Analisi della Gioconda con Colonne

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Analisi della Gioconda con Colonne
Corso di Scienze Applicate ai Beni Culturali AA 2013-2014
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Docente Dr. Peana Massimiliano
Analisi della “Gioconda con colonne”
Emanuela Masala; matricola n° 30047886; e-mail: [email protected]
RIASSUNTO
La Gioconda è sicuramente l’opera più famosa di Leonardo da Vinci nonché uno dei
capolavori più celebri al mondo. Esistono numerose riproduzioni del quadro, due
delle quali certamente riconducibili all’estro di Leonardo, la “Isleworth Mona Lisa” o
altrimenti detta “La prima Monna Lisa” , conservata presso la sede della Fondazione
Mona Lisa in Svizzera, e la versione conservata al Louvre.
Nell’anno 2012 si è venuti a conoscenza di un’ulteriore versione del dipinto,
denominato “Gioconda con colonne”, appartenente ad un collezionista privato russo,
conservata a San Pietroburgo. L’opera, vista la fattura artistica, si è ipotizzato potesse
essere riconducibile al “Grande Maestro”.
La chimica analitica, in riferimento alla funzione che svolge nell’identificazione, nella
caratterizzazione chimico-fisica e nella determinazione qualitativa e quantitativa dei
componenti di un campione, ha avuto un ruolo fondamentale nel fornire precise
risposte sull’autenticità della suddetta opera. A tal proposito, sono stati effettuati
numerosi studi diagnostico-analitici sia sulla “prima versione” sia sulla “Gioconda con
colonne”. Le analisi condotte su quest’ultima, mirano ad identificare i materiali
costituenti e la tecnica pittorica al fine di collocarla artisticamente e capire se sia
opera di Leonardo o di un suo allievo, o se sia una copia de “La Gioconda anteriore”.
INTRODUZIONE
l contributo delle analisi chimiche è determinante per conoscere la composizione di sostanze
e materiali usati in epoche passate. Queste informazioni sulle caratteristiche e sul
comportamento della materia sono importanti per collocare temporalmente le opere.
La prescrizione generale, in materia di campionamento, ovvero la scelta dei punti da cui
prelevare, frammenti da sottoporre ad analisi fisico-chimiche, è di ridurre al minimo il numero e
le dimensioni dei campioni, scegliendo le zone di prelievo più significative per gli aspetti e gli
elementi che si intendono indagare, in conformità con il principio del minimo intervento.
L’assunto su cui si basano le indagini diagnostico-analitiche conoscitive per l’attribuzione e
l’autenticazione di un’opera d’arte, è imprescindibile dall’azione di salvaguardia del prodotto
artistico, nella sua “consistenza fisica”, ovvero degli elementi che lo costituiscono e della duplice
valenza estetica e storica di cui ogni opera è portatrice.
All’interno di questa cornice teorica di riferimento si inseriscono gli studi analitico-chimicodiagnostici effettuati sulle opere che si intendono prendere qui in esame: la “Isleworth Mona
Lisa” e la “Gioconda con colonne”.
Scopo del presente articolo è quello di mettere a confronto i risultati delle indagini condotte, al
fine di identificare per i due quadri il periodo storico-artistico di appartenenza e capire se il
dipinto “Gioconda con colonne” sia da attribuire a Leonardo da Vinci o sia una copia della
“Isleworth Mona Lisa”.
I
1 La diagnostica e la chimica analitica
La diagnostica è l’insieme delle indagini conoscitive dello stato di conservazione di manufatti,
di valore storico e artistico, che precede un intervento conservativo o di restauro.
La chimica analitica è un ramo della chimica che si occupa di separare, riconoscere e
quantificare sostanze differenti che determinano i costituenti di un campione.
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1.1 Tecniche d’indagine: distruttive, non distruttive, paradistruttive.
La distinzione tra tecniche distruttive e non distruttive si riferisce all'impatto che i metodi di
analisi e gli strumenti, usati a fini diagnostici, possono avere sui manufatti.
I metodi non invasivi di analisi si riferiscono a quei sistemi conoscitivi della struttura e delle varie
componenti dell’opera d’arte che non richiedono l’introduzione di sonde o sensori all’interno del
substrato del manufatto o del reperto e non richiedono nessun tipo di campionamento.
Tali tecniche utilizzano radiazioni elettromagnetiche (raggi gamma, radiofrequenze, raggi X, il
visibile, l’infrarosso, le microonde); e tecniche radiografiche e fotografiche.
