Il Teatro di Goliarda Sapienza: La Rivolta dei Fratelli ovvero Della

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Il Teatro di Goliarda Sapienza: La Rivolta dei Fratelli ovvero Della
 www.turindamsreview.unito.it ___________________________________________________________________________________________________________ Il Teatro di Goliarda Sapienza: La Rivolta dei Fratelli ovvero Della caduta del
padre
Argia Coppola
Dalla biografia di Giovanna Providenti su Goliarda Sapienza, La porta è aperta Vita di
Goliarda Sapienza, viaggio a precipizio dentro un’esistenza complessa, non sono riuscita,
forse per una mia miopia verso le collocazioni temporali e spaziali, a rilevare, con esattezza,
la data di composizione di questa prima prova da drammaturga, di Goliarda. Intuisco che Il
Prezzo del Successo e Due Signore e un Cherubino, le altre due prove teatrali dell’autrice di
L’Arte della Gioia, siano successive a questa prima e per certi aspetti, meno rilevanti al fine di
far avanzare la conoscenza e la ricerca sulla materia letteraria ed esistenziale della scrittrice.
Ciò nonostante è importante stabilire quanto la cifra teatrale della Sapienza appartenga e
condizioni tutta la sua opera letteraria: da Ancestrale, la raccolta di poesie che meriterebbe
un’analisi a parte, a Destino Coatto, di recente uscito per Einaudi a cura di Angelo Pellegrino,
fino ai corposi romanzi autobiografici. Ma non tralascerei neppure il suggestivo percorso
carsico di Goliarda cinematografarai, come lei usava definirsi, attraverso il cinema di Citto
Maselli (interessante scoprire a quanti personaggi neorealistici del grande schermo dell’epoca,
Goliarda abbia prestato la voce e i trucchi del mestiere). Mai Goliarda, volente o nolente,
sembra dimenticare la sua originaria vocazione d’attrice e dato che attrice si nasce e non si
diventa, quindi si resta, è proprio la sua attorialità, capacità di sdoppiarsi in molteplici altre
personae/personaggi, che consente all’autrice quel sublime stato di vicinanza e distanza dalla
sua biografia e dalle creature letterarie che riesce a reinventare, ogni volta, partendo da
brandelli di se stessa. In fondo è così che si costruiscono i personaggi, posizionando pezzi di
sé e degli altri in un contenitore nuovo, non reale ma talmente vero e rigoroso nelle sue
regole, da riscattare quello originario dell’esistenza. Tutti i personaggi di Goliarda
sperimentano in qualche modo quel senso di rivalsa verso una vita mancata. È Angelo
Pellegrino che nell’introduzione a Destino Coatto ci offre l’essenziale traccia per
familiarizzare con i personaggi del successivo teatro. «[…] i suoi personaggi, che a partire dal
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accaduto nella nostra letteratura - sono sempre forme artisticamente reali di pulsioni inconsce.
Con Goliarda Sapienza, che seppe andare oltre l’esperienza analitica, l’inconscio, questo
fantasma del Novecento, diventa nella sua opera, personaggio in tanti personaggi, i quali non
sono più le nevrosi della ragione pirandelliana, spesso pure forme logiche e mentali più che
personaggi, ma figure fatte di corpo e sangue, corpi vivi insomma […]ii».
In La Rivolta dei Fratelli, già la didascalia iniziale ci guida alla scoperta del corpo vivo dei
personaggi. Goliarda parla di «fragilità e difetti psicosomatici di questi nostri protagonisti che
“a prima vista” dovranno essere tutti, in vario modo, bellissimi ed originali». L’ambiguità
dell’inconscio è subito sottolineata. Ciò che è bello ed elegante si rivelerà, alla fine, fragile e
difettoso. Siamo preparati a come andrà a finire. E anche il luogo risponde a questa esigenza
d’ossimoro che vedremo esplodere con l’avanzare dell’azione teatrale, fino al suo
capovolgimento. Con un movimento scenico o anche cinematografico attraverso una «porta
massiccia», dalle scale di una villa, «zia Rita e Alessandro» fanno il loro ingresso, uno dietro
l’altro, «in un grande stanzone del Cinquecento». Anche lo spazio rileva lo stesso doppio stato
emotivo dei protagonisti, il positivo («lo spettatore
riceverà un’impressione di sontuosità prima di
scorgere, attraverso la grandiosità degli spazi […]
figure dai colori magici, finestre alte, spaziose») e
il negativo («la corruzione dei muri screpolati, qua
e là tramati da venature d’umido […] finestre
oscurate da vetrate dai colori cupi e smaglianti
nello stesso tempo»).
Il primo dialogo tra Zia Rita ed Alessandro, appena
entrati nella villa, è importante perché offre, sparsi
e apparentemente casuali, già tutti i tasselli drammaturgici che in seguito dovranno essere
solo ricollocati al loro posto, per diventare elementi significanti del dramma. Il primo è un
carattere d’insolita contemporaneità, nella scrittura teatrale di Goliarda che consiste nel
mettere mano, attraverso il gioco teatrale, alla transessualità dei personaggi. Mi spiego
meglio.
