Descartes - Matematiche elementari da un punto di vista superiore

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Descartes - Matematiche elementari da un punto di vista superiore
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA
FACOLTÀ DI SCIENZE MM.FF.NN.
Corso di laurea in Matematica
Descartes e la nascita della geometria analitica.
anno accademico 2012/2013
Alessandra Reghelin
Indice
1 Introduzione
1.1 Il contesto matematico . . . . . .
1.2 Geometria e geometria analitica. .
1.2.1 La geometria precedente. .
1.2.2 La geometria nel 1600. . .
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2 René Descartes
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2.1 La vita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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2.2 Gli scritti. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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2.3 Rapporto con la Chiesa. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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2.4 La filosofia di Descartes . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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2.5 Il metodo cartesiano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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2.6 La Géométrie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
8
2.6.1 Operazioni aritmetiche e costruzioni geometriche semplici. . . . . . . . 11
2.6.2 La costruzione geometrica delle radici di equazioni di secondo grado 13
2.6.3 Caratterizzazione delle curve mediante la loro equazione: l’associazione curve-equazioni. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14
2.6.4 Rette normali e rette tangenti. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19
2.6.5 Il compasso cartesiano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23
2.7 Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25
2.7.1 Osservazioni su La Géométrie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26
i
ii
Capitolo 1
Introduzione
Finché l’algebra e la geometria procedettero su sentieri separati, il loro
progresso fu lento e le loro applicazioni limitate. Ma quando queste
scienze si unirono, trassero l’una dall’altra nuova vitalità e da allora
in poi procedettero con passo rapido verso la perfezione.
J. L. Lagrange, Leçons Élémentaires Sur Les Mathématiques, 1795
1.1
Il contesto matematico
Nel XVII secolo la matematica europea ricevette un forte impulso. Sebbene non esistesse
ancora nessuna organizzazione ufficiale che coordinasse le attività dei matematici di professione, in alcuni stati europei si erano formati spontaneamente alcuni gruppi scientifici, come
ad esempio l’Accademia dei Lincei in Italia, la Royal Society in Inghilterra e l’Académie
Française in Francia. Inoltre furono istituite le prime cattedre di Matematica nelle università.
Tutto ciò favorì indubbiamente lo sviluppo delle tecniche matematiche. In ogni caso, nel
secondo trentennio del XVII secolo, la Francia divenne il centro indiscusso dell’attività
matematica del tempo. La nascita della Geometria analitica (come risoluzione geometrica
di problemi algebrici o, viceversa, come risoluzione algebrica di problemi geometrici) ha
principalmente dovuto ai matematici francesi René Descartes (1596-1650) e Pierre De
Fermat (1601-1665). Tale periodo fu caratterizzato da un intenso scambio di idee nel campo
della matematica: la figura di Marin Mersenne (Oizé, 1588 - Parigi, 1648), frate dell’ordine
dei Minimi, svolse addirittura il ruolo di centro di smistamento delle informazioni matematiche consentendone quindi una rapida diffusione. Si tratta di una matematica attiva
che si sviluppa più per una sua logica interna, che per sollecitazioni di forze economiche,
sociali o tecnologiche, ma che non tarderà tuttavia ad alimentare poi un vastissimo campo
di applicazioni nei settori più svariati. La nascita della geometria analitica o geometria
delle coordinate è dovuta a Descartes e Fermat. Bisogna però sottolineare che l’uso di
coordinate risale comunque alla più remota antichità: per esempio gli architetti egiziani
per riportare in più grande scala un disegno su una parete, lo riferivano ad un reticolato a
maglie quadrate oppure i primi astronomi determinavano la posizione di una stella sulla
sfera celeste, mediante due numeri. Qui verranno trattati i contributi che Descartes diede
alla nascita e allo sviluppo della geometria delle coordinate.
1
1.2
1.2.1
Geometria e geometria analitica.
La geometria precedente.
Prima di iniziare a parlare della geometria è opportuno darne una definizione. Si definisce
geometria quel ramo della matematica che riguarda le proprietà dello spazio. Nella sua
forma più elementare si occupa di problemi metrici quali la determinazione delle aree e delle
dimensioni delle figure bidimensionali, o della superficie totale e del volume dei solidi, ma
attualmente comprende anche altri campi quali la geometria analitica, quella descrittiva, la
topologia e quella non euclidea. L’etimologia del termine geometria fornisce una descrizione
del lavoro dei primi geometri, i quali si occupavano principalmente di problemi quali la
misurazione dell’estensione dei campi da coltivare e la determinazione accurata di angoli
retti per gli spigoli degli edifici. Questo tipo di geometria empirica, che fiorì nell’antico
Egitto, presso i Sumeri e i Babilonesi, venne in seguito sistemata e resa sistematica dai Greci.
Nel VI secolo a.C. il matematico greco Pitagora pose le basi della geometria scientifica
osservando che tutte le leggi arbitrarie della geometria empirica erano conseguenze logiche
di un numero limitato di assiomi o postulati. Dall’affermazione secondo cui il percorso
più breve che unisce due punti distinti è un segmento di retta discende un gran numero di
teoremi sulle proprietà di punti, rette, angoli, curve e piani, che tuttora forniscono le nozioni
fondamentali della geometria classica. Tra questi teoremi si ricorda quello che afferma che
la somma degli angoli interni di un triangolo qualunque è pari alla somma di due angoli
retti, e il celebre teorema di Pitagora, secondo il quale in un triangolo rettangolo la somma
del quadrato costruito sull’ipotenusa è uguale alla somma dei quadrati costruiti sui cateti.
La teoria dimostrativa dei Greci, che si occupa principalmente di poligoni e cerchi, venne
esposta dal matematico greco Euclide. I problemi di costruzione, che consistono nel trovare
il modo di disegnare una data figura geometrica con l’uso esclusivo di un righello ed un
compasso, furono introdotti per la prima volta dai greci. Esempi di simili problemi sono
la costruzione di un segmento doppio ad un altro o della bisettrice di un angolo. Per
quanto alcuni di essi siano di difficile soluzione, tre antichi problemi di costruzione hanno
impegnato generazioni e generazioni di matematici: la duplicazione del cubo, la quadratura
del cerchio e la trisezione di un angolo. La Geometria analitica è il ramo della geometria
in cui rette, curve e figure geometriche vengono rappresentate con espressioni algebriche e
numeriche per mezzo di un sistema di assi e di coordinate. Dato un qualsiasi punto del
piano, è possibile individuarne in modo univoco la posizione rispetto ad una coppia di
assi ortogonali, specificandone la distanza di ciascuno di essi. Tali distanze prendono il
nome del punto; in particolare viene detta ascissa la distanza dall’asse verticale, o asse
delle y, e ordinata la distanza da quella orizzontale, asse x. Se vogliamo esaminare, anche
superficialmente, l’origine della Geometria analitica, ossia di quel ramo della matematica
che è la fusione tra la geometria e l’analisi algebrica, dobbiamo distinguere tra loro la
nascita del concetto di coordinate e quella degli sviluppi che tale concetto elementare ha
reso possibili attraverso i secoli. L’uso delle coordinate risale alla più remota antichità. Gli
architetti egiziani, per riportare in più grande scala un disegno su una parete, lo riferivano
ad un reticolato a maglie quadrate. Gli agrimensori egizi, dopo le periodiche inondazioni
del Nilo, ricostruivano sul terreno i limiti dei poderi usando mappe di tipo catastale. I primi
astronomi determinavano la posizione di una stella sulla sfera celeste, mediante due numeri
2
(ascensione retta e declinazione); inoltre, l’astronomo greco Ipparco (Nicea, 190 a.C. – Rodi,
120 a.C.) introdusse coordinate geografiche per determinare la posizione di un punto sulla
superficie terrestre. I romani, fondando una città , usavano segnare sul posto due solchi tra
loro perpendicolari, ai quali riferivano la posizione futura di case, piazze, strade. Lo stesso
metodo era tenuto nella preparazione dei piani di guerra. Inoltre furono i Romani ad usare
per primi le ascisse curvilinee con l’uso delle pietre militari. I geometri greci ricavarono
sempre le equazioni dalle curve, attraverso lo studio delle loro proprietà, e mai le curve
dalle equazioni. Le equazioni stesse non avevano il significato algebrico astratto che noi
oggi attribuiamo loro, ma erano sempre trasposizioni simboliche o verbali di relazioni fra
elementi della curva geometrica. Qualcosa di più vicino al concetto di coordinate nella
moderna accezione si trova in un disegno d’ignoto del X o XI secolo d.C. che studia le
traiettorie dei pianeti riportandone latitudine e longitudine rispettivamente come ordinata
e ascissa.
