Il caso Willy - Revue Recto/Verso

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Il caso Willy - Revue Recto/Verso
Revue Recto/Verso
N° 3 – Juin 2008
© Massimo SCOTTI
Il caso Willy/Colette/Claudine
Identità d’autore, gender e filologia
par Massimo Scotti
Identità biografiche
C’è un marito barbuto, che si dà arie da homme de lettres, ma in realtà è un semplice
maneggione dell’editoria ; c’è una giovane sposa venuta dalla provincia, che si annoia in casa,
con gli occhi da gatta che diventano di giorno in giorno più tristi. E c’è un piccolo libro di
memorie, scritto dalla ragazza per ordine del marito, che lo ha letto e disapprovato. Siamo alla
fine del XIX secolo, che si chiuderà fra poco, fra balli e libagioni di champagne, nella Parigi
mondana e cosmopolita che di quel secolo è la capitale indiscussa, e i quaderni giacciono in
un cassetto. A corto di idee letterarie, il marito barbuto – che di idee ne ha sempre mille ma
non sa realizzarle, se non affidandosi ai nègres delle sue “redazioni” – ritrova per caso il
diario della moglie, e si dà dell’imbecille. Ha fra le mani un potenziale successo, basta
rimaneggiarlo e pubblicarlo, aspettando lo scandalo. Così nasce, insieme al secolo nuovo, il
ciclo delle Claudine. Il primo volume esce proprio nel 1900, per i tipi di Ollendorff, si intitola
Claudine à l’école, ed è firmato dal marito barbuto, Henry Gauthier-Villars, in arte Willy
(seguiranno tre titoli, nei succesivi tre anni, e vari adattamenti teatrali).
Questa la vulgata biobibliografica ; la realtà è più sfumata, e la verità cambia i dettagli.
Dall’agone letterario senz’altro sparirà Willy e rimarrà Sidonie-Gabrielle Colette, la moglie
schiva e giovane, venuta dalla provincia, che ha sacrificato la lunga treccia, avvolta intorno a
lei come un serpente1, sull’altare di un matrimonio infelice. Ma la figura del faccendiere
Willy appare più complessa di quanto si potrebbe immaginare : è la scrittrice stessa a
riconoscergli un talento superiore a quanto la sua opera abbia saputo dimostrare, un talento
superiore a quello di ciascuno dei suoi nègres, se solo si fosse deciso a scrivere ; in realtà
svolgeva soprattutto le funzioni di coordinatore per una schiera di laboriosissimi “aiutanti”.
Frequentava, di certo, i salotti più ricercati ; da melomane e da critico musicale aveva fra i
suoi consulenti artistici personaggi di prim’ordine, fra cui Vincent d’Indy e Claude Debussy ;
conobbe le migliori menti della sua epoca – eppure, la maggior parte dei suoi volumi ebbe
vita così effimera da non comparire più nei cataloghi della Bibliothèque nationale de France.
D’altra parte, se la vita della giovane Colette sembrava ridursi, in quei primi anni di
matrimonio, all’attesa del ritorno a casa del marito, si sa invece che frequentasse le redazioni
giornalistiche e correggesse gli articoli di Willy, ascoltando furtivamente conversazioni
letterarie, come afferma il critico Charles Maurras2. Come Sidonie-Gabrielle non era una
semplice ragazzotta provinciale, così Henry non era soltanto un coniugale mostro. La
prevaricazione, il vampirismo intellettuale, la tirannia fondata sulla differenza di sesso
facevano parte della mentalità dell’epoca quanto gli impulsi libertari, la sete di indipendenza,
la forza nella volontà di rivincita che Colette avrebbe dimostrato ben presto con la sua storia
personale. Nelle sue più aspre ricostruzioni degli anni di matrimonio, la scrittrice non
dimentica mai il suo debito verso Willy, nemmeno nell’espressione dell’acredine. Lui fu in
qualche perverso modo il suo pigmalione, e senza il suo aiuto per Colette sarebbe stato
senz’altro difficile pubblicare ; fu il suo mentore torturatore, che la obbligava a scrivere e poi
1
La testimonianza è dell’amica Marguerite Moreno, ed è tratta dal volume Colette, di Claude Chauvière, Paris,
Firmin-Dodot, 1931, p. 55.
2
Ch. Maurras, Quand les Français ne s’aiment pas, Paris, Nouvelle Librairie Nationale, 1916, p. 167.
