La Rivoluzione Keynesiana - Dipartimento di Economia, Statistica e

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La Rivoluzione Keynesiana - Dipartimento di Economia, Statistica e
La Rivoluzione Keynesiana
1
Obiettivi, strumenti e ruolo del
governo
• Nel dibattito economico tra le diverse scuole di
pensiero
• «Vi è ampio accordo circa i più importanti obiettivi
della politica economica: occupazione elevata, prezzi
stabili, sviluppo rapido,( fine ultimo massimo
benessere). Si è meno d’accordo sulla loro mutua
compatibilità, e, tra coloro che li ritengono
incompatibili, sui modi in cui essi possono e
dovrebbero essere sostituiti tra di loro. L’accordo è poi
minimo sul ruolo che i vari strumenti della politica
economica possono e dovrebbero giocare per il
raggiungimento dei singoli obiettivi.» (Milton
Friedman, 1968).
2
Due filoni fondamentali:
Approccio classico e keynesiano
• La Teoria Generale (1936) di Keynes
rappresenta il punto di svolta dell’intero
pensiero economico e una visione organica
della politica economica.
• Prima di Keynes classici e neoclassici si
contendevano il panorama del pensiero
economico e concorrevano a determinare le
scelte di politica economica.
3
La scuola classica
• La scuola classica dominò il pensiero economico fino
alla fine dell’800.
• Tra i nomi principali A.Smith, D. Ricardo, T.R.Malthus,
K.Marx, J.S.Mill.
• Gli economisti classici risultano in larga parte
sostenitori del cosiddetto liberismo, o “laissez-faire”.
• A grandi linee il liberismo è quella dottrina politica
basata sull’idea che per favorire lo sviluppo economico
e la crescita del benessere di tutti si debbano liberare
le forze del mercato dai lacci dell’autorità statale.
• L’agire della mano invisibile del mercato consente di
raggiungere il miglior risultato possibile.
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• I classici tuttavia non nascondevano gli
elementi di conflitto insiti nella società
capitalista.
• Essi ritenevano che la società fosse divisa in
classi: i proprietari terrieri, i capitalisti e i
lavoratori. In varie circostanze essi
riconobbero che le classi sociali hanno
interessi irriducibilmente contrapposti tra loro.
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• Dati i salari, il profitto spettante ai capitalisti è
concepito come un “residuo”, come un “surplus” che si
ottiene una volta che da una data produzione totale
siano state sottratte le merci spettanti ai lavoratori
sotto forma di salari (e anche quelle spettanti ai
proprietari terrieri a titolo di rendite).
• Questo implica ciò che il profitto è tanto maggiore
quanto minori siano le rendite e i salari.
• In tale teoria sono insiti i motivi di contrasto tra le
classi sociali nella ripartizione della produzione.
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La scuola neoclassica
• La scuola neoclassica della fine dell’800 coincide
con la rivoluzione marginalista di Walras, Pareto,
Marshall, Pigou, Fisher, Von Hayek, Robbins, ect…
• I teorici neoclassici rifiutano una analisi della
società basata sulla divisione tra le classi. Ad
essa contrappongono il cosiddetto
individualismo metodologico. Questo metodo si
basa sulla idea che qualsiasi aggregato sociale,
inclusa la classe, è in realtà costituito da singoli
individui.
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• Questa scuola intende agire a livello microeconomico e
postula essenzialmente due principi:
• La razionalità degli agenti (le imprese tendono a
massimizzare i profitti e i consumatori a massimizzare
l’utilità);
• L’equilibrio di mercato (ossia l’assenza di eccessi di
domanda e/o offerta) di tipo concorrenziale con piena
flessibilità dei prezzi.
• In questo senso i neoclassici ritengono che il problema
economico fondamentale di ogni individuo e di ogni società
sia quello di impiegare al meglio i mezzi scarsi di cui
dispone al fine di accrescere più che può il proprio
benessere.