1.2.2
La geometria nel 1600.
Descartes e Fermat fondarono la geometria analitica contemporaneamente, ma separatamente, spinti entrambi, anche se per motivazioni diverse, da un desiderio di ritorno al passato,
all’età d’oro della geometria, ai problemi classici dei matematici greci. Descartes prende
le mosse dalla constatazione della gran diversità dei procedimenti in uso nelle ricerche
scientifiche. Ebbene, egli pensa che per porre fine a questo stato caotico non vi è che un
mezzo: scoprire un fondamento assoluto, superiore a qualsiasi dubbio, da cui siano derivabili
tutte le verità della scienza. La geometria analitica riuscirebbe, per l’appunto, a risolvere il
problema ora accennato, per lo meno nell’ambito della matematica. La geometria analitica,
chiamata anche geometria cartesiana, è lo studio della geometria attraverso il sistema
di coordinate oggi dette cartesiane, ma già studiate nel Medio Evo da Nicola d’Oresme
(Fleury-sur-Orne, 1323 – Lisieux, 11 luglio 1382).
Ogni punto del piano cartesiano o dello spazio è determinato dalle sue coordinate su due
piani: ascisse (x) e ordinate (y), che determinano un vettore rispettivamente del tipo
(x, y) oppure (x, y, z). Gli enti geometrici come rette, curve, poligoni sono definiti tramite
equazioni, disequazioni o insiemi di queste, detti sistemi. Le proprietà di questi oggetti,
come le condizioni di incidenza, parallelismo e perpendicolarità, vengono anch’esse tradotte
in equazioni e quindi studiate con gli strumenti dell’algebra e dell’analisi matematica.
I temi più importanti della geometria analitica sono:
• lo spazio vettoriale,
• la definizione di piano,
• i problemi sulla distanza,
• il prodotto scalare per ottenere la proiezione fra due vettori,
• il prodotto vettoriale per ricavare un vettore perpendicolare a due vettori conosciuti e
• i problemi di intersezione.
Molti di questi problemi comprendono l’algebra lineare.
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Capitolo 2
René Descartes
2.1
La vita
Figura 2.1: René Descartes (1596 - 1650), matematico e filosofo francese
René Descartes, meglio conosciuto come Descartes, nacque a La Haye il 31 marzo 1596
in una famiglia di piccola nobiltà potendo così ricevere un’educazione completa entrando
a 8 anni nel collegio gesuita di La Fleche nell’Anjou. Studiò il latino, ma lesse anche le
opere di Copernico e Galilei che non erano ancora state messe all’indice. Nel 1612 frequentò
l’Università di Poitiers, studiò Giurisprudenza e si laureò nel 1616. Contemporaneamente
ricevette una eredità che gli consentirà di vivere di rendita. Nel 1618 intraprese la carriera
militare, partecipando alla Guerra dei Trent’anni, ma i periodi di servizio furono sempre
intervallati da lunghi periodi di studio e viaggi in Europa. L’inverso 1619-1620 lo trascorse
a Ulma ed è qui che nella notte del 10 Novembre 1619 fece un sogno durante il quale gli si
presentò il metodo della matematica grazie al quale intuisce una nuova concezione della
realtà e un modo per pervenire alla verità, compresa la matematica stessa. Ci vorranno
18 anni prima che Descartes riesca a pubblicare, nel 1637, un piccolo libro in francese dal
titolo “Discours De La Mêthode Pour Bien Conduire Sa Raison Et Chercher La Vérité
Dans Le Sciences”. Trascorse la sua vita fino al 1628 a Parigi dove, nel 1633, si impressionò
dal processo e dalla condanna di Galilei e sprofondò nell’angoscia; pensò anche di dare alle
fiamme tutti i suoi manoscritti. Poiché il suo metodo era in contrasto con la tradizione
aristotelica, decise quindi di trasferirsi dal 1629 al 1649 in Olanda dove c’era maggiore
libertà di pensiero. In questo paese trascorse i vent’anni successivi e scrisse tutte le sue opere
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più famose. Nel 1649 fu invitato a Stoccolma dalla regina Cristina di Svezia, col compito di
istruirla. L’11 febbraio 1650, dopo breve malattia, morì di polmonite a Stoccolma.
2.2
Gli scritti.
La prima opera, le Regulae Ad Directionem Ingenii, fu scritta nel 1628, ma pubblicata
postuma. La successiva opera importante è Le Monde del 1634, che contiene una teoria
cosmologica dei vortici, intesa a spiegare come i pianeti sono mantenuti in moto sulle loro
orbite intorno al Sole. Descartes non la pubblicò per timore di essere perseguitato dalla
Chiesa. Nel 1637 pubblicò il Discours De La Mêthode Pour Bien Conduire Sa Raison
Et Chercher La Vérité Dans Le Sciences. Questo libro, un classico della letteratura e
della filosofia, contiene tre famose appendic, intitolate La Géométrie, La Dioptrique e Les
Météores. La Géométrie, che è l’unico libro di argomento matematico scritto da Descartes,
contiene le sue idee sulla geometria delle coordinate e sull’algebra; egli comunicò tuttavia in
numerose lettere molte altre idee sulla matematica. Il Discours gli procurò immediatamente
una grande fama e, con il passare del tempo, sia lui che il suo pubblico furono sempre più
impressionati da quest’opera. Nel 1644 pubblicò i Principia Philosophiae, che sono dedicati
alla fisica e in particolare alle leggi del moto e alla teoria dei vortici. Essi contengono del
materiale tratto da Le Monde, che egli riteneva di avere ora reso più accettabile per la
Chiesa. Nel 1650 pubblicò Musicae Compendium.
2.3
Rapporto con la Chiesa.
Le idee scientifiche di Descartes dominarono il XVII secolo. I suoi insegnamenti e i suoi
scritti diventarono popolari anche fra i non-scienziati, perché erano presentati chiaramente e
in maniera attraente. Soltanto la Chiesa lo respinse. In effetti Descartes era devoto e felice
di avere (così almeno riteneva) dimostrato l’esistenza di Dio. Egli aveva però insegnato
che la Bibbia non è la fonte della conoscenza scientifica, che la ragione da sola bastava
per dimostrare l’esistenza di Dio e che l’uomo dovrebbe accettare soltanto ciò che è in
grado di capire. La Chiesa reagì a questi insegnamenti inserendo le sue opere nell’indice dei
libri proibiti poco dopo la sua morte e vietando un’orazione funebre in occasione della sua
sepoltura.
2.4
La filosofia di Descartes
La finalità della filosofia di Descartes è la ricerca della verità attraverso la filosofia, intesa
come strumento di miglioramento della vita dell’uomo. Su questa via egli intende ricostruire
il sapere, fondare la scienza. Descartes ritiene che criterio basilare della verità sia l’evidenza,
ciò che appare semplicemente e indiscutibilmente certo, mediante l’intuito. Il problema nasce
dall’individuazione dell’evidenza, che si traduce nella ricerca di ciò che può essere soggetto
al dubbio. Pertanto, poichè la realtà tangibile può essere ingannevole, in quanto soggetta
alla percezione sensibile e al contempo la matematica e la geometria (che esulano dal mondo
sensibile) si rivelano fasulle nel momento in cui si ammette che un’entità superiore faccia
apparire come reale ciò che non lo è, l’unica certezza che rimane all’uomo è che perlomeno
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dubitando, egli ha la certezza di esistere. A partire da ciò Descartes cerca di individuare
i principi fondamentali che possono essere conosciuti con certezza. Per individuare tali
principi si serve del metodo noto come “scetticismo metodologico”: rifiutare come falsa ogni
idea che può essere revocata in dubbio. Egli ritiene che i pensieri di cui possiamo essere
certi sono evidenze primarie della ragione. Come assiomi nel campo della filosofia sceglie i
seguenti quattro:
• il cogito ergo sum;
• ciascun fenomeno deve avere una causa;
• un effetto non può essere maggiore della sua causa;
• la mente ha innate in sé le idee di perfezione, di spazio, di tempo e di moto.