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firmava a suo nome i testi realizzati ; fu l’uomo che le insegnò a essere una donna tradita. La
scoperta delle relazioni extraconiugali del marito provocò una lunga e misteriosa malattia,
dalle evidenti connotazioni psicosomatiche, da cui uscì una Colette stremata, ma anche una
futura scrittrice : come dice Proust, bisognerebbe ringraziare chi provoca la reazione dell’arte
al dolore, colpendo profondamente la sensibilità del potenziale autore, ma non per questo si
può assolvere Willy dalle sue colpe. La figura dell’intrigante marito è tanto controversa
quanto fondamentale nell’evoluzione della donna Colette, dell’autrice Colette, e, come
vedremo, della “irregolare” Colette.
Identità autoriali
1895. Ancora convalescente, la giovane sposa viene invitata dal marito a scrivere i
suoi ricordi della vita in campagna, trascorsa nel paese borgognone di Saint-Sauveur-enPuisaye. Lei, obbediente, compra una pila di quaderni rigati di grigio, con la linea del margine
rossa, e si mette a scrivere, ordinata e indifferente, come se si trattasse di compiti scolastici.
Willy scorre i quaderni svogliatamente, e li mette da parte. Saranno ritrovati per caso, durante
un riordino, anni dopo, e con sorpresa : si troverà un editore, e amici recensori compiacenti,
ma non proni – i migliori critici loderanno Claudine à l’école (Rachilde sul « Mercure de
France », Gaston Deschamps su « Le Temps », Pierre Brisson su « Les Annales », Charles
Maurras sulla « Revue Encyclopédique »). L’autrice sarà soddisfatta, soprattutto perché potrà
pagare i conti del calzolaio. Soddisfatta ma stupita per la copertina, disegnata da Emilio Della
Sudda, che raffigura una ragazzetta con gli zoccoli, e non la rappresenta affatto. Stupita ancor
di più per il successo che arride ai suoi ricordi di scolara, accuratamente pepati da Willy.
Suscitano curiosità morbose, spingono folle di scolarette a spedire le loro fotografie al
presunto autore, creano la moda dell’adolescente torbida cinquant’anni prima di Lolita.
Couverture de la première édition de Claudine à l’école
Je m’appelle Claudine, j’habite Montigny ; j’y suis née en 1884 ; probablement je n’y mourrai
pas.
Così, con voce querula e stentorea, l’eroina si presenta al mondo, nella pagina
inaugurale della saga, veloce come una ragazza che corre e argutamente sincera (almeno nella
resa letteraria).
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Quanto innocente era il testo originario di Colette ? Quanto fu trasformato, ridotto o
arricchito da Willy ? Come si sviluppò in seguito la serie delle quattro Claudine ?
Probabilmente non lo sapremo mai. Gli autografi originali dei primi due romanzi sono perduti
(rimango quaderni manoscritti di altri episodi del ciclo, e lo vedremo fra poco). Si può
comunque almeno impostare la questione, tenendo conto anzitutto che esistono tre serie di
redazioni differenti. La prima è costituita dalla versione dei quaderni, vergati dalla giovane
Sidonie-Gabrielle, Mme Gauthier-Villars, non ancora nota con il semi-pseudonimo che la
renderà famosa ; la seconda è quella che viene rielaborata per la stampa, firmata solo da
Willy ; la terza, riveduta e corretta dall’autrice, fa parte delle Œuvres complètes che vedranno
la luce per le edizioni Le Fleuron, fra il 1948 e il 1950, quando ormai la celebrità di Colette
sarà affermata ; questo è il corpus che dovremo prendere in considerazione, in mancanza di
altri testimoni testuali e soprattutto dell’autografo scomparso.
Sulle circostanze della composizione, la voce più autorevole appartiene all’autrice,
elusiva ed eloquente insieme, che rievoca la genesi delle Claudine in Mes apprentissages
(pubblicati nel 1935, quindi più di tre decenni dopo la scrittura dei primi romanzi). Tale
saggio autobiografico rivela anche il procedimento attuato nella “fabbrica scrittoria” del
marito : Willy formula un’idea, che viene passata a un collaboratore perché la sviluppi ; il
lavoro, esaminato da lui stesso, si arricchisce di particolari piccanti, allusioni alla vita
mondana dell’epoca e calembours (Willy era maestro in giochi di parole complicati,
lambiccati e grevemente eruditi). Quindi, il manoscritto può girare fra altri collaboratori, che
aggiungono a loro volta dettagli e idee, per ritornare poi al caposquadra che lo sistema
definitivamente per la stampa ; non possiamo sapere quindi se le Claudine furono composte
dai soli Willy e Colette, oppure se inclusero altri interventi ; in ogni caso, sempre in Mes
apprentissages, è ricordato un episodio di grande importanza, perché ne è protagonista un
letterato famoso, Catulle Mendès. Anche in questo caso non si può stabilire se, a trentacinque
anni di distanza, l’autrice sia stata del tutto veritiera o se abbia voluto nobilitare la propria
storia personale (e la propria figura letteraria, allora oscura) con l’apprezzamento di un nome
illustre ; fatto sta che Mendès avrebbe riconosciuto in lei, secondo la sua testimonianza,
l’autentica creatrice di Claudine, mettendola anche in guardia : venti o trent’anni dopo, il
mondo era destinato a sapere, condannando però l’autrice a rimanere per sempre schiava della
tipicità da lei stessa individuata. Il ricordo riaffiora, per Colette, vedendo nella vetrina di un
camiciaio linee di colletti Claudine à l’école, Claudine à Paris e Claudine s’en va, adatti,
questi ultimi, a eventuali fughe.