«Zia Rita in verità si chiama Mario», «un ragazzo di piccola statura, dolce ma ben piantato,
con una massa di capelli morbidi, appena lunghi sulle spalle». Ciò che apparentemente è il
confronto fra un adulto di sesso femminile, la zia, e un ragazzo, Alessandro, in realtà è
l’incontro/scontro tra due giovani della stessa generazione, di cui però uno di loro assume
verso l’altro un ruolo e un atteggiamento fisico familiare. Zia Rita ha il compito di introdurre
Alessandro in questa nuova e particolare famiglia, cercando di passargli regole e abitudini e
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investito dall’autrice di un ruolo femminile ed espressione di una generazione più antica. C’è
anche Luca che è la Bisnonna Lu e poi ci sono Francesca, Antonia e Kriss che sono
rispettivamente Nonna Mirò, Mamy Tony e Zia Kriss. In questa fiaba, come la definisce
Goliarda da tavola dei personaggi iniziale, che «si svolge nel lontano 1969», un gruppo di
adolescenti, di età esatta non dichiarata ma tali li si percepisce, s’inventa, cerca d’immaginare
e fonda concretamente, una comunità elettiva e psichica, in cui i ruoli cardine della famiglia
tradizionale vengono riassegnati spalmandoli sulla prima, sulla seconda e fin sulla terza
generazione. Sono 12 i componenti di questa famiglia, divisi fra 7 femmine e 5 maschi, con
un’inversione tra maschile e femminile in Luca e Mario evidente (l’uno diventa bisnonna,
l’altro zia) e svariate tendenze omosessuali anche in altri di loro. Nella preponderanza del
femminile che solo raggiunge la terza generazione, oltre alla Bisnonna Lu, c’è una nonna, una
mamma, due zie e due figlie/nipoti, Ivy e Poppy. Frequente è l’uso di questi nomignoli che
oltre a caratterizzarli fisicamente, hanno anche la funzione sia di sdrammatizzare il ruolo di
ciascuno all’interno della famiglia, sia di far affiorare una certa ingenuità infantile di questi
personaggi che anche quando fanno discorsi politici da adulti, lo fanno sempre con fare serio
e bambinesco. Nella minoranza maschile c’è un nonno assente ma fondatore della comunità,
Nonno Angelo, tre figli/nipoti, Michele, Marzio e Alessandro (ultimo venuto che nel corso
dell’azione teatrale verrà iniziato a questa comune) e ultimo ma pilastro sia del nucleo
familiare sia dell’agnizione teatrale, Papà Massimiliano.
LA ZIA RITA Sali, sali, sembrano le scale di Positanoiii, vero? E’ papà Massimiliano che le ha dipinte con la
calce. Se le avessi viste prima! […] LA ZIA RITA […] papà Massimiliano ha capito subito quello che si doveva fare: grattare tutto e sotto con la
calce. […] LA ZIA RITA […] Non ti aspettavi tutta questa ricchezza dopo le scale riportate dalla calce di papà
Massimiliano alla loro giusta condizione proletaria?
Due gli elementi su cui soffermarci. Zia Rita ripete per tre volte lo stesso concetto parlando
con Alessandro, il nuovo venuto, che resta sbalordito dalla ricchezza dell’interno. Il concetto
è sempre quanto è bravo papà Massimiliano ad aver ridipinto le scale con la calce,
«riportandole alla loro primitiva condizione proletaria». Capiamo subito la responsabilità che
riveste Massimiliano all’interno della famiglia; per tutti, lo vedremo anche con l’arrivo degli
altri componenti, Massimiliano è un mito. Il papà è un mito. E anche l’autrice riesce a creare,
a livello drammaturgico, un denso stato di suspance e attesa intorno alla figura paterna, fino al
finale in cui Massimiliano giocherà la funzione di vettore significante dell’intero dramma. In
questa relazione con l’assente in cui tutte le altre personae, mano a mano che fanno il loro
ingresso nello stanzone del Cinquecento, si presentano al pubblico e stabiliscono con gli altri
uno specifico rapporto verbale e fisico, il nome del padre viene continuamente evocato con
speranza, attesa, desiderio e ammirazione, soprattutto nelle questioni cardine di questo nucleo
familiare elettivo quali la sopravvivenza materiale, l’educazione, il lavoro, l’amore e il potere.
http://www.turindamsreview.unito.it 3 www.turindamsreview.unito.it ___________________________________________________________________________________________________________ Ma facciamo qualche esempio. Il primo è nel dialogo tra Zia Rita e Alessandro e
corrisponde al secondo di quei tasselli drammaturgici suddetti. Zia Rita ha appena divinato
alcune particolarità del carattere di Alessandro (Zia Rita si definisce una moderna Cassandra
che comprende al volo i destini delle persone) e gli sta dando dei consigli per approcciarsi alla
famiglia quando verrà presentato («Meno rigido, meno esatto quando ti presenterò loro»,
«…Solo il vestito non va, ci vuole un vestito più serio»). A un tratto coglie quale sarà il ruolo
di Alessandro all’interno della famiglia ma ancora non può rivelarglielo.
