Leggere il conflitto

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Leggere il conflitto
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Materiali di studio
Leggere il conflitto©
di Daniele Novara
A tutti penso sarà capitato di dover fare un lastra o una risonanza magnetica. L’aspetto
interessante di questa esperienza è che se noi profani ci mettiamo davanti a una lastra
non capiamo assolutamente nulla, mentre un medico esperto riesce da questa immagine
enigmatica e oscura a ricavare una serie di informazioni che ci lasciano stupefatti.
Lo stesso può valere per il conflitto, anche se in termini ovviamente molto meno tecnici.
Il conflitto appare per alcuni aspetti un’esperienza misteriosa, che mobilita componenti
personali spesso sconosciute, e quindi necessita di una particolare attitudine alla
decodificazione e alla lettura dei suoi aspetti fenomenici.
Non si può dire che a tutt’ora esista una sintomatologia che ci permetta di leggere e
definire il conflitto in un modo piuttosto che in un altro. Esistono però dei segnali e
degli elementi che ci consentono di cogliere il conflitto da un punto di vista informativo.
La domanda in altre parole potrebbe essere questa: che informazioni esprime il
conflitto? Quali sono le notizie che riporta e che permettono di avere dei riscontri
importanti per gli scopi che si propone?
L’esempio senz’altro più importante di conflitto come fonte di informazione è il
conflitto nei luoghi di lavoro, dove la difficoltà relazionali che spesso si esprimono in
termini di lamentazione, o a volte in termini di rabbia, isteria o attacco diretto alla
persona, rappresentano comunque un contenuto dentro un sistema – come quello
lavorativo – che tende a funzionare in maniera omeostatica. Attraverso il conflitto
l’organismo segnala una disfunzione o comunque un elemento di perturbazione.
L’assunzione del conflitto può allora consentire la gestione della perturbazione in
termini di ricomposizione o perlomeno in termini di comunicazione.
Restando sullo stesso esempio (equipe di lavoro), succede frequente di trovarsi a
contatto con situazioni di latenza conflittuale che di fatto impediscono la
comunicazione. Leggere questa latenza in termini conflittuali piuttosto che in termini
armonici – spesso succede che la latenza conflittuale viene interpretata come armonia –
consente al coordinatore o comunque ai membri dell’equipe stessa di avere degli
elementi decisivi per riconnettersi e andare verso nuove forme di comprensione interna
e quindi di funzionalità interna.
1
Sospensione del giudizio e distanza adeguata
Una possibile lettura del conflitto si basa quindi sulla sospensione del giudizio, ossia
sull’inibizione della ricerca della colpevolezza, che di fatto impedisce la capacità di
leggere in maniera pertinente quello che sta succedendo nel contesto relazionale.
Un’altra condizione imprescindibile per una capacità di decodificazione del conflitto è
la distanza. Così come per leggere una pagina di un libro occorre collocarsi nella giusta
posizione per poter mettere a fuoco il foglio e leggerne il contenuto, lo stesso vale anche
per la dimensione conflittuale. Un eccessivo avvicinamento, e quindi coinvolgimento –
specialmente emotivo – impedisce di cogliere le dinamiche implicate nella situazione
così come un’eccessiva lontananza di fatto implica una sorta di assenza dalla capacità di
comprensione.
La distanza si pone come criterio imprescindibile, legata a una dimensione di
raffreddamento emotivo che si rende necessario per cogliere quello che sta succedendo.
Normalmente, come già ricordato in altre parti del libro, la temporalizzaione e quindi la
capacità di controllare la propria ansia e la propria necessità di fuga o viceversa di
attacco immediato permette di trovare lo spazio-tempo adeguato a capire cosa sta
succedendo.
Allo stesso tempo va detto che il conflitto si presenta come un fenomeno che ha un
“fuori” e un “dentro”, un “sopra” e un “sotto”. Il conflitto è sempre bidimensionale:
quello che emerge è la parte più semplice, poi c’è una parte più complessa che
rappresenta forse la dimensione più interessante del conflitto.
Questo non vuol dire però assecondare la tendenza molto ovvia e scontata della
cosiddetta ricerca delle cause. Per anni il lavoro sui conflitti si è praticamene annichilito
in questa spasmodica ricerca delle cause. È un pensiero, quello causalistico, che di fatto
impedisce di capire il funzionamento del conflitto, ossia l’elemento di realtà simultanea
che rappresenta il vero oggetto di lavoro. Anche nel contesto educativo il pensiero
causalistico offusca la capacità di cogliere la situazione per quello che realmente
esprime. È un esempio il caso dei bambini disturbatori, che il pensiero causalistico
tende a rimandare ad elementi familiari, genealogici, a volte anche genetici, senza
considerarne la funzionalità dell’istituzione scuola nel preciso contesto del gruppo
classe.
