RASSEGNA STAMPA CGIL FVG – lunedì 9 febbraio 2015 Indice

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RASSEGNA STAMPA CGIL FVG – lunedì 9 febbraio 2015 Indice
RASSEGNA STAMPA CGIL FVG – lunedì 9 febbraio 2015
(Gli articoli di questa rassegna, dedicata prevalentemente ad argomenti di carattere economico e sindacale, sono scaricati
dal sito internet del quotidiano. La Cgil Fvg declina ogni responsabilità per i loro contenuti)
Indice articoli
REGIONE (pag. 2)
Stipendi d'oro e tante poltrone. La Babele del trasporto pubblico (M. Veneto, dom. 8 febbraio)
Anche Belci contro Sonego: «Favorisce l’antipolitica» (M. Veneto, domenica 8 febbraio)
CRONACHE LOCALI (pag. 4)
«Coop operaie a un’unica cordata. Se Paoletti ha un nome lo faccia» (Piccolo Trieste)
Effe Erre, titolare sparito. Si dimettono i dipendenti (Piccolo Trieste)
«Montagna, il piano è un bluff» (M. Veneto Udine)
Poste, organico all’osso e ritardi. Sale la rabbia dei sindacati (M. Veneto Pordenone)
Pordenone "sprofonda" mentre i partiti litigano (Gazzettino Pordenone)
Consiglio, in aula le mozioni inutili (Gazzettino Pordenone)
REGIONE
Stipendi d'oro e tante poltrone. La Babele del trasporto pubblico (M. Veneto, dom. 8 febbraio)
di Maurizio Cescon UDINE Stipendi d’oro, doppi o tripli incarichi, nomine politiche nei cda. E’ una
vera e propria “babele” il sistema degli autobus in Regione. Quattro aziende (tre delle quali a
maggioranza pubblica, solo l’udinese Saf ha un socio privato, Arriva, che detiene il 60 per cento) con
24 amministratori e 8 dirigenti di primo livello. In compenso il costo del biglietto lievita ogni anno, i
tagli vengono fatti sul linee e chilometraggi e una famiglia, se vuole mandare il proprio figlio a scuola
con la corriera deve sborsare tra i 400 e i 500 euro l’anno di abbonamento. Il prospetto con indennità e
salari di ciascuno dei 1853 dipendente, dal direttore generale al magazziniere, passando per la miriade
di autisti, è un obbligo che le quattro aziende di Tlp (Atap di Pordenone, Apt di Gorizia, Saf di Udine e
Trieste Trasporti) hanno dovuto assolvere per poter partecipare al bando di gara europeo. Il plico, con
l’elenco del personale in forza agli attuali gestori al 31 luglio 2014, è stato recapitato alla Regione. Il
documento è stato modificato in esecuzione alla sentenza del Tribunale amministrativo regionale del
Friuli Venezia Giulia del gennaio scorso, che imponeva il dettaglio per ogni singolo addetto, mentre in
un primo prospetto le “quattro sorelle” avevano reso note solo cifre complessive. Ma tant’è, adesso i
compensi ci sono tutti, nero su bianco. Ecco qualche spunto interessante. Gli amministratori. Il
presidente di Saf Udine è Silvano Barbiero, il suo vice è Salvatore Amaduzzi, l’amministratore
delegato Gino Zottis. I quattro consiglieri e il numero due Amaduzzi percepiscono un’indennità di 25
mila euro lordi annui. Il cda, nel 2012 (ultimo dato disponibile) è costato 375 mila euro. Nella sezione
amministrazione trasparente del sito Internet di Saf non c’è traccia della retribuzione di presidente e
Ad, così come in quelli del Comune di Udine e della Provincia, enti pubblici che detengono quote
dell’azienda dei bus. «Non siamo tenuti alle regole delle società pubbliche - conferma il presidente
Barbiero -, visto che il nostro socio di maggioranza è privato. Possiamo fare un ragionamento sui
compensi, ma non oggi, mi dispiace». Spostiamoci nella Destra Tagliamento, dove Mauro Vagaggini è
il presidente di Atap e nel cda siedono quattro consiglieri, ciascuno con un’indennità di 15.600 euro
annui lordi. Il compenso di Vagaggini? Più facile risolvere un’equazione di secondo grado che definirlo