ZIA RITA […] farei una cosa sleale verso gli altri membri della famiglia. Vedi, qui vige la regola che ogni
decisione, ogni atto, deve nascere dal collettivo, e nessuno può, anche con un consiglio, influenzare il gruppo. Il
ruolo che io penso per te, dovrà sortire fuori nel rituale della presentazione che sarà…è difficile dire come
sarà…Ogni volta che qualcuno è stato ammesso è avvenuto qualcosa di diverso.[…] È difficile dire quanto non
ci sia niente di programmato fra noi: dall’ora dei pasti alle decisioni più urgenti. Niente di programmato, meno la
gioia. […] Sì. L’unica legge - se così si può chiamare - che abbiamo è quella di ricercare la gioia e, quando
siamo insieme in questa isola di pace, di scherzare, giocare, essere sereni. Perché, come dice Papà Massimiliano:
la gioia è un muscolo come un altro e se non lo si esercita si arrugginisce.
Cominciamo ad individuare alcune delle caratteristiche di questa famiglia e a saperne di più
su come funziona. È un collettivo con delle regole non programmate e un rituale di
presentazione al gruppo, che nel secondo tempo del testo, vedremo perfettamente eseguito in
tutte le sue dinamiche di rito psichico e antropologico. Inoltre l’unica legge è quella di
ricercare la gioia e qui la Sapienza, nei panni di Zia Rita, è lei stessa a lanciarci un ponte
verso ciò che sarà la griglia profonda del suo romanzo più complesso e articolato. Ecco che
naturalmente la scrittura drammatica si connette a quella letteraria senza soluzione di
continuità. O forse il personaggio drammatico funge da primo terreno teorico di una proposta
stilistica che nei romanzi, e in particolare in L’Arte della Gioia, sarà poi del tutto assorbita nel
tessuto narrativo. E chi esorta alla gioia? Proprio papà Massimiliano.
Queste frasi programmatiche messe in bocca a Zia Rita convincono Alessandro che questa
famiglia inventata, così lui l’ha intesa, può essere una risposta alternativa a quella che è una
prigione, la famiglia d’origineiv.
È un’altra regola ad annunciare l’arrivo degli altri componenti della famiglia. Farsi
precedere da alcune note della VI^ di Beethoven, fischiate a mo’ di richiamo. Alessandro,
memorizzato il segnale, viene spedito via da Zia Rita che non vuole presentarlo così vestito
alla famiglia. Eppure Mamy Tony, con la borsa della spesa in mano e Alessandro,
s’incrociano per le scale senza salutarsi. L’anonimato di Alessandro permette una vivace e
progressiva entrata di tutti gli altri che s’interrogano su chi sia lo sconosciuto: Marzio
(«elegantissimo nei suoi stracci»), Ivy e Nonna Mirò «gridando insieme» e Kriss evocata da
un «cablo» (un telegramma) mostrato da Ivy, in cui si annuncia che «ha finto suicidio per
svignarsela». Nel dialogo a cinque che segue si ha la sensazione di assistere a una sorta di
gioco di ruolo in cui i protagonisti in questione giocano, appunto, a svelarsi e camuffarsi, con
ritmo serrato, nelle parti assegnate dal nucleo familiare inventato. La posta in gioco è il finto
http://www.turindamsreview.unito.it 4 www.turindamsreview.unito.it ___________________________________________________________________________________________________________ suicidio di Kriss e le due fazioni contrapposte sono la generazione della nonna, della mamma
e della zia contro quella dei nipoti, ognuno pronto a rivelare le proprie nevrosi infantili e a
usarle per ottenere qualcosa dagli altri, in primis cibo e attenzioni affettuose. S’intende che i
giovani nipoti sono quelli che meno «muovono paglia», meno s’affannano per la
sopravvivenza della famiglia. Intanto sotterranei ma carsici passano temi come suicidio, fame,
povertà, soldi che mancano. Ed è a questo punto, nel momento della necessità, che viene
rievocata l’assenza di «daddy Massimiliano», come lo chiama Marzio. In un serrato scambio
di battute tra Marzio e Ivy, in cui Marzio cerca di consigliare Ivy verso una retta via,
l’immagine mitica dello pseudo-padre agli occhi degli pseudo-figli, prende campo in tutta la
sua evidenza.
MARZIO Senti Ivy, non voglio fare la parte di papà Massimiliano, ma non puoi andare avanti così. Almeno
la laurea la potresti prendere, non ti manca che un esame, gli insegnanti sono utili, se noi giovani non prendiamo
il posto…
IVY Eh no! Decisamente non sei in grado di prendere il ruolo di Massimiliano.
MARZIO Perché?
IVY Ma non vedi che discorsetto moralistico stavi per imbastire? Anche l’impegno politico hai tirato in ballo!
Un discorso sublimato da vero, trito, vecchio papà di provincia. Ah Marzio, non siamo mica a Capua!
MARZIO Ma anche Massimiliano ti spinge sempre a…
IVY Ma con un’altra classe caro, è la classe che conta. Lascia perdere! Accontentati del ruolo di fratello, fin che
sei giovane, perché padre non lo sarai mai, ti manca l’umorismo!