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• Secondo i neoclassici, l’analisi basata sulla
esistenza delle classi sociali è inutile e per
certi versi fuorviante, visto che il
comportamento di ogni individuo,
indipendentemente dalla classe di
appartenenza, può essere esaminato come un
problema di massimizzazione della utilità
sotto il vincolo delle risorse scarse di cui egli
dispone, e più specificamente come un
problema risolvibile con il calcolo marginale.
9
Scuola classica e scuola
neoclassica
•
Le due scuole manterranno in comune la c.d. Legge di Say: l’offerta
crea la domanda, essendo la produzione offerta l’unica fonte di
determinazione dei redditi distribuiti e che questi ultimi vengano
subito spesi (anche i risparmi vengono subito investiti).
•
Il sistema economico è sempre suddiviso in due sottosistemi
(equilibrio generale walrasiano) che consente di determinare le
variabili reali (prodotto, occupazione, prezzi relativi) e
• le variabili nominali (livello dei prezzi, reddito nominale e salari
monetari, tassi di interesse nominali).
• In tale sistema le variabili monetarie influenzano solo i valori
nominali ma non quelli reali e quindi la moneta è neutrale.
10
Keynes e i classici
•
Keynes criticherà i classici e neoclassici prendendo le mosse dall’apparato
teorico (razionalità degli agenti e equilibrio concorrenziale di mercato)
abbandonando alcune ipotesi specifiche quali
• la flessibilità dei prezzi di tutti i beni fino all’approccio del disequilibrio
mostrando i fallimenti del mercato dovuti a frizioni, rigidità ed
imperfezioni.
•
Tale approccio finiva per proporre una visione alternativa della politica
economica con un diverso ruolo dello Stato nel caso si verificasse una
carenza nella “domanda effettiva” con condizioni più o meno persistenti di
disoccupazione e depressione.
• E’ nel contesto della Grande Depressione del1929 che Keynes tenta una
interpretazione del reddito nazionale e del livello di disoccupazione.
•
L’assenza di piena occupazione e la distribuzione iniqua della ricchezza
sono considerati da Keynes come i fallimenti del mercato.
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In breve
come funziona il modello neoclassico
• Gli economisti neoclassici erano ben
consapevoli che un’economia capitalistica di
mercato può deviare dal suo livello di
equilibrio del prodotto e dell’occupazione, ma
• Ritenevano che tali perturbazioni fossero
temporanee e di breve durata.
• Il meccanismo di mercato sarebbe intervenuto
prontamente ed efficacemente a restaurare
l’equilibrio di piena occupazione .
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Modello neoclassico e intervento dello
Stato
• L’intervento dello Stato sotto forma di
politiche di stabilizzazione, non sarebbe stato
necessario né auspicabile, giacchè tali
politiche avrebbero con ogni probabilità
aggravato l’instabilità.
• Per i classici il sistema di mercato raggiungeva
sempre la piena occupazione.
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Una versione stilizzata del modello
neoclassico
• Ipotesi del modello:
• 1) La razionalità degli agenti (le imprese tendono a
massimizzare i profitti e i consumatori a massimizzare
l’utilità); inoltre gli agenti non soffrono di illusione
monetaria;
• 2) mercati concorrenziali: prezzi flessibili
• 3) informazione perfetta
• 4) gli scambi avvengono ai prezzi di equilibrio (marketclearing)
• 5) gli agenti hanno aspettative stabili
Queste ipotesi garantiscono che i mercati siano sempre in
equilibrio, compreso quello del lavoro.
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La determinazione dell’occupazione e
della produzione
• Ricordiamo che la moneta è neutrale: il livello
del prodotto reale è indipendente dalla
quantità di moneta presente nell’economia.
• Nell'analisi neoclassica di solito si ritiene che
la produzione di una certa quantità Q di merce
viene effettuata utilizzando i fattori della
produzione: lavoro (N) e capitale (K) (di solito
inteso come valore dei mezzi di produzione).
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L'analisi inizia dal mercato del lavoro.
