IL SAPERE ESOTERICO: LA CAPPELLA SANSEVERO di Ettore

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IL SAPERE ESOTERICO: LA CAPPELLA SANSEVERO di Ettore
IL SAPERE ESOTERICO: LA CAPPELLA SANSEVERO di Ettore Mariano Schiavone
Nel cuore di Napoli, l’antica Partenope, vi sono pezzi vitali che difendono strenuamente la
tradizione. Essi sono pezzi che appalesano, tirandole fuori da un groviglio di modernità che
sembra volerle cancellare, le origini della nostra storia. Sempre che qualcuno sappia leggere la
lingua in cui la tradizione è scritta. Uno di questi pezzi vitali è la Cappella di Sansevero.
Ma capita che prima di arrivare alla Cappella, chi ha i mezzi per decifrare un passato senza il
quale non vi sarebbe il nostro presente, si accorga di luoghi come il quartiere di Forcella, che
in antichità era sede di una Scuola Pitagorica. Il nome Forcella, infatti, è sinonimo di “Y”,
lettera sacra a quella Scuola. Ancora oggi lo stemma del Sedile di Forcella, uno dei Seggi (o
Sedili) in cui la città di Napoli era suddivisa, ha per emblema quella “Y”.
E capita di imbattersi, nel raggiungere la Cappella di Sansevero, nella statua del Dio Nilo, che
ricorda come fossero presenti in Napoli forti elementi di cultura e riti egizia. O ancora può
capitare di imbattersi nella chiesa del Gesù Nuovo, con una facciata di blocchi di piperno
lavorati a forma di piramide, ognuno recante incisa la firma del maestro lapicida, ricordo della
presenza di corporazioni muratorie presenti nel XV secolo, antesignane della massoneria
speculativa. Tutti pezzi di una storia lontana negli anni, ma recente nelle menti e nei costumi,
concentrati in una via, detta Spaccanapoli perché divideva in due metà (come se la spaccasse)
la Napoli antica. Spaccanapoli è la via che un tempo, nella topografia greca della città, che
comprendeva come tutte le città greche tre Decumani, costituiva quello inferiore. Non è
possibile non tenere conto di quanta storia emerga dal tragitto che porta alla cappella da
qualunque punto lo si inizi. La Cappella di Sansevero racchiude tutta questa storia come uno
scrigno che solo gli uomini liberi e giusti possono aprire. Non vi è altra chiave. Gli altri uomini
possono solo apprezzare la scorza che racchiude questa storia. Una scorza fatta di statue di
eccezionale fattura eseguite in ricordo dei componenti di una famiglia nobile del XVIII secolo.
Situata nel cuore della Napoli antica, la Cappella Sansevero è un gioiello del patrimonio
artistico europeo ed è da considerarsi un capolavoro del Barocco Napoletano. Fondata verso
la fine del '500 in seguito ad un evento miracoloso attribuito alla Madonna, ebbe la sua
sistemazione definitiva nella seconda metà del '700 grazie al Principe Raimondo de Sangro,
staordinaria figura di scienziato e alchimista, che per quasi 30 anni si dedicò "abilmente"
all'abbellimento di questo Tempio gentilizio, arricchendolo di splendidi gruppi marmorei tra
cui La Pudicizia, Il Disinganno ed il celeberrimo Cristo Velato. Al VII Principe di Sansevero si
deve, quindi, il mirabile aspetto della Cappella, così come ora noi la ammiriamo, e quel suo
particolare fascino frutto dell'intreccio di bellezza e mistero. L’accesso originario alla
Cappella non è quello attuale dal quale si fanno accedere i visitatori, bensì quello laterale,
ancora presente e al di sopra del quale vi è una lapide con una iscrizione in latino.
La traduzione dell’iscrizione è:"O viandante, chiunque tu sia, cittadino immigrato o straniero,
entra e adora riverente l'immagine della Pietà Regina già da anni prodigiosa. Tempio gentilizio
già sacro alla Vergine e abilmente ampliato nell'anno 1767 da Raimondo de Sangro Principe di
Sansevero, stimolato dalla gloria dei suoi antenati, per conservare all'immortalità nei sepolcri
le ceneri sue e dei suoi. Guarda scrupolosamente con occhi attenti e contempla, ahimé
piangendo, le ossa degli eroi cariche di meriti. Quando avrai dato opportunamente culto alla
Madre di Dio, un contributo all'opera e, ai defunti, ciò che è giusto, pensa seriamente anche a
te.