in euro sonanti. Dunque c’è una parte fissa di 32 mila euro, una seconda di 13 mila e poi una variabile
pari all’8 per mille dell’Ebidta, con un “tetto” di 18 mila euro. Insomma, per farla breve, se la società fa
utili (come accade di norma) il presidente si porta a casa circa 63 mila euro. E non è finita qui. Perchè
Vagaggini è una sorta di uomo-ovunque dei trasporti, visto che siede nel cda della Saf (25 mila euro) e
pure in quello dell’Apt goriziana (20 mila euro), e nei consigli di svariate società di trasporto del
Veneto. Un vero e proprio collezionista di poltrone. Da Pordenone all’Isontino, dove l’Apt Gorizia ha
un presidente, Paolo Polli, che incassa 56 mila euro l’anno per le sue responsabilità e un cda di quattro
membri, ciascuno dei quali guadagna 20 mila euro. Infine Trieste. Il capoluogo giuliano vanta la più
grande azienda di trasporto pubblico in assoluto, con i suoi 803 dipendenti. Il presidente, Giovanni
Longo, si accontenta di 36 mila euro, il vice Giuliana Zagabria ne prende 21 mila, l’amministratore
delegato Cosimo Paparo e i quattro consiglieri si fermano a 15 mila. I dirigenti. Lo squadrone più
imponente è quello dei dirigenti di Trieste Trasporti. Ce ne sono ben quattro e in totale costano 640
mila euro l’anno. In particolare c’è un dirigente con 35 anni di anzianità che “pesa” per 202 mila euro,
seguito da uno con soli 3 anni di servizio che viene pagato 176 mila euro, il decano con 39 anni di
anzianità che prende 146 mila euro e infine il quarto con 17 anni di servizio che si ferma a 112 mila
euro. Due super capi per la Saf di Udine: il direttore d’esercizio è in assoluto il più pagato in Regione
con 213 mila euro, il direttore amministrativo chiude con un imponibile Irpef di 117 mila euro. All’Apt
goriziana c’è un solo dirigente a tempo determinato (un pensionato) che si porta a casa però 179 mila
euro. Costi più ridotti a Pordenone, dove l’unico dirigente Atap si ferma a 128 mila euro. Gli operatori.
Fare l’autista di bus è un lavoro faticoso, dove la concentrazione deve essere sempre massima.
Stanchezza, stress, zig zag nel traffico vengono comunque compensati in modo molto simile tra le
quattro aziende regionali. Un operatore d’esercizio con 38 anni di anzianità a Gorizia prende circa 48
mila euro l’anno, più o meno le stesse cifre di Pordenone. Il decano degli autisti udinesi con 36 anni di
anzianità, guadagna 51 mila euro, quasi quanto il suo collega di Trieste che si ferma a 50 mila. I salari
di ingresso sono invece di circa 30 mila euro lordi l’anno. Appello a Serracchiani. Claudio Petovello,
della Slc-Filt Cgil, chiede l’aiuto della presidente della Regione. «Segnaliamo a Serracchiani - dice questa cosa degli stipendi altissimi e fuori mercato di dirigenti e amministratori delle aziende del
trasporto pubblico. Se può, sistemi lei questo malcostume». «Non vogliamo fare moralismi - aggiunge
Petovello -, ma si tratta di soldi pubblici, finanziati con le tasse di tutti i corregionali. Ci sembrano
compensi un po’ esagerati per i vertici di aizende che svolgono un servizio in regime di monopolio
senza rischi d’impresa. I ticket poi sono cari, le tariffe sono aumentate anche quest’anno. Basti pensare
che una famiglia, per mandare il proprio figlio a scuola con il bus, deve spendere fino a 400, 500 euro
per l’abbonamento annuo. Per non parlare del servizio, con mezzi assolutamente sofraffollati, dove i
ragazzi sono schiacchiati come sardine. Per quanto tempo ancora dovremo vedere cifre così importanti
per gli amministratori e un servizio così deficitario per gli utenti? Almeno reinvestissero gli utili
nell’azienda, ma purtroppo non succede. I soldi ci sono, ma sono spesi davvero male».