•
•
•
•
•
•
Definiamo:
Y produzione nazionale
P prezzo della merce prodotta
w salario monetario dei lavoratori
N numero dei lavoratori occupati
Da notare che w/p indica il salario reale dei
lavoratori, cioè il potere d'acquisto del salario.
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La funzione di produzione
• La funzione di produzione ha la solita forma
dettata dalla legge della produttività marginale
del lavoro decrescente, dato il capitale K e data la
tecnologia.
• Dalla funzione di produzione si ricava la curva
della PMGL (prodotto marginale del lavoro)
decrescente.
• La curva della PMGL decrescente corrisponde
esattamente alla domanda di lavoro delle
imprese.
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• In concorrenza perfetta le imprese
massimizzano il profitto solo se:
• P = CMG
• Ma sappiamo pure che il CMG = w/PMGL per
cui possiamo scrivere:
• Da cui
PMGL=W/P
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• Se l’impresa assume lavoratori in un mercato
concorrenziale deve pagare ad ogni lavoratore
addizionale un salario pari Wi. Il costo da
sostenere per assumere un lavoratore
addizionale sarà:
• 𝑊𝑖 ∆𝑁𝑖
• Il ricavo addizionale generato dal lavoratore addizionale è
dato dall’incremento di prodotto ottenuto moltiplicato per il
prezzo del prodotto:
• 𝑃𝑖 ∆𝑌𝑖
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Per la singola impresa
• Per massimizzare il profitto conviene assumere
lavoratori fino a quando:
• 𝑊𝑖 ∆𝑁𝑖 < 𝑃𝑖 ∆𝑌𝑖
• Il profitto sarà massimo quando:
• 𝑊𝑖 ∆𝑁𝑖 = 𝑃𝑖 ∆𝑌𝑖
• Che equivale a:
•
∆𝑌𝑖 𝑊𝑖
=
∆𝑁𝑖 𝑃𝑖
Il profitto è massimo quando il prodotto
marginale del lavoro è uguale al salario reale.
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La domanda di lavoro
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L’offerta di lavoro
• Le famiglie massimizzano la loro utilità.
Quanto lavoro venga offerto dipende dalle
preferenze delle famiglie fra consumo e tempo
libero, entrambe dotate di utilità positiva.
• Per consumare si deve guadagnare reddito
sostituendo tempo libero con tempo di lavoro.
• Al lavoro si attribuisce disutilità.
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Gli effetti del salario reale sull’offerta
di lavoro
• 1) Effetto di sostituzione:
Un aumento del salario reale rende il tempo libero più
costoso in termini di reddito sacrificato per il consumo e
tende a far crescere l’offerta di lavoro.
• 2) Effetto di reddito
L’aumento del salario reale, migliora la situazione dei
lavoratori, i quali possono optare per un maggior tempo
libero. L’aumento del salario reale tende a far diminuire
l’offerta di lavoro.
Il modello classico assume che l’effetto sostituzione
prevalga sull’effetto reddito; l’offerta di lavoro reagisce
positivamente ad un aumento del salario reale.
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L’offerta di lavoro
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Equilibrio sul mercato del lavoro
La flessibilità di prezzi e salari assicura sempre
l’equilibrio
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• Questa è una situazione di disoccupazione. I
lavoratori che si offrono sono NS0 ma le
imprese assumono solo ND0.
• C'è quindi un numero di disoccupati
involontari pari al segmento NS0-ND0.
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• Questi disoccupati si dicono involontari perché al
salario di mercato vigente (w/P)0 essi vorrebbero
lavorare ma un lavoro non lo trovano.
• Per i neoclassici tuttavia questa situazione è solo
temporanea. Il meccanismo di mercato condurrà
spontaneamente il sistema all'equilibrio in E.
• I disoccupati infatti (essendo tra loro in concorrenza)
eserciteranno una pressione verso il basso sui salari,
che farà aumentare la domanda di lavoro ND e
diminuire l'offerta NS fino all'equilibrio.
