Indice - Pagine personali del personale della Scuola Normale di Pisa
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Indice 0. Introduzione 1. Le motivazioni nella scelta sociale p. 4 1.1. Livello di analisi p. 4 1.2. Motivazioni individuali e sociali p. 5 1.3. Le intenzioni p. 8 2. Individui e gruppi p. 10 2.1. L'individuo nella teoria della decisione classica p. 10 2.2. La scelta sociale classica p. 11 2.3. L'intenzione nella scelta individuale p. 13 2.4. L'intenzione nella scelta collettiva p. 14 3. Gruppi e individui alla luce delle intenzioni p. 16 3.1. Endogeno p. 17 3.2. Esogeno p. 19 1. La razionalità individuale nella teoria della decisione classica 1. L'agente economico 1 p. 4 p. 22 p. 22 1.1. Funzioni di utilità p. 24 2. Un problema di decisione p. 28 2.1. Certezza p. 29 2.2. Rischio p. 30 3. Stati di informazione 3.1. Una frittata di Savage 4. Utilità attesa soggettiva: prospettive aperte 2. Le intenzioni di un agente individuale nel modello BDI p. 35 p. 37 p. 40 p. 44 1. Convinzioni, Desideri e Intenzioni p. 44 2. Modello BDI e piani d'azione p. 46 2.1. Il problema dell'azione a distanza p. 49 2.2. La soluzione di Bratman p. 52 2.3. Caratteristiche dei piani d'azione p. 54 3. Razionalità per un agente: coerenza interna p. 57 4. Razionalità per un agente: coerenza esterna p. 59 5. Alcune considerazioni sul modello BDI p. 60 5.1. Condizioni di riconsiderazione p. 61 5.2. “Riciclaggio” delle intenzioni scartate p.61 5.3. Aggregazione p. 62 3. Le intenzioni collettive: individui e gruppi p. 64 1. Intenzioni e problemi di decisione p. 64 2. Le due anime della scelta sociale p. 67 2.1. La scelta sociale come aggregazione di preferenze individuali p. 68 2.2. Il teorema di Arrow 2 p. 74 3. Intenzioni collettive p. 79 4. Individui p. 81 5. Gruppi p. 85 5.1. Meccanismo endogeno p. 86 5.2. Meccanismo esogeno p. 89 5.3. Dati empirici p. 93 6. La policy p. 95 7. Condizioni di riconsiderazione p. 99 4. Conclusioni p. 103 5. Bibliografia p. 107 3 0. Introduzione 1. Le motivazioni nella scelta sociale Scopo di questo lavoro è mettere in luce un modo di concettualizzare la scelta sociale che permetta di studiare alcuni temi fondamentali legati all'interazione tra individui e gruppi. In quanto segue cercherò di sviluppare una analisi qualitativa dell'agire sociale in cui le intenzioni giocano un ruolo di primo piano nella caratterizzazione della razionalità. Il parametro dell'intenzione sarà preso in esame sia nel contesto della decisione individuale, sia in quello della scelta collettiva, mettendo in luce i modi in cui i due contesti interagiscono tra loro. 1.1 Livello di analisi L'analisi proposta si pone su un livello normativo. Ciò che si vuole studiare è una caratterizzazione della razionalità di individui e gruppi, partendo da un assunto molto generale che chiameremo ipotesi di razionalità. Secondo questa ipotesi, si assume che un agente razionale possieda un insieme di informazioni sul mondo e delle motivazioni ad agire, corrispondenti al suo interesse personale, e 4 che sulla base di questi due elementi avvenga la deliberazione attraverso cui l'agente determina quali mezzi utilizzare per raggiungere lo scopo dato dalle sue motivazioni. In breve secondo l'ipotesi di razionalità un agente razionale agisce come se fosse diretto ad uno scopo. Entrambi gli aspetti, delle informazioni e delle motivazioni, sono stati approfonditamente studiati nell'ambito della teoria della decisione. Formalizzare l'aspetto delle informazioni, come conoscenze o convinzioni dell'agente, è un problema non banale, come dimostra l'ampia letteratura epistemologica. Noi ci concentreremo sull'aspetto delle motivazioni all'azione, che costituiscono lo scopo dell'agente razionale, che individuiamo in due diversi tipi di attitudini proposizionali: desideri e intenzioni. 1.2 Motivazioni individuali e sociali. 5 Nella teoria della decisione classica, che tratteremo nel capitolo 1, solo i desideri rientrano come parametro motivazionale nella scelta razionale, e sono rappresentati da un profilo di preferenze.1 Questo profilo è ottenuto, come vedremo, registrando le preferenze di un agente rispetto a coppie di alternative che gli sono sottoposte. Se le risposte sono coerenti fra loro, le preferenze possono essere rappresentate da una funzione di utilità, e lo scopo dell'agente razionale è quindi di massimizzare la propria funzione di utilità. L'homo economicus è un esempio tipico di agente razionale secondo questa definizione, se limitiamo l'interesse personale dell'agente al profitto. Un profilo di preferenze unitario identifica, al livello di descrizione offerto dalla teoria della decisione, un agente individuale. Tuttavia non è detto che l'individuo sia una persona singola, ma può anche trattarsi di un gruppo, nei casi in cui i suoi membri siano uniti da un interesse comune: Esempio 1. Un gruppo di amici vuole organizzare insieme una vacanza. Si riuniscono, discutono le varie alternative, soppesandole in funzione del budget di spesa e individuano la migliore combinazione. Un modo in cui possono decidere tra le alternative disponibili, è votandole a maggioranza. Oppure, possono scegliere di delegare una persona sola ad occuparsi di tutto. In entrambi i casi, il gruppo nella decisione finale si comporta come un individuo che massimizza una funzione di utilità unica, che rappresenta il profilo di preferenze aggregato del gruppo. Esempi di questo tipo compaiono nei manuali di microeconomia per illustrare la scelta del consumatore.2 1 Cfr. Rubinstein (2006) 2 Cfr. Id. 6 Non tutti i gruppi, però, presentano un profilo di preferenze unitario. Spesso, pur essendo chiaro che è in atto una scelta sociale, non è possibile individuare un profilo di preferenze che sia comune a tutti gli agenti coinvolti: Esempio 2. Lia decide di affittare una casa. Va dall'agente immobiliare, insieme concordano un canone d'affitto, e al termine di una transazione Lia può usufruire dell'alloggio, mentre l'agente riceve la somma dovuta. Lia e l'agente immobiliare costituiscono un gruppo in quanto agiscono di comune accordo, ma i loro profili di preferenza sono diversi: Lia, in assoluto, preferirebbe avere la casa senza pagare l'affitto, mentre l'agente prenderebbe volentieri i soldi senza cedere l'alloggio. La situazione è un caso di interazione strategica: la soluzione cooperativa, in cui Lia e l'agente si scambiano i rispettivi beni, è la seconda preferita da entrambi, ma la scelta di non cooperare è quella dominante, e se Lia e l'agente fossero due agenti razionali, e non intervenissero altre motivazioni ad influenzare la loro decisione, si ritroverebbero entrambi a tenersi ciò che avevano già. Esempio 1' : Luca deve prendere una decisione difficile: ha la scelta tra andare in vacanza con gli amici oppure partire da solo per un viaggio che ha sempre desiderato di fare. I suoi desideri sono contrastanti: non ha una preferenza netta per l'una o l'altra soluzione, ma motivazioni diverse in sostegno di entrambe. A vantaggio della prima soluzione, c'è la possibilità di passare del tempo piacevolmente in compagnia, e l'impegno già speso per mettersi d'accordo 7 con gli altri. A favore del viaggio solitario c'è il fascino dell'avventura. Per prendere una decisione Luca deve pesare le sue preferenze contrastanti, aggregandole in un profilo unico. Negli esempi sopra riportati, c'è una difficoltà nel distinguere tra le motivazioni di individui e gruppi sulla base delle sole preferenze. Nel primo caso, i membri di un gruppo non sono distinguibili al suo interno, nel secondo non si riesce a identificare una dinamica di gruppo, dove il successo della soluzione cooperativa è chiaramente una motivazione per l'azione di gruppo. L'esempio 1' illustra inoltre come anche le motivazioni interne di un agente individuale possano ad un certo livello di analisi essere descritte come delle strutture di gruppo. Aggiungendo un altro parametro, dato dalle intenzioni individuali e collettive degli agenti, è invece possibile analizzare la scelta sociale al livello dell'interazione tra individui e gruppi. 1.3 Le intenzioni. Dedicheremo il secondo capitolo a presentare brevemente le caratteristiche essenziali delle intenzioni, seguendo l'approccio sviluppato nell'ambito della teoria BDI3 per descrivere le intenzioni di un agente individuale. Nel capitolo 3, invece, estenderemo la nostra analisi per applicare il 3 BDI sta per beliefs, desires e intentions, che abbiamo tradotto con convinzioni, desideri e intenzioni. Cfr. infra, cap. 2 8 parametro delle intenzioni ai contesti di interazione sociale. Un'intenzione è un'attitudine proposizionale, non riducibile in termini di desideri e convinzioni, che esprime una pre-determinazione o un impegno nei confronti di un'azione da compiere in futuro. L'intenzione è il risultato di un processo di deliberazione ed è strumentale al raggiungimento di uno scopo. Ad esempio, gli amici dell'esempio 1 hanno ciascuno l'intenzione di trascorrere una vacanza insieme. Si sono impegnati di fronte agli altri facendo dei programmi comuni, che sono vincolati a rispettare per raggiungere il loro scopo. 9 Una volta formata, un'intenzione funziona infatti in modo tale da strutturare il contesto in cui avvengono le successive deliberazioni da parte dell'agente: queste sono finalizzate alla determinazione via via più accurata di un piano d'azione, in cui vengono dunque a doversi coordinare tutte le intenzioni successivamente formate.4 Così, perché l'agente non sia irrazionale, non è una condizione sufficiente che i suoi desideri siano coerenti, ma si aggiungono due ulteriori vincoli, riguardanti la pertinenza e l'ammissibilità delle alternative prese in considerazione nel problema di decisione, date le intenzioni già formate dall'agente. Anzi, la coerenza dei desideri non è più nemmeno una condizione necessaria, dal momento che l'agente può essere razionale pur avendo desideri contraddittori, ma formare piani d'azione consistenti. Questi vincoli di consistenza si pongono su un piano diverso rispetto a desideri e convinzioni, perché non intervengono direttamente nella deliberazione, ma funzionano rispettivamente come incentivo alla deliberazione e come filtro rispetto alle alternative ammissibili5 Esempio 3. Luca ha deciso di andare in vacanza con gli amici, che hanno intenzione di partire il 3 di agosto per il mare. Dato che la località da raggiungere è lontana dalla sua città, Luca per poter portare a compimento il suo piano ha bisogno di pensare a come raggiungerla, dunque deve formare un'intenzione riguardo al mezzo di trasporto di cui si servirà, e magari prenotare un volo aereo. Cioè, ha un incentivo a trovare specificazioni pertinenti al suo piano. In secondo luogo, l'alternativa di prendere il treno per andare in montagna 4 Cfr. Bratman (1987) 5 Cfr. Id. 10 lo stesso giorno non verrà neanche formulata da Luca, perché incompatibile con l'intenzione iniziale. 2. Individui e gruppi Il capitolo 3 sarà interamente dedicato a sviluppare un'analisi della scelta sociale alla luce del nuovo parametro delle intenzioni. In questo capitolo proponiamo un approccio originale per caratterizzare la razionalità, centrato su due ipotesi fondamentali, l'ipotesi di razionalità e l'ipotesi di socialità, attraverso le quali sarà possibile comprendere l'interazione tra individui e gruppi. Per avviare un'analisi di questo tipo dovremo dunque avere chiara in primo luogo la distinzione tra individui e gruppi, e un'idea di come e sotto quali condizioni gli agenti si possano aggregare in gruppi. 2.1 L'individuo nella teoria della decisione classica. Il punto di partenza per la caratterizzazione dell'agente individuale è la teoria della decisione classica. L'assunto centrale di questa teoria, che noi manterremo, è l'ipotesi di razionalità, in cui l'aspetto motivazionale è letto in chiave dei desideri dell'agente, rappresentati in termini di relazioni di preferenza tra alternative disponibili. Le relazioni di preferenza rappresentano l'interesse 11 personale dell'agente e si dimostra che, se le preferenze soddisfano certi criteri di coerenza, questo può essere misurato con una funzione di utilità.6 Ma per quanto sia possibile calcolare una funzione di utilità cardinale per un agente individuale, le funzioni di utilità di agenti diversi non sono generalmente confrontabili. Da questa constatazione deriva il problema fondamentale nella teoria della scelta sociale: trovare un modo per aggregare le preferenze di più agenti. 2.2 La scelta sociale classica Prima di analizzare il problema dell'intenzione collettiva, esamineremo il modo in cui è analizzato il problema dell'aggregazione delle preferenze nella teoria della scelta sociale. Useremo poi le intuizioni fondamentali di questa teoria come linee guida intuitive nell'analisi della formazione di intenzioni di gruppo. Il problema dell'aggregazione dei profili di preferenza di più agenti è stato infatti a lungo studiato nell'ambito della teoria della scelta sociale, dove è stato ricondotto in modo particolare al problema di individuare dei meccanismi di voto che soddisfino determinati criteri di “ragionevolezza”.7 Lo scopo di un meccanismo di aggregazione delle preferenze è infatti quello di creare un profilo di preferenze collettivo (social welfare) che soddisfi proprietà intuitivamente desiderabili come la transitività e sia una funzione (ragionevole) delle preferenze degli agenti individuali di partenza. 6 Cfr. von Neumann-Morgenstern (1944), Luce-Raiffa (1957) e Savage (1954). 7 Cfr. Arrow (1951) 12 Un esempio particolarmente rilevante di aggregazione è quello studiato nel contesto delle procedure elettorali. La letteratura sull'argomento ha ben presto messo in luce le difficoltà, in linea di principio, di elaborare meccanismi di voto che soddisfino criteri intuitivamente ragionevoli. In generale è possibile ideare meccanismi di questo tipo solo se le alternative su cui il gruppo di agenti è chiamato ad esprimere le proprie preferenze sono al più due. In particolare, si dimostra che in questo caso il migliore meccanismo di aggregazione è il voto a maggioranza.8 Nel caso in cui si diano tre o più alternative sociali, Arrow ha dimostrato che non esiste un meccanismo di aggregazione non dittatoriale che sia generalmente soddisfacente.9 Dati i risultati e le difficoltà che emergono dall'impostazione della teoria della scelta sociale, la nostra proposta è di considerare le intenzioni come parametro motivazionale in aggiunta ai desideri, mantenendo l'impostazione generale data dall'ipotesi di razionalità. Così facendo, vedremo che l'impostazione del problema della scelta individuale e sociale cambia in modo significativo. Inoltre, l'importanza posta sul vincolo di coerenza tra le preferenze di un agente ne esce molto ridimensionata. Infatti anche ammettendo che un agente abbia desideri contrastanti, ciò non conduce generalmente a comportamenti irrazionali fintanto che la sua condotta soddisfi opportuni criteri di consistenza,10 che verranno discussi in dettaglio nel capitolo 3. 8 Cfr. May (1952) 9 Cfr. Arrow (1951) 10 Cfr. sopra, esempio 1'. 13 2.3 L'intenzione nella scelta individuale Una cosa che non rientra nell'impostazione della teoria della decisione classica, è una valutazione del modo in cui gli agenti si pongono di fronte ad un problema di decisione. Infatti, la prospettiva in cui si pone la teoria della decisione classica non è quella di una costruzione dinamica, ma di una analisi di dati. Dato un problema di decisione, le cui condizioni sono interamente specificate, la teoria della decisione ha lo scopo di prescrivere come fare la scelta razionale. Ma se vogliamo anche sapere come si costruisca quello stesso problema di decisione, quando possiamo dire che è ben posto, in breve se vogliamo capire in cosa consista la razionalità di agenti che sviluppano le proprie decisioni nel tempo, pur riconoscendo l'inevitabilità dell'idea di base dell'agente come massimizzatore di utilità, dovremo cercare un modo per raffinare la nostra analisi. Un'opportunità in questa direzione ci è fornita dalle intenzioni, che con i vincoli di pertinenza e ammissibilità che pongono alle successive deliberazioni, costituiscono un elemento di auto-motivazione interno alla prospettiva dell'agente. Esempio 4. Lia ha una motivazione interna – l'intenzione di stipulare un affitto – per prendere in considerazione come pertinente l'ipotesi di pagare dei soldi. È inoltre in grado di rivolgersi all'agente immobiliare sulla base di una intenzione da questo pubblicamente manifestata di dare case in affitto in cambio di un corrispettivo in denaro. Se l'agente immobiliare non avesse manifestato questa intenzione, Lia non avrebbe nessuna ragione per rivolgersi a 14 lui, né per formare alcuna intenzione relativa al pagamento di soldi in cambio di un contratto d'affitto. Introdurre il parametro delle intenzioni ci permetterà di dare una rappresentazione più espressiva, rispetto alla teoria della decisione classica, del concetto di scelta razionale e rende efficiente la deliberazione di agenti che tendono a conseguire i propri obiettivi sviluppando piani d'azione in un contesto dinamico. Se consideriamo questo aspetto, è evidente il vantaggio in termini di adattamento all'ambiente che deriva dall'agire secondo intenzioni, soprattutto se prendiamo in considerazione l'ambiente sociale, dove ciò rende possibile coordinare tra loro i piani di azione di più agenti. 11 I meccanismi attraverso cui avviene la coordinazione sociale saranno appunto l'oggetto della nostra analisi nel capitolo 3. 2.4. L'intenzione nella scelta collettiva La relativa persistenza nel tempo delle intenzioni, che funzionano come vincolo per la condotta dell'agente finché non si presentino ragioni che lo inducano a riconsiderarle, rende possibile formarsi ragionevoli aspettative circa le sue azioni future, o per lo meno circa la sua politica generale di azione. Questo vale per l'agente individuale, che, come vedremo, sulla base delle intenzioni che 11 Cfr. Bratman (1987) 15 forma si costruisce la propria immagine di sé, ma è un fattore che interviene anche nel comportamento sociale, dove la condotta degli altri agenti coinvolti in una situazione di interazione sociale costituisce un elemento fondamentale del problema di decisione. Un'intenzione pubblicamente espressa può costituire un impegno sociale dell'agente. Nell'esempio 2, Lia ragionevolmente si aspetta di poter usufruire dell'alloggio, perché si è rivolta all'agente immobiliare proprio sulla base delle sue intenzioni manifeste. La presenza di aspettative sociali indotte dalle intenzioni manifestate dagli agenti, nel caso dell'esempio, che possiamo generalizzare come una situazione modello dello scambio di beni privati, rende possibile l'accordo tra due agenti caratterizzati da profili di preferenze altrimenti conflittuali. Nell'esempio 3, invece, risulta evidente che l'intenzione espressa dagli amici e da Luca di fare una vacanza insieme vincola le loro scelte future, perché una possibile violazione avrebbe una ripercussione negativa sulla reputazione di Luca di fronte al resto del gruppo. Questo è un caso di organizzazione sociale che non presuppone alcuna forma di sanzione nel caso in cui l'accordo preso non sia rispettato, ma impone comunque un vincolo normativo in virtù dell'interesse che ha l'agente a conservare la propria reputazione. Se Luca decide all'improvviso e senza motivo di cambiare programma, rischia di essere giudicato inaffidabile e di non riuscire più ad accedere facilmente in futuro ai vantaggi della cooperazione sociale.12 Esiste inoltre una quantità rilevante di dati empirici, a cui faremo 12 Analizzeremo in dettaglio il vincolo della reputazione nel capitolo 3, in relazione al problema del free rider. 