver letto il manoscritto, fornendomi preziosi consigli, suggerimenti e osservazioni. A Marco Ciardi va anche il merito di avermi messo in contatto con
l’editore Carocci e di avermi incoraggiato alla pubblicazione del libro. Naturalmente
la responsabilità di eventuali sviste e inesattezze contenute nel testo ricade unicamente su di me.
introduzione17
Note
1. La citazione si trova nella seconda parte del libro, tradotta in italiano con il titolo
Risplendi grande lucciola. Riflessioni di storia naturale, Feltrinelli, Milano 2006 (la
prima parte è invece stata tradotta col titolo: Bravo brontosauro. Riflessioni di storia
naturale, Feltrinelli, Milano 2002).
2. I. Langmuir, R. N. Hall, Pathological Science, in “Physics Today”, 42, 1989, p. 36.
3. D. Kennedy, Good News and Bad, in “Science”, 13, 311, 2006, p. 145.
4. A. McCook, Is Peer Review Broken?, in “The Scientist”, 20, 2, 2006, p. 26; R. Gallagher, Taking on Peer Review, in “The Scientist”, 20, 2, 2006, p. 13.
5. Sistema di revisione degli articoli da parte di esperti (referee) prima della loro pubblicazione. Cfr. infra.
6. V. Sgaramella, Boom delle frodi scientifiche, in “la Repubblica”, 7 febbraio 2006.
7. Alle frodi scientifiche sono stati dedicati di recente due libri: D. Goodstein, Il Nobel e l’impostore. Fatti e misfatti alle frontiere della scienza, Dedalo, Bari 2012 e S. Ossicini, L’universo è fatto di storie, non solo di atomi. Breve storia delle truffe scientifiche,
Neri Pozza, Vicenza 2012.
8. aa.vv., Measurement of the Neutrino Velocity with the opera Detector in the cngs
Beam, (PrePrint) The opera Collaboration, 2011, disponibile all’indirizzo: http://
arxiv.org/vc/arxiv/papers/1109/1109.4897v1.pdf.
9. Acronimo di Oscillation Project with Emulsion-tRacking Apparatus.
10. Ho approfondito questi temi in I nemici della scienza. Integralismi filosofici, religiosi e ambientalisti, Dedalo, Bari 2009. Su temi analoghi cfr. anche: G. Corbellini,
Perché gli scienziati non sono pericolosi. Scienza, etica e politica, Longanesi, Milano
2009 e Id., Scienza, quindi democrazia, Einaudi, Torino 2011.
Parte prima
Abbagli individuali e collettivi
René Blondlot e i raggi N
Da un po’ di tempo quando leggete fate fatica a distinguere una lettera
dall’altra. In un primo tempo ne attribuite la causa alla stanchezza. Ma
il problema persiste. Dopo innumerevoli rinvii, vi decidete finalmente ad
andare da un oculista, il dottor Occhibelli.
L’oculista vi sottopone al classico test di lettura a distanza del tabellone
con le lettere (tabella ottotipica di Snellen) che serve a valutare l’“acutezza
(o acuità) visiva morfoscopica”. Al termine il dottor Occhibelli vi comunica che la vostra acuità visiva è effettivamente inferiore alla norma. Non vi è
alcuna patologia particolare: è solo un calo dovuto all’età.
Immaginate che l’oculista vi prescriva un paio di occhiali. Ma il dottor
Occhibelli vi sorprende. Vi dice che ci può essere un’alternativa alle lenti.
Si possono utilizzare le straordinarie proprietà dei “raggi N”. Raggi N? E
che roba è? Non ne avete mai sentito parlare, eppure qualche rudimento
scientifico lo possedete.
Il dottor Occhibelli vi spiega che sono particolari radiazioni dotate di
curiose proprietà. È stato dimostrato che una opportuna e periodica esposizione a queste radiazioni determina un aumento dell’acuità visiva. Siete
piuttosto sorpresi e incuriositi. Immaginate anche di dovervi recare periodicamente in un laboratorio specialistico per sottoporvi al trattamento.
Voi odiate andare dal medico e forse preferireste indossare semplicemente
un paio di occhiali. Ma il dottor Occhibelli vi spiazza di nuovo dicendovi
che i trattamenti li potete fare da soli, a casa vostra. Basta procurarsi un
semplice mattone, avvolgerlo in carta nera e esporlo al Sole per qualche
ora. Esso si caricherà di raggi N che sarà poi in grado di riemettere. Basterà
liberare il mattone dalla carta, poggiarlo su un tavolo, piazzarcisi davanti
per una decina di minuti al giorno e il gioco è fatto. Già dopo qualche
giorno di trattamento la vostra acuità visiva aumenterà e i vostri problemi
di lettura saranno felicemente risolti.