Di sicuro il pubblico dei lettori confonde l’eroina e la sua creatrice, anche a causa
dell’abile strategia del regista Willy, che fa vestire la moglie – già ventisettenne – da
collegiale, e le affianca un doppio, l’attricetta Polaire, lasciando intendere che le avventure
saffiche narrate nei libri di Claudine sono ispirate alla realtà. Nel frattempo, infatti, sono
usciti più volumi della saga, al ritmo di uno l’anno. Gemelle e monelle, Colette e Polaire,
vestite entrambe à la Claudine, sono il miglior manifesto pubblicitario vivente per la serie dei
volumi, e per i suoi aspetti più pruriginosi.
Identità di gender
Dobbiamo con rammarico lasciare da parte gli aneddoti biografici che formano la
leggenda Colette/Claudine, per concentrare l’attenzione sulla riscrittura dei testi, che avviene
in previsione delle Œuvres complètes, pubblicate a metà del Novecento dall’editore Le
Fleuron. Sarebbe l’occasione, per la scrittrice ormai affermata e ormai libera (molti anni
prima, nel 1906, ha divorziato da Willy, ed è al terzo matrimonio), di rivoluzionare
completamente la stesura dei quattro romanzi, Claudine à l’école, Claudine à Paris, Claudine
en ménage, Claudine s’en va. In realtà, dobbiamo dirlo subito, si tratta di una revisione
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misteriosamente timida, o pigra. Colette lo considera un lavoro idiota, come racconta a
Marguerite Moreno in una delle sue ultime lettere3. Ma chiede poi, incredula e ammirata, a
Maurice Goudeket, il terzo marito che è anche il suo editore : “Ho davvero scritto tutto
questo ?”4. Il senso del tempo e della maturità, la considerazione stessa della propria
vecchiaia, rendono questo lavoro di parziale riscrittura insieme un peso, un onore, una prova
di forza, un’ardua fatica. Colette è malata e da tempo costretta all’immobilità. Il confronto
con l’opera compiuta assume dimensioni composite, fatte di emozioni, nostalgie, rimpianti,
ma anche retaggi di autocoscienza ; l’autrice non ha più niente da dimostrare al mondo, la sua
levatura è concordemente accertata, basta qualche ritocco agli scritti per comporre un
monumento alla sua scrittura (che verrà apprezzata in seguito ancor di più, proprio grazie a
questa poderosa edizione in quindici volumi).
Colette sceglie dunque di non riscrivere, ma di apportare soltanto un lieve maquillage
ai propri testi – l’esperienza della maison de beauté, che ha diretto anni prima, le ha insegnato
la leggerezza del tocco estetico nella valorizzazione di un viso, leggerezza sapiente che ha
sempre perseguito nella composizione dei suoi scritti ; le correzioni, stricto sensu, almeno alle
Claudine, sono quindi pochissime. Ma si può individuare con precisione la volontà che
sottende la strategia ricostruttiva : se non cancellare in modo totale e definitivo le tracce degli
interventi imposti da Willy, almeno eliminarne gli influssi più ingombranti. Colette
comprende che le sue prime opere sono ineluttabilmente bifronti ; la presenza del padronepigmalione è inamovibile dal tessuto testuale e dalla struttura dei romanzi, occorrerebbe una
completa rifondazione del corpus narrativo per sbarazzarsene. Ammette implicitamente che i
consigli, le sollecitazioni, gli ordini di Willy hanno contribuito alla realizzazione dell’opera :
lei ne è la vera creatrice, ma probabilmente non sarebbe riuscita a concluderla senza quelle
costrizioni. Invece di esorcizzare l’ombra del marito, toglie almeno, si potrebbe dire, il fango
dalle sue orme, ne spunta le armi più meschine.