Evidente è l’idea chiara e distinta che si manifesta all’intuito nella sua semplicità e
certezza, senza bisogno di dimostrazione. Ne sono esempi i teoremi di geometria euclidea,
che sono dedotti in base alla loro stessa evidenza, ma allo stesso tempo verificabili in modo
analitico mediante vari passaggi.
Descartes prese le mosse dalla constatazione della gran diversità dei procedimenti in uso
nelle ricerche scientifiche. Sulle discipline matematiche osserva come esse non costituiscano
un sistema logicamente coerente, e come le loro dimostrazioni appaiono “superficiali” e i
loro risultati scoperti in modo casuale. Egli rileva anche l’eccessiva frammentazione dei
diversi settori disciplinari. Allo stesso tempo è attratto dalla matematica perché con le sue
dimostrazioni basate su assiomi arriva a delle certezze. Inoltre sosteneva che la matematica
non era una disciplina contemplativa, ma una scienza costruttiva e utile. Comunque
non aveva una grande stima per la matematica pura e definiva coloro che coltivavano la
matematica di per sè stessa come “ricercatori pigri dedito a un vano gioco dello spirito”.
Inoltre riteneva che la logica era sterile in quanto “serve a comunicare quanto già si conosce”
e quindi non era in grado di fornire le verità fondamentali mentre la filosofia forniva soltanto
i “mezzi per discorrere con un’apparenza di verità su tutti gli argomenti”. Quindi era proprio
la matematica quella che “spiega tutte le scienze che sono legate alla forma, la misura e
l’ordine”. Cioè il metodo per stabilire la verità in tutti i campi è il metodo della matematica.
La matematica lo attraeva perché le dimostrazioni basate sui suoi assiomi erano impeccabili
e perché l’autorità non vi contava nulla. La matematica forniva il metodo per conseguire
delle certezze e per dimostrarle effettivamente. La matematica è lo “strumento di conoscenza
più potente di qualunque altro che ci sia stato trasmesso dall’agente umano, in quanto è
la fonte di tutti gli altri”. Inoltre secondo la visione che Descartes aveva di Dio, “l’idea
di perfezione che abbiamo in mente può essere ottenuta soltanto da un essere perfetto e
quindi Dio esiste. Poiché è impossibile che Dio voglia ingannarci, possiamo essere certi che
gli assiomi della matematica e le deduzioni che ne deriviamo sono verità. Dio ha quindi
stabilito la natura in accordo con le leggi matematiche”. Descartes riteneva di avere delle
idee matematiche chiare e distinte, come quella di triangolo. Queste idee esistono, sono
eterne e immutabili. Esse non dipendono dal fatto che le pensiamo o no. La matematica ha
perciò un’ esistenza esterna oggettiva. Egli è quindi convinto che le conoscenze matematiche
abbiano un grado di certezza e evidenza superiori a quello conseguito dalla filosofia e dalle
altre scienze e merita di essere assunta come modello di rinnovamento di tutto il sapere,
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rimuovendone i difetti.
Egli osserva come le scienze matematiche abbiano un elemento che le accomuna: ciascuna
di esse studia i rapporti di quantità o proporzionalità intercorrenti tra gli oggetti che vi
sono compresi. Con il suo metodo si proponeva di trovare un fondamento assoluto a tutto
il sapere mediante due argomentazioni: una negativa, cioè la critica al tipo di istruzione
ricevuta, fondata sul principio di autorità e sulla persuasività della tradizione. Egli infatti
rifiuta la matematica dei Greci perché “artificiosa e incapace di farci scoprire nuove verità”
e critica le indagini geometriche degli antichi perché erano svolte con procedimenti diversi,
facendo uso di artifici variabili da un caso all’altro, non di rado oscuri e ambigui. Se da
un lato siamo in grado di seguire passo passo le argomentazioni controllandole l’indubbia
coerenza, dall’altro non riusciamo a capire perché in un caso si fa ricorso a un tipo di
dimostrazione e in un altro caso a un altro tipo. Restiamo quindi disarmati di fronte a un
qualsiasi problema nuovo, dovendo procedere per tentativi. La seconda argomentazione
è positiva, ovvero è la proposta di un nuovo metodo per farci cogliere con chiarezza ogni
verità, compresa la matematica.
2.5
Il metodo cartesiano
Il metodo si fonda su quattro regole che vengono isolate nelle Regulae Ad Directionem
Ingenii opera scritta nel 1628 e pubblicata più tardi.
• Regola dell’evidenza: l’indicazione del criterio di verità; devono essere accolte solo
quelle idee che si presentano alla nostra mente come chiare e distinte. Chiarezza di
un’idea significa che essa è colta dalla mente in forma esaustiva e compiuta senza
che nessuno dei suoi aspetti resti nell’oscurità. Distinzione significa che l’idea è ben
delimitata rispetto alle altre.
• Regola dell’analisi: suggerisce di dividere ogni asserzione complessa in tante parti
fino a giungere agli elementi ultimi che la costituiscono.
• Regola della sintesi: necessità di disporre i principi in ordine che proceda da una
minore a una maggiore complessità per scoprire in quale maniera si colleghino tra
loro.
• Regola dell’enumerazione: fare rassegne complete dei passi del proprio ragionamento e ripercorrerle con movimento continuo sino a essere sicuri di abbracciarle
tutte in un unico sguardo senza omettere nulla.
Queste, seppur non con questi nomi precisi, sono le regole che seguiamo nel momento in cui
siamo di fronte ad una dimostrazione matematica. Descartes riteneva veramente importante
il suo metodo e come vedremo, lo applicò anche alla geometria.
2.6
La Géométrie
Tutti i problemi di geometria si possono facilmente ridurre a termini
tali che poi, per costruirli, vi sia bisogno soltanto di conoscere la
lunghezza di alcune linee rette.
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R. Descartes, La Géométrie, libro I, 1637
Il principale contributo dato da Descartes alla matematica fu l’elaborazione dei fondamenti
della geometria analitica, esposti poi nel trattato La Géométrie del 1637, che costituisce
un’appendice al Discours De La Mêthode Pour Bien Conduire Sa Raison Et Chercher La
Vérité Dans Le Sciences (Discorso Sul Metodo Per Ragionare Bene E Per Cercare La Verità
Delle Scienze). E’ da notare che il Discours è concepito come introduzione metodologica
ai tre testi di argomento fisico–matematico insieme ai quali è stato pubblicato, testi il cui
contenuto non poteva essere scoperto senza adottare il metodo proposto nel discorso.
La Géométrie è il primo testo che un lettore moderno può leggere senza una preparazione
specifica, cioé non vi sono eccessive difficoltà nel decifrare il linguaggio simbolico cartesiano.
Le differenze con la scrittura moderna sono poche e trascurabili rispetto alle differenze che
si trovano con gli autori che precedono Descartes. Per queste ragioni “linguistiche” vi è
anche chi ha parlato per Descartes di “rivoluzione simbolica”; infatti a Descartes va anche il
merito di aver introdotto nuove notazioni algebriche simili a quelle in uso ancora oggi cioè
di aver sviluppato il formalismo algebrico. Descartes usava le prime lettere dell’alfabeto per
indicare i parametri e le ultime per indicare le incognite, utilizzava i simboli ‘+’ e ‘-’ e una
particolare notazione esponenziale per le incognite (potenza e radice quadrata). C’è però
una importante differenza concettuale: mentre noi concepiamo i parametri e le incognite
come numeri, Descartes li concepiva come segmenti. Egli però rompeva con la tradizione
greca in questo aspetto: infatti invece di considerare, per esempio x2 e x3 rispettivamente
come un’area e un volume, li interpretava anche essi come segmenti. Inoltre La Géométrie
è ben lontana dalla geometria analitica in uso oggi: infatti, ad esempio, Descartes non fa un
uso sistematico di coordinate ortogonali, ma spesso utilizza coordinate oblique. Inoltre non
fa uso di ascisse negative e non è presente nessuna curva tracciata direttamente a partire
dalla sua equazione.
