Sturm und Drang

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Sturm und Drang
Le nozioni di natura e di genio
Sturm und Drang era il titolo di una commedia di Friedrich M. Klinger del 1776. Letteralmente queste parole significano “tempesta e assalto”, ma l’espressione va colta nella
sua unità: in italiano si può rendere con “impeto tempestoso” o anche, secondo una diversa interpretazione, con “tempesta di sentimenti”, “violenta tensione dell’anima tra
sentimenti opposti”. Il titolo di questa commedia divenne il simbolo di tutto il movimento perché il tratto più tipico delle opere degli Stürmer (poesie, romanzi e opere teatrali) è appunto il violento contrasto di sentimenti.
Guidava il gruppo il giovane Johann Wolfgang Goethe (1749–1832), autore in
quegli anni del celebre romanzo I dolori del giovane Werther (1774) che tanta fortuna
aveva ottenuto presso il pubblico tedesco.
Gli autori che si erano radunati intorno a Goethe erano giovani poco più che ventenni, che si proponevano di manifestare la loro ribellione contro la cultura dei padri. Operavano con furia dissolvente e con selvaggia determinazione contro le tradizioni consolidate, allo scopo di dare vita a una cultura nuova, “moderna”, rivoluzionaria, una cultura fondata su una nuova sensibilità e creatrice di nuovi valori spirituali. Da questo punto
di vista lo Sturm und Drang è essenzialmente un movimento di protesta giovanile, destinato a esaurirsi nel breve volgere di alcuni anni (il gruppo degli Stürmer si scioglierà
infatti già verso il 1780).
Tuttavia proprio per questo lo Sturm und Drang è importante per comprendere le vicende della cultura tedesca del periodo successivo: con cadenza quasi trentennale i giovani tedeschi creeranno altri movimenti destinati a rompere con l’immediato passato e a
proporsi come creatori di nuovi valori. Accadrà alla generazione di Hegel – la generazione “romantica” – che vive la propria giovinezza nel clima fervido e appassionato degli ultimi anni del Settecento e sogna una rivoluzione dei cuori. Accadrà alla generazione degli allievi di Hegel, negli anni Trenta dell’Ottocento, nel cui ambito si forma la filosofia rivoluzionaria di Marx. Accadrà alcuni decenni più tardi, sul finire del secolo diciannovesimo, con la cultura dei giovani che daranno vita al decadentismo.
Lo Sturm und Drang è un movimento essenzialmente letterario, ma il clima spirituale
che esso concorre a formare nella Germania del tempo fa da sfondo agli intensissimi dibattiti filosofici della fine del secolo. È il tema del rapporto tra l’uomo e la natura al
centro dell’attenzione, la natura è intesa come energia vivente, come forza che permea tutta la materia rendendola viva. Tale forza, proprio perché essenzialmente spirituale, può essere colta attraverso la sensibilità dell’uomo che si ponga in sintonia con essa.
Da qui discende la concezione stürmeriana del genio, cioè dell’uomo che si innalza al di
sopra dei propri simili non per superiori capacità intellettuali o per cultura, ma perché
estremamente sensibile ai messaggi della natura: sa comprenderne la forza, sa riviverla
in sé come sentimento profondo, come tempesta violenta – perché violenta e ricca di
contrasti è la forza vivente della natura.
Il genio, scrive Goethe nel Canto del viandante nella tempesta, cammina «sospeso
sull’acqua e sulla terra / simile agli dei»:
«Chi tu non abbandoni, Genio, né tempesta né pioggia lo faranno tremare. Chi tu
non abbandoni, Genio, la nube tempestosa e la bufera della grandine affronterà cantando come l’allodola, o tu lassù. [...]
Chi tu non abbandoni, Genio, lo adagerai sulle tue piume di lana quando dormirà
sulla montagna, lo proteggerai con le tue ali nella mezzanotte della selva. [...]
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Questa è acqua, questa è terra, questo è il figlio dell’acqua e della terra, sopra il
quale io passo simile agli dei.
Voi siete pure come il cuore delle acque, voi siete pure come il midollo della terra,
voi siete intorno a me, e io cammino sospeso sull’acqua e sulla terra simile agli dei».
Il genio, infatti, deriva il suo potere dalla natura stessa, direttamente: ne è espressione, è
letteralmente parte della sua forza e si incarna nella figura, tipicamente greca, del titano, dell’eroe prometeico che si innalza sui viventi perché la sua potenza è smisurata,
ma anche nella figura del viandante, dell’uomo che non abita la terra rinchiudendosi in
piccoli spazi e nella routine quotidiana, ma la percorre liberamente, alla ricerca di se
stesso e della forza intima delle cose, senza mai fermarsi, senza accettare limiti.
Così Goethe in una poesia del 1774, intitolato All’auriga Cronos:
«Spicciati, Cronos! Via di trotto! La strada discende giù per il monte; il tuo passo
tentennante mi dà penosa vertigine. Avanti, precipita il trotto per sassi, ceppi e arbusti,
corri incontro alla vita!
Ecco, di nuovo risali con passo ansimante la strada su per il monte. Coraggio dunque, suvvia! Avanti, senza timore!
Alta, magnifica, ampia la vista che domina il mondo! Da montagna a montagna trascorre lo spirito eterno, presago di eterna vita.
Sulla strada ti attira l’ombra della capanna e refrigerio promettono gli occhi della
fanciulla là sulla soglia. Ristorati! – Anche a me, fanciulla, la tua coppa spumante e il
gentile cenno d’augurio!