• Si noti che in corrispondenza di E non ci sono più
disoccupati involontari.
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• Restano però dei disoccupati volontari, che al salario
vigente non sono disposti a lavorare ma che si
renderebbero disponibili ad un salario maggiore (si tratta
del segmento NS0-N*).
• I neoclassici tuttavia sostengono che i disoccupati volontari
hanno liberamente scelto di non lavorare al salario reale di
equilibrio. E quindi essi non costituiscono un problema
politico.
• L'importante è che il mercato sia in grado di assorbire
spontaneamente la disoccupazione involontaria, cioè sia in
grado di garantire un posto a tutti i lavoratori disposti a
lavorare al salario di mercato di equilibrio.
• Visto che in equilibrio il sistema riesce ad eliminare la
disoccupazione involontaria, allora si può parlare di
equilibrio di piena occupazione.
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Come si spiega la crisi del ‘29?
• Ma allora, come si spiega la presenza di tanti
disoccupati nel 1933? Ovviamente non li si poteva
considerare tutti disoccupati volontari ….
• La risposta dei neoclassici dell'epoca è che i sindacati
impediscono che il salario si riduca fino al livello di
equilibrio.
• I sindacati cioè inchiodano il sistema economico nel
punto A del grafico precedente, bloccando il libero
operare delle forze del mercato e generando
disoccupazione involontaria pari ad AB.
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Continuiamo….
Dal mercato del lavoro al mercato dei beni
• Una volta determinato il livello di occupazione
di piena occupazione sul mercato del lavoro
• Sulla funzione di produzione si trova in
corrispondenza di tale livello la quantità
massima di prodotto ottenibile che è il livello
di prodotto di piena occupazione.
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La legge degli sbocchi di Say:
l’offerta crea sempre la propria domanda
• Una volta determinato il livello di produzione
di piena occupazione, si pone il problema
fondamentale:
• cosa garantisce che l'intera produzione Y*
venga assorbita dalla domanda? Chi ci assicura
cioè che le imprese riescano a vendere tutta la
merce prodotta?
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• La questione è fondamentale: è chiaro infatti che
l'equilibrio di piena occupazione può reggere solo se Y*
viene venduto interamente.
• I neoclassici rispondono a questo interrogativo
attraverso due proposizioni:
• 1) per ogni data produzione Y realizzata le imprese
distribuiscono alle famiglie dei lavoratori e capitalisti
un reddito Y di importo equivalente.
• 2) Le famiglie di lavoratori e capitalisti, una volta
ricevuto il reddito Y, lo spendono interamente per
l'acquisto della produzione (di quanto è stato
prodotto).
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• Ora, se le famiglie dei lavoratori e dei
capitalisti spendessero tutto il loro reddito per
l'acquisto di beni di consumo, non vi sarebbe
alcun problema.
• Ma nella realtà le famiglie spendono per
consumi (C) solo una parte del reddito,
mentre un'altra parte la risparmiano (S)
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• Dunque poiché una parte del reddito nazionale viene
risparmiata, a quanto pare una parte della produzione
resterà invenduta. Infatti, visto che produzione e reddito
sono equivalenti la produzione sarà interamente acquistata
se tutto il reddito viene speso
• I neoclassici reagiscono a questo problema sostenendo che
la parte di reddito che le famiglie risparmiano verrà
interamente prestata alle imprese che useranno questo
reddito per fare investimenti (I). Cioè per acquistare mezzi
di produzione (macchine, impianti, ecc.).
• Dunque, ricapitolando: dall'equilibrio del mercato del
lavoro emerge un livello di produzione Y corrispondente
alla piena occupazione.
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• Tale produzione sarà interamente venduta solo se
viene rispettata questa condizione:
• produzione = domanda
• Y=C+I
• C+S=C+I
• S=I
• Ma chi ci garantisce che S e I saranno uguali?
Dopotutto si tratta di decisioni prese da soggetti
diversi.