La La Géométrie è composta di tre libri:
I. I problemi che si possono costruire solo con cerchi e linee rette,
II. Sulla natura delle linee curve,
III. La costruzione dei problemi solidi o più che solidi.
Nel I libro, Descartes, dopo aver posto le basi del metodo delle coordinate e aver dato
un’interpretazione delle operazioni algebriche in termini di segmenti, fornisce dettagliate
istruzioni sul modo di risolvere equazioni di secondo grado per via geometrica, dando
un’interpretazione in tal senso anche per la loro soluzione. Come avevamo detto, enuncia il
problema di Pappo che nessuno nell’antichità era stato in grado di risolvere compiutamente
e ne inizia la soluzione. Un esempio banale di risoluzione di un’equazione di secondo grado
è il Problema di Pitagora.
Il II libro è forse quello che contiene i risultati più importanti e più vicini alla concezione
moderna della geometria analitica. Descartes espone la scoperta che le equazioni indeterminate in due incognite corrispondono a luoghi geometrici. Distingue con cura le “curve
geometriche”, che possono essere rappresentate da equazioni algebriche, come le coniche, la
cissoide e la concoide, dalle “curve meccaniche”, come la spirale e la quadratrice che non
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possono rappresentarsi con tale tipo di equazioni e che oggi sono dette trascendenti. Trova
la soluzione al problema di Pappo con 4 rette arrivando a scrivere l’equazione generale
di una conica passante per l’origine e specificando le condizioni cui devono soddisfare i
coefficienti affinché la conica sia una retta, una parabola, un’ellisse o un’iperbole; inoltre
analizza il caso più semplice del problema di Pappo con 5 rette. Fra i risultati più importanti
ottenuti da Descartes e contenuti nel II libro dell’opera, merita una particolare menzione
la determinazione generale della normale ad una qualsiasi curva algebrica piana in un suo
generico punto e la conseguente determinazione della tangente. Per trovare la normale
ad una curva algebrica in un determinato punto P di una curva algebrica, Descartes dice
di prendere un punto variabile P’ sulla curva stessa e di determinare l’equazione della
circonferenza avente per centro la coordinata sull’asse delle ascisse del punto e passante per
i punti P e P’. Ora, annullando il discriminante dell’equazione che determina l’intersezione
della circonferenza con la curva, si trova il centro della circonferenza per il quale P’ coincide
con P. Trovato il centro, si trovano poi agevolmente la normale e la tangente alla curva nel
punto considerato.
Il II libro potrebbe concludersi con questa trattazione che mostra il procedimento generale
di Descartes per la costruzione di tutti i problemi: intersezione di una circonferenza e una
retta per i problemi piani, di una circonferenza e una parabola per i problemi che nel suo
linguaggio sono detti solidi, di una circonferenza e di una curva di grado maggiore e così
di seguito. L’autore invece, in omaggio all’orientamento preminentemente utilitaristico e
tecnico del suo sapere, preferisce terminare il libro con la trattazione sugli ovali, ossia sulle
forme che devono assumere i corpi trasparenti, per essere utili al miglioramento della vista.
Il III libro tratta della soluzione delle equazioni di grado superiore al secondo mediante intersezioni di curve. Descartes, partendo dal presupposto che bisogna sapere se l’equazione sia
riducibile o meno, insegna come passare da un grado superiore a uno inferiore dell’equazione
quando sia nota una radice e che possono darsi tante radici positive quante sono le variazioni
di segno nel primo membro, tante negative quante volte i segni ‘+’ e ‘–’ si susseguono (regola
dei segni di Cartesio). Dà pure alcune regole che riguardano l’eliminazione nell’equazione del
secondo termine o la reintroduzione di un termine mancante. Posto ciò, affronta i problemi
le cui soluzioni dipendono da equazioni di terzo grado e oltre; per questo, prima si sofferma
sulla soluzione delle equazioni di terzo grado e subito dopo su quelle di quarto grado, che
risolve riducendone il grado, o altrimenti applicando il metodo dei coefficienti indeterminati
che gli consente di ridurre equazioni di quarto grado ad un prodotto di equazioni di secondo
grado. A causa di un’affrettata generalizzazione, Descartes fu indotto a pensare di aver
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trovato erroneamente la soluzione di equazioni superiori al quarto.
Concentriamo ora la nostra attenzione su come Descartes applicava il suo metodo
alla geometria. Descartes criticava la geometria degli antichi perché ogni dimostrazione
richiedeva sempre nuovi e ingegnosi ragionamenti: era un’arte confusa e oscura. Criticava
inoltre l’algebra del suo tempo perché era troppo soggetta a regole, a formule e inoltre era
confusa ed oscura per i simboli inadeguati e perché sottomessa alla geometria:..ne risultava
un’arte piena di confusione calcolata per mettere in imbarazzo invece che una scienza atta
a migliorare la mente. Egli si propose di prendere il meglio da entrambe e quindi il suo
scopo diventava duplice: egli faceva uso dell’algebra nella geometria per la risoluzione
di problemi di luoghi geometrici e allo stesso tempo si proponeva di tradurre le cinque
operazioni algebriche (addizione, sottrazione, moltiplicazione, divisione e estrazione della
radica quadrata) nel linguaggio della geometria.
2.6.1
Operazioni aritmetiche e costruzioni geometriche semplici.
Egli mostrava che le cinque operazioni aritmetiche corrispondono a semplici costruzioni
effettuate con riga e compasso giustificando così l’introduzione di termini aritmetici nella
geometria. Esaminiamo come viene ottenuto il prodotto di due segmenti BD e BC. Sia
data una linea AB rappresentante il segmento unità.
Disposti BA e BD su una stessa semiretta e BC su una semiretta qualsiasi di origine
B, si traccia CA e poi DE parallela a CA. La figura mostra come la linea BE sia quella
richiesta. Infatti, applicando il teorema di Talete si ha AB : BD = BC : BE. Da questa
proporzione deduciamo che AB ⋅ BE = BD ⋅ BC. Ma se assumiamo AB come unità dei
segmenti sarà lecito porre AB ⋅ BE = BE. Ed ecco dunque come si può costruire il segmento
prodotto di due segmenti. Si applica un procedimento analogo per la divisione. BC è infatti
il risultato della divisione di BE per BD.
L’estrazione di radice quadrata è altrettanto semplice. Se GH è il segmento per il quale si
deve ottenere la radice, si tratta di scegliere ancora una volta il segmento unitario FG e
tracciare la seguente figura.
11
A questo punto basta ricordare che in un triangolo rettangolo l’altezza relativa all’ipotenusa
è media proporzionale tra le proiezioni dei due cateti sull’ipotenusa cioè
F G ∶ GI = GI ∶ GH,
da cui si ricava la radice di GH. Tuttavia, ovverva Descartes, “sovente non c’è necessità
di tracciare in questo modo tali linee sulla carta, ed è sufficiente indicarle tramite lettere,
ciascuna con una sola lettera”. Così, per√esempio, nella soluzione di un dato problema
possiamo incontrare una espressione come a2 + b2 senza che sia necessario esibire la figura
di un triangolo rettangolo di cateti a e b.
In queste poche pagine iniziali si evidenzia un modo radicalmente nuovo di fare matematica:
l’algebra acquisisce una netta posizione di predominio. Quindi possiamo dire che Descartes,
anche se criticava l’algebra del suo tempo, ne vedeva però anche in generale la sua potenza
rispetto ai metodi geometrici per risolvere i problemi: essa rende infatti meccanici i ragionamenti e rende minimo il lavoro necessario per risolvere i problemi. Si propone quindi di
dare ad essa una struttura perfettamente razionale che faccia uso solo di verità chiare ed
evidenti. Per attuare la propria riforma della geometria ha bisogno di una unità di misura,
di un fondamento assoluto. Introduce l’uso sistematico degli assi coordinati che permettono
di rappresentare i punti con coppie o terne di numeri e le relazioni geometriche fra punti con
relazioni algebriche. Così i problemi geometrici possono venire tradotti in problemi algebrici
e risolte con le regole, in un certo senso automatiche, dell’algebra. Questa traduzione
presenta due notevoli vantaggi: rende pressoché uniforme la trattazione di tutte le questioni
geometriche; fa scomparire le differenze inessenziali tra figura e figura permettendo così
di raggiungere risultati di ampia generalità. In tal modo la geometria diviene una scienza
essenzialmente analitica in cui ogni problema ben fondato, se di grado non superiore al
quarto, diviene automaticamente risolubile.