Anche Belci contro Sonego: «Favorisce l’antipolitica» (M. Veneto, domenica 8 febbraio)
UDINE «Il ricorso degli ex consiglieri regionali contro la riduzione della misura del proprio vitalizio e
la rivendicazione dell’erogazione dello stesso col contenzioso adombrato dal senatore Sonego nei
confronti della Regione, vengono motivati richiamandosi allo stesso principio: quello dei “diritti
acquisiti”. Proprio quello che è stato messo radicalmente in discussione dal governo Monti e poi da
Renzi nei confronti del mondo dei lavoratori dipendenti e dei pensionati». Lo ricorda il segretario
generale della Cgil del Friuli Venezia Giulia Franco Belci in un intervento sulla decisione
dell’esponente del Pd, già assessore regionale in trascorse legislature e oggi parlamentare, che ha
contestato le norme in materia varate dalla Regione. Pone l’accento Belci sulla difesa dei diritti
acquisiti che si vuol far valere per alcuni, ma che è stata calpestata per molti. «Gli esempi sono,
purtroppo, moltissimi - ricorda il sindacalista -. Andiamo dalla riforma Fornero, con l’ancora irrisolta
questione degli esodati, all’articolo 18, ad altri ancora che hanno cambiato, improvvisamente e
profondamente, le condizioni delle persone mandando spesso a monte progetti di vita. Non è perciò
eticamente accettabile - sostiene Belci - che le motivazioni degli ex consiglieri e di Sonego si basino su
quelle stesse argomentazioni di carattere giuridico e formale che per i cittadini comuni sono state messe
senza tanti riguardi in discussione. Prendiamo atto della reazione che si è positivamente levata
dall'interno del Pd, senza distinzione di schieramento. Credo che sia ragionevole chiedere che
altrettanto impegno venga dedicato alla condizione dei lavoratori più deboli, quelli degli appalti, che
col contratto a tutele (cosiddette) crescenti rischiano di essere licenziati ad ogni cambio di appalto e che
in questo modo vedono messo in discussione non il loro domani, ma il loro oggi. Non può sfuggire alla
politica tutta - conclude -, che il vero problema è, oggi, in Italia, quello delle diseguaglianze e che in
questo modo il solco non fa che allargarsi».
CRONACHE LOCALI
«Coop operaie a un’unica cordata. Se Paoletti ha un nome lo faccia» (Piccolo Trieste)
di Piero Rauber L’Autorità portuale, e con essa il Porto Vecchio, Ttp e le crociere. Poi i monomarca,
giusto per dirne un’altra. E adesso anche la crisi delle Coop operaie. Alla faccia dell’inflazionatissimo
“fare squadra tra le istituzioni”, torna ad allargarsi pubblicamente la forbice tra la dottrina del capo
della Trieste economica e quella del capo della Trieste politica. Al secolo il presidente della Camera di
Commercio da una parte e il sindaco dall’altra. A 24 ore dalla dirompente presa di posizione di Antonio
Paoletti che, da numero uno di Confcommercio, ha auspicato l’appalesarsi di un’unica cordata locale
interessata a comprare tutto, per evitare lo “spezzatino” e salvare in un colpo solo pure triestinità,
indotto e fiscalità regionale (scuotendo così l’inerzia di un iter di salvataggio fondato sulla messa in
vendita a mo’ di liquidazione di immobili ed asset aziendali da parte del commissario Maurizio Consoli
con l’ok del Tribunale) Roberto Cosolini “invita” infatti il primo inquilino di piazza della Borsa a
scoprire le sue carte. Se le ha. O, altrimenti, a tacere. «Magari», esordisce il sindaco al che gli si chiede
se fosse effettivamente meglio se le Coop triestine finissero nelle disponibilità di un soggetto triestino
anziché diventare proprietà di più gruppi della grande distribuzione per giunta “forestieri” (non è un
mistero che in prima fila ci siano Conad e soprattutto Coop Nordest, locomotiva del cosiddetto sistema
delle cooperative “rosse”, col placet politico del Pd ai più alti livelli regionali). Il fatto è che non ci
crede, il sindaco. «L’auspicio espresso dal presidente della Camera di Commercio che possa intervenire