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• La risposta dei neoclassici è che il tasso di interesse i
garantirà il perfetto equilibrio tra S e I.
• Infatti:
• - Le famiglie decidono tra C e S in base a i. Se i aumenta le
famiglie riducono i consumi e S aumenta.
• - Le imprese decidono I in base al costo dei prestiti i. Se i
aumenta, allora I si riduce.
• Quindi possiamo tracciare due funzioni, S e I.
• Le forze spontanee del mercato, lasciate a sé stesse,
garantiranno un tasso di interesse di mercato i tale che S=I.
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• Dunque così come il salario reale w/P garantisce
l'equilibrio tra domanda e offerta di lavoro, così il tasso
di interesse i garantisce l'equilibrio tra risparmi S e
investimenti I (ossia, C+S = C+I e Y = C+I).
• Con ciò i neoclassici dimostrano che l'equilibrio di
piena occupazione è stabile, visto che la produzione di
piena occupazione sarà interamente assorbita dalla
domanda, o come domanda di C o come domanda di I.
• Se si lascia fare al mercato, non sussiste alcun rischio
di merci invendute
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• Le conclusioni del modello macroeconomico
neoclassico sono palesemente liberiste.
• Le forze del mercato, lasciate a sé stesse,
garantiscono il pieno impiego dei lavoratori e
l'acquisto dell'intera produzione realizzata.
• L'intervento statale è inutile → se c'è
disoccupazione, è colpa dei sindacati.
• Non solo! I neoclassici puntano a dimostrare che
l'intervento statale può anche essere dannoso.
42
Che ruolo svolge la moneta?
•
La Teoria Quantitativa (Irving Fisher, 1911).
• Per esaminare questa teoria definiamo:
• M quantità di moneta creata dalla Banca Centrale.
• V velocità di circolazione della moneta (numero di volte che ogni
banconota passa di mano in un anno)
• P livello dei prezzi
• Y produzione.
• Definiamo con:
• MV la quantità di moneta complessivamente offerta in un anno.
• se moltiplichiamo il numero di banconote per il numero delle volte
che ogni banconota passa di mano, è chiaro che calcoliamo il totale
della moneta offerta e scambiata in un anno.
43
• Con PY definiamo il valore della produzione
offerta e scambiata, cui corrisponde
ovviamente una quantità equivalente di
moneta domandata in cambio.
• Possiamo dunque stabilire che:
• MV = PY
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• M è data dalle autonome decisioni della Banca
Centrale
• V è data dalle abitudini di pagamento della
produzione
• Y è data dall'equilibrio di piena occupazione
sul mercato del lavoro.
• L'unica incognita dunque è P:
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• P = MV/Y
• questa equazione ci dice che, dati V e Y, se la
Banca Centrale decide di aumentare
• M, l'unico effetto di questa decisione sarà un
aumento del livello dei prezzi P.
• Il risultato dipende strettamente dall'ipotesi di
piena occupazione.
46
• Infatti, se la Banca Centrale aumenta M in circolazione, gli
individui disporranno di più moneta.
• Essi quindi useranno la moneta per comprare merci. Ma
essendo la produzione già al livello di piena occupazione
allora non potrà aumentare.
• Di conseguenza, di fronte all'incremento di domanda di
merci le imprese finiranno per aumentare P.
• L'intervento politico della Banca Centrale, magari finalizzato
a stimolare la domanda, ad aumentare Y e l'occupazione N,
in realtà è inutile (Y è già al pieno impiego) ed è pure
dannoso (poiché genera inflazione).
• Le conclusioni del modello sono ancora una volta liberiste:
• - neutralità della moneta
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LA CRISI PER I NEOCLASSICI
Il mercato si autoregola
• Notiamo un'ultima cosa.
• Supponiamo che si verifichi una crisi di fiducia delle
aspettative di profitto.
• Conseguenza: gli imprenditori riducono gli investimenti
(I).