MARZIO anche gli schiaffi li dà con umorismo?
IVY Certo. E non lo dico perché io non li ho mai presi, ma chiedi a Poppy, a Tony. Ogni volta che è successo è
stata un’azione dolce in confronto alla crudeltà mentale del mutismo, la falsa indifferenza, le allusioni in cui ci
rifugiamo tutti noi con l’alibi della privacy, alibi che non nasconde altro che indifferenza e viltà. Lui sa che due
schiaffi possono risolvere una tensione che potrebbe degenerare in qualcosa di volgare, definitivo.
Gli schiaffi del padre sono dolci come carezze, secondo questi figli. In particolare per la
femmina. Ivy è la figlia più intellettuale, forse la più vicina al padre. Su questo spirito
intellettuale di Ivy, Goliarda ci ricama molto un po’ come se giocasse con il proprio e riesce a
costruire un personaggio stratificato, nel suo incrocio serrato tra ironia verso di sé, ironia
verso gli altri e sofisticata alterità linguistica, fino a far dare al personaggio specifiche
indicazioni recitative
IVY È chiaro che io ti riduco la testa a pezzi perché sono “un intellettuale” o "intellettualoide" - come diceva
mio nonno - corrotta nelle idee e nel modo di esprimerle queste idee. E forse, anche nella qualità della voce, che
a furia di subire incrostazioni estetiche s’è incrinata. Che dici, anche la voce?
La Sapienza trova per ognuno di questi personaggi un prolungamento prettamente teatrale,
corporeo, che solo attraverso la scena si può rendere e con cui loro fanno il loro ingresso nello
stanzone. La Nonna Mirò suona la chitarra e canta su motivo della Carmen, Michele
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Poppy entra con «voce affannata e ridente», la bisnonna Lu è «favolosa» quando racconta.
Gli ultimi due componenti della comunità che si aggiungono, a parte papà Massimiliano,
sono Michele e Poppy. E tramite loro si viene a conoscenza di altre due regole della famiglia
elettiva, denunciate da Michele, mentre Marzio e Ivy si scambiano i loro reciproci
apprezzamenti omosessuali.
MICHELE Vietato il satanico erotismo orale delle discussioni politiche, ma soprattutto: è proibito - pena il
rogo - ai membri della famiglia accoppiarsi lascivamente fra loro.
Con l’entrata di Poppy, in compagnia di uno dei suoi «ragazzotti volgari e nerboruti», Achille,
ha inizio una sezione che potremmo definire delle prime incrinature all’interno della struttura
familiare. L’elemento esterno, funge da fattore di squilibrio e fa precipitare la situazione. La
narrazione di Poppy dell’incontro - all’esterno dello stanzone del Cinquecento, in un cimitero,
nei giorni di Pasqua - con questo ragazzo così diverso dai componenti della famiglia elettiva,
introduce la questione della ricerca del sesso, dell’amore e dei rapporti incestuosi con gli altri
membri della casa. Con l’arrivo anche della Bisnonna Lu, Luca, verso cui Poppy ha
chiaramente un debole, il linguaggio tra familiari s’infittisce di sottintesi, citazioni colte, a un
ritmo che pare un’aspirale linguistica e il gioco in famiglia, agli occhi dell’estraneo, diventa
oltre che incomprensibile anche imbarazzante. La Bisnonna chiede alla nipote cosa vuole
sapere dalle stelle, a proposito di questo ragazzo e inforcando i suoi occhiali, assume il
portamento e la cadenza di un vate, una sorta di moderno Tiresia. Poppy afferma che questo
ragazzo l’ha conquistata perché le ha detto di essere un killer e la prova sta nella sua mano,
dove si trova la linea rarissima dell’assassino. La Bisnonna scruta la mano di Achille e con
delusione della ragazza lo smaschera come un «buon ragazzo». La costruzione immaginaria
di Poppy crolla e aderendo totalmente al gioco psichico costruito con Lu e gli altri, caccia
(«melodrammaticamente», quindi recitando) il povero Achille che ormai è confuso e non
riesce più a distinguere verità da finzione. Il ragazzo reagisce violentemente, da burino
romano, dando della «mignotta» a Poppy e del «frocio» a Michele. La situazione precipita.
Michele sbatte fuori Achille che minaccia di chiamare la polizia, poi improvvisamente ribalta
il suo ruolo di fratello, all’interno della famiglia, in quello di padre, assente Massimiliano e da
due sonori ceffoni a Poppy.
MICHELE Senti Poppy, io non sono intervenuto prima perché non c’è Massimiliano e non è compito mio,
ma alla fine non ho potuto non fare qualcosa. E ti devo dire che sì, sei simpatica, ci diverti, ma spesso esageri.
Quello l’ho messo a posto perché - è ovvio - tu sei della famiglia e la famiglia viene prima di tutto. Ma la devi
finire! Hai capito? Soprattutto con gli estranei. La devi finire. Primo perché quando sei eccitata fai delle cose di
cattivo gusto. Secondo, perché questi giochi con persone che non conosciamo non possono una volta o l’altra
non metterci nei guai.