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Questo, più o meno, è quanto sarebbe potuto succedere se un fisico
francese vissuto a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento avesse avuto ragione e se l’eccezionale scoperta che credeva di aver compiuto si fosse rivelata reale. Come vedremo, invece, le cose andarono un po’ diversamente.
René-Prosper Blondlot nacque il 3 luglio 1849 a Nancy, dove trascorse
quasi tutta la sua esistenza. Divenne professore di fisica presso l’università, dedicandosi all’insegnamento e alla ricerca. Fece importanti lavori
sperimentali nel campo dell’elettromagnetismo e ottenne ben tre premi
conferitigli dall’Accademia delle Scienze francese, di cui divenne membro
autorevole e rispettato.
Nel 1903 pubblicò un articolo in cui illustrava la scoperta di un nuovo
tipo di radiazioni, che egli chiamò “raggi N”, in onore della città in cui
lavorava1.
Blondlot giunse alla sua scoperta mentre effettuava ricerche sui raggi X.
A quei tempi non era chiaro se essi fossero costituiti da onde o da particelle (noi oggi sappiamo che si tratta di radiazioni elettromagnetiche con
frequenze molto più elevate di quelle che caratterizzano la luce visibile).
Per verificare se si trattasse o meno di onde, lo scienziato pensò di cercare
di polarizzare i raggi X (la polarizzazione è un fenomeno tipico delle onde
trasversali che si verifica quando le loro oscillazioni avvengono tutte in
uno stesso piano). Per rilevare l’eventuale polarizzazione, Blondlot utilizzò uno spinterometro che generava una scintilla elettrica. Una variazione
della luminosità della scintilla, al variare dell’orientazione dei raggi X incidenti, avrebbe evidenziato una polarizzazione e, quindi, dimostrato la
natura ondulatoria dei raggi.
Gli esperimenti confermarono un’effettiva polarizzazione dei raggi X.
Con sua grande sorpresa Blondlot notò tuttavia una variazione della luminosità della scintilla anche quando i raggi X incidenti non subivano
alcuna variazione di polarizzazione. Pensò allora che la variazione di luminosità della scintilla fosse dovuta alla presenza di altre radiazioni, che
egli chiamò, appunto, raggi N. In seguito Blondlot perfezionò i sistemi di
rilevazione e di produzione dei raggi N e credette di scoprirne numerose
sorgenti. Si rilevarono ottime sorgenti i filamenti e le reticelle metalliche
riscaldate. Inoltre Blondlot individuò l’esistenza di parecchie sorgenti naturali: il Sole, ad esempio, emetteva raggi N.
Le proprietà di questi raggi erano altrettanto interessanti. Essi potevano attraversare spesse lastre metalliche e, in generale, tutti i corpi opachi
rené blondlot e i raggi n
23
lampada
di nernst carta
nera
prisma di
alluminio
fenditura
27,15°
lamina di legno schermo di
cartone bagnato
alluminio
rivelatore
Schema di Blondlot per evidenziare i presunti raggi N (da I. M. Klotz, Il caso dei raggi N,
in “Le Scienze”, 143, 1980).
nei confronti della luce visibile. Al contrario, venivano assorbiti da alcuni
corpi trasparenti quali l’acqua e i cristalli di salgemma.
L’entusiasmo di Blondlot si diffuse ben presto in gran parte del mondo scientifico francese. Fisici famosi, quali Charpentier, Becquerel, Broca,
Zimmern, ripeterono con apparente successo gli esperimenti di Blondlot,
confermando l’esistenza dei raggi N. Il numero di pubblicazioni sull’argomento ebbe un enorme e rapidissimo incremento. Charpentier, illustre
fisico medico, scoprì l’emissione di raggi N da parte di nervi e muscoli. Sosteneva inoltre che l’emissione di raggi N da parte di organismi persisteva
anche dopo la morte. Ci fu persino chi pensò di utilizzare questa scoperta
per scopi diagnostici e terapeutici. Tra le proprietà terapeutiche attribuite
ai raggi N vi era la presunta capacità di aumentare l’acuità visiva (come affermava il nostro immaginario oculista). Inoltre si sosteneva che i raggi N
potevano essere immagazzinati, ad esempio, in un mattone avvolto in un
foglio di carta nera (proprio come vi ha detto l’esimio dottor Occhibelli).
Naturalmente non mancarono i soliti guastafeste che manifestavano
scetticismo nei confronti della nuova scoperta. Uno dei critici più agguerriti fu il fisico tedesco Heinrich Rubens il quale aveva provato a riprodurre
gli esperimenti di Blondlot senza successo. Fu proprio Rubens che, nell’estate del 1904, maturò l’intenzione di rovinare del tutto la festa a Blondlot
e colleghi. Nel corso di un congresso, Rubens prese contatto con il fisico
americano Robert W. Wood, professore di fisica alla Johns Hopkins University. Anche Wood, grande esperto di ottica e spettroscopia, aveva tentato senza successo di riprodurre gli esperimenti di Blondlot e, sollecitato
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da Rubens e altri fisici che avevano condiviso la stessa esperienza, si recò a
Nancy per visitare i laboratori di Blondlot.