Va'
pure."
E già tramite questa iscrizione Don Raimondo spiega a chi entra nella Cappella che può
trovarvi varie chiavi di lettura. Egli può soffermarsi a contemplare le statue del magnifico
barocco napoletano messe in opera da grandi artisti provenienti da tutta l’Italia come gli
scultori Corradini, Queirolo, Sammartino, oppure offrire devozione alla Madonna della Pietà a
cui è dedicata la Cappella, o ancora commemorare i defunti a cui le statue rimandano, o infine
pensare seriamente a se stesso scorgendo una delle chiavi, la più semplice tra quelle presenti, a
patto che si voglia impiegare un po’ di tempo per se stessi. Noi cercheremo di scovare il
percorso necessario alla costruzione dell’Uomo, abilmente velato affinché solo chi volesse o
avesse
le
capacità
di
farlo,
potesse
svelarlo.
Appena entrati nella Cappella si è subito catturati dallo stupendo Cristo Velato posto al centro
della navata. Non era quella la sua ubicazione nelle intenzioni del Principe di Sansevero. Noi
cercheremo di non farci distogliere nella ricerca del nostro percorso né dalla bellezza di questa
opera scultorea, né dalle guide turistiche che vorrebbero farci visitare le statue nell’ordine
cronologico di morte dei componenti della famiglia commemorati. Gireremo in senso
antiorario, contrariamente al percorso indicato dalle guide turistiche. E rigetteremo tutte le
leggende che vogliono che le statue non siano opera di grandi artisti, ma gioco alchemico di
Don
Raimondo.
Cominceremo il nostro cammino da una statua il cui nome è Educazione. In essa una donna è
intenta ad educare un fanciullo che ha in mano il De Officiis di Cicerone, testo ritenuto dalla
cultura ufficiale insostituibile strumento di comprensione del problema morale dell’utile e
dell’onesto. Alla base un blocco marmoreo reca inciso: “Educatio et disciplina mores faciunt”
(L’educazione e la disciplina formano i costumi). La donna che impartisce l’educazione è
seduta sulla base di una colonna, quasi che lei stessa sia la colonna mancante, la colonna che
sostiene l’educazione. Il fanciullo simboleggia l’uomo di buoni costumi che voglia
intraprendere un percorso iniziatico che lo porti al miglioramento di se stesso. Chi meglio della
donna può impartire una giusta educazione ad un uomo. E’ la donna che lo segue dalla nascita
fino
alla
sua
adolescenza.
Ma non basta essere di buoni costumi. Nella statua successiva, denominata Il Dominio di se
stessi, un soldato tiene alla catena un leone, a testimonianza della superiorità della volontà e
dell’intelletto sull’istinto, sull’energia selvaggia e sulla vanità delle passioni. Il dominio sulla
natura come simbolo del dominio su se stessi, della libertà dall’irrazionale, della volontà di
volersi elevare. Ecco l’uomo libero e di buoni costumi. Pronto a morire per resuscitare a nuova
vita. Subito dopo questa statua si oltrepassa l’ingresso alla cavea sotterranea che era la
destinazione originaria del Cristo Velato ora al centro della Cappella. Forse sarebbe questo il
momento giusto per soffermarsi sul Cristo, perché l’uomo di buoni costumi e libero dalle
passioni, entra nel gabinetto di riflessione, simbolicamente muore, ritorna nell’utero materno
per rinascere a nuova vita. La prossima statua è denominata Sincerità. L’apprendista da
principio al suo percorso iniziatico. Una donna regge nella mano sinistra un cuore, simbolo di
amore e carità, di sincerità. Ancora oggi, nella lingua italiana, quando si vuole sottolineare la
sincerità con cui si sta dicendo qualcosa si usa una frase idiomatica che recita: “Ti parlo con il
cuore in mano”. Nella mano destra la donna regge un caduceo, attributo di Mercurio, simbolo
di pace e ragione; due serpenti, come due opposti, si intrecciano verso l’alto in modo armonico
attorno ad una verga. Nel complesso marmoreo un putto è alle prese con due colombe