16 riferimento all'interno dell'analisi condotta nel capitolo 3, sull'importanza delle reputazione degli agenti in contesti di interazione strategica, da cui emerge chiaramente, come vedremo, il fatto che la presenza di agenti con diverse attitudini rispetto alla collaborazione in situazioni del tipo dilemma del prigioniero determina il tipo di soluzione adottata, soprattutto quando l'esperimento è reiterato.13 3. Gruppi e individui alla luce delle intenzioni Se per le preferenze disponiamo di meccanismi di aggregazione, per quanto problematici, come le votazioni, di cui parleremo nel capitolo 3, per aggregare le intenzioni non abbiamo a disposizione alcuno strumento appropriato nella teoria della decisione classica. Argomenteremo che modo attraverso cui si formano le intenzioni collettive è una deliberazione individuale che può essere di due tipi, a seconda dei parametri che contempla: i gruppi, caratterizzati dalla presenza di intenzioni collettive, saranno di conseguenza di due tipi distinti, che chiameremo rispettivamente tipo endogeno e tipo esogeno. 3.1 Endogeno 13 Cfr. Camerer-Fehr (2006) 17 L'analisi di questi due tipi di gruppi e dei modi in cui possono rapportarsi a degli agenti individuali è l'elemento chiave della presente caratterizzazione di razionalità sociale e a questa dedicheremo gran parte del capitolo 3. Cominceremo con l'analisi dei gruppi di tipo endogeno, che, come vedremo, rappresentano un analogo dei meccanismi di aggregazione delle preferenze. Vedremo infatti che la formazione di un'intenzione collettiva da parte di un gruppo di tipo endogeno può essere definita una scelta sociale nel senso che è funzione delle deliberazioni individuali degli agenti che compongono il gruppo. Un gruppo di tipo endogeno si costituisce sulla base dell'adesione di più agenti ad un'intenzione collettiva. Tale adesione avviene in seguito ad una deliberazione individuale che conserva i profili di preferenze distinti degli agenti, i quali prima di esprimere la propria adesione al gruppo non sono in alcun modo vincolati dall'intenzione collettiva proposta. Il meccanismo di formazione di questo tipo di intenzione collettiva è dunque in una certa misura analogo alla scelta sociale intesa come aggregazione di preferenze individuali, sebbene i vincoli di consistenza posti dalle intenzioni siano molto più complicati rispetto a quelli che intervengono nel caso delle preferenze individuali, per le quali la condizioni generalmente richiesta è la transitività. Esempi di gruppi endogeni: Lia e l'agente immobiliare dell'esempio 2 formano un gruppo endogeno, nella misura in cui Lia aderisce all'intenzione manifesta di effettuare una transazione commerciale. Altri esempi di gruppi endogeni sono azioni coordinate di store mobbing, una pratica che all'adesione ad 18 un'intenzione di eseguire una transazione commerciale somma gli effetti della massa critica: diversi acquirenti si accordano per presentarsi insieme presso un negozio, al fine di ottenere un prezzo scontato sul bene che intendono acquistare. L'iniziativa ha successo solo se viene superato un certo numero di partecipanti, detto massa critica. Un cartello elettorale è ugualmente un esempio di gruppo endogeno: in base a delle motivazioni personali che possono essere le più diverse, un gruppo di elettori si trova ad appoggiare unitamente la stessa linea politica e coordina la propria azione in modo da influenzare decisivamente il risultato del voto. I vincoli di consistenza attivati dalla formazione di un'intenzione collettiva di tipo endogeno sono analoghi a quelli di un'intenzione individuale. L'agente infatti decide di prendere parte all'azione di gruppo sulla base del proprio interesse personale, e l'intenzione formata può essere riconsiderata in qualsiasi momento la condizione di appartenenza al gruppo endogeno non appaia più vantaggiosa per l'agente individuale. Esempio di riconsiderazione di intenzione collettiva endogena: Lia, venuta a conoscenza di una iniziativa di store mobbing, decide di parteciparvi. L'intenzione degli store mobbers è riuscire ad acquistare degli apparecchi elettronici a prezzo scontato. Dopo alcune ricerche, Lia scopre però che le apparecchiature vendute dal negozio dove si progetta di fare mobbing è troppo scadente rispetto alle sue necessità, e perciò riconsidera la sua partecipazione all'iniziativa. Con una nuova deliberazione, Lia decide di non prendere parte allo 19 store mobbing, dal momento che il possibile piccolo risparmio non basterebbe a controbilanciare lo svantaggio di pagare per una apparecchiatura non adatta ai suoi scopi. 3.2 Esogeno Dopo aver analizzato la formazione di gruppi di tipo endogeno, passeremo a quelli di tipo esogeno, che, come vedremo, presentano caratteristiche diverse. In primo luogo, osserveremo che l'adesione ad una intenzione collettiva di tipo esogeno vincola in modo diverso il comportamento di un agente individuale. L'adozione di un'intenzione di tipo esogeno è infatti legata all'appartenenza dell'agente ad un gruppo preesistente all'adozione dell'intenzione collettiva in questione. Il gruppo esogeno può essere inteso come un individuo in rapporto all'intenzione collettiva, formata attraverso un processo di deliberazione che ha come obiettivo il bene comune dei membri del gruppo. Questo tipo di deliberazione avviene secondo le stesse modalità della deliberazione individuale, ma il profilo di preferenze che prende in considerazione non è necessariamente unico, e per questo viene definita una scelta sociale, dal momento che le conseguenze della scelta incidono sul comportamento dei membri della società in direzione dei quali viene formulata. La scelta sociale, nel caso di un gruppo esogeno, darà luogo ad una intenzione collettiva che impone dei vincoli di consistenza alla formazione di 20 intenzioni individuali da parte degli agenti appartenenti al gruppo. Questi vincoli di consistenza producono all'interno del gruppo una struttura gerarchica di tipo modulare: il gruppo esogeno nel complesso si presenta come un individuo rispetto all'intenzione collettiva, che costituisce uno scopo unitario, ma gli agenti individuali che ne fanno parte rimangono distinguibili, e la deliberazione di ciascuno finalizzata all'attuazione dell'intenzione collettiva sarà individuale e condizionata, oltre che dai vincoli di consistenza collettivi, anche dai vincoli di consistenza individuali. Esempio di gruppo esogeno: gli amici dell'esempio 1 hanno deciso dove andare in vacanza. Luca, che fa parte del gruppo, è vincolato nella sua scelta del mezzo di trasporto dalla necessità di individuare una soluzione consistente con i piani del gruppo, ma ha una certa libertà di scelta riguardo ai mezzi particolari, per i quali può anche essere guidato dalle sue predilezioni personali, per esempio, se preferisce viaggiare in treno o in aereo. Anche al livello dell'agente individuale, nella misura in cui deve decidere, per esempio, quali scopi perseguire fra i possibili, si riscontra una struttura modulare. L'individuo può infatti avere desideri la cui attuazione simultanea è impossibile, e pertanto trovarsi di fronte alla scelta di quali privilegiare.14 Ogni decisione tende a costruire in questo caso una diversa immagine di sé dell'agente, che si costituisce come individuo coordinando, ma non annullando, le diverse componenti motivazionali presenti al suo interno. 14 Cfr. sopra, esempio 1'. 21 L'intenzione collettiva di tipo esogeno ci presenta dunque il gruppo come un individuo, a cui potremo di conseguenza applicare l'ipotesi di razionalità. Chiameremo nomoteta l'individuo che compie la deliberazione attraverso cui è formata l'intenzione collettiva di tipo esogeno, e che per questo rappresenta l'elemento di coesione del gruppo, responsabile inoltre della costruzione della sua immagine, attraverso cui il gruppo esogeno si rapporta in generale al contesto sociale. L'analisi delle condizioni di riconsiderazione delle intenzioni collettive di tipo esogeno ci porterà infine a individuare dei vincoli di coerenza che strutturano la condotta di ogni agente individuale, attraverso una struttura modulare che, secondo l'ipotesi di socialità, lo mette in relazione con l'intera collettività. In questa introduzione abbiamo dato un breve resoconto delle proposte che vogliamo avanzare in questo lavoro. I capitoli 1 e 2 serviranno a chiarire le basi della nostra analisi, di cui gli sviluppi originali saranno presentati nel capitolo 3. il capitolo 4 infine raccoglie le conclusioni della nostra analisi. 22 1. La razionalità individuale nella teoria della decisione classica 1. L'agente economico In questo capitolo presentiamo le linee essenziali della teoria della decisione classica, che costituirà il nostro punto di partenza per la caratterizzazione della razionalità di un agente individuale. Possiamo associare l'atto di nascita della teoria della decisione classica con la pubblicazione di The Theory of Games and Economic Behavior.15 Per questo motivo, in questo capitolo utilizzeremo molti concetti e risultati che costituiscono la base dell'analisi microeconomica delle decisioni. Noi analizzeremo tutti questi risultati da una prospettiva che ne contempla l'estensione nella direzione di una caratterizzazione generale dell'agire razionale. La specificità della microeconomia è data, infatti, dalla restrizione dello scopo dell'agente individuale al profitto; ma, come vedremo, questa restrizione non deriva dalle assunzioni generali della teoria e serve solo per definire un ambito di applicazione del modello. La teoria della decisione classica ha come oggetto lo studio dei modelli di deliberazione razionale, e possiamo analizzarla sulla base di quella che 15 von Neumann-Morgenstern (1944) 23 chiameremo l'“ipotesi di razionalità”. Questa consiste nell'assumere che l'agente che stiamo studiando possa essere descritto come se fosse orientato ad uno scopo, qualunque esso sia. Tanto basta per il momento perché possiamo parlare di un agente razionale, individuando nella deliberazione il procedimento tramite cui esso arriva, sotto determinate condizioni che vedremo, a prendere decisioni razionali. Possiamo immaginare che il problema di decisione descriva un “piccolo mondo”, un'astrazione a partire da un dato insieme di informazioni rilevanti nell'universo dell'agente, o un microcosmo per usare le parole di Savage. 16 Vedremo meglio in seguito che cosa significano queste espressioni. L'ipotesi di razionalità esprime in generale il carattere strumentale dell'agire razionale. Ora, a seconda dello scopo specifico che immaginiamo costituisca la motivazione dell'agente, sarà definito un diverso ambito di applicazione. Se decidiamo che lo scopo del nostro agente è la massimizzazione del proprio interesse personale inteso in termini di profitto, abbiamo di fronte il classico homo economicus. L'agente studiato dalla teoria economica classica appare limitato per la scelta di uno scopo così circoscritto, ma ha il vantaggio di esemplificare in modo chiaro le caratteristiche dell'agente razionale. Possiamo quindi cominciare a vedere come esso è caratterizzato nella prospettiva della teoria della decisione classica. Con ciò facciamo riferimento a una tradizione che si è sviluppata a partire dai lavori di Bruno De Finetti, John Von Neumann e Leonard Savage.17 16 Cfr. Savage (1954) 17 Cfr. de Finetti (1931) e (1937), von Neumann-Morgenstern (1944), Savage (1954) 24 1.1 Funzioni di utilità Nella teoria classica della decisione l'interesse personale dell'agente viene identificato con una funzione di utilità, costruita sulla base di preferenze espresse dall'agente stesso nei confronti di coppie di alternative. Per definire una relazione di preferenza, immaginiamo di sottoporre l'agente a un questionario, in cui gli vengono presentate almeno un volta tutte le coppie di elementi di un insieme M di tutte alternative possibili. Per ogni coppia, chiediamo all'agente di specificare se una delle alternative è preferita all'altra o se gli sono indifferenti. Al termine del questionario, per ogni coppia di alternative <x,y>∈M sarà specificato quale delle tre relazioni sussiste tra x>y, x<y o x∼y. Se le risposte dell'agente alle domande del questionario sono sempre coerenti, allora il suo profilo di preferenze induce un ordine parziale sull'insieme M. Un profilo di preferenze così costruito soddisfa, non a caso, due proprietà fondamentali, la completezza e la transitività.18 Per completezza, si intende la proprietà della relazione di preferenza di essere specificata per qualsiasi coppia di alternative possibile. Nella definizione, abbiamo forzato questa proprietà assumendo che l'agente abbia una risposta per tutte le coppie di alternative contenute in M, dunque la relazione di preferenza risultante è completa per M. Questa specificazione è importante per escludere che ci siano insiemi di 18 Cfr. Rubinstein (2006) 25 alternative tra loro incomparabili, tra le quali l'agente non potrebbe ragionevolmente scegliere.19 La seconda proprietà, che ugualmente abbiamo forzato assumendo che l'agente fornisca sempre risposte coerenti al questionario, è la transitività. Questa proprietà garantisce il buon ordine dell'insieme delle preferenze, quindi assicura che ogni sottoinsieme dell'insieme delle preferenze ha un massimo. Questo fatto è molto importante dal momento che vogliamo che il nostro agente economico scelga sempre ciò che in assoluto preferisce tra tutte le alternative disponibili. Se l'agente ha preferenze intransitive, per esempio preferisce x a y, y a z e z a x, le sue preferenze non gli sono di nessun aiuto per fare una scelta tra {x,y,z}, perché nessuna delle tre alternative è quella preferita. Questo inconveniente è naturalmente escluso se si applica la proprietà transitiva della relazione di preferenza. Inoltre, ogni volta che la transitività è violata, possono presentarsi alcuni problemi pratici per l'agente economico: tipicamente, facendo leva su una intransitività scoperta tra le sue preferenze si può architettare una money pump a suo danno. Esempio: Lia preferisce A a B, B a C e C a A, ed è attualmente in possesso di C. Luca, che conosce le sue preferenze, le propone di scambiare C con B ad un piccolo prezzo. Lia, date le sue preferenze, accetta. Poi Luca le propone 19 Osserviamo tuttavia che si tratta di un'assunzione molto forte quando si tratta di descrivere dei problemi “reali”. 26 di scambiare alle stesse condizioni B con A, e Lia accetta di nuovo. A questo punto Luca propone di scambiare A con C. Lia accetta, ritrovandosi così ad aver pagato tre volte per avere l'oggetto di partenza, ed è pronta a ricominciare il ciclo... A dispetto del fatto che non è raro osservare intransitività nelle preferenze delle persone reali, non sembra ragionevole cercare semplicemente di eliminare questa proprietà. Quando una persona viene informata del fatto che le preferenze da lei espresse sono intransitive, normalmente riconosce l'intransitività come un errore e ciò le dà motivo di rivedere le sue preferenze: indice che la coerenza delle proprie preferenze è percepita dallo stesso agente come un vincolo di razionalità.20 Inoltre, se assumiamo che la transitività si applichi anche alle relazioni di indifferenza, si generano paradossi di tipo soritico.21 Esempio: Per Lia è indifferente spendere 75 o 80 centesimi per un caffè al bar. Anche la differenza tra 80 e 85 centesimi la lascia indifferente, e così pure la differenza tra 85 e 90, e così via... Ma se improvvisamente il caffè al bar costasse più di un euro, ne rimarrebbe stupita e preferirebbe prendere il caffè a casa. Completezza e transitività della relazione di preferenza sono inoltre condizioni necessarie alla costruzione di una funzione di utilità che la rappresenti. 20 Cfr. Kahneman (2003) 21 Cfr. Fishburn (1991) 27 In questo contesto, l'aspetto interessante per gli economisti è proprio che, a partire da una relazione di preferenza opportunamente strutturata, è possibile costruire una rappresentazione numerica equivalente.22 L'interesse sta nel fatto che ciò permette di rappresentare con una funzione di utilità cardinale una relazione, come quella di preferenza, che normalmente porta come unica informazione l'ordinamento parziale sull'insieme delle preferenze. Arrivare ad una rappresentazione di questo tipo è una grande conquista scientifica: significa introdurre una misura in ciò che prima sembrava poter avere solo un carattere qualitativo, un po' come avvenne nella fisica con la teoria del calore e dell'energia. I primi a fornire una assiomatizzazione della teoria dell'utilità furono von Neumann e Morgenstern in Theory of Games and Economic Behavior, pubblicato nel 1944. Nell'introduzione gli autori paragonano la portata della loro teoria alle grandi scoperte della fisica: The historical development of the theory of heat indicates that one must be extremely careful in making negative assertions about any concept with the claim to finality. Even if utilities look very unnumerical today, the history of the experience in the theory of heat may repeat itself, and nobody can foretell with what ramifications and variations. [A good example of the wide variety of formal possibilities is given by the entirely different development of the theory of light, colors, and wave lenghts. All these notions too became numerical, but in an entirely different way.] And it should certainly not discourage theoretical explanations of the formal 22 Cfr. Rubinstein (2006) 28 possibilities of a numerical utility.23 Prima della pubblicazione del lavoro di von Neumann e Morgenstern, altri economisti avevano proposto di introdurre delle funzioni di utilità cardinale, ma senza darne un'assiomatizzazione adeguata.24 Ritorniamo alla definizione iniziale che abbiamo dato di agente razionale. Con la funzione di utilità di von Neumann-Morgenstern, abbiamo un importante elemento con cui integrarla. Infatti abbiamo definito l'agente razionale come un individuo che agisce come se fosse diretto a uno scopo, rappresentato dal proprio interesse personale. Abbiamo visto come l'espressione dell'interesse personale si traduca a sua volta in una relazione di preferenza sull'insieme delle alternative disponibili e infine come questa relazione abbia una rappresentazione numerica mediante una funzione di utilità. Dunque possiamo dire che un agente razionale agisce come se massimizzasse la propria funzione di utilità. 2. Un problema di decisione Finora abbiamo parlato dell'agente razionale in astratto, descrivendolo in termini di motivazioni e informazioni. Ora introduciamo il contesto di un problema di decisione. 23 Cfr. von Neumann-Morgenstern (1944). Cfr Fishburn (1989) per una discussione di questo passo. 