una società triestina è assolutamente condivisibile - rileva Cosolini - però prima di esprimerlo
bisognerebbe avere in mano degli elementi che, allo stato attuale, non credo ci siano. Se il presidente
Paoletti li ha allora li condivida, ma mi pare che lui stesso ammetta nelle proprie dichiarazioni di non
averli, di esprimere cioè solo ed esclusivamente un auspicio, appunto, e nulla più». Gusti politici a
parte, il sindaco vede però la ricetta Paoletti «difficilmente percorribile pure da un punto di vista
squisitamente tecnico: l’amministratore giudiziale (l’avvocato ed ex assessore comunale Consoli in
questo caso, ndr) ritengo che difficilmente può mettere in vendita un’azienda cooperativa come le
Operaie nella sua completezza, come entità a sé stante, in quanto essa è se vogliamo una specie di
proprietà diffusa, nel senso che sulla carta appartiene ai soci (al di là dei 17mila prestatori in attesa di
riavere i soldi se ne contano 110mila, ndr). L’amministratore giudiziale, insomma, penso non possa
mettere in vendita una cooperativa e il suo insieme di soci. Semmai i suoi beni, come effettivamente sta
succedendo. E il suo obbligo, nell’ambito della procedura giudiziale, è “realizzare” il più possibile,
scevro da sentimentalismi». La conclusione di Cosolini, in ogni caso, torna politica. E polemica:
«Voglio immaginare che il presidente di Confcommercio, il quale è pure presidente della Camera di
Commercio e dunque dell’istituzione economica della città, se dice una cosa di questo tipo a quattro
mesi dal via della procedura giudiziaria (poco meno, il commissariamento delle Coop da parte del
Tribunale su richiesta dei pm Federico Frezza e Matteo Tripani data 17 ottobre, ndr) possa a stretto giro
riferirla nei dettagli allo stesso amministratore giudiziale. Fosse vero, in ballo ci sarebbero decine e
decine di milioni d’investimento da parte di un’impresa triestina. Fosse invece solo un auspicio, come
detto, beh... allora questo rischia di essere fonte di confusione e fibrillazione tra creditori e lavoratori. E
io, ad oggi, non ho sentito un solo operatore del settore che possa avere la forza di cimentarsi in
un’impresa del genere».
Effe Erre, titolare sparito. Si dimettono i dipendenti (Piccolo Trieste)
di Silvio Maranzana Hanno gettato la spugna anche i dipendenti della Effe Erre, una delle non poche
case di spedizioni triestine che negli ultimi anni si sono trovate con l’acqua alla gola per la crisi
economica internazionale da un lato e l’ampliarsi dell’Unione europea e il conseguente ridursi delle
pratiche doganali dall’altro. In questo caso l’antefatto che ha portato alla sostanziale “chiusura”
dell’azienda che aveva i propri uffici al Terminal intermodale di Fernetti, è ancora più amaro e
grottesco al tempo stesso dal momento che il titolare, Roberto Liprandi, è letteralmente sparito dalla
prima settimana di dicembre e non c’è stato verso nemmeno di contattarlo a distanza con alcun tipo di
comunicazione. Tre o quattro impiegati, in virtù soprattutto della propria esperienza professionale e
delle conoscenza di lingue straniere (ma forse anche dei contatti mantenuti con alcuni clienti della Effe
Erre), sono riusciti a riciclarsi in ditte concorrenti, ma una decina di loro (l’organico era di quindici
persone) non hanno avuto altrettanta fortuna e, come informa Renato Kneipp segretario provinciale di
Filt-Cgil, dopo essersi recati alla Direzione provinciale del lavoro per dare le dimissioni per giusta
causa, si sono rivolti al legale del sindacato con lo scopo di recuperare le proprie spettanze. L’ultimo
stipendio ricevuto è stato quello di novembre, poi niente a dicembre, nemmeno la tredicesima e niente a
gennaio. Le dimissioni per giusta causa permettono almeno di percepire un sussidio di disoccupazione,
ma logicamente in casi come questi è impossibile accedere agli ammortizzatori sociali: né cassa
integrazione, né mobilità. Le vie legali sono l’unico mezzo ora per poter recuperare anche la quota