La geometria analitica traducendo in termini algebrici le nozioni di punto, retta, piano e le
relazioni intercorrenti fra essi, è in grado di rendere chiara e uniforme la trattazione di tutti
i problemi geometrici e rappresenta una tappa nuova rispetto ai greci (che non avevano
saputo indicare una via per risolvere tali problemi, limitandosi a risolverli caso per caso,
con accorgimenti ingegnosi ma di portata circoscritta). La molla che spinge Descartes ad
“inventare” la geometria analitica è la stessa che lo ha spinto alla fondazione della nuova
metafisica, si tratta cioè di superare la frammentazione del sapere scientifico degli antichi
e allo stesso tempo ostacolare una analoga tendenza alla perdita di unità presente nella
filosofia moderna.
E’ importante ricordare che la geometria cartesiana aveva come intento una costruzione
geometrica: “tutti i problemi di geometria si possono facilmente ridurre a tali termini, che
in seguito per costruirli basta conoscere la lunghezza di alcune rette e non il ricondurre
la geometria all’algebra”. L’algebra, avendo un linguaggio autonomo, diventa idonea a
riprodurre la geometria e viceversa; quest’ultima diventa uno strumento di chiarificazione
intuitiva dei procedimenti dell’algebra. In sintesi Descartes riordina la simbologia algebrica
e abbandona l’immediata interpretazione geometrica dei procedimenti algebrici.
Il metodo generale che consentiva l’applicazione dell’algebra alla geometria si fondava sull’idea di associare delle equazioni algebriche alle curve e alle superfici e prende appunto il nome
di geometria analitica o geometria delle coordinate. Il procedimento è così sintetizzabile: si
parte da un problema geometrico, lo si traduce in un linguaggio di un’equazione algebrica
12
e infine, dopo aver semplificato l’equazione quanto più possibile, si risolve tale equazione
geometricamente. Nell’affrontare un dato problema Descartes diceva di seguire questi passi:
1. dare dei nomi a tutte le linee che sembrano necessarie per la costruzione del problema,
sia a quelle ignote che a quelle note,
2. guardare in che modo tali linee sono in rapporto tra loro fino a che non si sia trovato
un modo di esprimere una medesima quantità in due maniere diverse: quello che si
chiama un’equazione in una incognita,
3. il grado di questa equazione algebrica finale determina i mezzi geometrici con cui si
poteva eseguire la costruzione geometrica richiesta: per equazioni di secondo grado
bastano rette e cerchi, per quelle di terzo e quarto grado erano adatte le sezioni
coniche.
2.6.2
La costruzione geometrica delle radici di equazioni di secondo
grado
Nel I libro, Descartes fornisce dettagliate istruzioni sul modo di costruire geometricamente
le soluzioni delle equazioni di secondo grado. Infatti una volta che nella risoluzione di un
problema si è giunti ad un’equazione, poi si può ancora dare alla soluzione un’interpretazione
geometrica.
Per l’equazione z 2 = az + b2 , per esempio, dall’algebra si sa che
¿
2
a Á
À[( a ) + b2 ].
z = ±Á
2
2
Descartes procedeva con il dare la costruzione per z nel modo seguente:
tracciava un segmento LM di lunghezza b e da L innalzava un segmento NL uguale ad a2 e
perpendicolare a LM. Con centro in N costruiva un cerchio di raggio a2 e tracciava la retta
passante per M e N e intersecante il cerchio nei punti O e P. Si notava quindi il triangolo
rettangolo LMN dove MN, per il Teorema di Pitagora, è uguale a
¿
√
Á a 2
À[( ) + b2 ]
M N = (LN 2 + LM 2 ) = Á
2
13
. La soluzione z cercata è allora la lunghezza OM. La dimostrazione del fatto che OM
è la lunghezza cercata
non è data da Descartes, ma è immediata per il fatto che OM =
√
ON + M N =
a
2
2
+
[( a2 ) + b2 ].(Descartes trascurava la radice PM dell’equazione perché
era “falsa” cioè negativa).
Costruzioni simili venivano fatte per le equazioni z 2 = az − b2 e z 2 + az = b2 le sole altre di
secondo grado con radici positive.
√
2
Per l’equazione z 2 = az −b2 sapendo che le soluzioni erano z = a2 ± [( a2 ) − b2 ] e trascurando
la radice negativa, procedeva invece in questo modo:
tracciava un segmento LM di lunghezza b e da L innalzava un segmento NL uguale ad
a
a
2 e perpendicolare a LM. Con centro in N costruiva un cerchio di raggio 2 . Costruiva
poi il rettangolo LMON e indicava con Q e R le intersezioni della retta per M e O con la
circonferenza. Tracciava inoltre i raggi NQ e NR: si notava quindi il triangolo
√ rettangolo
√
2
NOR dove OR per il Teorema di Pitagora è uguale a OR = (N R2 − N O2 ) = [( a2 ) − b2 ].
√
2
a
Si nota che z = M R = M O + OR = 2 + [( a2 ) − b2 ] era il segmento cercato ovvero
rappresentava geometricamente la soluzione.
2.6.3
Caratterizzazione delle curve mediante la loro equazione: l’associazione curve-equazioni.
Fin qui potremo dire che Descartes si preoccupava della risoluzione dei problemi geometrici
determinati, ovvero quelli che portano ad un’unica soluzione. Nel II libro viene invece
esposta la risoluzione dei problemi geometrici indeterminati, cioè problemi in cui ci sono
molte lunghezze diverse che possono servire da soluzione. Ed è in questo libro che vi sono i
risultati più vicini alla concezione moderna della geometria analitica: qui compare, e soltanto
di passaggio, la scoperta che le equazioni indeterminate in due incognite corrispondono a
luoghi geometrici. Con il suo metodo per la risoluzione dei problemi geometrici Descartes
affronta il problema di Pappo arrivando ad un’equazione in due incognite.
Il problema di Pappo si può cosi formulare:
14
“Date tre, quattro o più linee rette in un piano, trovare la posizione dei punti (luogo) da cui si
possono costruire un ugual numero di segmenti, uno per ciascuna retta data, che formino un
angolo noto con ciascuna delle rette date e tali che il rettangolo formato da due dei segmenti
così costruiti stia in un rapporto dato con il quadrato del terzo segmento costruito se le
rette sono tre; invece se vi sono quattro rette, che stia in un rapporto dato con il rettangolo
formato dagli altri due. Oppure, se le rette sono cinque o sei, che il parallelepipedo costruito
con tre di esse stia in un rapporto dato con il parallelepipedo costruito con le altre. In tal
modo il problema può estendersi a un qualsiasi numero di linee”.
Pappo aveva risolto il problema nel caso delle tre rette:
“Date tre rette complanari e un punto P appartenente al piano, si considerino le distanze
di P dalle tre rette; trovare il luogo dei punti tali che il prodotto di due delle distanze sia
uguale”.
Pappo aveva dichiarato che, quando ci sono 3 o 4 rette, il luogo è una sezione conica. Noi,
questo problema, lo risolviamo in questo modo. Siano (x, y) le coordinate di un punto
generico C e sia d(C, ri ) = ∣ai x + bi y + ci ∣ la distanza di C dalla retta i-esima, dove ai , bi , ci
sono i parametri della retta ri normalizzati in modo che a2i + (bi )2 = 1. Il luogo cercato ha
equazione
n
2n
∏(ai x + bi y + ci ) = ∏ (ai x + bi y + ci ).
i=1
i=n+1
Descartes, identificando la curva con la sua equazione, può dare la soluzione generale. Egli
si interessò in particolare del problema di Pappo nel caso di quattro rette.