24 Cfr. Fishburn (1989) 29 Abbiamo visto che l'agente razionale massimizza una funzione di utilità che rappresenta matematicamente i suoi desideri. Ciò avviene passando attraverso un processo deliberativo, che porta a selezionare l'alternativa, o le alternative, ottimali in modo diverso a seconda che la deliberazione avvenga in condizioni di certezza, di rischio o di incertezza25. 2.1 Certezza Nel primo caso, quando la deliberazione avviene in condizioni di certezza, la soluzione del problema di decisione consiste nell'individuare e scegliere l'alternativa (o le alternative) che massimizzano, o minimizzano, a seconda dei casi, un dato indice. La decisione avviene in condizioni di certezza in quanto l'agente conosce quale sarà l'esito di ogni data azione possibile. Esempio: Un dietologo deve calcolare una dieta da prescrivere ad un paziente, facendo in modo che questi assuma tutte le giuste quantità di nutrienti in rapporto al suo stile di vita. La difficoltà del compito nasce dal fatto che il dietologo deve calibrare la quantità di ciascun alimento, evitando di far assumere al paziente troppe calorie e assicurando al contempo un'alimentazione completa. Quindi lo scopo del dietologo è prescrivere una dieta che soddisfi l'apporto di nutrienti, al minor costo possibile in termini di calorie.26 25 Cfr. Luce e Raiffa (1957) 26 Cfr. Luce e Raiffa (1957) pp. 17 sg. 30 Il problema del dietologo è un tipico problema di programmazione lineare. In generale, un problema di programmazione lineare consiste in a) un insieme di azioni possibili, ognuna delle quali consiste nella scelta di una certa successione di numeri reali (nel nostro caso, le possibili diete); b) le condizioni di fattibilità, nel nostro caso gli apporti minimi di nutrienti richiesti per una dieta, espressi nella forma di equazioni e disequazioni lineari che vincolano le azioni possibili; c) un indice associato ad ogni azione, la funzione di costo. Il problema è trovare un'azione che soddisfi b) e minimizzi c). Le informazioni di cui l'agente dispone sono completamente specificate rispetto a tutti i parametri che definiscono il problema. Per questo motivo è possibile individuare con certezza una, o più azioni (nel nostro esempio le diete bilanciate da prescrivere) che costituiscono le soluzioni al problema. 2.2 Rischio In un problema di decisione in condizioni di rischio, invece, la situazione cambia un po'. L'agente in questo contesto sa che ogni azione può produrre un insieme di risultati possibili, secondo una distribuzione di probabilità conosciuta compresa tra 0 e 1: Esempio: Lia e Marta giocano a testa o croce, scommettendo sul lancio di una moneta equa. Scegliendo Testa, Lia sa di avere probabilità ½ di vincere la scommessa. 31 In termini di rischio, del resto, la certezza può essere vista come un caso limite in cui le probabilità dell'evento certo e della sua negazione sono rispettivamente 1 e 0. I problemi di decisione in condizioni di rischio cominciarono ad essere studiati in termini matematici nel XVII secolo, in stretto rapporto con la riflessione nascente sulla natura della probabilità che troviamo in particolare negli scritti di Pascal, Cramer e Bernoulli.27 Poiché i problemi che questi matematici si applicavano ad analizzare erano derivati dal gioco d'azzardo, gran parte del vocabolario utilizzato nella teoria della probabilità deriva direttamente da quel campo semantico e si parla di lotterie, puntate e vincite. Ciò su cui ragionavano in particolare era trovare un modo equo secondo cui i giocatori dovrebbero spartirsi il premio nei casi in cui una partita, per esempio una serie di lanci di moneta o una partita di dadi, venga interrotta quando il gioco non è ancora terminato. Al di là delle soluzioni che essi proposero per problemi di questo tipo, le loro riflessioni segnano la nascita della moderna teoria matematica della probabilità. Un problema correlato a quello della probabilità di una vincita, che emerse in quegli anni, è la definizione dell'utilità di una vincita attesa. Il problema fu posto in termini paradossali da Gabriel Cramer in una lettera scritta nel 1728 a Daniel Bernoulli, ed è noto come il paradosso di san Pietroburgo: Esempio (paradosso di san Pietroburgo): Luca propone a Lia di 27 Cfr. Hacking (1975) e Garber e Zabell (1979) per una discussione critica. 32 scommettere sull'esito del lancio di una moneta equa. Se esce testa, Lia perde. Se esce croce, Lia vince il doppio di quanto aveva puntato e può decidere di puntare nuovamente la vincita, alle stesse condizioni. Nella situazione dell'esempio, la probabilità che esca croce, a ogni lancio, è ½, ma la probabilità che in una serie di n lanci esca sempre croce è 1/n. Il paradosso nasce dal fatto che, a queste condizioni, Lia, che è un agente razionale, non dovrebbe mai smettere di puntare l'eventuale vincita, finché non uscirà testa. Cercando una soluzione a questo paradosso, Bernoulli avanzò una teoria dell'utilità come misura numerica del valore soggettivo di un dato bene di cui una persona può disporre. Questo valore è espresso con una funzione logaritmica decrescente, che è essenzialmente indipendente da ogni considerazione sulla probabilità o sul rischio, perché fa riferimento ad una utilità intrinseca associata ad un dato bene, per esempio la ricchezza.28 L'idea che sta dietro alla proposta di Bernoulli è cioè che l'utilità soggettiva della ricchezza aumenti in modo inversamente proporzionale al rapporto fra l'entità dell'incremento e la quantità di risorse che la persona possiede già. Anche se la scelta della funzione logaritmica fu criticata e non è l'unica possibile, l'idea di Bernoulli ebbe successo e fu in seguito adottato da molti economisti, tra cui Marshall,29 che ne trasse l'intuizione per la sua teoria dell'utilità marginale. Negli anni '40 del secolo scorso, come abbiamo visto von Neumann e 28 Cfr. Fishburn (1989) 29 Cfr. Id. 33 Morgenstern diedero una rappresentazione formale all'idea che esista una funzione di utilità cardinale per le lotterie, sviluppando una assiomatizzazione della teoria dell'utilità.30 Tuttavia la loro proposta si discostava profondamente dalla visione classica per il modo diverso di concettualizzare l'utilità. Per Bernoulli e successivamente per Marshall, l'utilità di un bene è certamente soggetta a variazioni soggettive dipendenti dal profilo economico a cui appartiene, tuttavia si fonda su una caratteristica oggettiva di quel dato bene, ciò che lo rende in generale utilizzabile per qualche scopo. Il denaro, ad esempio, è in sé utile in quanto può servire a procurarsi altri beni, anche se è chiaro che il valore soggettivo di una banconota da cento euro è molto diverso per un disoccupato in cassa integrazione e per un milionario. Nella teoria di von Neumann e Morgenstern, al contrario, l'utilità di un bene non è messa in relazione con alcuna funzione dell'oggetto valutato, ma è derivata dalle preferenze che l'agente stesso rivela nella scelta fra diverse alternative. La funzione di utilità proposta è dunque soggettiva nel senso che esprime un criterio di valutazione “interno” o personale dell'agente. Anche la valutazione del rischio di von Neumann e Morgenstern è innovativa rispetto alle precedenti teorie.31 La loro tesi centrale è che la scelta di un'azione, fra le diverse alternative presenti in un problema di decisione, può essere equiparata all'acquisto di un “biglietto della lotteria”, i cui premi sono le possibili conseguenze dell'azione. Data una distribuzione delle probabilità per i diversi esiti possibili di ciascuna azione, e assumendo che le preferenze di un 30 Cfr. von Neumann-Morgenstern (1944) 31 Cfr. Fishburn (1989) 34 agente siano complete e transitive, von Neumann e Morgenstern dimostrano che esiste una funzione di utilità attesa, unica a meno di trasformazioni lineari, che le rappresenta. Questo risultato, noto come teorema di rappresentazione, è estremamente importante nella storia dell'economia e per tutta l'area della teoria della decisione. La formulazione originale della teoria dell'utilità data da von Neumann e Morgenstern nel testo ormai classico Theory of Games and Economic Behavior è stata ripresa nei decenni successivi attraverso diverse assiomatizzazioni,32 elaborate a partire da quella originale del con l'obiettivo di spiegare e liberare i contenuti di questo testo da alcune difficoltà di espressione. La teoria di von Neumann e Morgenstern ha avuto un'enorme influenza nei campi dell'economia e della teoria della decisione, tuttavia nel contesto in cui fece la sua prima comparsa dovette vincere le resistenze di una tradizione di studi economici che non vedeva di buon occhio le funzioni di utilità cardinale. L'idea che le preferenze di un agente si rivelino nella scelta, esemplificata dalle risposte fornite dall'agente nel questionario che abbiamo presentato sopra, non era infatti nuova per gli economisti, essendo stata sostenuta, fra gli altri, da Vilfrido Pareto.33 Tuttavia non si riteneva possibile rappresentare la relazione di preferenza con una funzione di utilità cardinale, dal momento che la cardinalità implica che l'intervallo che separa una alternativa da un'altra nella scala delle preferenze sia misurabile. Ma questo, si diceva, è assurdo perché l'unica 32 Cfr. Jensen (1967) e Fishburn (1989) 33 Cfr. Fishburn (1989) 35 informazione che possiamo avere paragonando due alternative, è la posizione reciproca rispetto alla scala della preferenza che induce soltanto un ordine parziale sull'insieme delle alternative. Invece von Neumann dimostra che, se le preferenze di un agente sono complete e transitive, allora sono rappresentabili attraverso una funzione di utilità cardinale.34 3. Stati di informazione Una formulazione sistematica del terzo approccio al problema di decisione35, che fa riferimento alle condizioni di incertezza, fu proposta nel 1954 da Leonard Savage.36 Per introdurre la teoria di Savage, in questa sezione presentiamo le componenti che figurano nella sua formulazione di un problema di decisione collocandole rispetto alla distinzione che abbiamo posto in principio tra informazioni e componente motivazionale.37 In via preliminare, stabiliamo che l'individuo che si trova davanti al problema di decisione possiede un insieme di conoscenze strutturali relative alla situazione di sfondo. Si tratta di informazioni generali riguardanti il fatto di 34 Un problema a parte è costituito dalla possibilità di comparare le funzioni di utilità di agenti diversi. Per questo, non sono sufficienti le assunzioni di von Neumann-Morgenstern (1944), ma sono necessari dei meccanismi di aggregazione che rendano paragonabili le preferenze rivelate dei diversi agenti. Torneremo su questo punto più avanti, cfr. cap. 3. 35 Cfr. sez. 2 36 Cfr. Savage (1954) 37 Cfr. sez. 1 36 trovarsi di fronte ad un dato problema, di dover prendere una decisione, e riguardo le regole secondo cui ha luogo la deliberazione.38 Questo insieme di informazioni ci serve per delimitare lo spazio logico del problema, mentre dal punto di vista dell'agente costituisce le condizioni e la forma del problema di decisione, cioè struttura il contesto in cui avviene la deliberazione, ma non fornisce alcune delle ragioni che vengono prese in esame in quest'ultima. Le componenti che invece entrano nella descrizione data da Savage del problema di decisione, costituiscono le informazioni sulle quali si esercita la deliberazione del nostro agente. Queste informazioni sono di tre tipi. In primo luogo, abbiamo un insieme di convinzioni, relative agli stati del mondo rappresentati nel problema di decisione. In secondo luogo un insieme di azioni possibili, mutualmente esclusive, tra cui l'agente ha la scelta. Il terzo tipo di informazione è costituito dall'insieme degli esiti delle azioni, dato lo stato del mondo a cui vengono associate.39 L'insieme degli esiti è ordinato secondo una relazione di preferenza. Non è necessario che esista un'unica relazione di preferenza, ma ve ne possono essere molte, a loro volta ordinate secondo un criterio lessicografico.40 Intese in questo modo, le relazioni di preferenza tra gli esiti corrispondono ai desideri dell'agente, ovvero alla componente motivazionale che abbiamo individuato nella sezione 1. 38 Cfr. Searle (2001) 39 Alcuni autori preferiscono definire gli esiti come descrizioni dettagliate delle azioni, cfr. Jeffrey (1983). 40 Un criterio lessicografico è una relazione di preferenza su relazioni di preferenza. Permette di stabilire quale relazione di preferenza debba prevalere nel caso due o più relazioni di preferenza basate su criteri alternativi classifichino gli stessi oggetti secondo un ordine diverso. Cfr. Seidenfeld et al. (1999) 37 3.1 Una frittata di Savage Il lavoro di Savage, esposto in un libro pubblicato nel 1954, The Foundations of Statistics, segna una svolta importante nella teoria della decisione classica. Savage mette insieme la probabilità soggettiva, sviluppata indipendentemente da Ramsey e de Finetti,41 con la teoria dell'utilità attesa di von Neumann e Morgenstern, formulando la sua teoria dell'utilità attesa soggettiva. La teoria di Savage è innovativa nel modo di concettualizzare un problema di decisione, ponendo le basi per un'analisi della decisione razionale che coniuga l'aspetto normativo con un intento descrittivo nei confronti del comportamento realmente osservato degli agenti. All'inizio del suo libro, per introdurre un problema di decisione in condizioni di incertezza, utilizza un esempio che sarà ripreso innumerevoli volte dalla letteratura successiva: Consider an example. Your wife has just broken five good eggs into a bowl when you come in and volunteer to finish making the omelet. A sixth egg, which for some reason must be either be used for the omelet or be wastes altogether, lies unbroken beside the bowl. You must decide what to do with this unbroken egg. Perhaps it is not too great an oversimplification to say that you must decide among three acts only, namely, to break it into the bowl containing the other five, to break it into a saucer for inspection, or 41 Cfr. Ramsey (1926), de Finetti (1931) 38 to throw it away without inspection.42 L'esempio riportato è usato da Savage per mostrare l'articolazione di un problema di decisione in azioni, stati e conseguenze. L'esempio può essere riassunto e schematizzato con l'uso di una semplice matrice, come fa Savage a p.14 per mostrare come le azioni mappino gli stati del mondo sugli esiti: Azione Stato del mondo Uovo buono Uovo marcio Rompi nella tazza con le Frittata con sei uova Niente frittata, cinque atre uova uova buone distrutte Rompi in una ciotola a Frittata con sei uova, una Frittata con cinque uova, parte ciotola da lavare una ciotola da lavare Getta via Frittata con cinque uova, Frittata con cinque uova un uovo buono distrutto L'agente è a conoscenza di tutte queste informazioni. Tuttavia, non sa quale sia lo stato del mondo corrispondente a quello attuale, né può ragionevolmente supporre che esista una distribuzione di probabilità oggettiva per l'evento uovo buono/uovo marcio. Di conseguenza, deve prendere una decisione in condizioni di incertezza. L'idea di Savage è che sia possibile costruire una funzione di utilità, che rappresenti le preferenze dell'agente rispetto alle alternative poste dal problema di decisione in condizioni di incertezza. L'idea che stava alla base dei lavori di 42 Cfr. Savage (1954) p. 13. 39 Ramsey e di de Finetti, e che Savage sottoscrive, è che la probabilità soggettiva di un evento sia la misura del grado di convinzione dell'agente rispetto al verificarsi dell'evento stesso. Questo approccio permette di definire la probabilità di un evento a prescindere da una “distribuzione nota” di istanze dell'evento in questione. Secondo Savage, quindi, le preferenze rispetto alle azioni possibili sono il punto di partenza per studiare le convinzioni e i desideri di un agente. 43 Dati i postulati della sua teoria, Savage mostra che è possibile dedurre la probabilità soggettiva dalle preferenze dell'agente, quando queste sono opportunamente strutturate. Il risultato che prova nel suo teorema di rappresentazione è quindi che, date preferenze che soddisfano i suoi sei postulati,44 esiste una rappresentazione di utilità, che prende il nome di utilità attesa soggettiva (SEU). In particolare, i sei postulati di Savage implicano due cose: (1) l'esistenza di una funzione di probabilità P sull'insieme S dei possibili stati del mondo e (2) l'esistenza di una funzione di utilità U sull'insieme degli esiti E, unica a meno di trasformazioni lineari, tale che per f, g∈Ε , f>g se e solo se P (U ( f )) > P (U (g)).45 Il risultato di Savage è estremamente importante, e merita che spendiamo qualche parola sul significato delle sue assunzioni, alcune delle quali hanno dei risvolti problematici. 