simboleggianti purezza e fertilità e, nel linguaggio alchemico, l’albedo della materia grezza che
si trasforma in pietra filosofale. Amore, carità, pace e purezza rappresentano gli attrezzi
necessari per l’uomo che nasce a nuova vita per squadrare la sua pietra grezza, per modellare
la sua nuova vita. Al di sopra della statua un medaglione rappresenta un volto appena
abbozzato nel marmo, che è mantenuto allo stato grezzo senza che vi si possa identificare alcun
lineamento. L’apprendista ha appena cominciato il suo lavoro. La statua successiva, Il
Disinganno, rende bene le difficoltà alle quali andrà incontro. La statua è dedicata al padre del
Principe di Sansevero, Antonio, il quale, dopo la morte prematura della moglie, si diede ad una
vita disordinata e peccaminosa. Stanco e insoddisfatto delle sue sterili peregrinazioni, egli
trascorse gli ultimi anni nella quiete sacerdotale. Simbolicamente la statua rappresenta l’Uomo
che si libera dal peccato e dalle sovrastrutture materiali ingannatrici rappresentate dalla rete.
Un genietto alato, che aiuta l’Uomo a liberarsi dalle maglie intricate, reca sulla fronte una
piccola fiamma simbolo dell’umano intelletto. Sotto i piedi un globo terrestre simboleggia le
passioni ingannatrici ed una Bibbia aperta ricorda il libro sacro dei lavori massonici. Nel
basamento vi è un bassorilievo che ricorda l’episodio evangelico di Cristo che ridà la luce al
cieco. Perché il galantuomo libero e di buoni costumi, il cadavere che vuole risorgere, non è
altri se non un cieco che chiede la luce. Ed è proprio quanto ancora oggi si recita nei rituali di
iniziazione
al
primo
grado.
Di fronte alla statua de Il Disinganno vi è la delicatissima denominata La Pudicizia. E’
dedicata alla madre, che Don Raimondo perse all’età di appena undici mesi, e raffigura una
giovane donna velata con lo sguardo perso nel tempo vicino ad un tronco della vita e ad una
lapide spezzata, simboli di una esistenza troppo presto troncata. La sua contrapposizione
all’uomo che cerca di liberarsi dalla rete delle passioni bene rappresenta la polarità opposta
femminile. La donna generatrice di vita ed in quanto tale iniziatrice. Viene in mente la Sapienza
di Dante Alighieri simboleggiata da Beatrice. Una sapienza velata che l’Uomo nella sua nuova
vita cerca di svelare. Nel basamento vi è il bassorilievo dell’episodio evangelico del Noli me
tangere a conferma di una dolorosa impossibilità di ogni contatto prima che il percorso non sia
compiuto.
La statua successiva è denominata La soavità del gioco coniugale. Una giovane donna tiene in
alto due cuori con la mano destra, mentre nella sinistra stringe un giogo piumato, simboli gli
uni di amore, l’altro di dolce obbedienza. Ai suoi piedi un putto alato regge tra le mani un
pellicano, emblema della carità (nell’iconografia medievale il pellicano si lacera il petto per
nutrire i suoi figli). Il cammino dell’Uomo che nasce a nuova vita è in uno stato più avanzato.
Egli riesce a riunire in sé gli opposti, il maschile ed il femminile. E’ alla colonna “J” del
passivo dopo essere stato alla “B” dell’attivo. Il Compagno d’Arte è intervenuto sulla pietra
grezza ed ora il medaglione che sovrasta la statua mostra tenui lineamenti. Ma il cammino non
è ancora compiuto. La successiva statua lo dimostra. E’ denominata Lo zelo della Religione.
Nella statua Lo Zelo della Religione è raffigurato un vecchio, la saggezza, che solennemente
tiene nella mano sinistra una lanterna e nella destra una sferza, simboli l’una della luce della
verità, l’altra della punizione dell’eresia, dell’ignoranza. Egli preme il piede su di un libro dal
quale fuoriesce un serpente, simbolo della cattiva conoscenza. Ed anche il puttino ai suoi piedi
sembra intento a cacciare da un libro le cattive conoscenze con la luce offerta da una fiaccola.