POPPY Ma è successo solo un’altra volta con quel marinaio maltese e…
MICHELE (calmo, senza rispondere, le dà altri due schiaffi)
http://www.turindamsreview.unito.it 6 www.turindamsreview.unito.it ___________________________________________________________________________________________________________ POPPY (come prima non reagisce, solo si porta, timidamente, le mani al viso perché questi secondi schiaffi le
fanno troppo male)
IVY (ironica) - E bravo Michele! Ecco chi potrebbe prendere la parte di papà Massimiliano in caso…
MICHELE E perché ne sei tanto sorpresa?
IVY (non risponde)
MICHELE Tu sei l’unica che ha votato contro di me alla mia ammissione, me lo ricordo.
IVY (non risponde)
MICHELE Vuoi rispondere? Sì, o no?
IVY Plebeo.
MICHELE Plebeo, certo, ma se non la finisci ti do due schiaffi.
IVY (non risponde)
MICHELE (le dà due schiaffi).
IVY (al contrario di Poppy, scoppia a piangere dal dolore, ma stranamente, invece di protestare o fuggire, si
rifugia tra le sue braccia).
MICHELE (la tiene fra le braccia e l’accarezza dolcemente, ma senza sorridere).
Con questa presa di responsabilità di Michele che si fa carico della dolcezza e della durezza
degli schiaffi di papà Massimiliano, costruita dall’autrice attraverso una partitura fisica che va
in crescendo, si assiste anche alla prima rottura dell’alveo familiare. Il legame incestuoso tra
fratelli ma anche tra figlia e padre è dichiarato. Ivy, dopo aver investito Michele del potere di
papà Massimiliano, permette anche a sé stessa d’innamorarsene (come dire che s’innamora
del padre, secondo una proprietà transitiva), di fronte allo scherno e alla ribellione di tutti gli
altri membri della famiglia (Mamy Tony, muta in un angolo, «muta come una statua», dirà
perfino «Mi fanno schifo»).
Da qui in poi il vento cambierà e Ivy e Michele si abbandoneranno a una vera e propria
relazione amorosa, con tutti i cliché dell’amore, di cui Goliarda fa uso a piene mani,
mescolando il colto con il popolare (il bacio lungo alla Love Story canticchiata alla chitarra, i
riferimenti fumettistici, la citazione pirandelliana al Come tu mi vuoi). Il primo tempo si
chiude con questo cambio di rotta e con l’improvviso ingresso, in abito elegante, di
Alessandro, che si fa annunciare dalla VI^ di Beethoven, fischiata come ha imparato a fare da
Mamy Tony. Tutti spererebbero di sentire arrivare papà Massimiliano.
Alessandro viene presentato alla famiglia elettiva da Zia Rita, in un frangente in cui le
prime falle della rete familiare sono emerse agli occhi di tutti.
BISNONNA LU Due ore fa, qualcosa, come un vento sotterraneo, ha scosso l’equilibrio di queste mura e
della compagnia […] è stato qualcosa di inafferrabile…
http://www.turindamsreview.unito.it 7 www.turindamsreview.unito.it ___________________________________________________________________________________________________________ Ciò non impedisce al giovane ragazzo di farsi strada fra gli altri come fosse uno di loro. Come
loro anche lui fugge da una famiglia originaria che percepisce come prigione (una sorella
fuggita con lo zio - di nuovo l’incesto che come ombra lunga si disegna nel destino comune
di questa famiglia elettiva - un matriarcato che lo idolatra). Con l’arrivo dell’ultimo
componente della famiglia, la zia Kriss, di origine americana, che si era fatta annunciare da un
«cablo», si stabilisce subito un’affinità particolare tra lei ed Alessandro («e se piace a me che
ho in orrore gli uomini, meno quelli della famiglia naturalmente, vuol dire che è uno dei
nostri»). Ma per l’ingresso ufficiale del nuovo eletto bisogna aspettare l’arrivo di
Massimiliano. Di nuovo viene evocata la figura del padre, questa volta da zia Kriss, in una
forma che accresce sempre più l’immagine mitica paterna (interessanti le metafore
alchemiche) e soprattutto l’attesa nello spettatore, le cui aspettative sono, ora, elevate quanto
quelle dei personaggi. Goliarda, in questo modo, ci prepara abilmente al ribaltamento finale.
KRISS Non c’è? Già, mi sembravate meno belli e anche la stanza meno illuminata! Ma verrà. (Ad
Alessandro) Vedi noi abbiamo un padre che ci illumina come un sole…
NONNA MIRO’ (Ad Alessandro) …che è poi "luce solidificata" o "sole terreno" o…
ALESSANDRO "oro vivente" in linguaggio alchemico…
MARZIO La nostra pietra filosofale, lo specchio mistico!
KRISS Appunto, ci illumina talmente con l’oro del suo sguardo che quando non c’è tutto ingrigisce…Mi viene il
sospetto che lo faccia apposta a sparire - così raramente, d’accordo - ma così a lungo per farci capire quanto ci è
necessario…Ma non è da lui. Che dicevo? Ah sì, Massimiliano… è sempre qui a covarci, spingerci, aiutarci. Lo
sai?