E ora, su, discendi! Ecco che il sole tramonta. Prima che esso sprofondi, prima che
vecchio mi colga la nebbia nella palude, sbattano le mascelle sdentate e l’ossa pencolanti trascina, un mare di fuoco nei miei occhi abbagliati, me stordito e barcollante, ebbro dell’ultimo raggio, per la notturna porta degl’Inferi!
Da’ fiato, auriga, al tuo corno, risuoni il trotto fragoroso, che l’Orco sappia che un
principe giunge e dai loro seggi si levino in fretta i numi possenti».
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Critica filosofica
Natur! Genie!
La Storia della letteratura tedesca di Ladislao Mittner, a lungo professore di Letteratura tedesca all’Università di Trieste, attento agli stretti rapporti tra letteratura e filosofia,
è uno dei testi critici di riferimento per l’area culturale tedesca.
Lo Sturm und Drang non è un movimento filosofico, ma letterario; ha però influenzato a fondo i filosofi romantici che hanno operato nei decenni successivi proprio sul
concetto di Natura, concetto-ponte tra letteratura e filosofia.
«La poetica dello Sturm und Drang si riassume nel binomio Natur! Genie!, grido
passionale ripetuto anche come vera e propria parola d’ordine. Grido duplice e uno.
Soltanto il genio comprendeva e seguiva, per il suo innato, infallibile istinto, la voce
della natura, la quale aveva a sua volta una misteriosa genialità, era tutta geniale, perché tutta conforme a una sua legge che poteva essere – genialmente – percepita, non –
intellettualisticamente – definita. In conclusione natura e genio sono quasi l’aspetto esteriore e interiore – cosmico e psicologico – di una sola forza veneranda e oscura, che
in qualche maniera ci riporta sempre a un’idea dell’origine viva, dell’origine vitale,
all’idea della natura naturans, all’idea di tutto ciò che e in-genuo e con-genito. Comprenderemo quindi il valore che hanno nello Sturm und Drang i due termini natura e
genio, soltanto se li comprenderemo indissolubilmente uniti, anzi come costituenti una
vera e propria unita, un’unita che si potrebbe esprimere con una formula, di sapore
quasi spinoziano natura sive genius. Hamann e Herder si guardarono bene
dall’enunciare le loro convinzioni per mezzo di tale formula sintetica; ma il loro insistere sull’idea che la natura e genio e il genio e natura e una maniera di attenuare o
anche di dissimulare la formula spinoziana natura sive deus.
Nell’esaltare la natura e il genio gli Stürmer raccolgono l’eredità di un lungo passato. Già Winckelmann aveva stabilito un rapporto necessario fra il genio che segue per
istinto le leggi della natura e la natura che gliele insegna; la definizione del genio
nell’Enciclopedia francese insiste sulla capacità che ha il genio di osservare la natura
con i sensi e di assimilarla rapidamente, così come essa è, in una sua vasta porzione o
in una grande moltitudine di esseri. Kant vedrà nel genio un “dono naturale” che prescrive le leggi alI’arte, Schiller quel contrassegno imprescindibile dell’arte che è la facoltà con–genita dell’in–genuità, della naturalezza. Per gli Stürmer il genio sta sempre
in un rapporto misterioso con la natura che è fuori di lui e pure e misteriosamente anche in lui, in quanto egli la riscopre in se stesso, nel proprio istinto naturale. [...]
Il poeta geniale si ritrova in mezzo alla natura, perché ritrova in sé l’istinto naturale
e con ciò si scopre uomo completo, vero uomo, non mente sana in corpo sano, ma spirito vivo in corpo vivo, e quindi unità indissolubile di spirito e corpo. Il culto
dell’umanità totale è ciò che Korff definisce, non molto chiaramente, ora come umanesimo, ora come irrazionalismo dell’età goetiana. La scoperta del gotico e del Medioevo
in genere fatta dagli Stürmer fu in realtà soprattutto la scoperta del Cinquecento vigoroso e angoloso (Dürer, Hans Sachs), la scoperta della ribellione luterana [...]. Ma il
Cinquecento è rappresentato specialmente in quel Faust che si libera dalla morta
scienza universitaria e dalla scolastica (leggi: dall’Illuminismo) e anela a comprendere
le forze vere della natura, anela a ringiovanire e a diventare compiutamente se stesso
per effetto di un nuovo e più intimo magico – contatto con la natura. Dietro la figura
leggendaria del Faust sta quella storica di Paracelso, scienziato e teosofo, in quanto
medico e a un tempo mago. [...]
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Si è spesso affermato che lo Sturm und Drang è un pendant poetico della Rivoluzione
francese; più esattamente bisognerebbe dire che esso è un pendant prevalentemente irrazionalistico di quel movimento d’idee che preparò la Rivoluzione e che in Francia era
prevalentemente razionalistico. L’esigenza del rinnovamento sociale è fortissima in tutti
gli Stürmer; non meno forte è il loro spirito rivoluzionario. [...]
Gli Stürmer possono essere storicamente caratterizzati come quel gruppo di poeti
che, nati intorno al 1750, lessero Rousseau negli anni della pubertà e avevano circa
vent’anni quando fu pubblicato il proclama dell’indipendenza americana. Questi due
fatti definiscono bene la loro comune posizione di partenza.» [L. Mittner]1
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L. Mittner, Storia della letteratura tedesca, II, Einaudi, Torino 1978, pp. 404–413.