Le rette date sono AG, GH, EF e AD. Consideriamo un punto C (che è quello che vogliamo
determinare) e le quattro rette CB, CD, CF, CH condotte da C alle quattro rette date in
modo che anche gli angoli C B̂A, C D̂A, C F̂ E, C ĤG siano dati e tali che il prodotto di una
15
parte di queste linee sia uguale al prodotto delle rimanenti o che l’uno (di questi prodotti)
stia all’altro in un rapporto dato cioè CB ⋅ CF = k ⋅ CD ⋅ CH dove k è una costante assegnata
(non è restrittivo supporre k = 1). In altre parole si richiede di trovare il luogo dei punti C
tali che
CB ⋅ CF = CD ⋅ CH.
(2.1)
Dopo aver esposto il problema Descartes inizia a risolverlo. Qui il matematico espone la
sua visione delle coordinate su un piano; infatti questo problema è solitamente indicato
come quello dove vengono introdotte le “coordinate cartesiane”.
“Innanzi tutto suppongo il problema come già risolto e per liberarmi dalla confusione di
tutte queste linee, considero una delle rette date e una di quelle che bisogna trovare, per
esempio AB e CB, come le principali, e a queste cerco di riferire tutte le altre. Il segmento
AB sia chiamato x e BC y e siano poi prolungate tutte le altre linee date fin quando non
intersechino queste due”.
In sostanza Descartes inizia con l’osservare che la posizione del punto C è individuata
quando conosciamo AB = x e BC = y. Chiama quindi AB con x e CB con y e prolunga
tutte le altre finché non le interseca.
Le quantità (positive) x ed y sono sufficienti, perché la retta AB ed il punto A sono dati e
l’angolo AB̂C (ed il suo complementare) è dato.
Assegnate queste quantità, possiamo conoscere ognuna delle linee (segmenti) rimanenti CF,
CD, CH. Vediamo il calcolo per CF. Gli angoli del triangolo CSE e gli angoli del triangolo
CSF sono noti, e quindi sono noti anche i rapporti tra i lati. Il segmento AE è dato.
Si ha quindi
BE ∶ BS = z ∶ d;
16
da cui
d
d
BS = BE = (k + x);
z
z
Inoltre
d
zy + dk + dx
CS = CB + BS = y + BS = y + (k + x) =
.
z
z
Analogamente
CS ∶ CF = z ∶ e
da cui
e
dek
e ezy + dek + dex de
=
= 2x+ y + 2 .
2
z
z
z
z
z
Descartes osserva sbrigativamente che ogni distanza è data da una espressione della forma
CF = CS
±Ax ± By ± C 1
ove i segni possono variare in tutti i modi possibili, compatibilmente con il fatto che vi sia
sempre almeno una quantità positiva.
La soluzione del problema di Pappo è una ‘avventura algebrica’ che segna definitivamente
l’inizio della modernità2 .
Descartes ha la pazienza di osservare che
CB = y;
CD =
czy + bcx
;
z2
ezy + dek + dex
gzy + f gl − f gx
; CH =
;
2
z
z2
di modo che si ha (supponendo semplicemente che sia CB ⋅ CF = CD ⋅ CH)
CF =
y2 =
(cf glz − dekz 2 )y − (dez 2 + cf gz − bcgz)xy + bcf glx − bcf gx2
.
ez 3 − cgz 2
(2.2)
Da cui, effettuando alcune opportune sostituzioni, abbiamo che l’equazione iniziale (2.1)
diventa
y 2 = ay − bxy + cx − dx2 .
(2.3)
dove a, b, c e d sono numeri reali dipendenti dalle quantità date. Questa equazione rappresenta una generica conica passante per l’origine (il tipo di conica è definito dai valori dei
coefficienti a, b, c, d ∈ R). Descartes osserva inoltre che, scegliendo un qualsiasi valore di x, si
ottiene un’equazione di secondo grado in y che può essere risolta rispetto ad y e che quindi
y può essere costruita geometricamente come aveva spiegato nel libro I. Se, quindi, si hanno
infiniti valori di x, si hanno infiniti valori di y che sono le coordinate di infiniti punti C il
Naturalmente, come osserva Descartes, a seconda della posizione di C si può anche avere zy−dk−dx
z
oppure −zy+dk+dx
. Osservazioni simili si possono ripetere anche per i calcoli successivi.
z
2
In realtà la soluzione nel caso delle quattro rette che io presento in modo unitario è suddivisa tra il
primo ed il secondo libro. Nel primo libro viene indicato come si procede in generale per calcolare tutte le
distanze nel caso generale; nel secondo si esamina in particolare il caso del problema per quattro rette.
1
17
cui luogo è la curva descritta dall’equazione precedente. Ciò che Descartes ha fatto è stato
di scegliere una retta come retta base con origine nel punto A. I valori di x sono perciò
lunghezze lungo questa linea e i valori di y sono lunghezze che partono da questa retta base
e formano con essa un angolo prefissato. Questo sistema di coordinate è quello che noi
chiamiamo un sistema di coordinate oblique. La x e la y di Descartes stanno soltanto per
dei numeri positivi e perciò le sue equazioni rappresentano soltanto la posizione di curva
contenuta in quello che noi chiameremmo il primo quadrante. Egli assume semplicemente
che il luogo giaccia primariamente nel primo quadrante e si riferisce soltanto di passaggio a
ciò che potrebbe accadere altrove. Egli assume anche inconsciamente che per ogni numero
reale esista una lunghezza corrispondente.
Questa è una prova che Descartes effettua un salto qualitativo: considera problemi indeterminati dove le due coordinate x e y sono legate da una sola equazione. I punti che risolvono
il problema sono infiniti e descrivono una curva.
Descartes specificò poi le condizioni cui dovevano soddisfare i coefficienti a, b, c, d ∈ R perché
la conica fosse una retta, una parabola, un’ellisse o un’iperbole. Sapeva inoltre che con
una opportuna scelta degli assi e dell’origine si poteva ottenere la forma di equazione più
semplice, ma non formulò nessuna delle forme canoniche che conosciamo (cosa che in seguito
farà Fermat).
Descartes utilizzava un sistema di coordinate oblique, quindi non sempre ortogonali, e solo
con ascisse e ordinate positive, per cui tracciava solo le porzioni delle curve che giacevano in
quello che noi chiamiamo primo quadrante. Delle coordinate negative sapeva solo che erano
orientate in senso inverso rispetto a quelle positive ma non fece mai uso di tali coordinate.
Egli era così poco interessato a tracciare curve che non comprese a pieno il significato delle
coordinate negative. In Descartes non c’è alcuna formula per la distanza o per l’angolo
formato da due rette; non c’è il grafico di alcuna curva nuova tracciata direttamente a
partire dalla sua equazione. Si potrebbe dire quindi che La Géométrie, pur essendo dedicata
interamente alla interazione tra algebra e geometria, è ben lontana dalla geometria analitica
in uso oggi.
Sempre nel secondo libro è presente una classificazione delle curve in base al grado e questo
rappresenta un passo avanti rispetto ai Greci che non avevano ammesso come legittime
costruzioni che facevano uso di curve diverse da rette o circonferenze. Nella prima classe
Descartes raggruppò le curve di primo e di secondo grado in x e y e più in generale i
problemi che portavano a equazioni di secondo grado e che potevano perciò essere costruiti
con riga e compasso; nella seconda classe riunì quelli che portavano a equazioni di terzo
e quarto grado, le cui radici potevano venire costruite per mezzo di sezioni coniche. In
generale la costruzione delle radici di un’equazione di grado 2n o 2n-1 era un problema
della classe n. Il motivo per cui raggruppa insieme le curve di terzo e quarto grado, e
quelle di quinto e sesto, sta nel fatto che egli credeva che le curve di grado superiore di
ciascuna classe potessero essere ricondotte a quelle di grado inferiore, così come le equazioni
di quarto grado possono essere risolte con l’aiuto di equazioni di terzo grado. Questa sua
convinzione era naturalmente sbagliata.
Descartes sottopose ad esame critico le distinzioni fatte dai greci tra curve piane, solide
e lineari. C’era la convinzione che fossero legittime soltanto le curve costruibili con riga e
compasso. I matematici greci dividevano le curve in tre categorie:
18
• i luoghi piani, formati da tutte le rette e da tutti i cerchi;
• i luoghi solidi, formati da tutte le sezioni solide;
• i luoghi lineari, che comprendevano indistintamente tutte le altre curve.
