il mito di scilla e cariddi: ipotesi di lettura in
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il mito di scilla e cariddi: ipotesi di lettura in
Psichiatria e Psicoterapia (2012) 31, 3, 186-191 IL MITO DI SCILLA E CARIDDI: IPOTESI DI LETTURA IN CHIAVE SIMBOLICA DEI DCA Anna Antonia Blando, Simona Spinoso, Lucia Sideli, Daniele La Barbera L’altro scoglio, più basso tu lo vedrai, Odisseo, vicini uno all’altro, dall’uno potresti colpir l’altro di freccia. Su questo c’è un fico grande, ricco di foglie; e sotto Cariddi gloriosa l’acqua livida assorbe. Tre volte al giorno la vomita e tre la riassorbe paurosamente. Ah, che tu non sia là quando riassorbe. (Odissea, Libro XII, 101-104) I cannot rest for travel: I will drink Life to the lees: All times I have enjoy’d Greatly, have suffer’d greatly, both with those That loved me, and alone, on shore, and when Thro’ scudding drifts the rainy Hyades Vext the dim sea: I am became a name For always roaming with hungry heart 1 (Tennyson, Ulysses, 6-12) Non è infrequente che all’interno di un mito, inteso come racconto collettivo, sia possibile scorgere processi e dinamiche espressive di un disagio psichico. Se assumiamo che il racconto mitico contenga, in forma archetipica, alcune determinanti fondamentali della vita psichica, il suo contributo alla comprensione della psicopatologia ne deriva immediatamente, insieme con il suo carattere atemporale che ne segnala l’attualità e quindi la possibilità di ricondurre ad una dimensione trans personale e collettiva anche le dinamiche del mondo interno del soggetto post-moderno. Come afferma Bertoletti (1986) la psicopatologia potrebbe, infatti, essere Non posso rimanere per il viaggio: berrò la vita/ Sino ai sedimenti: Tutto il tempo io ho goduto/ Immensamente, immensamente ho sofferto, entrambe le cose con coloro/ Che mi amavano e, solo, sulla riva, e quando/ Fra le nubi che corrono le piovose Stelle (Hyadi )/ Vessano l’opaco mare: Io sono diventato un nome/ Per sempre a vagare con il cuore affamato. (Traduzione AAB) 1 Sottomesso Giugno 2012, accettato Ottobre 2012 186© Giovanni Fioriti Editore s.r.l. Il mito di Scilla e Cariddi intesa come un correlato mitologico ottenuto a spese del lavoro simbolico, alla stessa stregua delle parti anatomiche (e delle loro funzioni) di un corpo umano. Nel seguente lavoro ci siamo concentrati su un mito di grande interesse per il suo possibile legame di senso con un gruppo di patologie oggi di grande rilevanza clinica e sociale a cui si riserva sempre più attenzione: i disturbi del comportamento alimentare (DCA). All’interno di questi disturbi si è tentato di mettere a fuoco le modalità specifiche del comportamento alimentare che, in questi casi, assume le caratteristiche della voracità ed abbiamo correlato queste osservazioni con i miti legati alle due figure di Scilla e Cariddi. Tuttavia, come afferma Malinowski (1922), il mito studiato dal vivo non può essere una spiegazione che soddisfa un interesse puramente scientifico, ma è piuttosto la resurrezione in forma di narrazione di una realtà. Il mito, dunque, mantenendo la sua ambiguità di senso, continua ad assolvere una precisa funzione nell’ambito della riflessione clinica in psichiatria attivando modalità di pensiero che attengono al funzionamento simbolico e intuitivo dell’apparato mentale. Le prime tracce del racconto di Scilla e Cariddi sono databili a un’età antecedente a quella dell’Odissea di Omero, se ne trovano, infatti, tracce in diversi scritti apocrifi oltre che nella narrazione della saga epica degli Argonauti (III Sec. A.C. circa). La versione del mito maggiormente diffusa e conosciuta le identifica entrambe come ninfe decadute dal loro stato e condannate ad abitare nelle due sponde dello stretto di Messina sottoforma di mostri. L’appartenenza alla categoria di ninfa (dal greco νύμφη, “giovane fanciulla”) implica una natura semidivina caratterizzata da una condizione di giovinezza eterna e da una posizione di mediazione ed equilibrio fra i due stati di uomo mortale e divinità. Fra le caratteristiche delle ninfe vi è anche la possibilità di essere eternamente felici ma sia Scilla sia Cariddi rifiutano questa condizione passiva compiendo una azione attiva che le porta a venire trasformate in mostri. Cariddi (in greco Χάρυβδις, “colei che risucchia”) era figlia della divinità della terra, Gea, e di quella del mare e dei terremoti, Poseidone. Possedeva una spiccata voracità e l’abitudine al furto. In un tempo non databile della sua eterna giovinezza rubò dei buoi che l’eroe solare Eracle stava conducendo attraverso la Sicilia, dopo averli rubati a sua