ALESSANDRO La zia Rita me l’ha detto e mi ha detto anche che l’adorate.
È l’ultima volta che sentiremo paragonare papà Massimiliano
all’astro nascente del sole, che indica a tutti la strada. A questo
punto è necessario fare un salto e abbandonare la fabula della
storia per soffermarci sulla lettura della parte finale, a mio
parere la più interessante. Facciamoci aiutare dall’alchimia, a
cui Goliarda attinge per necessità poetica e da quel verbo che
usa Kriss per parlare di Massimiliano, «è sempre qui a
covarci». Covarci, come una madre chioccia, oltre che padre.
Proviamo a creare un collegamento tra il sole, nel linguaggio alchemico, e la forza generatrice
femminile che sta nel verbo covare. Secondo l’alchimia Horus, il sole, è figlio di Iside, centro
della galassia e madre della creazione ma secondo un segreto dell’antico Egitto, il centro della
galassia è anche chiamato Sole Nero, un sole segreto al centro dell’universo oltre quello che
vediamo, un sole nascosto. Ed è questo sole segreto che incarna l’eterno femminino, la soror
mistica. La stessa Goliarda, in un racconto di Destino Coatto ci offre una suggestiva
immagine del Sole, molto poco maschile e molto poco solare.
http://www.turindamsreview.unito.it 8 www.turindamsreview.unito.it ___________________________________________________________________________________________________________ Un fiore grande si spalancava davanti a me nel buio. Sanguinava rossi d’uovo sul mio collo. Si avvicinava
ingrandendosi. Devo aprire gli occhi. Non era un fiore, era il sole. Il sole mi spingeva per la spalle e mi
costringeva a correre lungo la fiumara. […] C’era un fiore grande e colava rosso d’uovo, sulla coperta. Era per
questo che la coperta pesava. Era meglio chiudere gli occhi: quel dolore sarebbe passato. […] Il fiore ora si
avvicina e mi cola rosso d’uovo sulla faccia. Devo chiudere gli occhi. Ma non si chiudono, qualcuno me li tira,
me li spalancav.
Per Goliarda il sole è un fiore rosso che sanguina, spinge, ingrandisce, costringe a chiudere e
ad aprire gli occhi, con fatica. Questo movimento di apertura e chiusura farà passare il dolore.
Apertura e chiusura anche verso le cose del mondo. Se seguiamo, anche per il personaggio di
papà Massimiliano, questa metafora con il sole possiamo capire come il suo ruolo cambia
quando, da astro visibile lui diventa invisibile, nascosto (appunto il Sole Nero in linguaggio
alchemico). Perché dove si trova Massimiliano?
Con il rito d’iniziazione e di presentazione di Alessandro alla famiglia, condotto dalla
Bisnonna Lu, tutti gli spazi meno visibili e più nascosti dello stanzone vengono rivelati,
perché il rito è in realtà un processo di svelamento di tutte le vere storie e le vere personalità
di questi giovani ragazzi, che spiegano cosa hanno trovato in questa famiglia elettiva che
prima non avevano. Nel farlo, compiono «gesti più o meno scomposti e illogici», disposti in
circolo all’interno di una «grande ruota della vita, intonando un canto magico appena
sussurrato, oscillando il capo in un mistico rapimento».
BISNONNA LU Vedi, hanno composto la grande ruota della vita. Adesso, come il sole, questa ruota
comincerà a girare diffondendo luce e rispondendo a noi che vogliamo sapere. E sospinti dal fiato del sole: fiato
di mare e di vento, ognuno di loro ti dirà quello che vuoi sapere.
Se Massimiliano è metafora del sole che li illumina, dove è nascosto ora? Se c’è un rito c’è
anche un sacrificio. La Bisnonna Lu ha rivelato ad Alessandro, la grande e splendente libreria
che è stata realizzata con il lavoro di tutti ma soprattutto di Massimiliano e dietro alla quale si
trova il segreto della famiglia: la stanza di papà Massimiliano. Appoggiando una mano su
alcuni libri, una parete di scaffali rivela una porta che accede a una camera. Subito la
Bisnonna la richiude perché Massimiliano ha proibito a tutta la famiglia di entrarvi. Eppure
qualcosa lì dentro, durante il rito, sta accadendo. Un sacrificio viene consumato, il sole di
luce, l'oro vivente, suggerì Alessandro, sta diventando il Sole Nero o il Fiore Rosso di Destino
Coatto.
Nel finale, con l’arrivo della polizia, la bisnonna Lu entrerà nella stanza di Massimiliano e ve
lo troverà morto, disteso sulla pancia, nel suo immenso bellissimo corpo di nero, con sul
petto, sul dorso, sui palmi e sui polsi delle mani, una parola impressa in rosso sanguigno:
VERGOGNA.
ANTONIA (accarezzandolo) […] l’ha fatto mentre eravamo qui!