Wood non era soltanto un illustre fisico, ma aveva anche tutte le carte in regola per essere un perfetto smascheratore di eventuali inganni o
illusioni. Incorreggibile autore di scherzi e burle, aveva più volte smascherato sedicenti possessori di facoltà paranormali. Prima di esaminare
il brutto scherzo che Wood tirò a Blondlot, vale quindi la pena conoscerlo meglio.
Robert W. Wood nacque nel 1868 a Concord nel Massachusetts e per tutta la sua esistenza fu un inguaribile “ragazzaccio”. Anche quando divenne un rinomato ricercatore non abbandonò la sua indole burlona, tanto
è vero che venne soprannominato lo “scienziato bambino”. Da ragazzino,
durante una parata militare del Memorial Day, mise un cappello da asino
sulla testa della statua di un soldato della guerra civile. La parata dovette
essere interrotta finché i vigili del fuoco rimossero l’oltraggioso copricapo.
Appassionato di chimica, fin da bambino si divertiva a preparare esplosivi con i quali terrorizzava i passanti. Quando era già assistente alla Johns
Hopkins University, costruì un enorme megafono, tenuto nascosto, con il
quale metteva in serio imbarazzo i passanti con frasi del tipo: «Signora,
pardon, ma sta perdendo una giarrettiera». Durante il viaggio di nozze
nel Parco di Yellowstone, gettò della fluoresceina (sostanza di colore giallo
fluorescente) nelle acque del suggestivo laghetto chiamato Emerald Pool,
lasciando esterrefatta la guida turistica che non aveva mai visto le acque del
lago di quell’inquietante colore. Nonostante le sue bizzarrie era però un
ottimo scienziato, ottenne importantissimi risultati scientifici e numerosi
riconoscimenti. Morì in tarda età nel 1955 e fino alla fine non rinunciò mai
ai suoi scherzi e alle sue stravaganze2.
Il primo esperimento che Blondlot propose a Wood era un perfezionamento di quello che aveva condotto originariamente e che consisteva nel
valutare la variazione di luminosità di una scintilla investita dai presunti
raggi N. Wood, nel resoconto della sua visita che verrà pubblicato successivamente sulla rivista “Nature”, afferma di non aver osservato alcuna variazione della luminosità della scintilla, contrariamente a quanto sostenevano
Blondlot e i suoi collaboratori. L’esperimento decisivo fu però il successivo. Blondlot intendeva misurare la deviazione subita da un fascio di raggi
N incidenti su un prisma di alluminio. Oltre a un sistema di focalizzazio-
rené blondlot e i raggi n
25
ne, l’apparato sperimentale disponeva di un rivelatore dei raggi N deflessi,
costituito da uno schermo fluorescente. Blondlot e collaboratori sostenevano di osservare quattro diverse posizioni in cui i raggi venivano deflessi.
In altre parole questo esperimento avrebbe dimostrato l’esistenza di raggi
N con quattro differenti lunghezze d’onda. Wood non riuscì nuovamente
a condividere le osservazioni di Blondlot e collaboratori. Egli chiese allora
che l’esperimento fosse ripetuto e, spinto dalla sua natura burlona, sottrasse di nascosto il prisma di alluminio. Ebbene, secondo Blondlot e collaboratori, i risultati del secondo esperimento confermavano quelli del primo.
Pur non dicendo nulla a Blondlot, Wood lasciò Nancy con la convinzione
che nessun esperimento cui aveva assistito confermava l’esistenza dei raggi
N. Essi esistevano soltanto nella mente dei loro scopritori.
Dopo la pubblicazione del resoconto di Wood sulla rivista “Nature”,
la maggior parte degli scienziati non francesi si convinse dell’inesistenza
dei raggi N. Blondlot e gli altri, sicuramente in buona fede, si erano fidati
troppo della possibilità di stimare visivamente le variazioni della luminosità, che potevano avere un’origine puramente casuale. Il desiderio e l’eccitazione di essere di fronte a un’importante scoperta scientifica completarono infine l’opera di autoconvincimento.
I sostenitori dei raggi N continuarono tuttavia a lottare anche dopo lo
smacco imposto loro da Wood. Essi affermavano che per osservare i raggi
N occorreva essere dotati di una particolare sensibilità che non tutti possedevano.
Blondlot restò fedele alla sua convinzione fino alla fine e rifiutò persino
di sottoporsi a un esperimento che venne proposto dalla rivista francese
“Revue Scientifique” e che avrebbe definitivamente chiarito la questione
dei raggi N. Andò in pensione anticipata nel 1909 e morì nella sua amata
Nancy il 24 novembre 1930.