Si considerano distruttivi quei metodi diagnostici che non preservano l’integrità strutturale e
funzionale del manufatto e/o dei suoi materiali costitutivi; ovvero tutte quelle indagini che
prevedono prelievi di campioni dal manufatto e comportano perdita di materia.
Sono, invece, paradistruttivi i metodi che, pur richiedendo un prelievo di materiale, permettono
poi analisi ripetute sul campione che rimane integro e può essere usato per successive indagini,
anche di diverso tipo.
1.2 Analisi conoscitive condotte sulle opere in esame.
Le indagini diagnostico-analitiche condotte sulle opere “Gioconda con colonne” e “Isleworth
Mona Lisa” sono riconducibili a:
 caratterizzazione del supporto
 caratterizzazione del legante
 caratterizzazione della preparazione e dell'imprimitura del supporto
 caratterizzazione della tavolozza del pittore
Per ricavare tali informazioni sono state applicate:
 fotografia nel visibile a luce diffusa e radente
 microscopia
 riflettografia in luce UV
 riflettografia in luce IR
 spettrometria a raggi X
Inoltre, sono state condotte indagini analitiche attraverso:
 microscopia elettrica a scansione con microanalisi della sezione sottile (SEM)
 analisi FT-IR
 datazione al radiocarbonio del supporto
1.2.1 Fotografia in luce radente
La fotografia in luce radente si effettua illuminando l’oggetto da un lato con un angolo
d’incidenza di almeno 80° in modo da evidenziare l’andamento superficiale dell’oggetto.
La sorgente deve essere posta a sinistra o in alto rispetto all’oggetto esaminato al fine di ottenere
un’immagine la cui percezione del rilievo sia corrispondente a quella reale.
1.2.2 Riflettologia IR
La riflettologia infrarossa è una tecnica non invasiva e quindi, come già detto, molto adatta
allo studio dei beni culturali.
Uno dei risultati fondamentali è la visualizzazione del disegno sottostante lo strato pittorico ma si
è rivelata utile anche per l’individuazione qualitativa dei pigmenti.
1.2.3 Fluorescenza UV
L’osservazione di un’opera sotto la luce UV serve per rivelare e localizzare la presenza di
ridipinture e restauri e analizzare la presenza e la distribuzione sulle superfici di vernici o cera.
Il metodo consiste nell’illuminare l’opera con una sorgente di radiazione UV e registrare
(solitamente con una macchina fotografica con pellicola speciale o digitale) la radiazione emessa
come luce visibile.
1.2.4 Fluorescenza a Raggi X
La tecnica XRF permette di individuare elementi chimici con numero atomico superiore al
Silicio (+14).
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L’analisi non è invasiva e non richiede il prelievo di un campione, l’informazione che si ottiene
proviene dagli strati superficiali del campione.
1.2.5 Spettroscopia TFIR
La spettroscopia IR è molto nota nel campo dei beni culturali.
Si tratta di una tecnica di analisi nella quale sono misurate trasformazioni tra livelli energetici
vibrazionali, che richiedono energia corrispondente a radiazioni nella regione infrarossa dello
spettro elettromagnetico.
Le informazioni sono prevalentemente di tipo qualitativo mentre l’aspetto quantitativo è
scarsamente sfruttato.
1.2.6 Datazione al radiocarbonio
È certamente il metodo più usato dagli archeologi per datare un manufatto.
Il chimico americano Libby durante la seconda Guerra Mondiale è stato uno degli scienziati che
ha studiato le radiazioni cosmiche, cioè le particelle sub-atomiche che bombardano la terra
producendo neutroni ad alta energia.
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Questi neutroni reagiscono con gli atomi di azoto dell’atmosfera producendo atomi di C o
radiocarbonio, che sono instabili poiché possiedono 8 neutroni nel nucleo anziché 6 come il
carbonio ordinario.
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Questa instabilità determina il decadimento radioattivo del C ad un ritmo regolare. Il tempo di
decadimento è di 5730 anni.
I campioni temporalmente collocabili attraverso tale metodo di datazione sono di tipo organico.
1.2.7 Microscopia elettronica a scansione (SEM)
La SEM è modellata sulla microscopia ottica e fornisce informazioni simili, con una capacità di
risoluzione notevolmente più alta e con possibilità di informazioni accessorie.