L’Uomo nato a nuova vita è intento ad agire sul suo intelletto, preso da uno studio profondo
volto a discernere con grande fatica e con l’ausilio della luce il vero dal falso. Che l’Opera sia
compiuta è testimoniato dalla statua successiva: La Liberalità. La Maestria è raggiunta. Una
figura femminile reca nella mano destra delle monete ed un compasso, emblemi di generosità
ed equilibrio. Nella mano sinistra vi è una cornucopia riversante denari e gioielli. Non vi è più
pericolo per il Maestro di contaminazione con il metallo. Egli saprà elargire ricchezza e
diffondere luce grazie al suo intelletto. Saprà aprire i bracci del compasso guidato dalla sua
ragione. Il compasso ha sovrapposto la squadra. Ai piedi vi è un’aquila, animale capace di
volare in alto con una visione a tutto largo, e capace di fissare il sole. Il medaglione al di sopra
della
statua
oramai
effigia
una
immagine
nitida,
levigata.
Siamo giunti al Cristo Velato. Come abbiamo già detto la sua ubicazione originaria era la
Cavea sotterranea. Verosimilmente, nel cammino che abbiamo fatto avremmo dovuto
imboccare la via della cavea all’inizio. Ma la statua del Cristo Velato è talmente bella che è
difficile non concludere il percorso con la sua contemplazione. Ma poi, non è forse vero che al
raggiungimento della maestria non possiamo fare altro se non rimetterci in discussione e
morire
nuovamente
per
intraprendere
il
cammino
di
rinascita
ogni
giorno?
Esistono sicuramente altre chiavi di lettura della Cappella Sansevero. Altrettanto condivisibili.
Una di queste vuole che ognuna delle statue rappresenti una delle funzioni presenti in un
Tempio Massonico. Così per esempio, la statua della Liberalità, rappresenterebbe il secondo
sorvegliante, nell’atto di pagare gli apprendisti. Molte altre statue che non abbiamo
considerato nel nostro percorso devono essere, però, prese in considerazione. A cominciare
dalla statua di Cecco de Sangro, raffigurante il Copritore interno. Noi abbiamo preferito
raccontare il percorso più semplice, quello che ogni uomo di buoni costumi e desideroso di
migliorarsi nel suo intimo può capire ed effettuare. E intimamente abbiamo preferito farlo
immaginando di camminare sul pavimento originario della Cappella: il labirinto alchemico,
realizzato
dal
Principe
con
materiali
elaborati
da
lui
stesso.
E come curiosità ci piace completare questo viaggio recandoci nella cavea dove avrebbe
dovuto esserci il Cristo Velato. Lì oggi vi sono le macchine anatomiche di Don Raimondo. Fra
le molte leggende su Raimondo de Sangro, scienziato e alchimista di grandezza straordinaria,
vi è quella che vuole che egli avesse iniettato a due suoi domestici, ancora in vita, un maschio
ed una donna, una sostanza che, spinta in tutto il sistema sanguigno, si fosse poi metalizzata
lasciando intatto tutto il sistema circolatorio dopo la decomposizione degli organi. Falso! Noi
non sappiamo come egli sia riuscito a costruire queste perfette macchine anatomiche, ma esse
sono soltanto dei modelli di ricostruzione di tutto il torrente circolatorio. Il lavoro fu compiuto
in collaborazione di un medico di Palermo, Giuseppe Salerno. Stupisce anche il fatto che il
sistema circolatorio sia riprodotto con tanta verosimiglianza, nonostante, all’epoca, le
conoscenze di anatomia non fossero così avanzate. Molti turisti si spingono a visitare la
Cappella solo per la presenza di tali reperti. Meglio così. Poi scoprono anche il resto. E inoltre,
non è forse stato Don Raimondo stesso nella lapide all’ingresso a lasciarci liberi di “prender”
ciò che più ci è congeniale? Nella Cappella c’è così tanto da scoprire che non basterebbe forse
una
vita.

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