43 Cfr. Shafer (1986) 44 Non ci soffermeremo ad analizzare i sei postulati singolarmente nel dettaglio. Cfr. Savage (1954) 45 Cfr. Shafer (1986) 40 4. Utilità attesa soggettiva: Prospettive aperte Cominciamo da un'osservazione generale sul metodo. Savage introduce per la prima volta in modo efficace la distinzione tra interpretazioni normative e descrittive di una teoria.46 Anche se riteneva che la sua teoria funzionasse bene come descrizione del comportamento delle persone reali,47 in The Foundations of Probability l'interesse di Savage è prevalentemente rivolto all'aspetto normativo. D'altra parte, numerosi esperimenti condotti nel campo dell'economia comportamentale hanno mostrato che il comportamento degli agenti reali non si adegua generalmente alle predizioni della teoria.48 Anzi, la frequenza apparentemente sistematica degli errori ha portato molti a domandarsi se gli assunti normativi della teoria non siano in realtà da rivedere profondamente, e in che misura i postulati di Savage non dipendano da assunzioni empiriche errate.49 Questa circostanza ci offre l'occasione per riflettere sul modo in cui costruiamo ed utilizziamo un modello quale quello fornito dalla teoria della decisione classica. Un modello infatti è una struttura formale che rappresenta in astrazione alcune proprietà di una certa porzione di realtà che assumiamo come data: l'agente, caratterizzato secondo l'ipotesi di razionalità da informazioni e motivazioni. È un'idealizzazione, che ci è utile per capire che cosa intendiamo quando parliamo di razionalità. Ma non vogliamo semplicemente disporre di uno 46 47 48 49 41 Cfr. Savage (1954) e Shafer (1986) Lo dice esplicitamente, cfr. Savage (1954) Cfr. Kahneman-Tversky (1979) Cfr. Kahneman (2003) e Shafer (1986) strumento per interpretare i dati empirici. Vogliamo poter usare il modello anche per migliorare la nostra comprensione dei meccanismi attraverso cui si prendono decisioni razionali e quindi per fare scelte più ragionevoli in futuro. Il modello, anche attraverso la sua applicazione, è continuamente sottoposto a verifiche. Ad esempio, la sistematicità dell'errore di predizione della teoria dell'utilità soggettiva attesa di Savage, è un ottimo indizio che questo modello non è del tutto adeguato ad esprimere i fenomeni che ci interessano. L'errore di predizione è poi particolarmente evidente in contesti di interazione tra più agenti. La dimensione sociale, del resto, non compare affatto nella formulazione di Savage: il suo esempio tipico, quello della frittata che abbiamo riportato nella sezione 3.1, è relativo alla decisione di un unico agente e non implica conseguenze per nessun altro individuo. Ma situazioni “solitarie” di questo tipo sono frequenti almeno quanto situazioni di interazione, in cui però l'agente individuale, per prendere una decisione in modo razionale, dev'essere in grado in una certa misura di prevedere le mosse degli altri – ed è chiaro che un modello che fornisce sistematicamente previsioni sbagliate per gli agenti individuali non potrà rivelarsi molto utile per spiegare il successo dell'interazione. La teoria della decisione classica va dunque rivista. Ma non scartata interamente: piuttosto raffinata, mantenendo come punto di partenza l'assunto centrale dell'ipotesi di razionalità, senza la quale verrebbe meno lo scopo della nostra ricerca. Un altro aspetto piuttosto controverso della teoria di Savage che ci 42 conviene mettere in luce è legato al concetto di small world. Per il fatto che nel suo primo postulato Savage assume che le preferenze dell'agente siano completamente specificate e indipendenti dalla formulazione di un particolare problema di decisione, consegue che ogni problema di decisione è un sottoinsieme finito dell'insieme che contiene tutte le azioni e gli stati possibili del mondo relativamente all'universo dell'agente. Savage chiama questo insieme massimale large world, quindi per analogia quello che ogni problema di decisione viene a definire è detto small world. Il problema di questa caratterizzazione sta nel fatto che la soluzione di un problema di decisione in uno small world può non coincidere con quella del large world, il che significa che si può arrivare a delle soluzioni inconsistenti a seconda del modo in cui è formulato il problema. Esempio: L'uomo della frittata, poniamo, sceglie di rompere l'uovo nella ciotola per ispezionarlo. Ma se avesse avuto altre alternative disponibili sarebbe stato di un altro avviso: se per esempio avesse potuto scegliere, nel caso l'uovo si riveli rotto e rovini la frittata, di preparare dei toast o di andare a far colazione al ristorante, non si sarebbe dato la pena di ispezionare l'uovo e avrebbe, nel caso, optato per i toast. Data l'assiomatizzazione di Savage, l'esistenza di soluzioni diverse a seconda del grado di specificazione del problema di decisione implica che le preferenze dell'agente non sono complete e transitive. Quindi, se vogliamo mantenere le assunzioni di Savage riguardo alle preferenze, dobbiamo assumere che in un problema di decisione opportunamente costruito tutte le informazioni 43 rilevanti siano già specificate, e che non sia possibile il problema di decisione in un large world.50 Questa restrizione permette di mantenere l'impostazione di Savage relativamente alla probabilità soggettiva e ai vincoli di consistenza e coerenza delle preferenze. Tuttavia rimane relativamente problematico definire i criteri per cui un problema di decisione in uno small world è correttamente specificato.51 In alternativa, possiamo tentare di correggere il modello di Savage riformulandolo in modo dinamico, facendo in modo che la costruzione di ciascun problema di decisione determini le relazioni di preferenza dell'agente in quel dato contesto.52 Questa soluzione genera però ulteriori gravi difficoltà, perché complica i vincoli posti dalle preferenze e richiede misure non probabilistiche delle convinzioni di un agente. Rispetto a quanto detto finora e alle difficoltà emerse nell'ambito della teoria della decisione, la nostra proposta è di mantenere i vincoli di consistenza e completezza per le preferenze di un agente razionale, ma di introdurre accanto ad esse come elemento motivazionale un nuovo parametro: le intenzioni. 50 Cfr. Binmore (2009) 51 Cfr. Shafer (1986) 52 Cfr. Shafer (1986) 44 2. Le intenzioni di un agente individuale nel modello BDI 1. Convinzioni, Desideri e Intenzioni Abbiamo visto nel capitolo precedente come un problema di decisione è rappresentabile per la teoria della decisione classica in termini di desideri e convinzioni. In questo capitolo introduciamo un nuovo parametro, le intenzioni. Partiamo da un esempio, che illustra l'opportunità di dare una formulazione alternativa ad un problema di decisione impostato nel modo “classico”: Esempio: Lia, che è una musicista, riceve un invito a prendere parte ad un concerto e deve decidere se accettarlo o meno. Il problema di decisione cui Lia deve trovare una soluzione, è rappresentabile nei termini della teoria della decisione classica: le informazioni di cui dispone Lia sono il luogo del concerto, la data, il compenso, la reputazione degli organizzatori. Le motivazioni dipendono dai desideri di Lia, rappresentati dalle preferenze rispetto agli esiti delle azioni che può compiere, in questo caso accettare o meno l'invito. Se lo accetta, poniamo, è perché preferisce suonare in pubblico in un bel teatro e ben pagata, piuttosto che studiare dei pezzi per un'audizione nella sua stanza. Possiamo immaginare che anche il fatto che altri musicisti famosi abbiano accettato l'invito a partecipare a quel concerto costituisca un fattore importante che Lia prende in considerazione 45 nella sua scelta. L'esempio che abbiamo riportato, nella teoria della decisione classica è concettualizzato in termini di desideri e convinzioni, i due parametri che esprimono la componente motivazionale e le informazioni di un agente razionale.53 Lia sceglie se accettare o meno l'invito sulla base di convinzioni e desideri. Tuttavia il fatto che alcuni musicisti famosi saranno presenti in occasione del concerto, pur costituendo per Lia un incentivo ad accettare l'invito, è un'informazione di tipo particolare. Lia infatti può ragionevolmente aspettarsi che quei musicisti saranno al concerto, perché questi accettando l'invito hanno espresso pubblicamente l'intenzione di andarvi. L'intenzione espressa pone cioè dei vincoli alla loro condotta, di cui Lia può venire a conoscenza, a prescindere dalle ragioni che li hanno portati ad accettare l'invito, che invece non rientrano tra le informazioni disponibili a Lia. Nell'esempio, le intenzioni forniscono un parametro per descrivere in un modo più espressivo il problema di decisione. Le intenzioni espresse vincolano infatti la condotta degli agenti, impegnandoli nei confronti dell'esecuzione di una certa azione. Questo ci dà una ragione per integrare secondo un nuovo parametro la definizione dell'agente della teoria della decisione classica. Rimaniamo pertanto nell'ambito di analisi definito dall'ipotesi di razionalità, estendendo l'aspetto 53 Cfr. cap. 1 46 motivazionale dell'agente razionale, accanto ai desideri, alle intenzioni. In questo capitolo cominciamo individuando le proprietà caratteristiche delle intenzioni, servendoci della concettualizzazione sviluppata all'interno del modello BDI.54 Quindi passeremo ad analizzare la natura dei vincoli che le intenzioni introducono nella descrizione della deliberazione razionale. Infine segnaleremo alcune prospettive aperte, in particolare per quel che riguarda il ruolo delle intenzioni nei contesti di interazione sociale, che sarà l'argomento centrale della tesi e verrà sviluppato nel prossimo capitolo. 2. Modello BDI e piani d'azione Gli ingredienti del nostro modello sono dunque convinzioni, desideri ed intenzioni. Il nostro agente, secondo quanto abbiamo assunto per l'ipotesi di razionalità, è un'entità capace di rappresentarsi vari stati di cose nel mondo e di avere convinzioni al riguardo. Possiede inoltre un insieme di desideri, espressi da preferenze riguardanti possibili stati di cose, che tende a massimizzare quando si trova di fronte ad un problema di decisione. Le ragioni delle sue azioni, che l'agente razionale considera nel corso della deliberazione, sono date infatti dalle convinzioni che l'agente ha sul mondo e dai suoi desideri. Le decisioni prese attraverso una deliberazione sono quindi fissate mediante la formazione di 54 BDI sta per Beliefs, Desires, Intentions, che tradurremo con Convinzioni, Desideri e Intenzioni. Il punto di riferimento per quest'area di ricerca è costituito da Bratman (1987) 47 intenzioni, le quali a loro volta pongono dei vincoli di consistenza per le deliberazioni future. Ma andiamo con ordine, e ritorniamo prima su convinzioni e desideri, per poi esaminare le caratteristiche specifiche delle intenzioni. Desideri e convinzioni sono due tipi di stati intenzionali caratterizzati da a) contenuto proposizionale; b) inerzia; c) un certo grado di coerenza interna. Non intendo soffermarmi ora sul punto a), che daremo qui, come in larga perte della letteratura,55 per scontato. Riguardo al punto b), l'inerzia che viene attribuita a desideri e convinzioni è l'indice del fatto che, una volta formati, questi stati intenzionali tendono ad essere anche implicitamente mantenuti. Ciò non toglie che nel momento in cui dovesse manifestarsi una contraddizione, essi possano venire riconsiderati ed abbandonati. Ciò è soprattutto vero rispetto alle convinzioni, per le quali è richiesto che vengano evitate per quanto possibile le contraddizioni interne all'insieme delle convinzioni adottate dall'agente; mentre per i desideri la soglia di tolleranza può essere notevolmente innalzata. Questo perché il grado di coerenza richiesto all'insieme di questi stati intenzionali (c) non è assoluto, ma varia a seconda del contesto ed è spesso determinato da ragioni pragmatiche. Esempio: Lia accetta l'invito a partecipare al concerto ma dice che non ci andrà. In questo caso, Lia si comporta in modo irrazionale. 55 Cfr. Bratman (1987), Searle (2001), Wooldridge (2000) e van der Hoek-Wooldridge (2008) 48 Esempio: Lia desidera finire di scrivere la tesi, ma anche passare il pomeriggio al mare. I due desideri sono incompatibili, ma non per questo Lia è irrazionale, almeno finché non cerca di attuarli contemporaneamente. Lo scarto tra coerenza dei desideri e razionalità della condotta dell'agente è possibile perché, come vedremo più avanti, il filtro per stabilire una condotta razionale è dato dalle intenzioni. La psicologia comune ammette naturalmente che gli agenti agiscano intenzionalmente, come pure che un agente possa intendere di compiere un'azione. L'intenzionalità sembra dunque qualcosa di radicato nel senso comune, ed è basandosi sulle supposte intenzioni che viene comunemente giudicata e valutata la condotta di agenti razionali. Naturalmente non possiamo scartare a priori l'ipotesi che nessuna azione sia veramente intenzionale, per quanto tale ipotesi sia generalmente percepita come controintuitiva. Nondimeno, noi non la discuteremo, sia perché poco plausibile, sia perché trascurare l'importanza dell'impegno nei confronti della propria condotta da parte di un agente razionale pregiudicherebbe l'applicabilità dell'ipotesi di razionalità,56 secondo cui un agente razionale si comporta come se fosse orientato verso uno scopo. Inoltre, il riconoscimento delle intenzioni di un agente diventa fondamentale se consideriamo l'agire sociale, tanto per la comunicazione, quanto 56 Cfr. cap. 1 49 per il coordinamento della azioni da parte di più agenti. Su questo importante aspetto delle intenzioni torneremo nel prossimo capitolo. La teoria BDI rende conto di questa intuizione riguardo le intenzioni, ma per farlo deve risolvere il problema di un'apparente e improbabile “azione a distanza” delle intenzioni,57 che spesso intervengono a determinare la condotta di un agente in un momento successivo a quello nel quale l'intenzione stessa è inizialmente formata. Esempio: Se Marta decide di andare a Roma sabato prossimo, e nel giorno stabilito attua questa intenzione precedentemente formata senza pensarci su due volte, esiste una relazione tra la decisione presa questa sera e l'azione di sabato prossimo, in quanto si ritiene che la decisione causi l'azione. 2.1 Il problema dell'azione a distanza Questa caratteristica “azione a distanza” delle intenzioni infatti sembra generare un singolare “trilemma”:58 le intenzioni rivolte al futuro sarebbero infatti a) metafisicamente dubbie, perché implicherebbero un'inspiegabile azione a distanza; b) razionalmente dubbie, se per non cadere nell'azione a distanza volessimo sostenere che una volta formate, sono irrevocabili e agiscono causalmente su tutte le deliberazioni e azioni successive dell'agente; c) una pura e semplice perdita di tempo, come sarebbe se, pur prendendo ogni decisione solo al momento in cui si presenta l'occasione, ci preoccupassimo tuttavia di deliberare in 57 Cfr. Bratman (1987) 58 Cfr. Bratman (1987) 50 anticipo, formando preventivamente delle intuizioni di fatto prive di valore al momento dell'azione. Di fronte a questa difficoltà, in prima battuta può sembrare naturale che ci si focalizzi innanzi tutto sulla nozione fondamentale di intenzione presente per spiegare il fenomeno dell'intenzionalità in termini di desideri e convinzioni. Questa è una strategia che è stata adottata da diversi filosofi e pur con diverse declinazioni è quella seguita in particolare da Elizabeth Anscombe59 e da Donald Davidson nei suoi primi saggi sull'intenzione e l'azione.60 Secondo questi filosofi, l'intenzionalità presente è una funzione dei desideri e convinzioni dell'agente rispetto alle azioni alternative rappresentate in un problema di decisione, mentre un'intenzione rivolta al futuro è essenzialmente la convinzione che a un dato momento si avrà in un certo modo. Esempio: dire che Marta ha l'intenzione di andare a Roma domani mattina significa che Marta desidera andare a Roma ed è convinta ora del fatto che soddisferà il suo desiderio domani; ha intenzione di andare in treno sarà riformulato in termini analoghi: desidera andare a Roma, sa che andrà domani ed è convinta che per spostarsi prenderà il treno. Riconsiderare un'intenzione equivale qui a falsificare una convinzione: nel nostro esempio, se prima Maria era convinta che sarebbe andata in treno, ora non lo è più. Ciò dipenderà da un cambiamento di desideri – per esempio, un mutamento nell'ordine delle preferenze:61 preferisce andare in macchina – oppure 59 Cfr. Anscombe (1963) 60 Cfr. Davidson (1980) 61 Questo implicherebbe l'assunzione, niente affatto ovvia, di preferenze non-monotone. Cfr. cap. 51 a nuove convinzioni che modificano o semplicemente si aggiungono alle precedenti – ha letto che c'è uno sciopero delle ferrovie. Questa spiegazione sembra adattarsi bene ai nostri usi linguistici: per esempio, se Paolo chiede a Marta cosa intende fare l'indomani, la risposta potrebbe verosimilmente essere: “penso di andare a Roma”, “credo di andare a Roma” o simili, dove l'uso dei verbi sembra accordarsi bene all'equazione “intenzione = convinzione”. Tuttavia questo modello sembra cadere facilmente nel corno c) del nostro trilemma, perché non specifica quale sia l'utilità per l'agente di avere convinzioni riguardo al futuro, quando risulta evidente che queste convinzioni possono avere un basso grado di affidabilità e in ogni caso è necessario attendere il momento dell'azione per verificarle. Inoltre, la tesi che un'intenzione rivolta al futuro equivalga a una convinzione risulta insoddisfacente su vari altri livelli. In primo luogo, infatti, è sicuramente possibile avere l'intenzione di fare qualcosa, pur essendo scettici sulla reale possibilità che questa si realizzi. Esempio: Luca ha l'intenzione di smettere di fumare, pur sapendo che data la sua vecchia abitudine a farlo potrebbe facilmente ricascarci. L'esempio contraddice l'ipotesi che un'intenzione equivalga ad una convinzione. In secondo luogo, appiattire le intenzioni rivolte al futuro sulle convinzioni fa apparire l'agente come un “automa”, annullando la dimensione dell'impegno che è invece di primaria importanza nella deliberazione. Paolo, 1 per le difficoltà legate a preferenze non complete e/o transitive. 52 nell'esempio sopra riportato, si impegna a smettere di fumare pur sapendo che ciò gli costerà dei sacrifici. Di conseguenza – fatto ancor più grave – risulta inspiegabile in un contesto di questo tipo l'attitudine degli agenti a formare piani d'azione, in conformità alle intenzioni rivolte al futuro. 2.2 La soluzione di Bratman Di fronte a queste difficoltà, la proposta di Bratman62 è di considerare le intenzioni come un tipo di stato mentale a parte, distinte da desideri e convinzioni, e soprattutto di prendere come caso fondamentale e paradigmatico le intenzioni rivolte al futuro. La ragione di questa mossa sta in primo luogo nel riconoscimento del ruolo strategico dei piani d'azione. Pianificare riguardo al futuro è infatti una strategia che porta diversi vantaggi: non ultimo, avere dei piani consente ad un agente di coordinare le proprie azioni, sia per quanto riguarda gli aspetti della sua condotta individuale, sia rispetto ad altri agenti nel contesto più ampio delle interazioni sociali. L'utilità di questo approccio sarà oggetto di un'ulteriore analisi nel prossimo capitolo. D'altra parte, a ben vedere, i piani d'azione non possono essere altro che un insieme coordinato di intenzioni. Le intenzioni rivolte al presente infatti controllano immediatamente la condotta63 – non come i desideri fornendo ragioni 62 Cfr. Bratman (1987) 63 Cfr. Davidson (1980) 53 potenziali, ma come determinazioni immediate all'azione (volizione) e si inseriscono al livello più elementare dei piani, determinano l'esecuzione dei particolari concreti; mentre le intenzioni rivolte al futuro, che sono le costituenti vere e proprie dei piani,64 sono l'espressione di un impegno preso dall'agente in una certa direzione. Proprio la dimensione dell'impegno le differenzia dai desideri: anche se assumessimo che questi ultimi siano opportunamente strutturati, per esempio tramite preferenze coerenti rappresentate da una funzione di utilità, come viene fatto in teoria della decisione classica,65 non avremmo ancora la caratterizzazione cercata. Le relazioni di preferenza possono infatti risultare utili nella deliberazione, e forniscono di fatto all'agente, anche nel modello BDI, le ragioni che vengono pesate al momento della scelta e che determinano la formazione di intenzioni in un senso piuttosto che in un altro. Ma le intenzioni, secondo quanto siamo venuti spiegando, hanno delle caratteristiche essenzialmente diverse, perché non forniscono ragioni da pesare nella deliberazione, ma sono l'espressione dell'impegno dell'agente nei confronti di una certa linea di condotta, il suo modo di estendere le proprie deliberazioni nel tempo per assicurarsi i mezzi attraverso cui raggiungere i propri scopi, fissati per l'appunto attraverso successive deliberazioni. 