Nel percorso redazionale del ciclo delle Claudine, due sono stati gli apporti più
evidenti di Willy : il gusto per i calembours, di solito a sfondo mondano e melomaniaco
(Henry Gauthier-Villars era un esperto conoscitore di pettegolezzi parigini, quanto di opera
lirica), e le velenose allusioni all’omosessualità, e soprattutto all’effeminatezza, di cui il
celebrato donnaiolo si compiaceva. Nel lavoro di revisione, che Colette compie da sola, più di
quarant’anni dopo, proprio questi dettagli sono quelli più drasticamente eliminati. Notare
questo fatto equivale a comprendere quale sia l’intento, non solo inconscio ma molto
consapevole, della scrittrice : affermare la propria identità autoriale mediante l’espunzione dei
segni stilistici più goffi e manierati, evidenti interpolazioni di Willy, e dimostrare una ormai
acquisita comprensione dei rapporti umani e delle infinite sfumature nella sessualità propria a
uomini e donne di cui ha conosciuto, negli anni, complessità e mutevolezza.
La questione del gender in letteratura è delicata quanto ormai molto approfondita ; se
si verificano cadute interpretative e sono state formulate analisi di dubbio gusto o di
involontario umorismo, ciò accade perché l’argomento è facilmente manipolabile e
fraintendibile. Si tenterà quindi un parziale avvicinamento alla definizione del problema, dal
punto di vista marginale (per l’argomento) della filologia, che tanto nei gender come nei
cultural studies è purtroppo negletta. Questo saggio potrebbe dunque indicare uno spazio di
attenzione necessario e fertile, perché proprio da un’analisi delle varianti a stampa, per quanto
limitata, può scaturire una sequenza di deduzioni in grado di illuminare la personalità di
Colette attraverso il personaggio di Claudine, e l’identità concreta dell’autrice attraverso il
suo lavoro di riscrittura (derivato, a sua volta, da un’acquisizione di verità rispetto alla
propria, peculiare fisionomia di gender).
3
4
Colette, Lettres à Marguerite Moreno, Paris, Flammarion, 1959, p. 399.
Cf. la biografia di Herbert Lottman, Colette, Paris, Fayard, p. 328.
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La donna che ha scritto di amori saffici ancor prima di averli vissuti, dello scambio di
ruoli all’interno della coppia prima ancora di averlo praticato, e che in seguito ha avuto
amanti di ogni sorta (vecchi e giovani, virili e androgini, maschi e femmine, butch e femmes),
ha danzato nuda sulle scene del music-hall, ha sedotto figliastri adolescenti e conosciuto i
geni più ambigui del suo tempo (Proust, Cocteau), ha descritto con ogni cura corpi fiorenti e
appassiti, sensi brucianti e passioni incenerite, non può tollerare che rimangano fra le sue
pagine battute grassocce sulla “inversione” sessuale, perché sa che ben poco si può
“invertire”, nelle inclinazioni erotiche, rispetto a una norma che si rivela inesistente. Molto si
può invece differenziare e modificare imprevedibilmente, come dimostra il mondo vivido e
proteiforme che ha conosciuto, e in cui si seguivano gli istinti più eccentrici senza nominare
mai la banale “trasgressione”.
Verità filologiche
Come sempre, gli esempi, anche se pochi, possono dare un’idea della questione. La
prima Claudine risulta più o meno invariata dall’edizione originale (1900) alla revisione
autoriale del 1948, tranne che per alcuni dettagli davvero trascurabili. Le avventure
scolastiche della protagonista vengono mantenute intatte, solo qualche nome è lievemente
trasformato, per eludere la riconoscibilità immediata : molte persone del paese natale di
Colette si risentirono, infatti, per esser state vilipese o ridicolizzate nei romanzi, qualche
carriera fu stroncata, qualche ipocrita mascherato. Ma quasi mezzo secolo dopo era inutile
cambiare pseudonimi troppo trasparenti, Colette se ne rende conto e agisce solo per scrupolo
tardivo. Elimina invece, decisamente, la sorniona e melensa prefazione di Willy, che dice di
aver trovato un diario adolescenziale e di averlo personalmente purgato, parodizzando il topos
del manoscritto ritrovato. Tutti sapevano la verità : era stato proprio lui a pretendere, o
inserire di suo pugno, episodi pruriginosi.
Couverture de la première édition de Claudine à Paris
Le correzioni si fanno invece più frequenti in Claudine à Paris, dove compare un
personaggio colto, mondano e loscamente paterno, Maugis, amante della lirica e conoscitore
del mondo, dietro la figura del quale non è difficile intuire Willy. Specialmente le sue battute
verranno eliminate nella riedizione per Le Fleuron. Proprio a Maugis viene chiesto di erudire
la giovinetta sul bel mondo parigino :
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– Vous qui êtes un spécialiste, Maugis, désignez un peu à Claudine quelques échantillons
notoires…
– …du Tout Paris (prononcez ‘Tout Pourri’)5.