Il fatto stesso che Apollonio, il più grande studioso di geometria dell’antichità (Perga,
262 a.C. – Murtina, 190 a.C.), non sia giunto a sviluppare una geometria analitica, era
probabilmente dovuto più ad una povertà di curve che non ad una povertà di pensiero.
Descartes invece con il suo metodo di associare ad ogni curva un’equazione algebrica, ampliò
il campo di oggetti matematici concepibili dal nostro pensiero, considerando come curve
ammissibili anche la concoide e la cissoide (cioè riconobbe a queste un posto di pieno diritto
nell’ambito della geometria). Per lui erano “curve geometriche” quelle che potevano essere
espresse da un’unica equazione algebrica; le altre, da lui chiamate “curve meccaniche” (ad
esempio la quadratrice, la spirale, la logaritmica, la cicloide...), le esclude dal campo della
geometria in quanto le immaginiamo descritte da due movimenti separati che non hanno
tra loro alcun rapporto che si possa misurare esattamente. Grazie a Descartes viene quindi
eliminata la costruibilità come criterio di esistenza per le curve: si esce dal mondo chiuso
degli antichi Greci e si offre il metodo di associare alle curve delle equazioni, un metodo
generale che si applica a tutte le curve.
2.6.4
Rette normali e rette tangenti.
Nella matematica classica, a differenza di altri problemi, il problema delle tangenti aveva ricevuto solo una moderata attenzione. Ciò era dovuto al fatto di non riuscire mai
a staccarsi dal problema particolare (o meglio dalla figura particolare) per dare metodi
generali per classi di figure. In questo periodo però si cerca di sviluppare metodi generali
validi per ampie classi di figure. Questa tendenza diventa esplicita ne La Géométrie di
Descartes, dove questo problema (che assunse subito un posto di rilievo) veniva risolto nel
caso di curve algebriche, cioè esprimibili come zeri di un polinomio. Per trovare la normale
(infatti Descartes più che cercare le tangenti cerca le normali) ad una curva algebrica in un
determinato punto C, Descartes procede in questo modo.
“Sia CE la curva e per il punto C occorra tracciare una retta che formi con essa angoli retti.
Suppongo tutto già compiuto e assumo CP come linea cercata, linea che prolungo fino a P
dove incontra la retta GA, che suppongo essere quella a cui debbono riferirsi tutti i punti
della linea CE. Così ponendo MA o CB = y, CM o BA = x, otterrò una certa equazione
che esprime la relazione che sussiste tra x e y. [...]”
Con un linguaggio e un formalismo per noi familiare, Descartes proseguiva spiegando che
se si poneva per il cerchio incognito PC=s e PA=v, osservando che il triangolo PMC era
rettangolo, si aveva s2 = x2 + v 2 − 2vy + y 2 , da cui si poteva ricavare la x (o equivalentemente
la y) e sostituirla nell’equazione della curva data. Poi, “dopo aver trovato [tale equazione]
invece di servircene per conoscere le quantità x o y [...] che sono già date poiché il punto
C [nel quale dobbiamo determinare la normale alla curva] è dato, dobbiamo usarla per
trovare v o s che determinano il punto P richiesto [centro del cerchio cercato]. A tal fine
bisogna considerare che se questo punto P è come lo desideriamo il cerchio di cui sarà il
19
centro e che passerà per C vi toccherà la curva CE senza intersecarla”. In sostanza usa
la tecnica di considerare un cerchio di centro variabile su uno degli assi e di imporre la
condizione algebrica che il cerchio abbia due intersezioni coincidenti con la curva nel punto
di tangenza. Vediamo ora il modo di procedere. Sia P (y, x) = 0 l’equazione della curva
in esame. Esistendo diversi cerchi tangenti alla curva nel punto e volendone trovare uno
solo, Descartes impone una particolare condizione e cioè che il centro appartenga all’asse
y. Fissato il punto A come origine del riferimento e l’asse delle ascisse, note l’equazione
della curva e le coordinate del punto C di tangenza, si tratta di determinare il punto P
appartenente all’asse delle ordinate in modo che la circonferenza di centro P sia tangente in
C alla curva. Individuare il cerchio tangente significa trovare quel cerchio che ha riunite in
C le due intersezioni con la curva, o, come si dice, ha una intersezione doppia.
Sia C(y0 , x0 ), AP = v e CP = s. Per il teorema di Pitagora applicato al triangolo rettangolo
PMC ho che l’equazione del cerchio è
(y − v)2 + x2 = s2 .
Osserviamo che questa equazione mette in relazione s e v con le coordinate (y, x) del punto
C.
Per trovare le intersezioni tra cerchio e curva bisogna risolvere il sistema
{
(y − v)2 + x2 = s2
P (x, y) = 0
che, dopo aver eliminato la x, si riduce ad una equazione nella sola y del tipo Q(y) = 0. Se
l’equazione deve avere una radice doppia in y = y0 deve poter essere riscritta nella forma
Q(y) = (y − y0 )2 ⋅ R(y)
con R(y) polinomio incognito di grado inferiore di due unità rispetto a Q(y). Se il polinomio
Q(y) ha grado n, l’identità scritta precedentemente dà luogo a n + 1 equazioni ricavate
20
dall’uguaglianza degli n + 1 coefficienti del polinomio a primo membro con i rispettivi
coefficienti del polinomio a secondo membro.
In queste n + 1 equazioni sono presenti n + 1 incognite: v, s e gli n − 1 coefficienti del
polinomio R(y).
Quindi è necessario risolvere un sistema non lineare di n + 1 equazioni in n + 1 incognite che
comporta dei calcoli abbastanza laboriosi e che costringe, per ricavare l’unica incognita che
interessa (l’ordinata v del punto P), a calcolare anche un numero rilevante di incognite non
necessarie al fine della risoluzione del problema.
È significativo notare come questo procedimento ci si riduca, in pratica, al caso di determinare la tangente ad una circonferenza. Osserviamo inoltre che lo stesso ragionamento
continua a valere se i due assi vengono permutati.
Esempio.
Vediamo di calcolare la tangente all’iperbole di equazione xy = 1 applicando il metodo di
Descartes. Questi, per giungere alla tesi, costruisce una circonferenza tangente all’iperbole.
Consideriamo, dunque, oltre all’iperbole un cerchio di centro v e raggio s.
Figura 2.2:
Otteniamo il seguente sistema:
xy = 1
{
(x − v)2 + y 2 = s2
eliminando la y dal sistema e moltiplicando per x2 si ha:
x2 (x2 − 2vx + v 2 ) + 1 − s2 x2 = 0
Quest’ultima equazione, per quanto detto prima, deve avere una radice doppia per x = x0 ,
e dunque deve risultare:
x2 (x2 − 2vx + v 2 ) + 1 − s2 x2 = (x − x0 )2 (ax2 + bx + c).
Sviluppando, ora, ambo i membri e raccogliendo i termini con la stessa potenza si ottiene:
x4 − 2vx3 + (v 2 − s2 )x2 + 1 = ax4 + (b − 2x0 a)x3 + (c + ax20 − 2bx0 )x2 + (bx20 − 2cx0 )x + cx20
21
e dunque:
⎧
a=1
⎪
⎪
⎪
⎪
⎪
2ax0 − b = 2v
⎪
⎪
⎪
⎨c + ax20 − 2bx0 = v 2 − s2
⎪
⎪
⎪
bx0 − 2c = 0
⎪
⎪
⎪
2
⎪
⎪
cx
⎩ 0=1
e da quest’ultima equazione si ha:
c=
1
= y02
x20
e dunque a ritroso segue:
2y02
.
x0
Inserendo tale valore nella seconda equazione e ricordando che a = 1, si trova:
b=
v = x0 − y03 .
Osserviamo ora che l’unico dato incognito è il valore di s, ma ai nostri fini questo calcolo è
irrilevante. Ora, riprendendo la figura 2.2, definiamo OA = v, OB = x0 , BP0 = y0 e pertanto
si ottiene AB = x0 − v = y03 . Di conseguenza i triangoli ABP0 e P0 BC sono simili, e dunque
è possibile implementare l’equazione del secondo Teorema di Euclide, ottenendo:
BC ∶ BP0 = BP0 ∶ AB
dalla quale si giunge ad avere:
BC =
BP02 y02
1
= 3 =
= x0 .
