Leggere il conflitto
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Leggere il conflitto
Via Campagna 83 - 29100 Piacenza Tel./fax 0523-498594 e-mail [email protected] homepage www.cppp.it Materiali di studio Leggere il conflitto© di Daniele Novara A tutti penso sarà capitato di dover fare un lastra o una risonanza magnetica. L’aspetto interessante di questa esperienza è che se noi profani ci mettiamo davanti a una lastra non capiamo assolutamente nulla, mentre un medico esperto riesce da questa immagine enigmatica e oscura a ricavare una serie di informazioni che ci lasciano stupefatti. Lo stesso può valere per il conflitto, anche se in termini ovviamente molto meno tecnici. Il conflitto appare per alcuni aspetti un’esperienza misteriosa, che mobilita componenti personali spesso sconosciute, e quindi necessita di una particolare attitudine alla decodificazione e alla lettura dei suoi aspetti fenomenici. Non si può dire che a tutt’ora esista una sintomatologia che ci permetta di leggere e definire il conflitto in un modo piuttosto che in un altro. Esistono però dei segnali e degli elementi che ci consentono di cogliere il conflitto da un punto di vista informativo. La domanda in altre parole potrebbe essere questa: che informazioni esprime il conflitto? Quali sono le notizie che riporta e che permettono di avere dei riscontri importanti per gli scopi che si propone? L’esempio senz’altro più importante di conflitto come fonte di informazione è il conflitto nei luoghi di lavoro, dove la difficoltà relazionali che spesso si esprimono in termini di lamentazione, o a volte in termini di rabbia, isteria o attacco diretto alla persona, rappresentano comunque un contenuto dentro un sistema – come quello lavorativo – che tende a funzionare in maniera omeostatica. Attraverso il conflitto l’organismo segnala una disfunzione o comunque un elemento di perturbazione. L’assunzione del conflitto può allora consentire la gestione della perturbazione in termini di ricomposizione o perlomeno in termini di comunicazione. Restando sullo stesso esempio (equipe di lavoro), succede frequente di trovarsi a contatto con situazioni di latenza conflittuale che di fatto impediscono la comunicazione. Leggere questa latenza in termini conflittuali piuttosto che in termini armonici – spesso succede che la latenza conflittuale viene interpretata come armonia – consente al coordinatore o comunque ai membri dell’equipe stessa di avere degli elementi decisivi per riconnettersi e andare verso nuove forme di comprensione interna e quindi di funzionalità interna. 1 Sospensione del giudizio e distanza adeguata Una possibile lettura del conflitto si basa quindi sulla sospensione del giudizio, ossia sull’inibizione della ricerca della colpevolezza, che di fatto impedisce la capacità di leggere in maniera pertinente quello che sta succedendo nel contesto relazionale. Un’altra condizione imprescindibile per una capacità di decodificazione del conflitto è la distanza. Così come per leggere una pagina di un libro occorre collocarsi nella giusta posizione per poter mettere a fuoco il foglio e leggerne il contenuto, lo stesso vale anche per la dimensione conflittuale. Un eccessivo avvicinamento, e quindi coinvolgimento – specialmente emotivo – impedisce di cogliere le dinamiche implicate nella situazione così come un’eccessiva lontananza di fatto implica una sorta di assenza dalla capacità di comprensione. La distanza si pone come criterio imprescindibile, legata a una dimensione di raffreddamento emotivo che si rende necessario per cogliere quello che sta succedendo. Normalmente, come già ricordato in altre parti del libro, la temporalizzaione e quindi la capacità di controllare la propria ansia e la propria necessità di fuga o viceversa di attacco immediato permette di trovare lo spazio-tempo adeguato a capire cosa sta succedendo. Allo stesso tempo va detto che il conflitto si presenta come un fenomeno che ha un “fuori” e un “dentro”, un “sopra” e un “sotto”. Il conflitto è sempre bidimensionale: quello che emerge è la parte più semplice, poi c’è una parte più complessa che rappresenta forse la dimensione più interessante del conflitto. Questo non vuol dire però assecondare la tendenza molto ovvia e scontata della cosiddetta ricerca delle