La parentesi, che contiene un calembour di dubbio gusto, tipico di Willy, nell’edizione
Le Fleuron è eliminata. Nella stessa pagina, Maugis si profonde in una digressione
musicologica, drasticamente ridotta nella revisione :
– Ah ! Le Scudo de La Revue des Deux Mondes aurait dû le tourner sept fois dans sa bouche
avant de proférer tels blasphèmes antiwagnériens… mais il lui sera beaucoup pardonné parce
qu’il a beaucoup aimé Parsifal, et loué, presque autant que La Dame Blanche, la divine
mélodie de la consécration qui, murmurée par des bouches invisibles, passe sur le cénacle noyé
d’ombre comme un frisson de tendresse et de mélancolie…
(Ça y est ! Le voilà piqué de la tarentule mystique ! Heureusement l’accès dure peu.)
– Autre critique : ce petit pas beau…6
Nell’edizione Le Fleuron, resta soltanto :
– Ah ! Le Scudo de La Revue des Deux Mondes aurait dû la tourner sept fois dans sa bouche
avant de proférer tels blasphèmes antiwagnériens… mais il lui sera beaucoup pardonné parce
qu’il a beaucoup aimé Parsifal. Autre critique : ce petit pas beau…
Come si vede, Colette ha cancellato la seconda parte dello sproloquio di Maugis, e la
parentesi con il commento di Claudine, che ne sottolineava il tono enfatico. Non si poteva
eliminare di più, perché il personaggio di Maugis è caratterizzato, nel romanzo, proprio da
queste sue frequenti accensioni critiche, da allusioni liriche, da idolatrie wagneriste. Nel
quadro complessivo del ciclo dedicato a Claudine, comunque, le parti sacrificate sono sempre
più spesso quelle in cui Maugis prende la parola, fa le sue battute o scrive lunghe lettere ;
l’antipatia per il personaggio e per il suo melomaniaco birignao si rende intuibile
progressivamente, fino a mostrare i segni, da parte dell’autrice, di una vera e propria
irritazione.
Un ultimo esempio, prima di passare alla seconda tipologia di correzioni. L’elenco di
comparse parigine, nel catalogo illustrato da Maugis, comprende : ce couple vomitif (un pion
à pellicules et une snobinette d’hystérie wagnérienne) que le Pompier de service, rosse
enivrante, dénomma l’autre jour “Trissotin et Iseult”7. Queste righe, in cui si concentrano
wagnerisimi, maldestri giochi di parole, inutili veleni e goffo gergo mondano, vengono
espunte dall’edizione Le Fleuron. Ridimensionando la presenza e l’ingombro testuale di
Maugis, Colette respinge e rifiuta ciò che la infastidisce di più nel ricordo del suo primo
marito : la proterva signoria sulla sua vita, il dispotismo del manipolatore che si vantava di
conoscere il mondo e l’arte, trattandola pubblicamente come un prezioso accessorio della sua
5
La citazione è tratta dalle Œuvres di Colette, a cura di Claude Pichois, Paris, Gallimard, coll. “Bibliothèque de
la Pléiade”, 1984, t. 1, p. 290 (Claudine à Paris). Tale edizione riproduce il testo pubblicato da Ollendorff nel
1902. Si confronti la versione pubblicata per i tipi di Le Fleuron (Paris, 1948) e la traduzione italiana a cura di
Maria Teresa Giaveri (Colette, Romanzi e racconti, Milano, Mondadori, coll. “I Meridiani”, 2000). In vista della
pubblicazione di tale volume, mi era stato affidato l’incarico di confrontare i testi pubblicati da Gallimard, nella
collezione della “Pléiade”, con quelli stampati per i tipi di Le Fleuron, in modo da notare eventuali modifiche.
Avevo quindi segnalato le differenze, riflettendo poi sulle motivazioni e i risultati del lavoro di revisione svolto
da Colette. L’idea per il presente studio nasceva proprio da tale collazione filologica, e devo ringraziare Maria
Teresa Giaveri per avermi dato l’opportunità di studiare i testi in modo così approfondito, quanto a Erica
Durante per avermi suggerito di pubblicare i risultati delle mie osservazioni (di cui questo articolo costituisce un
sunto).
6
Colette, Œuvres, t. I, op. cit., p. 290.
7
Ibid, p. 291.
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leggenda di seduttore instancabile e di intellettuale viveur ; ma c’è un altro dettaglio che, con
ancora più forza, Colette intende cancellare.