spettante di Tfr, ma se il titolare non darà qualche risposta per la Effe Erre non potrà che aprirsi la
strada del fallimento. Le voci circolate nelle settimane scorse, impossibili da verificare concretamente,
parlavano di un “buco” di 4 milioni di euro soltanto per quanto riguarda l’Iva dei clienti non versata
allo Stato. Ciò sarebbe stato possibile in base al meccanismo del cosiddetto “differito doganale”, una
delle agevolazioni di cui godono i Punti franchi del porto di Trieste. In base ad essa il versamento dei
diritti di Dogana può avvenire fino a sei mesi dopo il passaggio della merce. Un’arma che può rivelarsi
a doppio taglio tanto da aver già messo in difficoltà alcuni spedizionieri triestini nel recente passato. In
questo caso, ma è un’ipotesi da verificare, il titolare della Effe Erre sarebbe sparito dopo aver incassato
i soldi ma prima di versarli a propria volta allo Stato. Da dicembre dunque l’azienda è sostanzialmente
ferma perché già da allora i conti correnti e tutte le operazioni sono state bloccate dalla Guardia di
Finanza. Non bastasse questo, Kneipp riferisce la notizia di un’altra piccola azienda che opera
nell’ambito dell’import-export e che ha messo in cassa integrazione, ottenuta in deroga, i propri quattro
dipendenti. Si tratta di una ditta messa alle corde dal conflitto tra Russia e Ucraina e dall’embargo
decretato dall’Unione europea nei confronti di Mosca. Lo stillicidio di crisi e chiusure in questo
comparto economico non sembra avere fine. Sono recenti i casi della Tergestea dichiarata fallita il 29
dicembre e della sua associata Tpn che aveva fatto la medesima fine poco prima, oltre che della
Cossutta che ha chiuso la propria attività l’estate scorsa.
«Montagna, il piano è un bluff» (M. Veneto Udine)
TOLMEZZO Riccardo Riccardi torna all’attacco della giunta Serracchiani e, questa volta, a finire nel
mirino del capogruppo di Fi è il piano per la montagna presentato venerdì. In sala a Udine, lo scorso
fine settimana, c’era anche lui che definisce gli stati generali voluti dalla presidente come uno spot
privo di contenuti. «Abbiamo assistito a una didascalia - ha detto Riccardi – che non forma un quadro
generale, ma assomiglia più a una pubblicità piuttosto che a un disegno strategico per la nostra
montagna. Un elenco di capitoli con destinazione di risorse prevalentemente già note sulle quali la
presidente Serracchiani ha concentrato il suo intervento senza sfiorare il tema centrale ed attuale del
riassetto istituzionale. In attesa di esaminare nel dettaglio i contenuti per esprimere il nostro giudizio
finale, non possiamo però, come Forza Italia, sin da ora mancare di esprimere le nostre perplessità
sull’assenza di una visione d’insieme della montagna friulana». L’attacco di Riccardi è a 360 gradi.
«Non ho ascoltato nulla sulla fiscalità di vantaggio – ha detto –: strumento fondamentale per mantenere
viva la montagna. E nulla per darne un assetto omogeneo, con poteri e risorse necessarie per renderla
autonoma invece che ancora divisa dai confini provinciali che il centrosinistra racconta di aver
cancellato. Mi sarei aspettato l’apertura di una riflessione per una Uti unica della montagna, anche con
una revisione del sistema sanitario il quale, invece, continuerà in un’organizzazione che pensa di
garantire, con gli stessi strumenti, i servizi ai cittadini dalle risorgive del Varmo alle piste del Lussari e
del Varmost». E il capogruppo azzurro rivolge, poi, una serie di domande a Serracchiani. «Che cosa
pensa – chiede – della realizzazione delle strutture di accoglienza ai richiedenti asilo di Venzone e
Tarvisio i cui sindaci hanno lanciato un allarme rimasto inascoltato? Condivide il pensiero della De
Monte la quale ci ha spiegato come l’ospitalità dei profughi non avrà alcun effetto sulla dinamica
turistica di Tarvisio? E, restando sull’argomento, che fine ha fatto il progetto Pramollo dopo aver
annunciato lo sblocco definitivo di un investimento pubblico di 70 milioni di euro ormai 20 mesi fa?