volta. Si tratta di uno scontro fra pari, entrambi semidivini (Eracle era figlio di Zeus, sovrano degli dei dell’Olimpo, e di una mortale di nome Alcmena) ed entrambi ladri. A differenza di Eracle, però Cariddi consuma immediatamente il bottino, scatenando l’ira di Zeus che, invocato da Eracle, scaglia la ninfa in mare con un fulmine, restituendola all’elemento cui originariamente apparteneva (e che per i greci era un elemento maschile). Qui il padre di lei, Poseidone, la trasforma in una lampreda, un pesce serpentiforme dotato di una bocca sproporzionata. Per adattarsi alla nuova condizione e come memento dell’atto che ha scatenato l’ira divina, Cariddi subisce nel corpo una trasformazione radicale, condannata al destino di ingurgitare tre volte al giorno ingenti masse d’acqua e di tutto ciò che essa contiene, navi e uomini compresi, e di vomitarla altrettante volte, restituendo soltanto residui. Ma il mito contiene anche un aspetto di trasformazione e rinascita, cui allude la presenza di un albero di fico, presente sopra lo scoglio che identifica la posizione del vortice. È tramite i rami dell’albero che Ulisse, unico tra i suoi compagni, sopravvive alla ninfa-vortice, sfuggendo alla condanna per aver mangiato i buoi sacri al sole. Questo passaggio attraverso uno stomaco d’acqua potrebbe essere associato a una seconda nascita, allo stesso modo in cui gli alimenti Psichiatria e Psicoterapia (2012) 31,3 187 Anna Antonia Blando et al. vengono ingeriti per essere trasformati in energia vitale. Altra nota interessante è quella che identifica i buoi come particolarmente belli (“belli in tutto”, in greco “πάvκαλος”) oggetto di desiderio di Cariddi e dei compagni di Ulisse. La vicenda di Scilla mette in scena una sublimazione di un desiderio negato, di un rifiuto. Scilla viene descritta da Omero nell’Odissea (XII, 112) come un mostro che sino al bacino era ancora una ninfa ma al posto delle gambe aveva sei musi feroci di cagna che emergevano da colli di serpente. Prima della trasformazione, Scilla era una ninfa solita bagnarsi nel mare dello stretto di Messina, nel quale venne sorpresa da Glauco, un semidio metà uomo e metà pesce, e ricevette da lui delle proposte amorose. Scilla tuttavia ne fu spaventata e rifiutò di unirsi a lui scappando su una montagna. Glauco, non rassegnato a perdere la sua amata, si recò della maga – o meglio, fata – Circe per chiedere un filtro d’amore ma finì ingannato a sua volta da lei. La fata, infatti, innamoratasi del semidio, lo tradì consegnandogli un filtro che versato addosso a Scilla la trasformò in mostro. Anche per Scilla, dunque, il desiderio negato nella fuga alle attenzioni del dio, diviene parte di un destino che la condanna a esprimersi con latrati di cagna e divorare con ciascuna delle sue sei bocche i malcapitati che attraversano lo stretto, inclusi i suoi compagni più coraggiosi di Ulisse. Come se il desiderio del bello potesse essere appagato solo strappandolo via e divorandolo. S’incomincia a intravedere, qui, come la collocazione geografica dei due mostri non sia casuale ma rimandi alle vicende parzialmente sovrapponibili che hanno portato alla loro trasformazione. Scilla e Cariddi rappresentano una corporeità fortemente espressa che rinvia tanto al discontrollo del desiderio (Cariddi ha sottratto e consumato voracemente i buoi sacri a Zeus), quanto alla sua negazione (Scilla ha rifiutato di unirsi al dio e si ritrova divoratrice di uomini). Ancora, il corpo pare rappresentare per entrambe l’unico modo di manifestare il proprio desiderio, fagocitandone gli oggetti. Non ultimo, entrambe le storie presentano un terzo elemento esterno maschile che assume il ruolo di colui che le punisce e le trasforma in mostri. Abbandonando l’aspetto strettamente simbolico e mitologico è possibile riconoscere in questo racconto del mito di due “pazienti immaginarie”, fortemente legate fra di loro, un gruppo di patologie che vedono nell’atto di alimentarsi un nucleo di esternazione e nella percezione del proprio corpo come mostruoso una consapevolezza di colpa. L’alimentazione viene riconosciuta come necessità primaria sin dalla nascita, seconda per importanza solo al respirare, e finalizzata unicamente alla soddisfazione dell’istinto di conservazione individuale. Già Freud (1905) nella sua teoria dello sviluppo psicosessuale riconosce nella teoria della libido una fase orale, la prima, in cui la principale fonte di piacere del bambino corrisponde all’alimentazione. La modalità fondamentale di relazione con il mondo esterno è quindi di tipo nutritivo; l’esplorazione del piacere si concentra nella zona orale e nella