Mentalmente borghese, tipico rappresentante della sua classe nella sua epoca, Willy è
un fallocrate convinto, e ama prendersi gioco di ogni tipo d’ambiguità. Se accetta, e in
qualche modo favorisce, i legami saffici della moglie, è solo perché questi possono alimentare
la propria fama di spregiudicatezza e arricchire le proprie fantasie erotiche ; dimostra peraltro
un autentico umorismo in alcune occasioni : quando Colette diventa l’amante di Missy,
marchesa di Belbeuf, Willy si diverte a viaggiare negli scompartimenti riservati alle signore,
replicando ai controllori che gli chiedono spiegazioni : “Sono la marchesa di Belbeuf”8.
Meno spiritose e più stucchevoli sono alcune battute che inserisce forzatamente fra le
pagine della moglie, e in particolare quelle dedicate alla figura di Marcel, petit neveu di
Claudine in quanto figlio di Renaud, l’Oncle o cousin-oncle per il complicato intreccio di
parentele che la ragazza, giunta a Parigi, scopre nella sua famiglia (e che lei stessa contribuirà
a ingarbugliare, sposando, alla fine del romanzo, Renaud). La leziosa figura di Marcel è
modellata sui tratti di un personaggio reale, il “segretario” di Willy Xavier-Marcel Boulestin.
Questi fu oggetto di un amore frustrato da parte di Colette, secondo quanto ammette l’autrice
stessa, in cerca di un sentimento più delicato e romantico – e soprattutto più giovanile –
all’interno del rapporto con il ruvido e maturo Willy. È lei stessa a rivelare, di nuovo in Mes
apprentissages, le intenzioni recondite nell’invenzione del personaggio di Marcel : “Pour ne
point faire de ma privation un aveu public, j’ai créé dans Claudine à Paris un petit
personnage de pédéraste. Moyennant que je les avilissais, j’ai pu louer les traits d’un jeune
garçon et m’entretenir, à mots couverts, d’un péril, d’un attrait”9.
La costruzione del personaggio è accurata quanto il personaggio stesso è ridicolizzato.
Nella versione per Le Fleuron, Colette si limita a cancellare alcuni incisi evidentemente
dettati da Willy. Ne è un esempio la lettera scritta da Charlie Gonzales, amante di Marcel, da
cui sono eliminate espressioni come “Vilaine Marcelinette chérie” e brani eccessivamente
sdolcinati (“Je baise tes yeux qui palpitent, je baise te lèvres parfumées avec le regret unique,
mais lancinant, de ne les pouvoir toucher d’une bouche, comme la tienne, immaculée”)10.
Sempre Willy tiene molto a sottolineare qui en est, “chi è del giro”, e questo dettaglio viene
regolarmente espunto nella revisione per Le Fleuron :
Le fameux prof. de philo, qui en est, comme tu le sais, comme nous le savons tous.
Vu que le patron en est.
Comme le “prof. de philo”, le patron en est. De quoi ? De la police ? Il a besoin d’être de la
police pour que son hôtel soit sûr11.
Altri brani vengono eliminati probabilmente perché troppo artificiosi, come “Et j’ai lu
tous les livres, c’est pourquoi ma chair est triste, hélas, sauf quand ton souvenir aguicheur la
vient ensoleiller”12, dove la parafrasi mallarméana è fin troppo risaputa, oltre che
volgarizzata. Un altro lungo frammento, di erudizione goffamente esibita, viene cancellato. In
esso si alternano passi della lettera di Charlie (in corsivo) e commenti di Claudine (in tondo) :
8
Cf. il decimo capitolo, dedicato a Missy, nella citata biografia di Lottman, nonché Sylvain Bonmariage, Willy,
Colette et moi, Paris, Fremanger, 1954, p. 82.
9
Colette, Mes apprentissages, Paris, Ferenczi, 1936, p. 84.
10
Cf. Colette, Œuvres, t. I, op. cit., rispettivamente alle p. 301 e 302.
11
Ibid., p. 301, 305.
12
Ibid., p. 302.
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C’est drôle ! Je jurerais que j’ai déjà lu quelque part cette liste d’auteurs un peu spéciaux !
J’ai évoqué le jeunes gens du banquet de Platon, les amants du bataillon sacré de Thèbes,
Achille et Patrocle, Damon et Pythias, Chariton…
Il me rase, j’en passe ! C’est pas Dieu possible ! Il faut qu’il ait recopié le “Dictionnaire des
messieurs qui ne se sont pas ruinés avec les femmes !”.
J’ai communié en toutes ces généreuses passions viriles de l’Antiquité et de la Renaissance
qu’on nous vante cuistreusement…
Ah ! Ah ! Je le tiens ! “Cuistreusement” m’illumine ! Le séduisant Charlie a tout bonnement
transcrit une page d’Escal-Vigor : ce jeune arriviste sait jouer d’Eekhoud, dirait Maugis. Pas de
danger que j’en prévienne sa petite Marcelle, c’est bien plus drôle comme ça…13
Si può dire con certezza che Colette, avendo ormai acquisito una indiscussa maestria
stilistica e narrativa, sappia calibrare il rifacimento conclusivo dei suoi testi secondo due
criteri : mantenere intatta la genuina fisionomia del personaggio di Claudine, con il suo
acerbo sguardo sull’esistenza e con la sincera sorpresa della scoperta di un mondo, evitando
però che l’ingenuità adolescenziale della sua eroina si carichi di aspetti compiaciuti, morbosi,
e infine ipocritamente moralistici.