cause. Per anni il lavoro sui conflitti si è praticamene annichilito in questa spasmodica ricerca delle cause. È un pensiero, quello causalistico, che di fatto impedisce di capire il funzionamento del conflitto, ossia l’elemento di realtà simultanea che rappresenta il vero oggetto di lavoro. Anche nel contesto educativo il pensiero causalistico offusca la capacità di cogliere la situazione per quello che realmente esprime. È un esempio il caso dei bambini disturbatori, che il pensiero causalistico tende a rimandare ad elementi familiari, genealogici, a volte anche genetici, senza considerarne la funzionalità dell’istituzione scuola nel preciso contesto del gruppo classe. Anche le comunicazioni causalistiche nei conflitti sono quanto di meno auspicabile, in quanto tendono ad accusare l’altro di comportamenti generati da dimensioni negative, da vissuti che si porta dentro quasi inconsciamente e quant’altro risulta alla fin fine denigratorio nei confronti della persona con cui c’è un antagonismo conflittuale.1 La domanda che permette di leggere il conflitto è la domanda non tanto basata sul perché ma sul come, domanda che attiva la comprensione funzionalistica, il contenuto contestuale all’interno della situazione, e quindi rende ragione del comportamento dei contendenti. Allo stesso tempo però una lettura del conflitto non può non tener conto del fatto che dietro ogni situazione conflittuale ci sono dei bisogni. La lettura dei bisogni 1 Vedi ad esempio: M. Mizzau, E tu allora? Il conflitto come comunicazione quotidiana, Il Mulino, Bologna 2002; G. Nardone, Correggimi se sbaglio, Ponte alle Grazie, Firenze 2005; L. Scarpa, Strumenti mentali, Cafoscarina, Venezia 2004; P. Hathaway, Affrontare le critiche senza irritarsi, Angeli, Milano 1994. 2 rappresenta un momento di comprensione profondo che permette di capire determinati comportamenti. Il caso più tipico in ambito psicopedagogico è quello dei bambini che in classe tendono ad avere comportamenti esibizionistici: acquisiscono dei vantaggi, anche se dal punto di vista del contenuto esplicito gli insegnanti tendono a stigmatizzarli. In realtà l’esibizionismo si nutre anche di questa stigmatizzazione, permettendo di avere dei vantaggi “secondari” che di fatto sono molto importanti nella logica in cui il comportamento tende a mantenersi. La lettura del bisogno – il bisogno di essere visti – spiega la natura del conflitto. Allo stesso tempo però un insegnante considera questo bisogno ma interviene poi concretamente in termini operativi sulla riduzione della ricaduta di quel conflitto all’interno del gruppo classe, cercando di attenuarne le conseguenze e di trovare delle strategie di contenimento. Le quattro aree di lettura del conflitto Analizzando la tabella Leggere il conflitto si possono evidenziare le quattro aree che permettono di lavorare con più consapevolezza e più chiarezza (vedi tab. 1). TABELLA 1 Leggere il conflitto © Daniele Novara Aree di esplorazione Il collocamento I bisogni Le emozioni I vantaggi Domande • • • • • • • • • • • • • il conflitto mi riguarda? riguarda gli altri dove lo colloco all’interno del quadrante dei conflitti? è palese o latente? c’è una richiesta d’aiuto? è latente? è esplicita? il conflitto è un pretesto per manifestare bisogni più profondi? cosa sto provando? cosa stanno provando gli altri? è un’emozione che conosco? mi riconosco nelle emozioni altrui? quale “tasto dolente” sto toccando? ci sono dei vantaggi espliciti a livello intrapersonale nel mantenere vivo il conflitto? ci sono vantaggi impliciti? Anzitutto l’area del collocamento – l’area spazio-temporale del conflitto – che attiene alla distinzione fra i conflitti che mi riguardano e i conflitti che riguardano gli altri, e la 3 capacità di riconoscere il conflitto collocato in un certo contesto : può essere il contesto organizzativo piuttosto che quello intrapersonale. È sempre importante quindi la domanda “A chi appartiene il conflitto?” e in che contesto spazio-temporale va definito, anche per capirne la natura palese o eventualmente latente, implicita, sotterranea, che ovviamente è spesso presente anche nelle situazioni di apparente armonia. Il secondo punto è quello dei bisogni. I bisogni rappresentano la parte più underground della situazione conflittuale. In genere