bocca. Lo stesso Freud (1919) associa alla libido la parola “fame” argomentando così: “È tradizionale distinguere la fame dall’amore considerandoli rispettive rappresentazioni degli istinti di conservazione e di riproduzione della specie. Pur associandoci a questa distinzione molto evidente, in psicoanalisi noi ne postuliamo un’altra simile tra gli istinti di conservazione o istinti dell’Io da un lato, e gli istinti sessuali dall’altro; chiamiamo “libido” – o desiderio sessuale – la forza psichica che rappresenta l’istinto sessuale, e la consideriamo analoga alla forza della 188 Psichiatria e Psicoterapia (2012) 31,3 Il mito di Scilla e Cariddi fame o alla volontà di potenza e ad altre simili tendenze dell’Io”. Il DSM-IV TR (Manuale Statistico Diagnostico dei Disturbi Mentali) riserva ai disturbi dell’alimentazione una propria autonomia nosografica raggruppandoli in un nucleo comprendente anoressia e bulimia, a cui devono essere aggiunti i cosiddetti disturbi NAS (Non Altrimenti Specificati) comprendenti il BED (binge eating disorder) o disturbo dell’alimentazione incontrollata, il NED (night eating disorder), la SRED (sleep related eating disorder), l’ortoressia, la bigoressia e il grignotage. In particolare la Bulimia nervosa è una condizione in cui il soggetto è pervaso da un impulso irrefrenabile e incoercibile a mangiare “qui e adesso” tutto il cibo, anche di dubbia commestibilità, che riesce a reperire. Tale comportamento reiterato è vissuto con estrema vergogna, e può essere seguito da condotte di eliminazione violente come l’auto-induzione del vomito e l’uso indiscriminato di lassativi e diuretici, oppure il digiunare, o l’impegnarsi in lunghe sessioni di attività motoria. Il BED, invece, associato frequentemente a una condizione di obesità, non prevede condotte di eliminazione successiva alle abbuffate. Abitualmente i soggetti affetti da Bulimia nervosa e BED sono in prevalenza giovani donne fra i dodici ed i trentacinque anni (più o meno l’età delle nostre due ninfe) con una prevalenza di circa l’1-3% nella popolazione di etnia bianca, tendenzialmente normopeso, ma caratterizzate da una preoccupazione eccessiva per la propria immagine corporea. Elemento peculiare sono le abbuffate, l’ingestione di grandi quantità di cibo con rapidità e furia, quasi sempre in solitudine. Al cessare dell’agito impulsivo il soggetto è pervaso da una profonda vergogna che lo porta ad una sempre maggiore svalutazione di sé e del proprio mediatore-corpo che diventa sia oggetto di punizione che mezzo per effettuarla. Le abbuffate di cibo possono avvenire a qualunque ora del giorno o della notte, anche se di solito sono più frequenti dopo momenti di tensione o quando minore è la probabilità che uno spettatore incauto violi il segreto. La sensazione più forte che viene riferita dai soggetti bulimici e binge durante un’abbuffata è quella di perdere completamente il controllo al punto di essere incapaci di arrestare il proprio comportamento se non al fondo delle scorte alimentari e nonostante la cessazione dello stimolo della fame. Chi soffre di questi disturbi avverte una forte tensione che aumenta prima dell’abbuffata e che si risolve transitoriamente durante l’atto ma riemerge violentemente con vissuti di colpa e di vergogna quando si ha consapevolezza di ciò che si è compiuto. Spesso è particolarmente evidente la componente autolesiva e punitiva del gesto con una fortissima ambivalenza fra il desiderio di un oggetto o il desiderio di essere belle ed attraenti e la supposta certezza di essere impossibilitate a possedere ciò che si desidera. In questo modo s’instaura un circolo vizioso in cui l’atto dell’alimentarsi provoca vergogna e la stessa vergogna stimola nuovamente l’impulso a automedicarsi attraverso il cibo. Secondo una ricerca svolta da Carrol (1996) su diversi campioni di popolazione affetta da bulimia e disturbi NAS, un quadro clinico caratterizzato da abbuffate seguite o meno da condotte di espulsione può appartenere a individui con strutture caratteriali anche molto diverse e così il disturbo da alimentazione incontrollata si può incastonare all’interno di personalità borderline ma anche psicotiche e nevrotiche o/e con disturbi della sfera sessuale. Allo stesso modo si può affermare che l’assunzione eccessiva di cibo con perdita della consapevolezza di ciò che si sta ingerendo generalmente coabita con una tendenza a reagire agli stimoli tramite reazioni autodistruttive. Psichiatria e Psicoterapia (2012) 31,3 189 Anna Antonia Blando et al. L’eziopatogenesi della bulimia individua alla base di un simile quadro psicopatologico fattori genetici e