Riassumendo, si notano tre tipologie di interventi. Vengono eliminati dettagli in
qualche modo offensivi, come la definizione di Marcel e Charlie quali “gobettes en culottes
qui se ‘bichent’, comme disait Luce”14. Risultano inutili anche eccessive sottolineature dello
sbigottimento di Claudine rispetto alle pratiche erotiche per lei inconsuete :
– Je vais peut-être vous faire un dessin, n’est-ce pas !
Et puis leurs cols de chemise doivent les gêner, parce que, quand on s’embrasse comme ça, il
faut nécessairement que l’un des deux ait la tête renversée. J’entends la grande Anaïs me
répondre : – Nigaude, bien sûr que non que leurs cols de chemise ne peuvent pas les gêner15.
Infine, si preferisce evitare sovraccarichi leziosi nello stile che caratterizza la
corrispondenza fra Marcel e Charlie. Colette ritiene superfluo riportare il contenuto di due
biglietti che il primo scrive al secondo (in cui Claudine sottolinea con sic le incertezze
morfologiche) :
“Méchant Charlie ! Je vous ai attendu rue Lamennais plus d’une heure. Vous serez puni. La
chère petite place sous l’oreille, je vous l’interdit (sic) trois jours durant… si je n’ai le
courage”. Autre billet : “Viens ce soir, j’essayerai pour toi une robe étourdissante, chantilly et
paillètes (sic), dans laquelle je suis à mourir”16.
Il discorso a questo punto potrebbe dirsi aperto, circa le possibilità di interpretazione
della fisionomia di gender a partire dall’analisi di tipo filologico (o genetico). Questo
approccio critico permette di affrontare la questione da un punto di vista meno sguaiatamente
13
Ibid. Willy svela il suo gioco : dicendo che Charlie ha copiato da Eekhoud, e nominando Maugis, non fa che
riflettere la realtà del proprio tipo di scrittura, spesso plagiaria. Il poeta e romanziere belga Georges Eekhoud
(1854-1927, nominato come Eckhoud nell’edizione Gallimard, coll. « Bibliothèque de la Pléiade ») scrisse nel
1899 il romanzo “esthétique et passionnel” Escal-Vigor, che fece scandalo e costò al suo autore un processo. Il
testo ha conosciuto qualche riedizione in epoca contemporanea (Paris, Persona, 1982, e Seguier 1996), nonché
un adattamento teatrale (di Claus Hugo, Lausanne, GKC, 2002).
14
Colette, Œuvres, t. I, op. cit., p. 303.
15
Ibid.
16
Ibid., p. 305.
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polemico di quanto non avvenga in certi ambiti (in particolare, è comune dirlo, statunitensi), e
in modo meno irruento, più pacato e scientifico, soprattutto più concreto, per quanto il campo
di osservazione sembri minuscolo e limitato.
Nel caso di Colette dobbiamo fermarci a questo iniziale stadio di indagine, soprattutto
perché, se i primi manoscritti delle Claudines sono stati distrutti, così non è per quello che
porterà alla realizzazione del terzo volume, Claudine en ménage.
Les cahiers sur lesquels Colette avait écrit Claudine à l’école et le manuscrit de Claudine à
Paris furent détruits à la demande de Willy par Paul Barlet, son secrétaire. Par amitié pour
Colette – et pour se venger de Willy, qui l’exploitait comme il le faisait de tous ses
collaborateurs –, Barlet sauva les cahiers manuscrits de Claudine en ménage. Offerts à la
Bibliothèque Nationale par Maurice Goudeket, troisième mari de Colette, ces cahiers, au
nombre de six (foliotés de 1 à 298, le dernier portant le mot “fin”), sont tels que Colette les a
décrits dans sa dernière préface à la série des Claudines : des “cahiers d’école, avec leurs
feuillets vergés, rayés de gris, à barre marginale rouge, leur dos de toile noire, leur couverture à
médaillons et titre orné Le Calligraphe”17.