64 Cfr. Bratman (1987) 65 Cfr. cap. 1 54 2.3 Caratteristiche dei piani d'azione Ogni piano è diretto dunque ad uno scopo, che è determinato da un'intenzione rivolta al futuro, ed ogni passo intermedio è inteso individualmente, come mezzo. Dal fatto di essere costituiti di intenzioni, derivano le tre caratteristiche fondamentali dei piani: la loro tipica parzialità, la struttura gerarchica e la tendenziale inerzia. Quanto alla parzialità, essa deriva dal fatto che nel momento in cui si prende una decisione nel modello BDI riguardo al futuro, non ci si forma un piano completo riguardo tutti i mezzi per raggiungere lo scopo. Si stabilisce una direzione verso cui tendere, ma molte decisioni particolari che portano in quel senso saranno prese via via che si presenta l'occasione. Questa attitudine è particolarmente evidente nel caso di intenzioni del tipo delle policy, con le quali l'agente stabilisce una linea di comportamento generale che dovrà poi essere applicata alle singole situazioni pertinenti. L'agente non avrebbe del resto bisogno di prevedere troppe cose in anticipo, sia perché questo comporterebbe un costo eccessivo in termini di deliberazione, sia perché spesso i contesti successivi possono presentare nuovi elementi rilevanti utili nella scelta dei mezzi. Esempio: Marta, che vive a Pisa, ha formato l'intenzione di andare a Roma l'indomani mattina per visitare una mostra, ma non ha ancora deciso quale 55 mezzo di trasporto utilizzare. In serata, guardando il Tg, scopre che è annunciato lo sciopero dei treni e decide per questo di prendere la macchina. Quando la mattina sale in macchina, decide di prendere la Cassia per godersi il paesaggio delle campagne laziali. Il piano d'azione di Marta è rappresentabile nello schema seguente: 1: andare a Roma 2: viaggiare in macchina 4: prendi la Cassia 3: sali in macchina La figura rappresenta la struttura gerarchica delle intenzioni di Marta pertinenti al piano di andare a Roma. I numeri in figura rappresentano l'ordine in cui le intenzioni vengono formate, le frecce verso l'altro l'ordine di esecuzione. La struttura gerarchica consiste nel fatto che i piani presentano una natura modulare, in cui le intenzioni sono in una data relazione di dipendenza reciproca: per questo motivo, è possibile deliberare rispetto a una intenzione intermedia, ad esempio per decidere quale mezzo adottare, quando è già stata formata 56 l'intenzione più generale. L'inerzia è una generale attitudine a non riconsiderare una decisione, una volta presa, a meno di circostanze che modifichino in modo rilevante le ragioni che avevano portato alla formazione dell'intenzione. L'agente infatti si impegna implicitamente ad attuare un'intenzione già formata. Questo atteggiamento di impegno ha una certa stabilità in quanto è fondato sulla consapevolezza del ragionamento che ha portato ad assumerlo. In altri termini, l'impegno di un agente nei confronti delle proprie intenzioni, quindi delle sue future azioni, ha carattere di default. È attraverso i piani d'azione, caratterizzati da queste tre proprietà, che la connessione tra la deliberazione e le azioni di un agente si estende nel tempo. Possiamo ancora riconoscere nella deliberazione le ragioni espresse in termini di desideri e convinzioni. Ma la presenza di piani pone in aggiunta altri vincoli, essenzialmente di due tipi: in parte riguardo la consistenza, sia interna al piano che rispetto all'insieme delle convinzioni; e per un'altra parte vincoli di coerenza tra mezzi e fini. Tali vincoli hanno una forte giustificazione pragmatica, e inoltre il fatto stesso di riconoscerli ci consente di distinguere ulteriormente le intenzioni dagli altri stati mentali, come desideri e convinzioni. Infatti le intenzioni, a differenza dei desideri, una volta formate pongono l'agente di fronte alla necessità di coordinare le proprie azioni, per soddisfare l'impegno preso nei confronti della realizzazione di uno scopo. L'agente mantiene questo impegno integrando il piano 57 d'azione principale, e lo fa di volta in volta prendendo delle decisioni soggette a due tipi di restrizioni, che possiamo sintetizzare come vincoli di coerenza interna ed esterna. Come vedremo nei prossimi paragrafi, la razionalità per un agente individuale può essere caratterizzata proprio partendo dall'esplicazione di questi vincoli posti dai piani d'azione. 3. Razionalità per un agente: coerenza interna. Da quanto detto finora, sappiamo quindi che piani ed intenzioni sono soggetti a due principali criteri di razionalità: primo, pongono problemi alle future deliberazioni, in virtù del vincolo di coerenza mezzi-fini. Esempio: Una volta che Marta ha formato l'intenzione di andare a Roma sabato per visitare una mostra, deve scegliere quale mezzo di trasporto intende utilizzare per raggiungere la sua meta. Secondo, data la richiesta di consistenza le intenzioni già formate, e non in via di riconsiderazione, pongono un vincolo sulle ulteriori soluzioni possibili bloccando la realizzazione dei desideri incompatibili, e dunque restringono il numero delle nuove intenzioni che potrebbero essere introdotte nell'articolazione del piano. Esempio: Marta non può considerare, tra le varie alternative, quella 58 di andare al mare sabato mattina, perché ciò sarebbe in contraddizione con la sua intenzione, non ancora riconsiderata, di andare a Roma. Il primo criterio equivale ad uno standard di pertinenza, richiesto per le opzioni prese in considerazione durante la deliberazione. Il secondo invece costituisce un filtro di ammissibilità per le stesse opzioni. In questo modo, le intenzioni forniscono uno sfondo, che consente all'agente di ottimizzare il processo di deliberazione. Inoltre questo sfondo fornisce un tipo di ragioni strutturali, qualitativamente diverse da quelle costituite da desideri e convinzioni. Solo queste ultime entrano nella deliberazione, il cui contesto è dunque determinato dalle intenzioni. La distinzione qualitativa tra le ragioni strutturali dettate dalle intenzioni, da una parte, e le ragioni sostanziali costituite da desideri e convinzioni dall'altra, implica una conseguente distinzione di livelli per quanto riguarda una teoria generale della razionalità pratica individuale.66 In virtù di questa sovrapposizione di livelli che interviene nei processi di deliberazione, possiamo fare un'altra importante osservazione. Il fatto che le intenzioni di un agente giochino direttamente un ruolo nella determinazione delle sue scelte, come abbiamo visto, ha un'importante giustificazione pragmatica. Allo stesso tempo, appare evidente che queste particolari attitudini definiscono una prospettiva interna all'agente,67 in cui si esercita la deliberazione. 66 Cfr. Bratman (1987) 67 Questa distinzione di prospettive ci fornisce uno strumento per concettualizzare in maniera differente il problema degli small worlds di Savage (cfr. Savage (1954) e la discussione nel 59 4. Razionalità per un agente: coerenza esterna Nel giudicare della razionalità della condotta dell'agente, possiamo porci come abbiamo fatto nella prospettiva della coerenza interna; tuttavia, osserviamo ancora, ci è anche possibile dall'esterno prescindere dai vincoli dettati da piani e intenzioni e considerare invece la condotta dell'agente in riferimento solo alle ragioni sostanziali fornite dai suoi desideri e convinzioni. Nel fare questo, ci poniamo in un'ottica esterna all'agente, a lui non direttamente accessibile.68 Ma ciò che è importante, questa prospettiva esterna può ugualmente fornire dei criteri di razionalità, importanti a livello regolativo anche se non intervengono direttamente nella pratica deliberativa dell'agente. Ciò che rende possibile questa differenza di prospettive è il fatto che mentre la prospettiva interna è vincolata dai piani d'azione, quella esterna non lo è in quanto l'agente può scegliere di non tenerne conto: di conseguenza, opzioni inammissibili nella prima prospettiva, possono essere diversamente considerate nella seconda. Esempio: Marta ha deciso di andare a Roma in macchina sabato mattina. Le sue successive deliberazioni pertinenti alla specificazione del piano sono coerenti con la sua decisione di andare in macchina, finché Luca, un suo amico, non le fa notare che andare in treno sarebbe una scelta più responsabile nei cap. 1). 68 Cfr. Bratman (1987). La prospettiva esterna è l'analogo del large world di Savage, in cui vengono presi in considerazione gli scopi ultimi dell'agente, rispetto a tutte le decisioni che potrà mai prendere. 60 confronti dell'ambiente. Marta è indotta dal consiglio di Luca a riconsiderare la sua intenzione in rapporto ad un obiettivo più ampio – il bene dell'ambiente – che desidera conseguire ma che inizialmente non aveva preso in considerazione. Nel momento in cui valutiamo le decisioni di un agente dalla prospettiva esterna, quello che cerchiamo di fare è determinare quale sia la scelta ragionevole in base alle convinzioni e ai desideri dell'agente e annulliamo il filtro costituito dalle sue intenzioni. Possiamo estendere una valutazione di questo tipo solo entro un certo limite, oltre il quale la condotta dell'agente, svincolata dalle intenzioni, non è più comprensibile. Vedremo nel prossimo capitolo che questo limite è segnato dalla possibilità di perseguire un bene collettivo, e svilupperemo questo punto introducendo una ipotesi di socialità.69 5. Alcune considerazioni sul modello BDI Fin qui abbiamo visto le caratteristiche salienti dell'analisi della razionalità pratica di un agente individuale proposta dal modello BDI. Ora vorrei invece proporre alcuni spunti di riflessione su argomenti che secondo me rimangono non ben chiariti della teoria, ma che meritano uno studio più approfondito. Alcuni di questi verranno sviluppati nel prossimo capitolo, all'interno di un'analisi delle intenzioni collettive. 69 Cfr. cap. 3. 61 5.1. Condizioni di riconsiderazione Il primo riguarda le condizioni sotto cui è razionale per una agente riconsiderare una intenzione. Nel modello BDI si fa riferimento ad una nozione di “stabilità ragionevole”, pragmaticamente definita, del piano d'azione.70 Tuttavia le condizioni di questa stabilità ragionevole sono difficili da determinare. Un possibile approccio consisterebbe nel determinare le situazioni in cui sussistono per l'agente le condizioni per una riconsiderazione razionale, facendo uso di opportuni criteri di pertinenza e consistenza al livello della cooperazione sociale. 5.2. “Riciclaggio” delle intenzioni scartate La seconda considerazione che voglio proporre riguarda un aspetto poco chiaro della teoria, ovvero che cosa ne è delle intenzioni una volta riconsiderate, e scartate. Bratman71 tratta abbastanza ampiamente la riconsiderazione delle intenzioni, ma solo nel caso in cui tale riconsiderazione porta in ultimo alla riconferma dell'intenzione di partenza. Tutto ciò che è detto a proposito di questo caso vale certamente anche per il caso in cui l'intenzione viene scartata, tuttavia non è chiaro che cosa succeda alle intenzioni dipendenti, nel momento in cui un dato piano d'azione viene modificato. Infatti non sembra ragionevole assumere 70 Cfr. Bratman (1987) 71 Cfr. Bratman (1987) 62 che l'abbandono di un'intenzione principale implichi immediatamente la necessità di riconsiderare anche tutte le intenzioni dipendenti. Si potrebbe forse superare questa difficoltà dicendo che in effetti ciò non è necessario, ma che i livelli inferiori del piano entro una certa soglia tipicamente vengono conservati e il principio di coerenza induce l'agente a cercare una nuova intenzione principale a cui sussumerli. Questo comportamento sarebbe economico dal punto di vista dell'agente, consentendo di ottimizzare i costi relativi alla deliberazione, tuttavia l'ipotesi va analizzata in maniera più circostanziata. 5.3. Aggregazione Un'ultima considerazione riguarda l'aspetto della coordinazione tra più agenti, che non ha ricevuto una grande attenzione all'interno della letteratura BDI, ma che costituisce un'importante estensione della teoria. In particolare, vorremmo indagare la possibilità di aggregare le intenzioni di più agenti, costituendo piani d'azione comuni. Chiaramente i criteri di razionalità per questi casi saranno dettati in buona parte dalle caratteristiche dei metodi di aggregazione. Ma anche rimanendo nella prospettiva dell'agente individuale, pensiamo sarebbe interessante definire, tra l'altro, le condizioni a cui è ragionevole per l'agente la scelta di cooperare e, nel caso si diano delle strategie di controllo sulla condotta di altri agenti, come queste influiscono sulla scelta di un dato piano d'azione. Infine osserviamo che la possibilità di integrazioni diverse e contrastanti ad un piano 63 comune da parte dei vari agenti pone nuovi problemi di consistenza. È necessario anche definire in che modo possa essere risolto l'eventuale conflitto derivante da intenzioni individuali inconsistenti tra loro, ma ciascuna razionale dal punto di vista interno degli agenti. In termini di teoria dei giochi, questo ricalca la distinzione tra giochi cooperativi e non-cooperativi. Adattando il modello BDI ciò può essere analizzato attraverso una procedura di aggregazione delle intenzioni, ma è anche possibile che gli agenti individuali si coordinino attraverso una deliberazione comune. Nel prossimo capitolo, mostreremo come qeste due possibilità di aggregazione siano date da diversi meccanismi di formazione di intenzioni collettive, che definiremo rispettivamente di tipo endogeno e di tipo esogeno. Per concludere, ho cercato fin qui di delineare le caratteristiche essenziali del modello BDI, integrando la definizione di un agente razionale secondo l'ipotesi di razionalità con l'introduzione del nuovo parametro delle intenzioni, che insieme ai desideri costituiscono la componente motivazionale nella deliberazione attraverso cui un agente individuale determina la propria condotta. Il modello BDI costituisce a mio parere un ottimo punto di partenza, come vedremo nel prossimo capitolo, per lo studio della razionalità sociale. 64 3. Le intenzioni collettive: individui e gruppi 1. Intenzioni e problemi di decisione Nella teoria della decisione classica informazione e motivazione sono rappresentate rispettivamente da convinzioni e desideri. Abbiamo visto che i desideri sono rappresentati da preferenze, le quali a loro volta, se soddisfano la transitività e la completezza, sono rappresentate da una funzione di utilità cardinale. Se accanto ai desideri aggiungiamo le intenzioni come parametro motivazionale, la formulazione classica del problema di decisione risulta modificata sotto alcuni aspetti significativi: diviene possibile esprimere la dinamica della deliberazione, quindi la teoria è in grado non solo, dato un problema di decisione, di dire quale sia la soluzione razionale, ma è anche in grado di rendere conto di come debba essere costruito il problema di decisione, date le deliberazioni precedentemente compiute dall'agente. Da ciò risulta molto ridimensionata l'importanza posta sulla coerenza dei desideri, per il fatto che le intenzioni pongono dei vincoli di consistenza che restringono l'insieme delle alternative disponibili nella deliberazione. Dunque, anche se un agente ha desideri incoerenti, non è irrazionale fintanto che non attivi simultaneamente le intenzioni corrispondenti. Il vincolo di coerenza non riguarda più cioè solo le preferenze 65 coinvolte in un dato problema di decisione, ma la condotta dell'agente nel suo complesso e nel suo articolarsi nel tempo. Esempio: Lia desidera finire di scrivere la tesi, ma anche andare al mare. Le due cose sono incompatibili, il che non significa che Lia non sia un agente razionale, ma solo che ha bisogno di decidere quale dei due desideri sarà attivato formulando un'intenzione. Una volta deciso di scrivere, non si troverà più di fronte ad alternative come “andare a Marina in bicicletta”. Abbiamo visto nel capitolo precedente, in cui abbiamo introdotto l'analisi delle intenzioni individuali, come queste abbiano un ruolo importante nella strutturazione della condotta dell'agente razionale. In particolare abbiamo osservato che le condizioni di riconsiderazione delle intenzioni già formate devono soddisfare alcuni criteri di razionalità, ma dipendono in una certa misura anche dal carattere dell'agente. Avevamo notato, seguendo Bratman (1987), che queste caratteristiche legate all'inerzia delle intenzioni hanno un vantaggio in termini di adattamento all'ambiente, rendendo possibile una ottimizzazione flessibile del processo di deliberazione, attraverso la specificazione di piani d'azione consistenti con gli scopi personali dell'agente.72 Aggiungiamo ora che la caratteristica stabilità delle intenzioni gioca un ruolo importante in problemi di decisione che coinvolgono più agenti. Esempio: Lia è invitata a suonare ad un concerto. Nella scelta se accettare o meno l'invito, intervengono diversi fattori di motivazione, come il 72 Cfr. cap. 2 66 luogo dove si terrà il concerto, il compenso offerto, il prestigio dell'evento. Tutti questi fattori possono essere caratterizzati nei termini delle preferenze di Lia. Ma se consideriamo un altro fattore importante per la sua scelta, cioè quali altri musicisti famosi saranno eventualmente presenti, osserviamo che l'unico modo in cui Lia può avere questa informazione, è venendo a conoscenza di una intenzione da loro espressa pubblicamente, per esempio accettando l'invito. Nell'esempio sopra riportato, Lia può ragionevolmente aspettarsi che i musicisti che hanno accettato l'invito saranno presenti, perché, tra l'altro, organizzeranno i loro impegni in modo tale che non siano i conflitto con la loro partecipazione al concerto. L'impegno “pubblico”, infatti, genera aspettative giustificate da parte degli altri agenti, che prevedono un comportamento coerente da parte dei musicisti che hanno accettato l'invito. Ovviamente gli invitati potrebbero dover riconsiderare la loro intenzione di partecipare per cause di varia natura, per esempio se dovessero ammalarsi o avessero qualche serio impedimento. Tuttavia in assenza di ragioni che motivino un cambiamento di programma, gli agenti si aspettano un comportamento “normale” coerente con gli impegni presi. Le intenzioni pubblicamente espresse forniscono dunque un parametro determinante nella formazione di un problema di decisione, rendendo inoltre alcune soluzioni salienti, per effetto della coordinazione che permettono di stabilire tra le azioni di diversi agenti.73 73 Attraverso l'analisi delle intenzioni è possibile rendere conto della comunicazione come coordinazione sui significati. Cfr. Hosni (2009) 67 Ora vogliamo concentrare la nostra analisi delle intenzioni espresse sulla loro funzione come motivazioni nell'agire di gruppo. Sappiamo che per quanto riguarda le preferenze, esiste un'ampia area di ricerca che studia il modo in cui queste vengono aggregate nella scelta sociale. Nella prossima sezione introdurremo brevemente questo argomento, cercando poi di considerarlo in rapporto all'analisi delle intenzioni individuali che abbiamo presentato nel capitolo 2, per vedere come sia possibile integrare questi risultati nell'analisi dei meccanismi di formazione delle intenzioni collettive. 