[…]
ANTONIA Sì, lì nel petto c’è scritto vergogna. Scritto in rosso…sembra sangue.
http://www.turindamsreview.unito.it 9 www.turindamsreview.unito.it ___________________________________________________________________________________________________________ Massimiliano si è suicidato con l’arsenico nella sua stanza chiusa, invisibile, nascosta, mentre
la famiglia inventata, alla luce del sole che lui aveva fatto rischiarare nella vita di ciascuno,
compiva un nuovo rito d’iniziazione. Lo spazio e il tempo in cui avviene il suicidio, prima che
il corpo venga portato fuori, dalla camera dietro la libreria allo stanzone, è essenziale per
capire il significato della parola Vergogna che il ragazzo-padre s’imprime sul corpo. Lui non
voleva più illuminare, voleva oscurarsi, non voleva essere visto ma nello stesso tempo voleva
continuare ad essere il centro della galassia di questa famiglia, voleva metterli di fronte alla
sua morte, al Sole Nero, perché anche loro provassero vergogna di loro stessi. La Vergogna
non è concessa a chi si espone in maniera sfacciata alle bocche e agli occhi degli altri che
forse intuiscono ma non sanno. E come potrebbero sapere…però la vergogna è anche umana
ma allora deve poter diventare coraggio, risata liberatoria, sfida. Massimiliano non ci riesce e
vive solo l’incapacità di far coesistere verità differenti, quella verso sé stesso, quella verso la
famiglia elettiva di cui si sente unico responsabile, quella verso il mondo di fuori che ha
regole feroci e differentivi.
FRANCESCA R. […] l’ho visto quando mi ha portata con lui a lavorare: lì dove lui lavorava nessuno sapeva
niente: era virile lì, negro e virile. […] La verità è che era un supplizio vederlo fra la gente. Un supplizio vedere
come si nascondeva: si nascondeva come un ladro.
[…]
KRISS […] non si vergognava, come dice Luca, dei vostri intrighi sentimentali. Si vergognava, come io mi
vergogno, perché trafficava in droga con me.
[…]
MARIO Di questo si vergognava, di questo! E’ morto della vostra cecità di comodo. Io sapevo tutto ed in tutti i
modi l’ho aiutato: lavorando, ammazzandomi di lavoro. Ma niente bastava per questo pozzo di esigenze che
piano piano siete diventati!
LUCA Noi abbiamo cominciato a stare insieme come fratelli: volevamo essere una società di fratelli senza
padre né madre e dovevamo come fratelli, condividere tutti le responsabilità psichiche e finanziarie del gruppo.
Poi la parola padre saltò fuori e l’errore…
[…]
MICHELE Abbiamo cominciato come fratelli e siamo diventati un gregge con a capo un dittatore che ci dava
tutto per appagare il suo narcisismo. Per essere indispensabile ha dovuto fare compromessi su compromessi, col
mondo. E a furia di compromessi si è vergognato: si è vergognato perché ha capito che l’esperimento era fallito.
Di questo si è vergognato! Siamo stati dei pazzi illusi: non si fa un’isola pura in un mare d’impurità. Non si può
essere puri in pochi, fra milioni di gente corrotta.
POPPY (urlando come una belva) - Vergogna! Vergogna! Massimiliano ha fatto bene ad uccidersi. Lo sapeva
che non l’amavate! […] Voi non l’amavate come lui vi amava!
MARZIO No, Poppy, no! Non voleva bene a nessuno lui, a nessuno, e s’è ucciso per farci vergognare come lui
si vergognava, sempre!
[…]
http://www.turindamsreview.unito.it 10 www.turindamsreview.unito.it ___________________________________________________________________________________________________________ IVY (urlando anche lei) - E va bene! S’è ucciso per vendicarsi e ha fatto bene perché vi vedo, ora! Vi vedo!
Vili! S’è ucciso per smascherare i vostri loschi affari e la vostra paura davanti alla morte.
[…]
LUCA (calmo) Ivy ha ragione: i morti ricattano. Forse lui non voleva, ma la sua morte è un ricatto. Io resto con
Mario e Ivy a fronteggiare questo ricatto, ma chi non se la sente vada pure via. Per me questo non è
Massimiliano. Massimiliano era quello vivo, forte e vitale che terremo sempre in mente.
Ora che i membri della famiglia hanno smesso di chiamarsi infantilmente per nomignoli e
hanno preso coscienza della realtà, da adulti che riprendono possesso dei loro nomi e quindi
di chi sono, il rito può concludersi del tutto. E’ proprio Alessandro, l’iniziato, un nuovo
fratello, che propone di dare alle fiamme il sacrificato, il corpo del padre, buttandolo nel
forno. Nello stanzone c’è un forno dove un celebre scultore (amato e apprezzato da Goliarda),
Leoncillo, vi cuoceva le sue statue. Il rito finisce nella cavità (un altro degli spazi segreti e
nascosti della villa) dove gli strumenti dei riti pagani, le statue appunto, prendono forma e
consistenza.