Si tratta di una tecnica che trova applicazione in tutti i campi della scienza, dalla medicina
all’archeometria. Essa consente di eseguire analisi strutturali e di determinare la composizione
elementare della zona irraggiata.
Con la tecnica SEM si possono analizzare campioni di piccole dimensioni senza prelievo, fa quindi
parte dell’insieme delle tecniche distruttive e paradistruttive.
2 Studio del caso A “La Gioconda anteriore”
Figura 1. “Isleworth Mona Lisa”, Ginevra.
L’opera realizzata a olio su tela, dimensioni 64,5
x 86 cm, è attualmente conservata presso la
sede della “Fondazione Mona Lisa” in Svizzera
(Fig. 1).
Il supporto è costituito da una tela di lino che
presenta 18 fili per l'ordito (orizzontale) e 16 per
la trama (verticale), interamente realizzata a
mano, prodotto con il quale Leonardo ha avuto
esperienza prima del '500 durante il suo
apprendistato nella bottega del Verrocchio.
Il rivestimento è una tecnica comune a molti
vecchi dipinti su tela. Questo processo non solo
rafforza il supporto originale ma è anche
estremamente utile per la conservazione
complessiva dell'immagine.
Nel caso della “prima Gioconda” il
rivestimento è realizzato per mezzo di una
miscela di colla: una combinazione di pasta di
farina, gomma e trementina veneta utilizzata
come plastificante.
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Tale sistema produce una superficie leggermente irregolare, problema che si supera con il
successivo processo di rivestimento a cera calda.
Dall’esame al microscopio della pittura si evince come la tela originale sia stata leggermente
tagliata durante la fase di incollaggio al rivestimento.
Lo stesso, è costituito da un tessuto uniforme, con 14 fili per l'ordito e 14 fili per la trama,
facilmente visibile sul retro dell'opera.
Il rivestimento è attaccato alla barella con chiodi e poiché non presenta buchi precedenti si può
supporre che l'attuale intelaiatura sia stata posta quando il dipinto è stato foderato.
La barella rappresenta il telaio di legno su cui si tende la tela (Fig. 2-3).
Quella presente sul retro dell'opera non è la barella originale, ma una sostituzione avvenuta per
opera di Hugh Blaker (curatore del museo d’arte di Bath) nell’anno 1913. Durante il
riallineamento, gli angoli della tela del rivestimento sono stati tagliati per farli combaciare con la
tela originale, i bordi sono stati incollati sulla barella e poi tagliati su di essa. Il rivestimento è
stato fissato in base alle dimensioni effettive del quadro.
Figura 2. Particolare della tela
Figura 3. Dettaglio della barella
Come già detto, la tela originale della
“prima Mona Lisa” è stata rivestita con una
molto più tarda fatta a macchina e non ci
sono pieghe della tela originale ai lati della
barella. Nonostante ciò si è riusciti a
prelevare un campione accettabile di circa
30-50mg della tela originale per sottoporlo
alla datazione mediante radiocarbonio (Fig.
4). Il test ha indicato con una probabilità del
95,4% una data entro il 1555, compatibile
con l'esecuzione del dipinto all'inizio del XVI
secolo. Anche se le prime due datazioni
erano compatibili con l'esecuzione dell'opera
nel 1500, è stato eseguito un terzo test per
Figura 4. Datazione al radiocarbonio
chiarire alcuni dubbi dovuti alla presenza
d’impurità nel campione. Quest’ultimo test, condotto dal professor Synal dell'Istituto Politecnico
Federale di Zurigo, ha rilevato una finestra di datazione tra il 1492 e il 1652, confermando quindi
le ipotesi precedenti.
Lo strato preparatorio del dipinto è composto di una combinazione di ocra rosso-marrone e
calcite, con alcuni grani di quarzo; il livello successivo è grigio, con una leggera tonalità porpora
ed è composto di carbonato di calcio, piombo nero e bianco osso, entrambi compatibili e
riscontrabili in altri importanti dipinti di Leonardo.
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Sono stati eseguiti sull'opera due importanti studi al
fine di identificare la gamma completa dei pigmenti
utilizzati.
La prima analisi fu eseguita nel 1977 dal Dr. Hermann
Kuhn, la cui indagine ha interessato prevalentemente lo
strato superficiale dell’opera, ad eccezione della prima
sonda che ha indagato l’intera stratigrafia; il secondo
esame compiuto dal Dr. Maurizio Seracini nel 2005, è
invece basato su uno studio più approfondito della
stratigrafia pittorica (Fig. 5).