Presidente, non crede che la trasformazione a quasi cronicario dell’ospedale di Gemona mini la qualità
del servizio offerto ai cittadini?». Prime domande, a cui ne seguono altre da parte di Riccardi. «In
campagna elettorale - ha concluso – si è spesa molto garantendo un’azione politica che avrebbe
mantenuto il tribunale a Tolmezzo. É un obiettivo definitivamente mancato? Rilancimpresa introduce
un riassetto dei consorzi industriali: perché ha scelto di lasciare in vita da solo Tolmezzo mentre il
Cipaf sarà costretto ad essere colonizzato da quello udinese? E che ne facciamo dei risparmiatori di
CoopCa? Ci sono, poi, 30 forestali ai quali non sono stati rinnovati i contratti di lavoro. Come
pensiamo di poter garantire una capillare opera di manutenzione per la necessaria azione di sicurezza
del territorio montano? E della paventata chiusura degli uffici postali che ci dice?». (m.p.)
Poste, organico all’osso e ritardi. Sale la rabbia dei sindacati (M. Veneto Pordenone)
SACILE «Disservizi nella distribuzione della posta e organici all’ordine del giorno». Paolo Riccio e
Paolo Cesi segretari provinciale e regionale di Uil poste faranno l’appello in assemblea, questa mattina
alle 8, a portalettere e impiegati di Poste italiane. «Confronto aperto – i sindacalisti Uil hanno invitato
una cinquantina di dipendenti – con i centri di distribuzione di Sacile, Aviano, poi Brugnera, Prata e
succursali. Dopo l’assemblea chiederemo un incontro con il nuovo responsabile del centro
distribuzione posta di Sacile, Francesco Carbone. È subentrato alla collega Ombretta Modanutti che è
trasferita a Udine, mentre il direttore dell’ufficio liventino resta Paola Orso». Sul tavolo del confronto:
le lungaggini della consegna di lettere e pacchi, le file agli sportelli postali e difficoltà
nell’organizzazione del servizio. «Disservizi a Sacile, Fontanafredda – ha elencato Riccio – e altrove.
Riceviamo segnalazioni dall’utenza e cerchiamo di collaborare con Poste Italiane per trovare soluzioni
sostenibili». Uil-poste cronometra il disagio e lancia l’allarme. Le scadenze delle bollette e il
pagamento delle pensioni aumentano i numeri delle attese negli uffici postali liventini. Sui recapiti tanti
sacilesi si sono lamentati della tempistica. «Il postino consegna una volta alla settimana – ha esaurito la
pazienza Adriano Paoluzzi in via Trieste ex direttore delle poste –. Non è possibile pagare e ricevere
con grande ritardo giornali, lettere e anche raccomandate». La coda di 20 minuti, poi, si mette in conto
tutti i giorni, allo sportello di Poste italiane in via Cavour. Servizi più snelli al primo sportello in via dei
Cipressi, ma l’ingorgo delle bollette a scadenza aumenta la tempistica, in modo ciclico. «Manca
personale in organico – ha lamentato spesso Riccio che segue l’evoluzione del servizio –. Inoltre, la
pratica di obbligare alle ferie “d’ufficio” i dipendenti rema contro all’efficienza». Per le due sedi di
Sacile l’Associazione per il rinnovamento della sinistra aveva chiesto servizi a misura di cittadino.
Stessa richiesta di Uil poste: la segnalazione conta i disservizi postali causa sottorganico: nel 1982 i
dipendenti erano il doppio. «In via Cavour – segnala Pierantonio Pizzinato – ho atteso 90 minuti».
Chiara Benotti
Pordenone "sprofonda" mentre i partiti litigano (Gazzettino Pordenone)
Pordenone declassata sprofonda e i partiti litigano. Mentre oltre Tagliamento stanno studiando le
strategie per sferrare il colpo definitivo che potrebbe chiudere in tempi brevi anche le questioni della
sede unica di Fiera e Camera di Commercio, in città l’unica battaglia che stanno facendo le forze
politiche è quello degli slogan.