La ricerca che abbiamo avviato deve cominciare da qui : lo studio dei rari autografi
superstiti potrà probabilmente offrire nuovi spunti di riflessione e portare a una definizione
ancor più consapevole del problema di identità autoriale che il ciclo delle Claudine presenta
con tanta forza e complessità ; tale problema sarà senz’altro approfondito mediante
considerazioni parallele fra tematiche di gender e peripezie filologiche, come si è tentato di
suggerire con questo articolo (e il futuro passo sarà una ricognizione completa di un testo
nella sua interezza).
Il vero autore della saga fu quindi Colette, come compresero subito i critici coevi, e
più sensibili ; Willy ne mutò probabilmente lo spirito, in maniera indelebile, e non mutabile
nemmeno in una successiva revisione, senza distruggere l’opera ; nondimeno, Claudine non
poteva nascere per partenogenesi, e fu necessario il contributo (per quanto invadente e
maldestro) di Willy. Senza di lui un’opera del genere non poteva aspirare alla pubblicazione,
senza la sua attività di agente letterario non avrebbe avuto tale risonanza, infine, Colette non
sarebbe diventata Colette senza quell’iniziale successo di scandalo. Opporsi a tutto ciò,
definirsi come scrittrice autonoma, autorevole e autentica, far dimenticare al mondo la
dipendenza dal marito come dal personaggio che aveva creato, fu una prova essenziale nella
formazione del carattere di Colette.
Non importa il sesso di chi scrive ma la capacità di proporre nuovi modelli di scrittura,
che non si oppongano ad altro ma siano semplicemente altro, espressioni di singolarità e di
visioni diverse, opposte alle consuetudini canoniche. L’importanza di una simile lettura è
intuibile, ma va forse ribadita e precisata : coinvolge infatti questioni relative alla condizione
autoriale (non solo femminile) nel Novecento, alle sue trasformazioni e alle sue conseguenze
letterarie, editoriali, sociali. Il fascino della scrittura di Colette consiste anche nella sua
evoluzione, durante un fertile cinquantennio di lavoro intenso, di stile e di interpretazione
della realtà ; non è fondamentale il fatto che a scrivere fosse un uomo o una donna, ma quella
particolare donna che fu Sidonie-Gabrielle Colette, la cui figura individuale, nella sua
integrità, ha una rilevanza assoluta nella cultura francese ed europea, nella storia del costume
e del gusto, nell’istituzione letteraria (fu tra l’altro la prima donna a ottenere funerali di stato
in Francia)18.
17
Si cita dalla sezione introduttiva a Claudine à Paris, stilata da François Burgaud per il volume Colette,
Romans, Récits, Souvenirs (1900-1919), Paris, Laffont, 1989, p. 299
18
Fra i più importanti contributi alla definizione del personaggio-Colette, ma soprattutto delle verità su Colette, è
d’obbligo il riferimento al volume di Julia Kristeva, ultimo di una trilogia dedicata al “genio femminile”, che
comprende peraltro saggi su Hannah Arendt (1999) e Melanie Klein (2000). J. Kristeva, Les Mots : Colette et la
chair du monde, Paris, Fayard, 2003. Il titolo completo della trilogia è Le Génie féminin : la vie, la folie, les
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Non importa il sesso di chi scrive ma la capacità di proporre nuovi modelli di scrittura,
che non si oppongano ad altro ma siano semplicemente altro, espressioni di singolarità e di
visioni diverse, in grado di annullare le consuetudini canoniche. L’importanza di una simile
lettura è intuibile, ma va forse ribadita e precisata : coinvolge infatti questioni relative alla
condizione autoriale (non solo femminile) nel Novecento, alle sue trasformazioni e alle sue
conseguenze letterarie, editoriali, sociali. Il fascino della scrittura di Colette consiste anche
nella sua evoluzione, durante un fertile cinquantennio di lavoro intenso, di stile e di
interpretazione della realtà ; non è fondamentale il fatto che a scrivere fosse un uomo o una
donna, ma quella particolare donna che fu Sidonie-Gabrielle Colette, la cui figura individuale,
nella sua integrità, ha una rilevanza assoluta nella cultura francese ed europea, nella storia del
costume e del gusto, nell’istituzione letteraria (fu tra l’altro la prima donna a ottenere funerali
di stato in Francia).
Le sofisticherie di Willy sono dimenticate, le sue battute salaci non fanno nemmeno
più sorridere, la sua fama autoriale è svanita. La ragazzina di provincia, per la quale Henry
Gauthier-Villars fu aguzzino ma anche pigmalione, splende di gloria autonoma, e la sua
raffinatezza di autore è più importante perfino della sua emancipazione. Colette ne è tanto
consapevole da dire, un giorno : “Il faut, avec les mots de tout le monde, écrire comme
personne”.
mots, Paris, Fayard, 1999-2003. I tre volumi della trilogia sono stati pubblicati in Italia dall’editore Donzelli
(Colette, vita di una donna, è del 2004).
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