Con parole come «stanzone» e «forno e lucore rossastro dell’aurora» e «il cadavere di
Massimiliano che si vedrà vividamente illuminato», è inevitabile il richiamo, a mio parere,
all’atmosfera lontana dei campi di sterminio e dei genocidi di massa. Come se il cadavere del
padre, il «dittatore», come l’ha definito Michele, fosse il simbolo, in realtà, della caduta
definitiva e irreversibile di autoritarismi e ideologie.
Ma Goliarda vuole concludere questa sua Rivolta dei fratelli con un’immagine che sappia
di rinascita e rigenerazione, a rischio di un happy end, a tratti forzato. Infatti un nuovo
ragazzo, di nome Salvador, simile in tutto a Massimiliano, venuto dal Brasile, arriverà a
prendere il suo posto, portando una lettera in cui Massimiliano stesso prende congedo dalla
sua famiglia. Questo ragazzo sa di mare, di vento, di lontananza, sensazioni familiari alla
scrittrice che meglio di chiunque, sa quale rinascita si prepara dietro «la morte assoluta di ciò
che si era prima.
http://www.turindamsreview.unito.it 11 www.turindamsreview.unito.it ___________________________________________________________________________________________________________ Note
i
Per l’attività di Goliarda Sapienza come cinematorgrafara al fianco del compagno Citto Maselli, si veda
l’approfondito capitolo “Cinematorgrafara” (anni Cinquanta) della biografia di Giovanna Providenti La porta è aperta
Vita di Goliarda Sapienza (p.116, 117,118)
ii
Goliarda Sapienza, Introduzione a Destino Coatto, Einaudi, Torino 2011, p. 7
iii
«Dal luglio all’ottobre del 1961 Iuzza si trasferisce a Positano in una bellissima villa affittata da Citto Maselli che,
impegnato a girare l’episodio Le adolescenti, del film inchiesta coordinato da Zavattini, dal titolo Le italiane e
l’amore, viene solo alcuni weekend di luglio e poche settimane in agosto […] a Positano, tanto tempo prima, aveva
compreso il valore dei momenti trascorsi immersa nel silenzio sereno e mistico della natura, quando smettendo di
correre come ciclista povera verso traguardi illusori, si rifugiava in quel paradiso godendosi con riconoscenza la
parte di gioia e bellezza che la vita le aveva riservato» (Giovanna Providenti, La porta è aperta, p. 125, 159, 150).
Per gli ulteriori riferimenti al significato mistico che riveste Positano per l’autrice si veda l’inedito Appuntamento a
Positano.
iv
«Avevano così iniziato a raccontarsi le loro infanzie, scoprendo sofferenze comuni, essendo stati entrambi, da
bambini, costretti a “prostituirsi” per compiacere le attese dei propri genitori. “Secondo me si vendicano della propria
infanzia…” “ Cosa vuoi dire?” “ Sì…, di essere stati anche loro costretti a negare gioie, curiosità… cosa c’è di meglio
per sfogare tutte quelle gioie negate, tutte quelle energie legate, che tirare pugni o schiaffi sull’argilla morbida e la carne
tenera di un bambino? Anche eroticamente attraente! E così legale!” “Hai ragione, nelle famiglie si verificano continui
delitti legalizzati contro i bambini…dei veri e propri omicidi familiari…se ne dovrebbe occupare anche la
politica…come per la questione operaia!” “ Il bambino è il primo operaio sfruttato, dipende dai grandi e sempre, per un
tozzo di pane, si abbassa a “divertire”, leccare le mani dei padroni, si lascia accarezzare anche quando non ne ha voglia!
…anch’io sbattuta fra tutte quelle mani conobbi la prostituzione di cantare quando loro volevano, di imitare l’avvocato
amico di mio padre. Persino a far finta di piangere per farli commuovere ho imparato!”» (G. Providenti, La porta è
aperta Vita di Goliarda Sapienza). Il gruppo di ragazzi di La Rivolta dei Fratelli subisce e combatte la stessa
condizione su cui si confrontano Citto e Goliarda all’inizio della loro relazione.
v
Goliarda Sapienza, Destino Coatto, Einaudi, Torino 2011, p. 56-58.
vi
Vale, per il personaggio di Massimiliano, ciò che Goliarda scrive in Lettera Aperta inedito riferendosi ai guardiani
del campo e che ritroviamo nella biografia della Providenti riferito agli anni d’incubazione della scrittura, cinquanta e
sesanta. «quei soldi erano il prezzo che paga la società per prepararci a passare dalla parte dei guardiani del campo,
entrai nel compromesso, mi rattrappii nel servaggio di avere successo ai loro occhi, di piacere. Rattrappita credevo alla
loro serietà e alla mia e per venti anni rimasi anchilosata a servirli, a dire parole ambiugue. A fare finta di non aver
paura e a non dormire la notte per la paura dei loro atti…lotta di venti anni fra questo bambino che lottava contro quel
grande conformista nelle mie vene, riducendomi in un’agonia che mi invadeva piano piano le gambe, le mani, i
pensieri, spingendomi fino alla morte vera in quella clinica dove mi svegliai cadavere con quei due dentro di me che
ancora lottavano e non riuscivano a mettersi d’accordo…» (G. Sapienza, Lettera Aperta, p. 158).
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