Dopo la fiammata delle categorie economiche che hanno inviato una lettera al ministro Angelino
Alfano per cercare di difendere la Prefettura che - se cancellata - potrebbe innescare un ulteriore
processo di declassamento, nessuna forza politica (esclusi gli interventi personali del senatore Pd,
Lodovico Sonego e del coordinatore regionale dell’Ncd, Isidoro Gottardo, entrambi vecchia guardia) ha
preso in mano la situazione cercando di fare quadrato. Di più. A fronte del continuo logorio del
Consorzio universitario che rischia di essere ridotto a sede in cui le uniche lezioni saranno
teletrasmesse da Udine o Trieste (la fine che ha fatto Giurisprudenza con la stessa formula
evidentemente non se la ricorda più nessuno) i partiti continuano a rimpallarsi le responsabilità
dimenticando che da quindici anni il Comune è in mano al Centrosinistra (Bolzonello - Bolzonello Pedrotti), la Provincia (salvo l’ultimo mese dopo declassamento) è stata saldamente guidata dal
centrodestra (De Anna - De Anna - Ciriani). Insomma, tutti hanno le loro responsabilità. E ora, invece
di unire le forze per evitare che Pordenone e provincia sprofondino nel baratro diventando "frazione di
Udine" come ha sintetizzato in maniera caustica, ma efficace, nel suo blog, Alessandro Ciriani, l’unica
cosa che sembra interessare è fare campagna elettorale accusando gli altri per strappare consensi. Il Pd
e il centrosinistra in generale sul territorio cercano di minimizzare visto che a Trieste c’è un governo
amico, mentre Fratelli d’Italia, Lega e centrodestra cavalcano la situazione in maniera elettorale.
Forza Italia, alle prese com’é con un crisi ancora lontana dalla soluzione, è fuori da ogni dibattito.
Difficile pensare che a queste condizioni si possa difendere Pordenone, il suo territorio e la sua gente.
Del resto proprio per questa scarsa propensione all’unità che va oltre casacca e colore di partito, oggi
Pordenone rischia grosso. C’è la necessità di drizzare la schiena, combattere insieme oltre
l’appartenenza politica, fare quadrato e se necessario "sfidare" il proprio partito perchè il territorio, la
sua gente, valgono molto di più. Il Gazzettino sarà in prima linea.
Consiglio, in aula le mozioni inutili (Gazzettino Pordenone)
Quella che andrebbe discussa subito perchè di attualità essendo legata al futuro del territorio,
argomento che in questo momento sta tenendo banco - se tutto andrà bene - potrebbe diventare oggetto
di discussione in consiglio comunale verso la fine del mandato. Visti i tempi di altre mozioni, però, non
è da escludere che possa essere ripresa dopo le prossime elezioni comunali a Pordenone. Sembra
impossibile, eppure è proprio così. Se si escludono le deliberazioni portate in aula dalla giunta che
hanno scadenze precise, per il resto i consiglieri di maggioranza e opposizione, potrebbe andarsene
subito a casa. Già, perchè le mozioni (argomenti sui quali tutti possono intervenire aprendo un dibattito
sui grandi temi della città e se approvate devono essere recepite dall’amministrazione) di fatto non sono
mai legate all’immediatezza dei fatti che la città sta vivendo. Come dire - tanto per fare un esempio che una delle prossime (è la terza nell’ordine del giorno) chiede un aggiornamento della situazione
Electrolux. No, non quella attuale, quella che si era creata nel pieno scontro tra la multinazionale e i
sindacati. La mozione del resto è stata presentata nel 2013. Frustrante (e inutile) per tutti. Ma c’è pure
di peggio. Già, perchè c’è una che chiede lumi sul sito del nuovo ospedale (quando in realtà non solo è
stato scelto da tempo, ma sono partiti pure i lavori di demolizione) e un’altra ancora parla di "Bella
ciao" cantata alla manifestazione del 25 Aprile. Attenzione, però, perchè queste due, già vecchissime,
saranno discusse come minimo tra sei mesi. E c’è pure da pagare il gettone di presenza. Questa sera,
però, potrebbe aprirsi uno spiraglio, almeno sui tempi. La prima mozione, infatti, presentata nel 2012
da Franco Dal Mas (avere letto bene, due anni e mezzo fa), chiede una modifica del regolamento
comunale in modo che l’amministrazione possa rispondere in maniera veloce (anzi, urgente) alle
interrogazioni dei consiglieri. Sarebbe un passo avanti, anche se stiamo parlando di interrogazioni (il
consigliere chiede, l’assessore risponde, il consigliere interrogante trae le conclusioni e non parla
nessun altro) e non di mozioni, che sono ovviamente più coinvolgenti. Chissà che non arrivi una
risposta positiva. Calmi. L’eventuale modifica, infatti, non sarà immediata perchè sarà necessario, se
accolta la mozione, portare il tutto in Commissione regolamento. E poi ci si chiede perchè la gente
normale non frequenta il consiglio.