• Il movimento del tasso di interesse riporterà in
equilibrio il sistema.
• Infatti il tasso di interesse si ridurrà portando in
equilibrio risparmi e investimenti. Alla riduzione dei
risparmi corrisponderà un aumento dei consumi che
compenserà la riduzione degli investimenti.
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La virtù della parsimonia
• Se l’obiettivo è l’aumento degli investimenti?
• con l'aumento dei risparmi delle famiglie (la
curva dei risparmi S ora si sposta verso destra)
si ridurrebbe il tasso di interesse e quindi
aumenterebbero gli investimenti.
• La virtù della parsimonia quale fattore chiave
dell'accumulazione e dello sviluppo
economico
49
La virtù della parsimonia
• Una caduta degli investimenti porta ad una diminuzione della produzione
e dell’occupazione.
• Alcuni economisti di stampo liberista talvolta hanno affermato che per
rimediare a un calo degli investimenti occorre aumentare i risparmi.
• L’idea è che le famiglie consumano troppo e quindi forniscono poco
risparmio alle imprese per il finanziamento degli investimenti.
• Secondo questa visione, solo se la popolazione riduce il consumo e decide
di rendere disponibili maggiori risparmi per le imprese, queste ultime
potranno usarli per aumentare gli investimenti in nuovi macchinari e
attrezzature e rendere così più efficiente e produttiva l’economia.
• Stando a questa concezione – che era molto in voga tra gli economisti
liberisti dell’Inghilterra “vittoriana” di fine ‘800 e che oggi pare tornata di
moda - è solo attraverso le virtù della parsimonia e dell’astinenza dai
consumi, che si può uscire da una crisi e sviluppare l’economia.
50
• Questa visione è stata fortemente criticata da John
Maynard Keynes, autore della Teoria generale del 1936.
• Keynes, che scriveva in un’epoca di grave crisi economica
mondiale, sostenne che il tentativo di risollevare l’economia
riducendo i consumi per aumentare i risparmi avrebbe
soltanto peggiorato la situazione economica.
• In particolare, Keynes mise in luce l’esistenza di un
“paradosso del risparmio”, che andava contro i luoghi
comuni dei teorici dell’astinenza:
Il paradosso infatti evidenzia che se si riducono i consumi la
produzione non aumenta ma si riduce, ed inoltre i risparmi
non aumentano ma restano invariati.
51
La rivoluzione keynesiana
il principio della domanda effettiva
Keynes è stato oggetto di numerose
interpretazioni alternative. Tuttavia è indubbio
che il suo approccio ha innovato profondamente
il pensiero economico contemporaneo dando
vita alla moderna macroeconomia.
• Proviamo a sintetizzare le innovazioni
teoriche fondamentali della Teoria Generale:
52
La rivoluzione keynesiana
• 1) Il reddito non è sempre fissato a quello di piena
occupazione per cui spesso si realizzano equilibri di sottooccupazione;
• 2) Tra le principali determinanti del reddito, posto che
questo non è sempre fissato dall’offerta (legge di Say) vi è la
domanda aggregata (in particolare la domanda effettiva)
generando disoccupazione anche a causa di
disinformazione, problemi di coordinamento e incertezza;
• 3) Tra le componenti della domanda aggregata bisogna
ricordare (a) i consumi, funzione del reddito disponibile con
una propensione marginale inferiore a uno e (b) gli
investimenti che sono la principale variabile esogena a
determinare il reddito e legati non solo al tasso di interesse
ma altresì alle aspettative degli imprenditori.
53
La rivoluzione keynesiana
• 4. I salari monetari sono generalmente rigidi nel
breve periodo e i processi di aggiustamento
manifestano frizioni, difficoltà;
• 5. La teoria della preferenza della liquidità fa si
che la domanda di moneta dipende anche dal
tasso di interesse e quindi non è solo un
fenomeno reale ma monetario;
• 6. Infine l’offerta di moneta non può influenzare
solo i prezzi ma anche il reddito reale, la
dicotomia tra settore reale e monetario viene a
cadere, la moneta non è neutrale.