sociali (come la continua esposizione mediatica di un bello spesso fortemente in contrasto con l’aspetto fisico e mentale della maggior parte della popolazione), ma soprattutto ambientali inerenti all’individuo ed agli eventi di vita che lo hanno accompagnato. Una bassa autostima, una scarsa capacità di tolleranza ai sentimenti negativi, la presenza di relazioni conflittuali con i genitori e con altre figure di riferimento, così come l’essere stati esposti a esperienze di abuso, sembrano essere gli elementi più frequentemente coinvolti nella patogenesi di questi disturbi (Gabbard 2007). Inoltre in molti dei casi osservati è presente un vissuto di intrusione nel proprio spazio fisico e personale che suggerisce di considerare l’abbuffata anche come una reazione di difesa contro le aggressioni esterne, difesa che si trasforma in una reazione distruttiva verso se stessi e ostacolo alla soddisfazione dei bisogni sessuali e di autoconservazione (Scilla che fugge all’irruenza di Glauco). I turbamenti, la stanchezza, la rabbia, il desiderio e altre emozioni disturbanti sono percepiti come fame e il corpo diventa il proprio oggetto transizionale (Cariddi che compie il furto dei buoi e li divora). Il cibo rappresenta simbolicamente lo struggente desiderio di fusione simbiotica ma anche – con la sua espulsione ed eliminazione – un violento quanto brusco tentativo di separazione e controllo. Possiamo dunque delineare la figura di una “ninfa bulimica” come di una una donna che nasconde il proprio desiderio in una voracità mostruosa, con cui si appropria di ciò di cui si sente privo. Un altro breve affondo nel mito ci rende chiaro quest’elemento: i buoi di Gerione rubati da Cariddi sono preceduti nell’Odissea dall’aggettivo “bellissimi”; allo stesso modo i compagni di Ulisse che Scilla squarta, non sono che i più valenti fra quelli che l’eroe stava riportando in patria. Il primo comportamento istintivo nei confronti di un oggetto desiderato consiste, infatti, nel diminuire la distanza che ci separa da esso e il modo più primitivo per farlo è l’incorporazione. Incorporare elementi esterni è un modo per eliminare l’angoscia di un desiderio che non può essere pensato o percepito, oltre che per riempire una sensazione di separazione e di vuoto. Peraltro il cibo, oltre che significare un principio vitale da introiettare, contiene anche l’elemento dell’autoconsolazione, la possibilità di alleviare il senso di colpa che segue la rapina. Il mito narra che tale cibo è ingurgitato “tutto intero” – come nel caso di Cariddi – per poi essere vomitato con tale forza da “flagellare le stelle”, o squartato fra le tante bocche insaziabili – come nel caso di Scilla – di un corpo mostruoso (Odissea, Libro XII). Un corpo che nasconde – e forse dimentica – il suo essere nato come corpo di ninfa. Riassunto Parole chiave: disturbi del comportamento alimentare, mitografia I disturbi del comportamento alimentare (DCA) sono patologie in crescente diffusione nella nostra società e non di rado pongono delicati problemi di inquadramento diagnostico e management clinico. Attraverso l’analisi del mito di Scilla e Cariddi viene trattata l’espressione della corporeità bulimica come colpa da espiare. Alla base di tali disturbi vi sono spesso esperienze d’incapacità di relazione che determinano nel soggetto un senso di “non esserci” e di perdita del controllo. 190 Psichiatria e Psicoterapia (2012) 31,3 Il mito di Scilla e Cariddi The myth of Scylla and CharyBdis Abstract Key words: eating disorders, mythography Eating disorders are becoming increasingly common in our society and often arise critical problems related to diagnosis and clinical management. In this paper the bulimic self-perception as guilt to be expiated is analyzed through the myth of Scylla and Charybdis. On the basis of these disorders are often difficulties of relationship that determine in the subject a sense of “not being there” and loss of control. Bibliografia Bertoletti P (1986). Mito e simbolo: gli strumenti della psicologia analitica. Edizioni Dedalo, Milano. Carroll JM, Touyz SW, Beumont PJ (1996). Specific comorbidity between bulimia nervosa and personality disorders. Int J Eat Disord 19, 2, 159-70. 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Anna Antonia Blando, Simona Spinoso, Lucia Sideli, Daniele La Barbera Sezione di Psichiatria, Dipartimento di Biomedicina sperimentale e Neuroscienze cliniche, Università degli Studi di Palermo Corrispondenza Anna Antonia Blando Via G. La Loggia 1, 90127 Palermo Tel: 0916555164 - Fax: 0916555165 E-mail: [email protected] Psichiatria e Psicoterapia (2012) 31,3 191