2. Le due anime della scelta sociale La teoria della scelta sociale si occupa in senso lato delle scelte che riguardano una collettività di individui. Esistono due tipi di approccio a questo tema, che si interessano ad aspetti diversi della scelta sociale. Il primo mette l'accento sul fatto che la scelta sociale può essere analizzata come il risultato dell'aggregazione dei profili individuali di un gruppo di agenti. La scelta si qualifica come sociale, in questo caso, perché viene fatta in funzione delle preferenze espresse dagli individui che compongono la società. Il secondo modo di concettualizzare la scelta sociale, la considera come una scelta le cui conseguenze incidono sul comportamento di un gruppo di individui. In questo caso, la scelta è definita sociale perché, sotto certe condizioni, è fatta a nome di tutti gli individui che compongono una società: 68 In my view, social choice theory should be about specifying suitable objectives for public officials and others responsible for major decisions affecting large numbers of individuals.74 2.1 La scelta sociale come aggregazione di preferenze individuali Cominciamo ad analizzare il primo approccio alla scelta sociale, che la caratterizza come un meccanismo di aggregazione delle preferenze individuali in un unico profilo sociale. Il quadro di riferimento è la scelta razionale così come è caratterizzata nella teoria della decisione classica. Come abbiamo visto nei capitoli precedenti, l'esistenza di una funzione di utilità unica per un agente razionale fornisce l'elemento da massimizzare in un problema di decisione.75 La funzione di utilità, a sua volta, è la rappresentazione di un profilo di preferenze che soddisfi alcuni criteri di coerenza, in particolare la transitività. Tuttavia, le preferenze di agenti diversi non sono generalmente confrontabili tra loro, e questo implica che non è possibile, senza usare qualche particolare accorgimento, rappresentarle mediante un'unica funzione di utilità. Un modo che si può usare per aggregare le preferenze individuali è un meccanismo di voto. Attraverso una votazione, si sottopongono agli agenti votanti una serie di alternative, relativamente alle quali essi devono esprimere le proprie preferenze. Il fatto che le alternative siano le stesse per tutti i votanti assicura che i 74 Cfr. Hammond (1997) 75 Cfr cap. 1 69 voti siano confrontabili. I meccanismi di voto sono stati ampiamente studiati nella teoria della scelta sociale, in particolare relativamente a diversi tipi di sistemi elettorali usati per determinare l'alternativa socialmente preferita da selezionare. Il problema, in questi casi, è determinare che cosa significhi che un'alternativa sia “socialmente preferita”, e se i sistemi di voto usati siano sempre in grado di selezionarla. Nella realtà, ciò che spesso si osserva è che le preferenze individuali dei votanti generano risultati elettorali del tutto inaspettati e paradossali. Come osserva Saari (2001), commentando i risultati delle elezioni presidenziali americane del 2000 in cui Bush fu eletto con una minoranza di voti popolari: [...] our basic voting procedures can generate problems so worrisome that it is reasonable to worry about the legitimacy of most election outcomes. [...] What elections should we worry about? Quite frankly, any which involves three or more candidates and where the winning candidate fails to receive a majority vote. [...] Election outcomes can significantly influence our lifes. Consequently, if subtle and hidden mathematical structures can cause doubt about election outcomes, then something must be done.76 Secondo Saari, dunque, le elezioni hanno un significato sociale in entrambi i sensi che abbiamo individuato nella sezione 2. Infatti, possono essere ritenute legittime solo nella misura in cui esprimono effettivamente la volontà dei votanti, e per decidere di questo aspetto è necessario analizzare matematicamente le procedure di aggregazione delle preferenze individuali che esse mettono in atto. Esistono molte procedure di voto, tra cui possiamo citare le più comuni: 76 Cfr. Saari (2001), p. 3. 70 1) Maggioranza semplice: ogni votante esprime una preferenza per una sola alternativa. L'alternativa che raccoglie il maggior numero di voti è selezionata. Questa procedura (o procedure molto simili) è la più usata nelle elezioni democratiche in tutto il mondo, tuttavia non è sempre soddisfacente. Il problema è che il voto a maggioranza semplice, quando le alternative sono più di due e nessuna raccoglie una maggioranza assoluta di voti, può portare alla selezione di un'alternativa che non è preferita dalla maggioranza dei votanti. Esempio: nelle elezioni presidenziali americane del 2000, il margine di differenza tra i voti attribuiti a Bush e quelli attribuiti a Gore era molto ristretto. Un terzo candidato, Nader, che si presentò alle elezioni con l'intento di promuovere il partito dei Verdi pur non aspirando alla vittoria, raccolse un certo numero di voti di elettori che, secondo quanto indicato dai sondaggi, avrebbero votato per Gore se la scelta fosse stata tra il candidato Democratico e quello Repubblicano. Per gli elettori di Nader, Bush era l'alternativa peggiore fra i tre possibili candidati alla presidenza, ma se sommiamo il numero degli elettori di Nader con quelli di Gore, per i quali Bush era ugualmente il terzo classificato nell'ordine delle preferenze, otteniamo il risultato paradossale che Bush fu eletto nonostante il fatto che fosse il candidato ritenuto peggiore dalla maggioranza dei votanti. È evidente, come scrive Saari, che i risultati elettorali hanno un'incidenza 71 enorme sulla vita di intere società, e situazioni paradossali come quella presentata nell'esempio delle elezioni americane77 richiedono senz'altro uno studio finalizzato all'individuazione di procedure di voto alternative. 2) Maggioranza inversa: i votanti esprimono un solo voto per l'alternativa che ritengono peggiore tra quelle proposte. Vince l'alternativa che ha raccolto meno voti. Questa procedura è spesso usta dalle commissioni giudicatrici, o nelle situazioni in cui si comincia innanzitutto “sfoltendo” la rosa delle opzioni candidate, ma ha gli stessi inconvenienti del voto a maggioranza semplice. Infatti matematicamente è lo stesso caso, in cui in un insieme di alternative viene selezionato un minimo anziché un massimo. 3) Voto di approvazione: ogni votante indica la sua “approvazione” per tutte le alternative che ritiene personale soddisfacenti, senza specificare il criterio usato per giudicarle. Questo tipo di procedura rappresenta abbastanza bene il modo in cui solitamente si svolgono gli scrutini scolastici. Inoltre, questo metodo è stato recentemente adottato da importanti associazioni culturali come la Mathematical Association of America, perché presenta il vantaggio di motivare la scelta sulle informazioni circostanziate di cui possono individualmente disporre gli specialisti 77 Abbiamo tralasciato di rendere conto della composizione del Collegio Elettorale, meccanismo attraverso cui vengono selezionati gli elettori effettivi, per ogni Stato, del presidente degli Stati Uniti. Questo meccanismo elettorale genera ulteriori complicazioni, caratteristiche del sistema americano. Per un'analisi dettagliata di questo punto cfr. Saari (2001). 72 di una materia. Tuttavia anche questa procedure può portare a distorsioni significative delle reali preferenze dei votanti: come avverte Gillman, presidente della Mathematical Association of America, in un articolo pubblicato alla vigilia di un'elezione effettuata con questa procedura: “[S]uppose there are three candidates of whom two are outstanding. Suppose the third is a person you believe is not yet ready for office but whom you decide to vote for as a means of encouragement (in addition to voting for your favourite). If enough voters reason that way, you will elect that person now.”78 C'è da sospettare qualcosa, dunque, ogni volta che il voto non sia quasi unanime – situazione in cui, del resto, la scelta di una procedura di aggregazione delle preferenze piuttosto che un'altra, fra le tre che abbiamo visto, non influisce sull'esito del voto. 4) Conteggio di Borda: date n alternative proposte, questo metodo assegna un n – i punti all'alternativa che un dato votante classifica come i-esima tra le sue preferenze. Questa procedura di aggregazione fu ideata nel 1770 dal matematico francese Jean Charles de Borda, come alternativa al voto di maggioranza allora usato per selezionare i membri dell'Académie des Sciences. Il metodo Borda può essere generalizzato in diverse varianti dette metodi posizionali, una classe di procedure che includono come casi particolari il 78 Cfr. Gillman (1987) 73 Conteggio di Borda, la maggioranza semplice e inversa, e molte altre procedure di voto. Secondo l'approccio dei metodi posizionali, ad ogni alternativa viene assegnato un certo numero di punti a seconda di come è posizionata nelle preferenze indicate dal votante. Se i punti assegnati sono 1 e 0, come nelle votazioni a maggioranza, abbiamo visto che i meccanismi di voto presentano alcuni difetti. Ma se i punti sono distribuiti diversamente, non è chiaro come si possano confrontare tra loro le scelte.79 5) Vincitore di Condorcet: consiste nel confrontare separatamente con una votazione a maggioranza ciascuna coppia di alternative, e selezionare come vincente l'alternativa che batte tutte le altre nei confronti diretti. Questa procedura venne proposta verso la fine del '700 da un altro matematico francese, Marie-Jean-Antoine-Nicolas de Caritat Condorcet.80 Nonostante sia una procedura relativamente laboriosa, rispetto alle altre che abbiamo presentato, è solitamente ritenuta la più affidabile. Tuttavia neanche il vincitore di Condorcet è al di sopra di ogni ragionevole dubbio. Per illustrare una difficoltà che può sorgere utilizzando il metodo di Condorcet, ritorniamo un attimo a quanto abbiamo detto nel capitolo 1 a proposito dei vincoli di coerenza per i profili di preferenze individuali. Abbiamo visto in quel contesto che la transitività è un requisito importante perché la sua violazione può causare scelte irrazionali da parte dell'agente. Nel momento in cui i profili 79 Per una discussione dei problemi complessi emersi in quest'area di ricerca, e per una argomentazione contraria alla diffusa attitudine secondo cui, date queste difficoltà, “[t]he choice of a positional voting method is subjective”, cfr. Saari (2001). 80 Cfr. Saari (2001) 74 individuali vengono aggregati con il metodo di Condorcet, si possono generare delle preferenze sociali intransitive anche partendo da dei profili individuali in sé coerenti. La difficoltà era stata notata già dallo stesso Condorcet. Il paradosso che va a suo nome, infatti, illustra questa situazione: Esempio (paradosso di Condorcet): Lia, Marta e Luca devono decidere dove andare in vacanza. Le alternative sono tre: Jesolo, Londra o Cortina. Lia preferisce Jesolo a Londra, e Londra a Cortina, perché non ama la montagna d'estate. Marta invece preferisce Cortina a Jesolo e Jesolo a Londra, perché le piace fare lunghe camminate, infine Luca, che vorrebbe andare ad una partita del Chelsea, preferisce Londra a Cortina e Cortina a Jesolo, perché non sopporta le spiagge affollate. Per decidere dove andare, votano a coppie le alternative con il metodo di Condorcet, ma il risultato della votazione li lascia un po' spiazzati: non è possibile individuare una soluzione migliore per tutti. Date le loro preferenze, infatti, Jesolo risulta preferita a Londra, Londra a Cortina, ma – chiudendo il ciclo – Cortina risulta preferita a Jesolo. Infatti possiamo rappresentare così i profili dei tre amici: a) Jesolo PLia Londra PLia Cortina b) Cortina PMarta Jesolo PMarta Londra c) Londra PLuca Cortina PLuca Jesolo E il profilo aggregato: ● Jesolo P Londra, perché vince in a) e b) ● Londra P Cortina, perché vince in a) e c) 75 ● Cortina P Jesolo, perché vince in b) e c) Quindi Jesolo P Londra P Cortina P Jesolo: le preferenze aggregate formano un ciclo. Esiste anche un altro tipo di paradosso legato al metodo di votazione di Condorcet, e noto come il “dilemma discorsivo”, che illustra come non sia generalmente possibile, date delle preferenze aggregate riguardo alle premesse di un argomento, determinare in modo semplice come dedurre la preferenza sociale riguardo alla conclusione: Esempio:81 Nel 1789, all'indomani della rivoluzione francese, l'Assemblea Costituente deve decidere se adottare un sistema unicamerale o bicamerale. I membri dell'assemblea devono di fatto deliberare su tre coppie di alternative: i) se sia (o no) una cosa desiderabile rendere stabile il regime; ii) se il bicameralismo contribuirebbe (oppure no) a stabilizzare il regime meglio che un sistema unicamerale; iii) se la cosa migliore da fare sia introdurre (o meno) il bicameralismo. i) e ii) insieme implicano iii). L'Assemblea Costituente si trova divisa in tre fazioni, ciascuna delle quali ha un peso uguale alle altre. I reazionari vogliono destabilizzare il regime rivoluzionario, ma pensano che il bicameralismo possa contribuire a stabilizzarlo, e perciò lo osteggiano. I moderati vogliono stabilizzare il regime e pensano che il bicameralismo sia utile a questo scopo, perciò votano a favore. Infine, anche i radicali vogliono stabilizzare il regime rivoluzionario, ma pensano che per questo sia meglio un sistema unicamerale, 81 Cfr. List (in corso di stampa) 76 dunque votano contro il bicameralismo. Il risultato della votazione è riassunto nella tabella seguente: i ii iii reazionari no si no moderati si si si radicali si no no maggioranza si si no Ciascuna delle tre fazioni accetta l'implicazione di iii) da i) e ii), eppure il risultato della votazione a maggioranza è incoerente. Dal dilemma discorsivo emerge una difficoltà ulteriore ad aggregare le preferenze di più agenti nel caso in cui le loro motivazioni nei confronti di una specifica azione non sono uniformi ma possono portare per ragioni differenti ad una stessa decisione. 2.2 Il teorema di Arrow Date le difficoltà che abbiamo indicato relativamente ai diversi meccanismi di voto, a cui per completezza ne andrebbero aggiunte molte altre, 82 il problema centrale della teoria della scelta sociale è ideare delle nuove procedure di aggregazione che siano immuni dai difetti delle procedure standard. Non si tratta di un compito facile, ma questo approccio, iniziato da Kenneth Arrow negli anni '50 e che gli valse il premio Nobel nel 1972, ha prodotto negli ultimi 82 Cfr. Saari (2001), Gaertner (2006) 77 cinquant'anni risultati estremamente importanti per la teoria della scelta sociale. Il meccanismo di voto cercato è trattato come una funzione che mappa i profili di preferenze individuali dei votanti su profili di preferenze sociali e il punto di partenza di Arrow consiste nello specificare le “proprietà desiderabili” che un tale meccanismo di voto dovrebbe soddisfare. Le assunzioni che vengono fatte sono le seguenti: i) le preferenze di ogni votante formano un profilo individuale completo e transitivo; ii) qualsiasi profilo di preferenze individuale che soddisfi la condizione i) è ammissibile; iii) il profilo sociale è transitivo; iv) se tutti i votanti preferiscono una data alternativa rispetto ad un'altra, allora questa preferenza deve essere conservata nel profilo sociale (nota come condizione di Pareto); v) il meccanismo di voto deve produrre un profilo sociale in cui ogni coppia di alternative è reciprocamente posizionata secondo una classificazione indipendente dalle alternative irrilevanti. Date queste condizioni, May dimostra che il voto a maggioranza è il miglior meccanismo di aggregazione se si danno esattamente due alternative sociali.83 Generalizzando questo risultato ai casi in cui si danno più alternative sociali tra cui scegliere, Arrow dimostra invece che l'unica procedura di aggregazione delle preferenze individuali che soddisfa le condizioni sopra 83 Cfr. May (1952) 78 riportate è una procedura dittatoriale, ovvero un meccanismo di voto in cui il profilo sociale coincide sempre con il profilo di preferenze di un particolare votante.84 Dato che riteniamo che un metodo dittatoriale non sia un'opzione ragionevole, questo risultato, noto come il teorema di impossibilità di Arrow, segna una forte limitazione delle possibilità di aggregare ragionevolmente la componente motivazionale di più agenti individuali in un contesto sociale. Sono state avanzate diverse proposte per cercare di trovare dei meccanismi di voto che indebolendo selettivamente alcune delle condizioni individuate da Arrow, sfuggano all'impossibilità.85 Del resto, le condizioni poste da Arrow perché un meccanismo di votazione sia ragionevole sono molto astratte. In concreto, qualsiasi votazione è condizionata in maniera rilevante dal contesto particolare in cui si svolge, per esempio dall'identità dei votanti e dal fatto che condividano o meno una serie di informazioni di sfondo. Per questo motivo un'ampia area di ricerca si è rivolta allo studio della composizione e struttura dei corpi elettorali e delle commissioni giudicanti, nell'intento di individuare i vincoli naturali specifici nel concreto dei meccanismi di voto. 84 Cfr. Arrow (1951) 85 Cfr. Taylor (2005) 79 3. Intenzioni collettive Quanto detto riguardo l'aggregazione delle preferenze, non appare applicabile al caso delle intenzioni. Se consideriamo le intenzioni di un agente individuale, come emerge dall'analisi che ne abbiamo fatto nel capitolo 2, è evidente che non sarebbe possibile confrontare intenzioni di individui diversi senza includere una valutazione delle ragioni che ne giustificano la formazione. Queste ragioni sono date, come abbiamo visto dalle preferenze e dalle informazioni che un agente ha a disposizione nella deliberazione. Un meccanismo per aggregare le intenzioni individuali dovrebbe dunque fornire un modo per unificare la deliberazione di più agenti, ma questo pone dei vincoli di consistenza che vanno al di là di quelli richiesti per un meccanismo di voto. In particolare, se la coerenza era un criterio sufficiente per evitare l'irrazionalità del profilo di preferenze sociale,86 le intenzioni devono soddisfare vincoli di coerenza molto più specifici e soprattutto, a causa della loro caratteristica struttura gerarchica, non possono essere rappresentate da alternative intersoggettivamente paragonabili come avviene nei meccanismi di voto. Intuitivamente, la chiave per comprendere l'aggregazione di più agenti individuali in funzione di un piano d'azione unico è il concetto di gruppo. In prima approssimazione possiamo considerare un gruppo come un insieme di agenti individuali che coordinano consapevolmente le proprie azioni in funzione 86 Cfr. la condizione iii) di Arrow, sez. 2.2. 80 di un obiettivo comune. Gli agenti che fanno parte di un gruppo riconoscono come proprio l'obiettivo comune sulla base di un processo di deliberazione, su cui torneremo meglio in seguito. Il motivo per cui ci interessa studiare i meccanismi di formazione dei gruppi, è perché ciò offre il punto di partenza per una analisi dell'interazione razionale. La possibilità di coordinare piani d'azione che vincolino il comportamento degli agenti individuali a livello sociale, dà una concettualizzazione diversa del problema dell'aggregazione delle motivazioni rispetto a quella studiata dalla teoria della scelta sociale, che permette di superare alcune delle difficoltà emerse in quel contesto. Il criterio di coerenza che vincola le preferenze nel modello classico, come abbiamo visto,87 non è sufficiente per caratterizzare le intenzioni, che devono soddisfare criteri di consistenza più articolati. In particolare, perché un agente individuale non si irrazionale le sue intenzioni devono rispettare due vincoli: le intenzioni formate devono articolarsi in una struttura gerarchica coerente e devono avere un'efficacia strumentale rispetto ai fini che l'agente intende perseguire. La struttura gerarchica delle intenzioni, come abbiamo visto nel capitolo precedente, dipende dal fatto che le intenzioni costituiscono delle linee-guida rispetto alle azioni che l'agente dovrà compiere per raggiungere il suo scopo, linee-guida che devono essere via via specificate come un piano d'azione articolato mediante le successive deliberazioni, che saranno quindi vincolate gerarchicamente dalle intenzioni precedentemente formate. 