AB
y0 y0
Esercizio: trovare la normale alla curva y = x3 in P = (1, 1) con il metodo di Descartes.
Soluzione schematica:
y = x3
{
(x − v)2 + y 2 = s2
Da cui ho:
⇔ x2 − 2xv + v 2 + y 2 = s2
R(x) = x6 + x2 − 2xv + v 2 − s2 = 0.
22
Poiché devo avere una doppia radice in x = 1 devo scrivere
Q(x) = (x − 1)2 R(x)
= (x − 1)2 (x4 + ax3 + bx2 + cx + d)
= (x2 − 2x + 1)(x4 + ax3 + bx2 + cx + d)
6
(2.4)
5
= x + (a − 2)x + . . .
≡ x6 + x2 − 2xv + v 2 − s2 .
Eguaglio i coefficienti delle potenze omologhe ed ottengo 6 equazioni da cui ricavo v = 4.
Esercizio: trovare la normale alla curva y =
Soluzione:
v=
2.6.5
1
x
in P = (2, 12 ) con il metodo di Descartes.
15
.
8
Il compasso cartesiano
Interessante è l’invenzione di Descartes di una macchina ideale capace di realizzare delle
curve meccaniche definite da polinomi di grado alto quanto si vuole: il compasso cartesiano.
Si tratta di un processo iterativo che, passo dopo passo, costruisce attraverso un movimento
meccanico una curva algebrica la cui equazione ha un grado che aumenta di quattro unità
alla volta.
Potremo considerare YZ fisso. Quando YX coincide con YZ e quindi quando il compasso è
chiuso, i punti B, C, D, E, F, G, H coincidono con A. Poi, man mano che lo si apre e si
posiziona il regolo BC perpendicolare a YX, BC spinge CD verso Z e in maniera simile CD
spinge DE e così via e in questo modo il punto D descrive la curva che si vede tratteggiata
e così anche F e H ecc... Si potrebbe dare la dimostrazione di tale procedimento iterativo.
La curva iniziale è una circonferenza. Prendiamo un punto P0 variabile su una circonferenza
di centro O e raggio 1. Fissiamo una retta r passante per il centro della circonferenza.
23
Per ogni punto P0 consideriamo la semiretta OP0 , la retta P0 A1 perpendicolare a OP0 e la
retta A1 P1 perpendicolare a r. Il luogo dei punti P1 descrive una curva la cui equazione,
scegliendo come origine il centro della circonferenza, come asse delle x la retta r e come unità
il raggio della circonferenza, si determina immediatamente: sia x = OA1 e y = A1 P1 . Per il
Teorema di Pitagora si ha x2 + y 2 = OP1 2 ma, per il Teorema di Euclide OP1 ⋅ OP0 = OA1 2
ed, essendo OP0 = 1, si ricava OP1 = x2 e quindi l’equazione della curva è di quarto grado
x2 + y 2 = x4 .
Iteriamo ora il procedimento.
Per ogni punto P1 di coordinate (a, b) della curva ottenuta, costruiamo la retta OP1 , la sua
perpendicolare P1 A2 e la perpendicolare a r, A2 P2 . Il luogo descritto da P2 è una nuova
curva la cui equazione si calcola a partire dall’equazione precedente. Sia ora x = OA2 e
y = A2 P2 ed essendo simili i triangoli OP1 A1 e OP2 A2 si ha che bx = ay ovvero
bx − ay = 0.
Consideriamo ora il triangolo rettangolo P1 A2 P2 , risulta P1 A2 2 = by per il Teorema di
Euclide e d’altra parte, guardando al triangolo rettangolo OP1 A2 , P1 A2 2 = x(x − a).
Otteniamo quindi
ax + by = x2
24
e ricaviamo dalle due equazioni a e b in funzione di x e y:
3
⎧
⎪
a = x2x+y2
⎪
⎪
⎪
⎪
⎪
⎨
⎪
⎪
⎪
x2 y
⎪
⎪
⎪
⎩ b = x2 +y2
Sostituiamo questi valori nell’equazione della curva a2 + b2 = a4 . Troviamo così l’equazione
del secondo luogo cioè (x2 + y 2 )3 = x8 che è di grado 8.
In generale le equazioni dei vari luoghi sono
x2 + y 2 = x4 , (x2 + y 2 )3 = x8 , (x2 + y 2 )5 = x12 , (x2 + y 2 )7 = x16 ....
Ognuna di queste equazioni rappresenta una curva che si può ottenere con uno strumento
meccanico (se pure ideale): il compasso cartesiano!
2.7
Conclusioni
La geometria cartesiana palesò subito i suoi vantaggi, non solo perché consentì uno studio
più sistematico delle coniche, ma anche perché forniva una chiara definizione delle curve
di ordine superiore. Mentre è possibile agevolmente rappresentarsi in modo intuitivo le
curve corrispondenti a equazioni di secondo grado; per le curve di grado superiore ci si
doveva affidare a metodi più complessi che sfuggono alla nostra capacità di immaginazione
e rendono i matematici restii a trattarli come enti geometrici. Con ciò si allargava il campo
della geometria e si lasciava il posto a una trattazione organica e unitaria.
Riassumiamo i suoi contributi più importanti:
• Introduce cambiamenti significativi nella notazione: Descartes scrive formule matematiche leggibili senza sforzo alcuno anche oggi. Usa un simbolo per l’uguaglianza,
diverso dall’=, ma non più la scritta latina aequalis; con le prime lettere indica
costanti, con le ultime incognite come è anche oggi. Usa il simbolo di potenza e di
radice quadrata. Per lui, come per noi, a2 è un numero e non un’area.
• Usa un sistema di coordinate che noi chiamiamo oblique, quindi non sempre ortogonali,
e solo con ascisse e ordinate positive, per cui traccia solo le porzioni delle curve che
giacciono nel primo quadrante. Però sceglie gli assi di riferimento in modo che
l’equazione sia il più semplice possibile.
• Associa alle equazioni indeterminate delle curve nel piano ampliando così il concetto
di curve ammissibili, sia accettando curve in precedenza rifiutate, sia introducendone
alcune completamente nuove.
• Trasforma problemi geometrici in intersezioni di curve quali rette, coniche e altre
ancora, ma non risolve problemi di intersezione col calcolo algebrico, bensì mediante
la costruzione geometrica delle curve.
• Classifica le curve in base al grado dell’equazione, cioè modifica la classificazione dei
greci in piane, lineari, solide.
25
Nell’esposizione della geometria analitica di Descartes si nota quanto è lontana la
mentalità del suo autore dalle considerazioni pratiche che oggi spesso intervengono nell’uso
delle coordinate. Egli non stabilì un sistema di coordinate allo scopo di localizzare dei punti
nè concepiva le coordinate come coppie di numeri. Era una teoria priva di utilità pratica,
come erano state le Coniche di Apollonio. L’uso di coordinate oblique era quasi identico
in entrambi i casi: ciò confermava che la moderna geometria analitica aveva le sue origini
nell’antichità.
2.7.1
Osservazioni su La Géométrie
La Géométrie non è un libro facile da leggere3 . Molte delle oscurità sono volute; infatti
Descartes vantava che pochi matematici in Europa avrebbero capito la sua opera. Egli
indicava le costruzioni e le dimostrazioni, lasciando ai lettori il compito di completarne
i dettagli. Uno dei motivi della propria oscurità è ad esempio il desiderio di non privare
i suoi lettori del piacere di ritrovare da soli i risultati. Diceva che non si soffermava a
“spiegare minuziosamente” tutte le questioni, solo per lasciare ai posteri la soddisfazione di
“apprenderle da sè”. Diceva anche: “Non ho omesso nulla inavvertitamente, ma ho previsto
che certe persone che si vantano di conoscere ogni cosa non si sarebbero lasciata sfuggire
l’opportunità di dire che io non avevo scritto nulla che essi già non conoscessero qualora mi
fossi reso sufficientemente intellegibile da permettere loro di capirmi”.
3
anche la lingua usata, il francese ne ha impedito l’iniziale diffusione, avvenuta solo dopo il 1649, quando
l’opera viene tradotta in latino.
26