A fil di palo

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Fuoricampo di gianfranco piantoni
rubrica
A fil di palo
Gianfranco Piantoni
[email protected]
116
S
i può anche perdere, ma non contro la
Corea. Successe invece nel Campionato del Mondo in Inghilterra, nel 1966.
Fu immediata la decisione di bloccare
l’acquisizione di giocatori stranieri. Il più
deluso di tutti fu Italo Allodi, il grande
manager dell’Inter, abilissimo nel costruire le sue squadre giocando d’anticipo. I contratti già firmati, a valere dal settembre 1966, con due grandi fuoriclasse
dell’epoca, Bobby Charlton e Eusebio,
svanirono nel nulla. L’informazione l’ho
avuta direttamente dai due interessati.
Italo Allodi non me ne ha mai parlato, anche perché era un tipo che pensava sempre e solo alle mosse successive.
Sapeva scegliere come nessuno. Appena
arrivato alla Juventus comunicò a Boniperti che, l’anno dopo, il portiere della
Juventus sarebbe stato Dino Zoff. Di
fronte a un parere negativo, Italo lo convinse con due argomenti. Primo: Zoff è il
migliore portiere d’Italia. Secondo: l’ho
già acquistato.
L’avevo incontrato per la prima volta una
mattina del 1979, quando era direttore
del Centro Tecnico di Coverciano. Per tre
ore parlammo di un supercorso per manager sportivi, un’idea cara a Claudio
Dematté. Italo mi ascoltava con attenzione e replicava con competenza alle mie
proposte, come se fosse un addetto ai lavori. Dopo tre ore di discussioni mi invitò a prendere un caffè al bar. Credevo che
fosse un modo elegante per congedarmi.
Invece mi disse: “Ho una bella notizia
per lei. Questo corso lo faremo”. Ho im-
parato che, come in algebra, anche nelle
trattative due messaggi negativi diventano, con pazienza, un consenso.
Nasceva tra me e Italo una grandissima
amicizia che durerà tutta una vita. L’ho
visitato nella sua casa un mese prima
che morisse. Parlava solo dell’Inter, il
suo capolavoro. Mi illustrava i cimeli che
ornavano ogni parete. I lampi dei suoi
occhi erano quelli di sempre. Quando
l’Inter fu venduta a Ivanoe Fraizzoli, Allodi rimase senza lavoro. Angelo Moratti, ogni mese, gli faceva recapitare ugualmente lo stipendio sino al giorno in cui
Italo glielo restituì perché era passato alla Juventus.
Durante il Corso, affidato poi all’Università di Siena, ogni tanto mi chiamava al
telefono verso le cinque del mattino. Mi
diceva: “Oggi, al Master, spiegano questo
argomento. Me lo vuoi illustrare?”. E, in
un’ora, al telefono, gli tenevo una lezione
secondo i sacri crismi bocconiani. Durante il pranzo si aggirava tra i partecipanti. “Siete ancora all’attivo e al passivo
dello stato patrimoniale? Non vi hanno
ancora insegnato che è meglio parlare di
fonti e impieghi?” Si consolidava anche
così il mito di Allodi. I superficiali lo credevano arrogante. Aveva invece il pregio
di selezionare, in ogni campo, ciò che
meglio gli serviva.
Figlio di un capotreno, cominciò a giocare in squadre minori, dove un giocatore
veniva ceduto in cambio di tre palloni e
di una muta di maglie. Aveva un punto
debole: correva poco. Si rifece nella vita,
dando prova di decisioni rapidissime.
Aveva un gusto innato di stupire e di
conquistare. Sanno di invidia le malizie
con cui hanno cercato di scalfire la sua
bravura. Come i suoi campioni, anche
Allodi piazzava tutte le sue mosse in rete. A fil di palo. π
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economia & management 3 - 2013