Le due serie di esami sono compatibili tra loro, poiché in
entrambe si riscontra la presenza di pigmenti quali bianco
piombo, azzurrite, blu rame, vermiglio e terra d’ombra.
Colori certamente conosciuti e utilizzati già nel XVI secolo,
come da risultato dei test realizzati su un campione di
Figura 5. Sonde per lo studio dei
bianco piombo, utile a indicare se l'opera sia da
pigmenti
considerarsi pre- o post- 1750, data dopo la quale cambia
(giallo=1977 – bianco=2005)
la sua composizione.
La gamma di colori osservati è comparabile con quella
utilizzata da Leonardo nella “Mona Lisa del Louvre”.
Date tutte le indagini condotte sul dipinto, gli storici dell’arte, sono concordi sull’attribuzione
del dipinto all’azione creativa di Leonardo da Vinci.
3 Caso B “La Gioconda con colonne”
L’opera realizzata a olio su tela, dimensioni 85,2
x 63,2 cm, appartiene a un collezionista privato ed è
custodita presso il museo di San Pietroburgo.
Il supporto del dipinto è realizzato in fibra di lino
ed ha una densità mediamente elevata adeguata al
formato del dipinto. La trama veniva scelta dagli
artisti in funzione del formato dell'opera: più serrata
per i piccoli formati, più rada e più robusta per i
grandi teli.
Il tessuto presenta ondulazioni dei fili in prossimità
dei lati lunghi, deformazioni conseguenti al
tensionamento del dipinto sul telaio.
La tela risulta infragilita e consumata in seguito ai
processi conservativi eseguiti, e presenta problemi
imputabili sopratutto ai prodotti usati per la
foderatura.
La tela sulla quale si trova il dipinto è priva dei bordi
originali, infatti, lungo i margini non si rilevano fori
di chiodi del primo tensionamento dell'opera sul
Figura 6. “Gioconda con colonne”,
telaio originale (Fig. 7).
San Pietroburgo
La pratica di tagliare ed esportare i bordi sfrangiati o
danneggiati dai chiodi, quando il dipinto era sottoposto a foderatura, è un procedimento utile a
preservare l’opera ma pone un limite all’analisi conoscitiva dello studioso, che è quello di
impedire la determinazione delle misure originali del quadro.
Si ritiene che la foderatura sia stata eseguita a cera. Il colore del tessuto in origine era chiaro
ma si presenta di colore bruno in seguito al trattamento.
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La barella presenta una traversa orizzontale collocata al centro dei due regoli verticali (Fig. 8).
La suddetta struttura è in buone condizioni e in base alle caratteristiche costruttive, la sua
fabbricazione può essere collocata a cavallo tra il tardo ‘800 e i primi del ‘900.
Figura 7. Particolare della tela
Figura 8. Dettaglio della barella
Lo strato preparatorio dell'opera risulta sottile e di colore tendente al bruno-rosso; il suo
limitato spessore fa si che sul dipinto sia visibile la trama della tela. Il dipinto è coperto da più
strati di vernici resinose o di altra matrice, come colla o albume d'uovo con funzione di vernice
finale.
Le diverse tecniche utilizzate hanno riscontrato sul quadro una serie di prove di pulitura,
ricoperte in seguito con abbondanti vernici e velature in nero e bruno che hanno interessato la
parte bassa, la parte destra e piccole zone lungo il perimetro in alto; in tutto circa ¼ della
superficie del dipinto.
Le indagini analitiche svolte su questa tela hanno evidenziato una colorazione giallo-bruna per
l'imprimitura. La quale è costituita da oli siccativi, da una componente bianca a base di carbonato
di calcio e da una componente bruna a base di allumo-silicati idrati di ferro e nero carbone.
Le osservazioni svolte sulla caratterizzazione dei pigmenti (Fig. 9)hanno rilevato la presenza di
ferro, piombo, tracce di manganese e una limitata quantità di rame.