87 Cfr. cap. 2. 81 Abbiamo trattato nel capitolo precedente della formazione di intenzioni individuali. Qui ci interessa analizzare come si formino delle intenzioni collettive, e in che modo queste eventualmente incidano sulle intenzioni individuali di agenti inseriti in un contesto sociale. Vedremo che è possibile individuare due strutture di gruppo, a cui corrispondono due diversi tipi di intenzioni collettive, che chiameremo rispettivamente di tipo endogeno e di tipo esogeno. Prima di passare all'analisi di queste strutture, cerchiamo però di chiarire meglio la distinzione tra individui e gruppi. 4. Individui Un individuo è un agente la cui condotta può essere rappresentata come la risultante di un insieme unitario di informazioni e di motivazioni. Il punto di partenza della nostra caratterizzazione di un individuo razionale è infatti l'ipotesi di razionalità, che abbiamo introdotto a proposito dell'agente neoclassico.88 Secondo questa caratterizzazione di razionalità, un agente individuale agisce come se stesse massimizzando la propria funzione di utilità. In economia l'interesse personale dell'agente è prevalentemente interpretato in termini di profitto,89 contribuendo a creare l'immagine di una disciplina “cinica”, che riduce la razionalità ad uno strumento per massimizzare gli utili. A questo tipo di razionalità, che non sembra poter esprimere il fatto che 88 Cfr. cap. 1 89 Cfr. Luce-Raiffa (1957), Rubinstein (2006) 82 gli individui come anche i gruppi sociali riescano a promuovere anche interessi diversi, di tipo etico o comunque indipendenti dal profitto, sono state mosse diverse critiche fra cui la nota presa di posizione di Amartya Sen.90 La critica di Sen tocca certamente un problema centrale della teoria della decisione classica, tuttavia pensiamo che la difficoltà possa essere risolta senza abbandonare l'impostazione generale, ma sia necessario raffinare l'analisi mantenendo l'assunto fondamentale dell'ipotesi di razionalità. Aggiungiamo all'ipotesi di razionalità, un'ipotesi di socialità, secondo cui il bene dell'individuo è da considerarsi subordinato a quello della collettività e coincide con la conservazione delle condizioni che rendono possibile l'esistenza di una società. Come scrive de Finetti: La teoria delle decisioni andrebbe applicata soprattutto alla ricerca di un optimum per la collettività, e solo poi, in via subordinata, all’analoga ricerca a livello settoriale o regionale o addirittura aziendale o familiare o individuale. Si dovrebbe pensare, avanti a tutto, alla preservazione della vita della biosfera, e quindi all’uomo col compito della sua regolazione, se saprà raccogliere il messaggio di rari chiaroveggenti come Peccei, Huxley, Salk [...] Soltanto in questa prospettiva può esserci speranza per il futuro.91 Le parole di de Finetti non hanno avuto nell'ambito della teoria della scelta sociale quell'ampia risonanza che ci potremmo aspettare. Eppure uno schema di comportamento che possiamo osservare in molte situazioni, nettamente in contrasto con l'ipotesi di socialità, e noto come la “tragedia delle risorse 90 Cfr. in particolare Sen (1977) 91 Cfr. de Finetti (1977) 83 comuni”,92 offre un esempio evidente di comportamento irrazionale. Esempio: Una comunità di allevatori utilizza come pascolo per le mandrie di mucche un'area comune, ricca di vegetazione spontanea. Gli allevatori sanno che i pascoli non possono sopportare più di un certo numero di animali, superato il quale l'erba riuscirà a stento a crescere, rendendo più difficile per tutti trovare il nutrimento per i propri animali. Tuttavia, al momento in cui lo sfruttamento dei pascoli è al limite della soglia critica, un allevatore può ragionare come segue: aggiungere una sola mucca alla sua mandria, comporterà certo un piccolo impoverimento dei pascoli, ma se gli altri rispettano i limiti, non sarà un danno troppo ingente per nessuno. Invece, una mucca in più sarebbe una fonte di guadagno per l'allevatore. Quindi, l'allevatore conclude che è ragionevole, a fronte di un piccolo danno per la collettività, procurarsi un guadagno sicuro aggiungendo un animale alla sua mandria. Se tutti gli allevatori della comunità ragionano in modo simmetrico, alla fine i pascoli sono distrutti. Lo schema di comportamento che si riproduce in un caso di “tragedia delle risorse comuni” si articola in due fasi: a) un gruppo di individui utilizza delle risorse in comune, le quali possono soddisfare una domanda solo entro una certa soglia; b) ogni individuo ha interesse che le risorse non vengano distrutte, tuttavia il fatto di aumentare di poco lo sfruttamento che lui fa delle risorse comuni apporta un guadagno personale apprezzabile, a fronte ad un costo distribuito sull'intera comunità. Quindi, ragionando individualmente in termini di profitto 92 Cfr. Hrdin (2008) 84 personale, coloro che sfruttano delle risorse comuni, in assenza di una specifica regolamentazione, sono collettivamente indotti ad esaurirle. Ciò che è paradossale nella tragedia delle risorse comuni, è che gli agenti individuali sono apparentemente razionali nel perseguire uno scopo che implica in ultima istanza l'annullamento di quelle stesse possibilità di profitto che si vorrebbero massimizzare. Il problema è chiaramente di natura sociale: le scelte individuali, possiamo dire in prima approssimazione, sono irrazionali se violano l'ipotesi di socialità non tenendo conto delle conseguenze che un comportamento “egoista” implica per l'intera comunità. Nelle prossime sezioni, analizzando la caratteristica modularità delle strutture sociali, vedremo come l'ipotesi di socialità implichi che l'ipotesi di razionalità si applichi anche ai gruppi, fornendo così una soluzione in risposta al problema della tragedia delle risorse comuni. Se collochiamo la nostra analisi al livello di una società, infatti, è evidente che possiamo considerare il gruppo di agenti che la compone come un individuo, dotato di uno scopo unitario, derivante dall'ipotesi di socialità. Ciò significa, come abbiamo ricordato, che al gruppo sociale si applica l'ipotesi di razionalità e un gruppo che produca un comportamento come quello esemplificato dalla tragedia delle risorse comuni, chiaramente sta agendo in modo irrazionale. Ciò che manca è la coordinazione cooperativa tra i membri del gruppo, che non agiscono quindi come membri di quella collettività e di fatto trascurano nella deliberazione individuale la forza delle ragioni dell'obiettivo collettivo. Possiamo analizzare il problema secondo due livelli di analisi distinti: da una parte consideriamo il gruppo sociale come individuo. Dall'altra lo intendiamo come lo spazio delle 85 interazioni strategiche tra gli individui che lo compongono. Riteniamo che nessuna delle due prospettive sia in sé errata, ma che la scelta del livello di analisi più elevato permetta di caratterizzare la razionalità degli agenti sociali dal punto di vista di un obiettivo più generale.93 La analisi che proponiamo rappresenta dunque i gruppi come delle strutture modulari, composte da individui al cui interno sono distinguibili altri agenti individuali di livello inferiore. I singoli agenti che costituiscono i vari moduli conservano infatti i propri tratti distintivi, attraverso cui possono condizionare il comportamento del gruppo. Secondo la nostra analisi, dunque, essendo la risultante di molte individualità distinte, il comportamento del gruppo non sarà mai privo di attrito, ma possiamo sempre aspettarci che generi nei suoi sotto-moduli un comportamento divergente rispetto alla coordinazione cooperativa. 5. Gruppi Un gruppo, come l'abbiamo definito, è un insieme di agenti individuali che coordinano consapevolmente le proprie azioni in funzione di un obiettivo comune che non sarebbe possibile conseguire individualmente, cooperano cioè sulla base di una intenzione collettiva. Veniamo ora ad analizzare i meccanismi attraverso cui si può arrivare alla formazione di intenzioni collettive. 93 Per certi versi, la scelta di un livello di analisi più generale pone un problema analogo a quello della distinzione tra small world e large world in Savage (1954). L'analogia è pertinente, perché anche nel contesto della teoria di Savage la scelta del livello di analisi dipende dalla quantità dei dati considerati nel problema di decisione, ma non comporta un cambiamento qualitativo del tipo di razionalità dell'agente individuale. 86 5.1. Meccanismo endogeno Esempio: Uno store mobber lancia sul suo blog la seguente iniziativa: appuntamento l'indomani a una data ora presso un negozio di apparecchiature elettroniche. Obiettivo: raccogliere il maggior numero possibile di acquirenti, per indurre il rivenditore ad applicare un prezzo scontato per l'acquisto di un certo stock. Questa iniziativa, detta store mobbing, ha come conseguenza vantaggiosa per i clienti occasionalmente raccolti la possibilità di usufruire di uno sconto. Ovviamente i rivenditori acconsentono e ne traggono un beneficio economico. Lia, come anche altre persone sconosciute, legge dell'iniziativa e decide, senza nessun impegno, di parteciparvi. Lo store mobbing è un esempio di azione di gruppo coordinata attraverso un'intenzione collettiva di tipo endogeno. Ogni partecipante a un'azione collettiva di questo tipo, forma l'intenzione corrispondente in maniera autonoma attraverso una deliberazione individuale, per la quale il blogger fornisce semplicemente l'occasione. Questa deliberazione è dunque in funzione dell'interesse personale dell'agente che la compie, e solo l'agente individuale può decidere della sua partecipazione al gruppo. Prima che avvenga la deliberazione, cioè, non esiste nessun vincolo normativo perché l'agente sottoscriva o meno l'intenzione collettiva che viene proposta alla sua deliberazione. Solo nel momento in cui sottoscrive l'intenzione collettiva l'agente individuale si trova effettivamente a far 87 parte di un gruppo. I vincoli di consistenza che la formazione di questo tipo di intenzione collettiva pone alla formazione di nuove intenzioni sono del tutto analoghi a quelli posti alla condotta dell'agente dalla formazione di un'intenzione individuale, dal momento che la deliberazione attraverso cui viene sottoscritta l'intenzione collettiva endogena è di tipo individuale. Se torniamo un attimo all'esempio di dilemma discorsivo, vediamo che è possibile darne una lettura nei termini di un'aggregazione di gruppo di tipo endogeno. Consideriamo la conclusione proposta di istituire il bicameralismo: è necessaria una “massa critica” di due fazioni favorevoli perché la proposta sia accettata. Ma ogni fazione ha un suo carattere, delle precise opinioni e una serie di intenzioni individuali cui deve mantenersi coerente: la coppia di alternative della proposizione i) rappresenta la motivazione individuale della fazione, la ii) rappresenta le informazioni. Sulla base di i) e ii) avviene, individualmente per ogni fazione, la deliberazione, in base a cui i gruppi reazionario e radicale decidono di non appoggiare il bicameralismo, non permettendo così di raggiungere la massa critica necessaria per approvarlo. Naturalmente, quello proposto è solo uno dei modi possibili per concettualizzare il dilemma discorsivo in termini di intenzioni collettive, che elimina la contraddizione tra decisioni individuali e di maggioranza semplicemente ammettendo che la deliberazione in questo caso avvenga su due livelli distinti. Ma si potrebbero immaginare molti scenari diversi per rendere conto della decisione dell'Assemblea Costituente sulla base delle ragioni che motivano la formazione dell'intenzione collettiva di approvare o meno il 88 bicameralismo. Ad esempio, se le tre fazioni, unite da un senso di responsabilità civica, si fossero precedentemente accordate per votare i) e ii) e avessero formato un'intenzione collettiva sulla base di questo voto. L'intenzione risultante in questo caso non sarà di tipo endogeno, perché “imposta” agli agenti individuali in quanto appartenenti al gruppo che ha votato le premesse. L'intenzione collettiva sarebbe stata, in quel caso, di approvare il bicameralismo, ma reazionari e radicali l'avrebbero potuta accettare solo assumendo la consapevolezza che essa sia dettata dalla volontà di un gruppo sociale di cui si riconoscono parte. Vedremo nella prossima sezione come questo tipo di atteggiamento si produca all'interno di un gruppo di tipo esogeno. La riconsiderazione di un'intenzione collettiva endogena dipende dall'individuo che l'ha formata. Tuttavia, se l'intenzione è stata espressa pubblicamente, la sua riconsiderazione da parte dell'agente può comportare un'incidenza sulla sua reputazione. Esempio: Lia ha deciso di partecipare allo store mobbing ed ha lasciato un messaggio di conferma sul blog che aveva lanciato l'iniziativa. L'indomani, però, cambia idea e non si presenta all'appuntamento, per la delusione degli effettivi partecipanti, che non sono più in numero sufficiente per ottenere lo sconto. Per punizione, gli autori del blog decidono di bloccare l'accesso di Lia impedendogli di registrarsi per iniziative future. 89 5.2. Meccanismo esogeno Il meccanismo endogeno, come abbiamo visto, rappresenta il modo in cui un gruppo si costituisce sulla base della sottoscrizione di un'intenzione collettiva da parte di agenti motivati dal proprio interesse individuale. Il meccanismo endogeno è dunque l'analogo di una procedura di aggregazione, se consideriamo le intenzioni degli agenti individuali al posto dei loro profili di preferenze. Ci sono delle differenze molto grandi, ovviamente, date dal fatto che le intenzioni devono soddisfare criteri di consistenza molto più restrittivi che non le preferenze. Inoltre i meccanismi di voto sono artificiali e possono essere imposti, per esempio, sulla base di specifiche politiche sociali, mentre la formazione di intenzioni collettive endogene è spontanea. In ogni caso il meccanismo di aggregazione dato dalla formazione di intenzioni collettive endogene ha in comune con il primo approccio alla scelta sociale che abbiamo introdotto nella sezione 2 il fatto di porre l'accento sulla dipendenza della scelta sociale dalle scelte individuali. Esiste però anche un altro modo di formare intenzioni collettive, che presenta forti analogie con il secondo approccio alla scelta sociale. Esempio: Il direttore di un giornale decide di far avviare un'inchiesta sull'efficienza della rete ferroviaria nazionale. È sua opinione, infatti, che col caldo e il traffico aumentato per le vacanze estive i lettori saranno più sensibili ai problemi della circolazione ferroviaria. Incarica quindi alcuni giornalisti della redazione di occuparsi del caso, e destina uno spazio in prima 90 pagina per lanciare l'inchiesta. I giornalisti che sono incaricati di seguire l'inchiesta sono vincolati dalla decisione del giornale a formare intenzioni individuali consistenti e finalizzate alla produzione dell'inchiesta. Chiameremo esogeno il tipo di intenzione collettiva esemplificata dalla decisione del direttore di giornale. Questo tipo di intenzione collettiva, formata attraverso una deliberazione, compiuta da un individuo che chiameremo nomoteta, il quale ha la responsabilità di massimizzare l'interesse di un gruppo e la cui decisione vincola il comportamento individuale degli agenti che appartengono al gruppo, configurandosi per questo motivo come una scelta sociale nel senso di Hammond.94 Gli agenti individuali che fanno parte di un gruppo esogeno sono infatti vincolati dalla decisione del nomoteta a formare intenzioni individuali consistenti con l'intenzione collettiva esogena del gruppo, come vedremo, in virtù dell'ipotesi di socialità. L'esistenza di una intenzione collettiva esogena ci presenta perciò un gruppo come un solo individuo, che persegue un obiettivo unitario rappresentato dall'intenzione collettiva espressa dal nomoteta, e a cui si applica di conseguenza l'ipotesi di razionalità. Esempio: Le motivazioni che inducono la redazione di un giornale ad adottare una certa linea editoriale, dovrebbero essere fare buona informazione e vendere molte copie. Date queste motivazioni, il giornale nel suo complesso agisce come se perseguisse questi scopi. 94 Cfr. sez. 2 91 A differenza delle intenzioni collettive endogene, un'intenzione di tipo esogeno non può essere formata attraverso una deliberazione individuale. La figura del nomoteta idealizza una funzione che è svolta da individui differenti a seconda dei casi. Esempio: Nell'esempio precedente, il comitato di redazione che decide della linea editoriale rappresenta il nomoteta nei confronti del gruppo esogeno costituito dal giornale nel suo complesso. Le decisioni prese dalla redazione non hanno di mira gli scopi dei singoli redattori, ma quelli di tutti i giornalisti in quanto dipendenti di quella specifica testata. Nel caso del paradosso discorsivo dell'Assemblea Costituente, se consideriamo le tre fazioni come gli individui che compongono un gruppo esogeno il cui scopo è “stabilire un sistema di governo sulla base di ragioni condivise”, la decisione di approvare il bicameralismo è coerente con la struttura di gruppo esogeno. La formazione di un'intenzione collettiva esogena pone dei vincoli di consistenza per la formazione di intenzioni individuali da parte degli agenti che fanno parte del gruppo. La decisione del nomoteta ha la funzione di creare un'identità di gruppo, e, nel caso di un agente individuale, di costruire un'immagine di sé. Esempio: In una situazione tipo dilemma del prigioniero, un giocatore può decidere di scegliere la strategia cooperativa, sapendo che è dominata, perché ritiene che mostrarsi altruista sia una cosa moralmente apprezzabile. Attraverso la scelta di una strategia si identifica in una categoria 92 sociale, auto-qualificandosi come soggetto affidabile nella cooperazione in vista di uno scopo comune. Come sappiamo, l'unico equilibrio di Nash nei giochi tipo dilemma del prigioniero è la coppia di strategie non cooperative. Se però osserviamo i dati empirici95 relativi al comportamento di soggetti reali sottoposti ad esperimenti controllati, questi mostrano che la scelta di cooperare è molto più frequente nella realtà di quanto non prevederebbe la teoria. La sistematicità dei risultati osservati in questi esperimenti, ha portato molti a mettere in discussione la validità di alcuni assunti teorici riguardo la razionalità degli agenti in gioco. Tra i tentativi di spiegare la tendenza diffusa a cooperare, alcuni degli studi più recenti96 fanno riferimento ad un fattore di reputazione, che interverrebbe in particolare nei casi in cui i soggetti dell'esperimento sono sottoposti ripetutamente al dilemma del prigioniero. In situazioni di questo tipo, sembrerebbe che la scelta di cooperare sia la migliore anche per un agente razionale nel senso classico, se ciò induce anche l'avversario a fare altrettanto. Di conseguenza l'altruismo non sarebbe altro che una forma di egoismo funzionale al mantenimento di una certa reputazione, grazie alla quale il giocatore egoista sa di poter ottenere un vantaggio, potendo sfruttare la cooperazione. Il fattore della reputazione, come viene proposto in questa teoria, ha la limitazione di non essere applicabile in situazioni di interazione strategica non reiterata, e in contesti sociali sufficientemente ampi da garantire l'anonimato degli 95 Cfr. Keps et al. (1982) 96 Cfr. Milinski et al. (2002) 93 agenti individuali, dove invece i dati empirici confermano una tendenza rilevante a cooperare. L'analisi che noi intendiamo proporre, d'altra parte, dovrebbe valere generalmente in ogni tipo di contesto sociale. L'immagine che un individuo o un gruppo esogeno danno di sé, infatti, è sempre idealmente rivolta ad un “osservatore” nella società. Tuttavia avere una “buona reputazione” o una immagine positiva è in stretta relazione con il riconoscimento di obiettivi sociali che vincolano le azioni dell'individuo. Applicando l'ipotesi di socialità, possiamo dunque rendere conto dei dati empirici senza rinunciare all'ipotesi di razionalità nel contesto dell'agire sociale. 