il conflitto nasce proprio da un bisogno insoddisfatto, da una situazione se si vuole anche di frustrazione, di incapacità a comunicare in maniera adeguata. Si trova spesso nella situazione conflittuale una dimensione di richiesta di aiuto che vale la pena esplorare e ascoltare, anche per evitare che si trasformi in atteggiamento minaccioso o viceversa remissivo e possessivo. parte esterna del conflitto (in genere pretestuosa) parte interna sommersa del conflitto o Fig. 1 L’iceberg Da questo punto di vista il conflitto si presenta nella situazione tipica dell’iceberg (fig. 1), con una parte esterna apparentemente pronunciata, ma una parte sommersa decisamente più ampia e consistente. Spesso e volentieri c’è anche una banalizzazione della parte esterna, pretestuosa del conflitto, quasi che fosse importante solo la parte sottostante dell’iceberg. In realtà ogni conflitto necessita di un rispetto profondo, di una capacità di ascolto che sappia riconoscere l’importanza della pretestuosità come elemento comunicativo. Non andrebbero mai anteposte le ragioni profonde a quelli che sono gli aspetti anche pretestuosi del conflitto: entrambi questi aspetti hanno la loro legittimità ed è ovvio che spesso il conflitto sa un pretesto per affrontare situazioni più impegnative. Allo stesso tempo è necessario anche sapersi attenere a questi elementi più superficiali. Il terzo punto è quello relazionale-emotivo. Va ribadito come il conflitto non sia coincidente con l’emozione, anche se l’emozione necessariamente fa parte del conflitto. Direi che l’emozione segnala una presenza conflittuale consistente, che coinvolge il soggetto sul piano intrapsichico, ma ovviamente il conflitto è una dimensione più ampia, che attiene più alla relazione che non all’emozione. Decisiva risulta la capacità di fermarsi, di indugiare per cogliere la propria emozione e chiedersi cosa provano gli altri con cui ho un conflitto, e porsi le domande che permettano di attivare un dialogo 4 con le proprie parti più fragili e riconoscere in queste fragilità una parte umana profonda che in qualche modo ci rende simili gli uni agli altri. Il quarto e ultimo punto – forse quello più spinoso – è quello dei vantaggi. IL conflitto è talmente gravido di sofferenza e di paura che è difficile cogliere come il mantenimento conflittuale rappresenti di per sé anche un vantaggio. Però, specialmente nelle consulenze maieutiche per la gestione dei conflitti questa è una domanda chiave, che permette un distanziamento che consente di riconoscere come il conflitto ci appartenga profondamente, come ognuno abbia i conflitti che incontra anche dentro di sé. La percezione conflittuale in qualche modo coincide con il proprio stato dell’anima e quindi non si può uscire dal conflitto senza riconoscere nel conflitto una parte di se stessi e quindi anche un elemento di vantaggiosità. Come contenuto di vantaggio si intende uno spazio sostanzialmente intrapersonale, centrato su quell’elemento di difesa, di protezione o di narcisismo che permette al soggetto di mantenere intatti una serie di presupposti che ritiene intangibili. Sono spesso strategie che sconfinano in un certo masochismo, ma vanno colte e accettate perché solo così si riconosce la disfunzionalità di queti pseudo-vantaggi e la possibilità di attivare una riconnessione interna e nuovi processi trasformativi di comunicazione. Per finire, sono quattro punti importantissimi nella lettura del conflitto, sia per se stessi che nell’aiuto che si può dare agli altri in questo processo di decodificazione. È un lavoro non sempre facile, molto impegnativo, le emozioni sono molto forti. Si tratta della capacità più raffinata che permette anche di trovare delle ragioni profonde nell’incontro e nella relazione con gli altri. Ovviamente questa esplorazione può essere fatta a più ampio spettro, coinvolgendo anche elementi di carattere psicoanalitico. Ritengo che questi quattro elementi siano sufficienti perché permettono di capire cosa sta succedendo, evitando di inoltrarsi in una ricerca spasmodica di cause che possono attenere alle dimensioni più profonde dell’individuo, ma che nel contesto conflittuale non hanno – perlomeno sul momento – l’importanza del saper rispondere alle domande che ho enucleato nella tabella qui presente. 5