Figura 9. Punti presi in esame attraverso la
spettroscopia a raggi X
Sulla base degli studi compiuti sull’opera, da
esperti di varie discipline, si può riassumere
quanto segue:
 in riferimento al supporto tessile del
quadro, le informazioni ricavate, portano a
dedurre, che le misure e la tessitura della tela non
corrispondano agli standard in uso nel periodo di
vita e di attività di Leonardo da Vinci. Infatti, la
pratica di utilizzare tele che presentano una
tessitura grossolana e irregolare ha inizio nella
prima metà del ‘600;
 la presenza di carbonato di calcio nello
strato preparatorio, è da escludere prima del
1520/1530 poiché prima di tale data, era
consuetudine trattare la tela con componenti di
bianco a base di piombo;
 inoltre, fonti storiche, pongono alla
pratica d’imprimitura colorata, come termine post
quem la prima metà del ‘500.
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A conclusione di tali evidenze si può affermare con
un elevato grado di attendibilità che la realizzazione
del dipinto “Gioconda con colonne” non sia
attribuibile alla mano di Leonardo da Vinci.
Ulteriori conferme, che avvalorano la suddetta tesi,
provengono dalla datazione del supporto tessile
attraverso l’esame al radiocarbonio (Fig. 10), il quale
ha rilevato una finestra temporale di esecuzione
dell’opera tra il 1520 e il 1660.
Figura 10. Datazione al radiocarbonio
Isleworth Mona Lisa
Gioconda con colonne
Formato
64,5 x 86
85,2 x 63,2
Supporto
Tela di lino tessuta a mano con
trama stretta e irregolare, foderata
e chiodata sulla barella
Tela in fibra di lino con trama larga
e irregolare, foderata e chiodata
sulla barella
Pigmenti
Pigmenti caratterizzanti: bianco
piombo, azzurrite, blu rame,
vermiglio, terra d’ombra
Pigmenti caratterizzati dalla
presenza di: ferro, piombo,
manganese e rame
Colori
Colori chiari e luminosi
Colori scuri e opachi
Composizione
Mezzobusto femminile posto al
centro della composizione
fiancheggiata da colonne
Mezzobusto femminile posto al
centro della composizione
fiancheggiata da colonne
Figura
Soggetto posto di ¾ con il volto
rivolto verso l’osservatore,
presenta il tipico grafismo di
Leonardo, mostra una giovane età,
mani giunte sovrapposte
Soggetto posto di ¾ con il volto
rivolto verso l’osservatore, privo
del tratto tipico di Leonardo,
appare più matura, mani giunte
sovrapposte
Sfondo
Paesaggio definito caratterizzato
dalla grossezza del colore tipica
della tecnica leonardesca
Paesaggio modesto e brumoso
caratterizzato da pennellate poco
corpose
Tabella 1. Principali elementi di confronto tra “Isleworth Mona Lisa “ e la “Gioconda con colonne”.
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CONCLUSIONI
A seguito delle analisi diagnostico-analitiche compiute sulle due opere, si può affermare che
la realizzazione della “Gioconda con colonne” non sia attribuibile a Leonardo da Vinci. Ipotesi
confermata dai risultati ottenuti con le indagini al radiocarbonio che hanno riguardato lo studio
del supporto dell’opera, riconducendolo a una datazione posteriore rispetto al periodo di vita e
lavoro di Leonardo.
I due dipinti mostrano evidenti discordanze individuabili nelle caratteristiche di realizzazione
del supporto, nella resa dei colori, nella conformazione del paesaggio, nell’età del soggetto e
nella tecnica pittorica (Tab. 1).
Nonostante ciò, gli studi condotti sul confronto di questi due dipinti, inducono gli storici, date
le somiglianze riscontrate, invece, nel carattere compositivo dell’opera, a sostenere che il quadro
“Gioconda con colonne” sia una copia della versione della “Isleworth Mona Lisa”.
RIFERIMENTI
[1] AA.VV., Chimica per l’arte, Editore Zanichelli, 2007
[2] Renfrew C., Bahn P., Archeologia: teoria, metodi, pratica, Editore Zanichelli, 2006
[3] Opificio delle Pietre Dure. Ripresa in luce radente; http://www.opificiodellepietredure.it
[4] Art-Test. Arte e Diagnostica Indagini Diagnostiche per i Beni Cuturali: Le indagini in
riflettografia infrarossa; Fluorescenza ultravioletta; http://www.art-test.eu
[5] Mona Lisa Fundation. History of the earlier version; Could the materials of the Earlier
Version have been used by Leonardo?; http://www.monalisa.org
[6] S. Lorusso, C. Matteucci, A. Natali, S. A. Apicella, F. Fiorillo. Studio diagnostico-analitico sul
dipinto “Gioconda con colonne”; http://conservation-science.unibo.it
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