5.3 Dati empirici Una conferma alla nostra analisi viene dai dati empirici presentati negli studi di economia comportamentale. Se osserviamo il comportamento reale degli agenti economici, in particolare attraverso esperimenti controllati in cui i soggetti sono posti in una situazione di conflitto strategico, come nel dilemma del prigioniero, emerge che le soluzioni molto spesso si allontanano da quelle previste dalla teoria della decisione classica, perché l'informazione che una parte degli agenti coinvolti hanno un comportamento generalmente cooperativo, crea un incentivo anche per gli agenti egoisti a “mimare” l'atteggiamento cooperativo. Camerer e Fehr, commentando questi dati, concludono che [...] heterogeneity in other-regarding preferences, [...] along with the 94 structure of social interactions, determine when collective outcomes are close to predictions based on rationality and self-regarding preferences, or are far from those predictions. Under certain conditions, models based on self-regarding preferences and homogeneous rationality predict aggregate behavior rather well, even though many people exhibit rationality limits and other-regarding preferences. However, under strategic complementarity, even a small proportion of other-regarding [...] players may suffice to generate collective outcomes that deviate sharply from models of Economic Man. [...] A better understanding of when the useful caricature of Economic Man dominates markets, or is dominated by social preferences [...] could lead to a more unified, and powerful, approach to both biological and social sciences of human behavior.97 I dati presentati da Camerer e Fehr sono estremamente rilevanti per la nostra tesi, ma l'interpretazione che ne vogliamo dare è leggermente diversa. Ponendo l'accento sulle strutture modulari che rendono possibile l'interazione sociale tra individui e gruppi, è infatti possibile analizzare la razionalità dei gruppi come essenzialmente omogenea a quella individuale, in cui il discrimine tra un comportamento ragionevole e uno irragionevole è segnato a seconda del livello di generalità a cui viene valutata la condotta dell'agente razionale, e non dall'impossibilità di applicare il modello della razionalità neoclassica. Nel § 4 avevamo introdotto l'ipotesi di socialità con l'intento di dare una caratterizzazione soddisfacente della razionalità per un agente individuale in contesti in cui 97 Cfr. Camerer-Fehr (2006) 95 l'applicazione della sola l'ipotesi di razionalità, ad individui analizzati nel modo “classico” come portatori di profili di preferenze unitari, conduceva esiti paradossali. Ora, avendo a disposizione l'analisi della formazione di individui come gruppi esogeni, possiamo usare l'ipotesi di socialità per spiegare in che modo la razionalità dei gruppi fornisce le strutture sociali entro cui è possibile analizzare il comportamento degli individui. Nel capitolo 2 abbiamo analizzato le intenzioni individuali distinguendole in tre tipi.98 La stessa analisi è applicabile alle intenzioni collettive di tipo esogeno, a motivo, come abbiamo visto, della modularità delle strutture di gruppo esogeno rispetto agli individui. Ora esamineremo più nel dettaglio uno dei tre tipi di intenzioni collettive, la policy, come particolarmente significativo per comprendere la capacità della scelta sociale di contribuire alla definizione di un'identità individuale di un gruppo. 6. La policy Una policy viene generalmente stabilita per ottimizzare le risorse disponibili per la deliberazione in situazioni che si presentano con una certa frequenza, ma ha anche un'importanza decisiva nei casi in cui la decisione viene 98 Cfr. cap. 2 96 presa in circostanze ambigue. Esempio: La linea editoriale di un giornale detta una policy che tutti i giornalisti devono seguire nella redazione di articoli. Marta, che lavora per un prestigioso quotidiano nazionale, entra in possesso di materiale piuttosto scandaloso da una fonte non del tutto attendibile. Marta sa che pubblicare quel materiale farebbe vendere moltissime copie del giornale, e sarebbe contenta di fare uno scoop, ma pubblicare notizie non verificate è contrario alla linea del giornale. Marta decide così, in applicazione della policy, di non pubblicare il materiale in suo possesso. Quindi sceglie di non massimizzare la sua popolarità personale e l'aspettativa del giornale di vendere più copie. Gli effetti di una policy sulle decisioni di un gruppo sono diversi: nei casi tipici, rende più rapida la deliberazione, fornendo una motivazione di default; inoltre contribuisce a rendere omogenee le risposte di diversi agenti che fanno parte del gruppo di fronte a situazioni dello stesso tipo, costituendo quindi un fattore determinante per la formazione di un'identità di gruppo. Una volta formata, come qualunque altro tipo di intenzione, la policy vincola l'attivazione di altre intenzioni individuali o collettive. Ma a differenza delle intenzioni rivolte ad un obiettivo determinato, lo fa in modo elastico: è necessaria una deliberazione per riconoscere volta per volta i casi in cui va applicata, e questa deliberazione è compiuta dall'agente individuale che si trova a dover prendere una decisione coerente con la policy del gruppo, come nel caso di Marta nell'esempio sopra riportato. 97 L'esempio della giornalista che deve scegliere se pubblicare o meno una notizia, e che potrebbe anche decidere individualmente di infrangere la policy se, per esempio, giudicasse personalmente una priorità rendere disponibili al pubblico quel tipo di informazioni, illustra bene il fatto che le individualità degli agenti che compongono il gruppo non sono annullate nel momento in cui descriviamo un gruppo esogeno come un individuo, ma sono inserite in una struttura modulare. Per questo motivo è possibile che gli agenti individuali vengano meno alla policy, pur senza che questa passi attraverso un processo di riconsiderazione. È possibile individuare vari motivi per cui gli agenti individuali possono violare una policy di gruppo. Uno, di particolare importanza, è che stiano tentando di usufruire dei vantaggi dell'appartenenza al gruppo, senza collaborare attivamente. Esempio: Una policy generalmente osservata da chi usufruisce di servizi messi a disposizione della collettività e resi possibili solo dalla collaborazione sociale, è di contribuire attivamente alla loro realizzazione. Immaginiamo che Lia faccia parte di un gruppo di studenti che decide di mettere in comune le risorse per scambiarsi gli appunti presi a lezione durante l'anno, sistemandoli in dispense utili per ripassare il programma della maturità. Ognuno si impegna a sistemare una parte delle lezioni, rendendola poi disponibile a tutti. Lia però, poco desiderosa di collaborare, lascia che altri facciano la sua parte, sfruttando comunque il lavoro degli altri per preparare l'esame. Lia si comporta, nei confronti degli altri studenti, come un free rider: sfrutta una risorsa comune senza “pagare il biglietto”. 98 Un disincentivo rispetto a questo tipo di condotta potrebbe venire a Lia dal biasimo che le esprimerebbero i suoi compagni, che, conoscendola, avrebbero modo di punirla negandole un suggerimento durante la prova scritta. Tuttavia, se generalizziamo l'esempio del free rider a contesti sociali più ampi, risulta evidente che non è sempre possibile individuare gli agenti che adottano questo tipo di comportamento, disincentivandoli a farlo per mezzo del danno alla loro reputazione. Per esempio, forse dovremo aspettarci che ci siano sempre degli evasori, che non pagano le tasse contando sul fatto che la dichiarazione dei redditi nella maggior parte dei casi non è resa pubblica e non è soggetta a giudizio. Il fatto che possiamo sempre aspettarci un free rider, dove i benefici della collaborazione sono distribuiti su larga scala, è una conseguenza della modualrità delle strutture di gruppo di tipo esogeno. Il gruppo esogeno non annulla le motivazioni individuali degli agenti al suo interno, ma, come abbiamo visto, le coordina. Quindi, per contrastare il fenomeno del free riding, dobbiamo studiare meccanismi di disincentivazione che possano fornire motivazioni abbastanza forti da vincolare il comportamento degli agenti individuali con le tendenze più “egoiste”.99 Una soluzione generale al problema del free rider può venire attraverso l'applicazione della policy generale dettata dall'ipotesi di socialità, che sanziona la sua condotta “asociale” di un free rider in quanto è inconsistente con l'obiettivo generale di conservare le condizioni di possibilità della società. 99 Cfr. Camerer-Fehr (2006) 99 7. Condizioni di riconsiderazione Come abbiamo visto nel capitolo precedente, ogni intenzione è soggetta a riconsiderazione sotto determinate condizioni, che si possono verificare a) quando l'intenzione è soddisfatta; b) quando la sua soddisfazione è giudicata impossibile a causa di impedimenti esterni; c) quando alcune ragioni che avevano portato l'agente a formare quella data intenzione vengono meno o cambiano in modo significativo. La logica che descrive il comportamento delle ragioni che causano la formazione dell'intenzione è non monotona, perché l'aggiunta di nuove motivazioni può incidere sulla riconsiderazione delle intenzioni.100 D'altra parte, proprio dal momento che devono soddisfare molti più vincoli di consistenza risulta più facile descrivere il cambiamento delle intenzioni, rispetto al caso delle preferenze. Per quanto riguarda le preferenze, infatti, dal momento che generalmente si assume che formino un profilo completo e coerente,101 è molto difficile rendere conto di un cambiamento che violi o la completezza, in quanto introdurrebbe una alternativa prima non contemplata, o la coerenza, invertendo l'ordine di preferenze già determinate.102 In generale, poi, osserviamo che se è richiesta solo la coerenza, non si dovrebbe mai presentare una ragione che induca l'agente razionale a riconsiderare dei desideri fra loro coerenti. Invece, nel caso delle intenzioni, la loro natura strumentale103 implica che 100Cfr. van der Hoek-Wooldridge (2003), Id. (2008) e Governatori et al. (2009) 101Cfr. Rubinstein (2006), Binmore (2009) 102Cfr. Fishburn (1991), Mandler (2001) 103Cfr. cap. 1 100 esistano sempre delle condizioni di riconsiderazione, le quali intervengono nel momento in cui l'agente si trova a verificare le condizioni di soddisfazione di questo stato proposizionale. Nel caso di una policy, le possibili condizioni di riconsiderazione sono date dai casi b) e c). Escludiamo il caso a) perché la policy non ha un obiettivo fissato che possa essere soddisfatto compiendo un'azione precisa, ma è una linea guida da applicare in un insieme non specificato di situazioni simili. Se nel caso della policy si verifica b), la reputazione del nomoteta può essere negativamente influenzata. Se si verifica il caso c), invece, il nomoteta deve procedere ad una riconsiderazione che ritorna sulle alternative sociali che erano in gioco nella deliberazione originale.104 Esempio: La redazione di un giornale è indotta a riconsiderare la propria linea editoriale da fatti legati all'evoluzione della situazione politica del paese. Il governo, infatti, ha emanato un decreto legge col quale limita fortemente, pena ingenti sanzioni economiche, la pubblicazione di materiale oggetto di indagini giudiziarie. La redazione ha sempre ritenuto di dover fornire un'informazione completa ai cittadini, tuttavia nella situazione attuale ciò diventa impossibile. Di conseguenza, la redazione è costretta a modificare la linea editoriale eliminando dalle pagine del giornale un certo tipo di inchieste politiche. 104Tra l'ampia letteratura sull'Intention reconsideration in area BDI, cfr. in particolare SchutWooldridge (2001) 101 Ogni riconsiderazione rimette in causa le ragioni che nella deliberazione originale avevano portato alla formazione di una data intenzione, e per questo è necessario che il tipo di deliberazione che compie l'individuo che procede alla riconsiderazione sia analogo alla deliberazione iniziale. Nel caso di un gruppo esogeno, l'intenzione collettiva che lo costituisce come individuo deve essere riconsiderata a partire dalle stesse condizioni che avevano portato alla sua formazione, quindi a nome di tutto il gruppo (infatti la funzione del nomoteta è appunto quella di interpretare l'identità del gruppo). Non è necessario che il nomoteta sia rappresentato sempre dallo stesso individuo, perché è anzi possibile che questo cambi in funzione della reputazione che gli viene attribuita dagli altri membri del gruppo, ma che le ragioni che vengono riesaminate devono comprendere tutte quelle che figuravano nella deliberazione originale. Questo comporta una caratteristica “tracciabiltà” delle intenzioni: formare un'intenzione a livello individuale o di gruppo implica mantenere una traccia della sua storia, pronta a intervenire nel momento in cui l'intenzione viene riconsiderata. Esempio: Il gruppo di amici in partenza per le vacanze, aveva deciso di andare al mare a Jesolo perché il camping di Castiglione, che sarebbe stato la loro prima scelta, aveva il tutto esaurito. Qualche giorno prima della partenza, però, si liberano dei posti a Castiglione e tutti si trovano d'accordo per cambiare il programma. Questo aspetto di dipendenza delle intenzioni dalle ragioni che ne hanno 102 determinato la formazione segna, come abbiamo visto, una differenza importante rispetto ai desideri: per questi ultimi, l'unico criterio di razionalità è la coerenza. Per le intenzioni, invece, il vincolo è anche un “principio di ragione”: è necessario che esista una ragione per formare una certa intenzione. Questa constatazione è particolarmente importante se messa in rapporto con l'azione del nomoteta, l'individuo che stabilisce le intenzioni collettive di un gruppo esogeno. Le ragioni che il nomoteta prende in considerazione, come abbiamo visto, sono relative a tutti gli agenti individuali in quanto membri del gruppo esogeno. L'adeguatezza dell'intenzione collettiva formulata dal nomoteta è valutata pertanto sulla base di queste stesse ragioni, particolarmente nel caso in cui si presentino circostanze che ne inducano la riconsiderazione. 103 4. Conclusioni In questo lavoro abbiamo sviluppato una analisi qualitativa dei vincoli di razionalità posti dalle intenzioni nel contesto della scelta razionale di agenti sociali. Partendo dalla teoria della decisione classica, abbiamo assunto l'ipotesi di razionalità, secondo cui si può descrivere un agente razionale in termini di informazioni e motivazioni. Nella teoria della decisione la componente motivazionale è rappresentata dalle preferenze dell'agente, che agisce in modo da massimizzare il proprio interesse personale. A questa caratterizzazione della razionalità abbiamo dunque aggiunto come componente motivazionale il parametro delle intenzioni, le quali presentano ulteriori vincoli di consistenza per la condotta dell'agente razionale. L'intenzione offre una chiave per raffinare la caratterizzazione della razionalità classica anche nel contesto sociale, dove lo studio delle intenzioni collettive permette l'analisi delle strutture di gruppo. Abbiamo rilevato l'esistenza di due tipi di intenzioni collettive, corrispondenti a due forme di organizzazione di gruppo che abbiamo chiamato endogeno ed esogeno. Nel gruppo endogeno gli agenti si associano sulla base di una deliberazione individuale, mentre nel caso del 104 gruppo esogeno la deliberazione dà luogo ad una scelta sociale e un'intenzione collettiva che pone dei vincoli di consistenza collettivi per la successiva formazione di intenzioni individuali da parte dei membri del gruppo. Abbiamo infine visto come i gruppi presentino una struttura modulare, che consente di applicare anche alla scelta individuale, a un livello di analisi più approfondito, le dinamiche interne di tipo esogeno fondate sulle diverse motivazioni all'azione che entrano in gioco nella determinazione della condotta dell'agente individuale. Questa caratterizzazione rende inoltre possibile applicare l'ipotesi di razionalità anche ai gruppi esogeni nella misura in cui possiamo caratterizzarli come individui. Inoltre, abbiamo visto nel capitolo 3 che, per spiegare gli incentivi che rendono possibile la cooperazione sociale, è stata avanzato un criterio di reputazione. Il desiderio di conservare e migliorare la propria reputazione indurrebbe l'agente, particolarmente nei casi di interazione strategica reiterata, ad adottare un comportamento cooperativo, per assicurarsi un maggiore guadagno nel tempo. Tuttavia la reputazione così concepita, come abbiamo osservato, si sviluppa nel tempo e non permette di spiegare la cooperazione in situazioni non reiterate. L'analisi dell'intenzione collettiva, invece, ci ha permesso di individuare un disincentivo alla defezione, anche in situazioni non reiterate, mediante l'applicazione alla condotta dell'agente individuale dell'ipotesi di socialità. Secondo questa ipotesi il bene collettivo è prioritario rispetto a quello dell'agente individuale, che ha dunque l'obiettivo generale di perseguirlo, anche se, per effetto 105 della modularità, come abbiamo visto, possiamo sempre aspettarci situazioni di attrito all'interno di un gruppo sociale. Questo ci permette di concludere che un nodo centrale nell'analisi qualitativa dell'azione sociale consiste nel formulare meccanismi di incentivazione alla coordinazione cooperativa. Il quadro generale che abbiamo fornito permette una analisi normativa della razionalità pratica più espressiva rispetto alla caratterizzazione classica, di cui mantiene l'assunto fondamentale dell'ipotesi di razionalità, riuscendo però a catturare con più precisione gli aspetti dinamici e sociali della deliberazione. 106 Bibliografia ANSCOMBE, G. 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