54
L’equilibrio macroeconomico
• Nell’equilibrio macroeconomico classico (legge di Say) la
domanda aggregata (A) è sempre determinata dall’offerta
(reddito reale, o prodotto nazionale) (Y) per cui
• Ac=Y
•
• Nell’equilibrio classico la domanda aggregata è una
semiretta a 45° che coincide sempre con il reddito offerto Y.
Il reddito di piena occupazione (Y*) dipende solo dai fattori
dell’offerta ossia dalle risorse produttive.
• Sono le forze del libero mercato a far permanere una
situazione di piena occupazione.
55
L’equilibrio macroeconomico
classico
56
L’equilibrio macroeconomico
keynesiano
• Al contrario nel sistema keynesiano la domanda aggregata
è rappresentata dalla retta Ak. La sua posizione dipende
dalla domanda aggregata autonoma  (investimenti, spesa
pubblica, esportazioni e consumi) mentre la sua
inclinazione dipende dalle caratteristiche delle variabili
(propensione marginale al consumo).
• In questo approccio è il reddito offerto (produzione) che si
adegua alla domanda aggregata che include sia la domanda
autonoma (A) ma anche quella endogena (c.d. indotta)
determinata dal moltiplicatore. In termini grafici il reddito
di equilibrio (Y°) è determinato dall’intersezione tra la retta
di domanda aggregata (Ak) e la semiretta a 45°.
57
L’equilibrio macroeconomico
keynesiano
58
L’equilibrio macroeconomico
keynesiano
• In questo modello il reddito di equilibrio è determinato dal
lato della domanda e i prezzi sono considerati, nel breve
periodo, fissi, per cui la convergenza avviene attraverso
aggiustamenti di quantità. In questo caso la produzione
offerta si adegua al livello della spesa (domanda).
• In tale situazione il reddito determinato sul lato dell’offerta
può essere inferiore a quello di piena occupazione (Yo<Y*).
Il livello di occupazione viene ad essere determinato sul
mercato dei beni e non su quello del lavoro.
• La presenza di disoccupati è “involontaria”.
• L’equilibrio di sotto-occupazione è quello al centro della
Teoria Generale e che pone maggiore enfasi al mercato dei
beni piuttosto che a quello del lavoro.
59
Implicazioni per la Politica
economica
• Le c.d. rivoluzione keynesiana introduce alcuni quesiti
fondamentali alla macroeconomia:
• 1) Come si determina il reddito di equilibrio Yo che può
essere a qualunque livello anche diverso da quello di piena
occupazione Y*
• 2) Quando e perché si determina un equilibrio di
sottoccupazione (Yo<Y*) e quindi rimangono risorse
inutilizzate posto che non esistono forze endogene di
riequilibrio;
• 3) Cosa si può fare per uscire da questa situazione e
colmare il gap di sottoccupazione (spostare verso l’alto la
retta Ak in Ak’) – ossia attuare un intervento di politica
economica
60
Implicazioni per la Politica
economica
• Una possibile soluzione prospettata da
Keynes è quella di provocare un aumento
della Domanda aggregata ΔA, ovvero
un’iniezione di spesa pubblica, tale da indurre
un incremento del reddito ΔY.
• Si tratterà comunque di un incremento ΔY> ΔA
superiore alla domanda aggregata per via del
c.d. moltiplicatore keynesiano del reddito
(generalmente superiore all’unità).
61
Implicazioni per la Politica
economica
• Esempi di politiche keynesiane sono le opere
pubbliche, interventi sulle infrastrutture e
l’edilizia, altri interventi redistributivi, ect….
• Tuttavia Keynes non è stato mai un
sostenitore della spesa pubblica (deficit
spending) “qualunque” ma solo in caso di
recessione o depressione e quindi
programmando spese pubbliche “produttive”
orientate alla crescita di lungo periodo.
62

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