Anche le comunicazioni causalistiche nei conflitti sono quanto di meno auspicabile, in
quanto tendono ad accusare l’altro di comportamenti generati da dimensioni negative,
da vissuti che si porta dentro quasi inconsciamente e quant’altro risulta alla fin fine
denigratorio nei confronti della persona con cui c’è un antagonismo conflittuale.1
La domanda che permette di leggere il conflitto è la domanda non tanto basata sul
perché ma sul come, domanda che attiva la comprensione funzionalistica, il contenuto
contestuale all’interno della situazione, e quindi rende ragione del comportamento dei
contendenti. Allo stesso tempo però una lettura del conflitto non può non tener conto del
fatto che dietro ogni situazione conflittuale ci sono dei bisogni. La lettura dei bisogni
1
Vedi ad esempio: M. Mizzau, E tu allora? Il conflitto come comunicazione quotidiana, Il Mulino,
Bologna 2002; G. Nardone, Correggimi se sbaglio, Ponte alle Grazie, Firenze 2005; L. Scarpa, Strumenti
mentali, Cafoscarina, Venezia 2004; P. Hathaway, Affrontare le critiche senza irritarsi, Angeli, Milano
1994.
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rappresenta un momento di comprensione profondo che permette di capire determinati
comportamenti.
Il caso più tipico in ambito psicopedagogico è quello dei bambini che in classe tendono
ad avere comportamenti esibizionistici: acquisiscono dei vantaggi, anche se dal punto di
vista del contenuto esplicito gli insegnanti tendono a stigmatizzarli. In realtà
l’esibizionismo si nutre anche di questa stigmatizzazione, permettendo di avere dei
vantaggi “secondari” che di fatto sono molto importanti nella logica in cui il
comportamento tende a mantenersi. La lettura del bisogno – il bisogno di essere visti –
spiega la natura del conflitto. Allo stesso tempo però un insegnante considera questo
bisogno ma interviene poi concretamente in termini operativi sulla riduzione della
ricaduta di quel conflitto all’interno del gruppo classe, cercando di attenuarne le
conseguenze e di trovare delle strategie di contenimento.
Le quattro aree di lettura del conflitto
Analizzando la tabella Leggere il conflitto si possono evidenziare le quattro aree che
permettono di lavorare con più consapevolezza e più chiarezza (vedi tab. 1).
TABELLA 1 Leggere il conflitto
© Daniele Novara
Aree di
esplorazione
Il collocamento
I bisogni
Le emozioni
I vantaggi
Domande
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•
il conflitto mi riguarda?
riguarda gli altri
dove lo colloco all’interno del quadrante dei conflitti?
è palese o latente?
c’è una richiesta d’aiuto? è latente? è esplicita?
il conflitto è un pretesto per manifestare bisogni più
profondi?
cosa sto provando?
cosa stanno provando gli altri?
è un’emozione che conosco?
mi riconosco nelle emozioni altrui?
quale “tasto dolente” sto toccando?
ci sono dei vantaggi espliciti a livello intrapersonale nel
mantenere vivo il conflitto?
ci sono vantaggi impliciti?
Anzitutto l’area del collocamento – l’area spazio-temporale del conflitto – che attiene
alla distinzione fra i conflitti che mi riguardano e i conflitti che riguardano gli altri, e la
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capacità di riconoscere il conflitto collocato in un certo contesto : può essere il contesto
organizzativo piuttosto che quello intrapersonale. È sempre importante quindi la
domanda “A chi appartiene il conflitto?” e in che contesto spazio-temporale va definito,
anche per capirne la natura palese o eventualmente latente, implicita, sotterranea, che
ovviamente è spesso presente anche nelle situazioni di apparente armonia.
Il secondo punto è quello dei bisogni. I bisogni rappresentano la parte più underground
della situazione conflittuale. In genere il conflitto nasce proprio da un bisogno
insoddisfatto, da una situazione se si vuole anche di frustrazione, di incapacità a
comunicare in maniera adeguata. Si trova spesso nella situazione conflittuale una
dimensione di richiesta di aiuto che vale la pena esplorare e ascoltare, anche per evitare
che si trasformi in atteggiamento minaccioso o viceversa remissivo e possessivo.
parte esterna del
conflitto
(in
genere
pretestuosa)
parte
interna
sommersa
del conflitto
o
Fig. 1 L’iceberg
Da questo punto di vista il conflitto si presenta nella situazione tipica dell’iceberg (fig.
1), con una parte esterna apparentemente pronunciata, ma una parte sommersa
decisamente più ampia e consistente. Spesso e volentieri c’è anche una banalizzazione
della parte esterna, pretestuosa del conflitto, quasi che fosse importante solo la parte
sottostante dell’iceberg. In realtà ogni conflitto necessita di un rispetto profondo, di una
capacità di ascolto che sappia riconoscere l’importanza della pretestuosità come
elemento comunicativo. Non andrebbero mai anteposte le ragioni profonde a quelli che
sono gli aspetti anche pretestuosi del conflitto: entrambi questi aspetti hanno la loro
legittimità ed è ovvio che spesso il conflitto sa un pretesto per affrontare situazioni più
impegnative.
Allo stesso tempo è necessario anche sapersi attenere a questi elementi più superficiali.
Il terzo punto è quello relazionale-emotivo. Va ribadito come il conflitto non sia
coincidente con l’emozione, anche se l’emozione necessariamente fa parte del conflitto.
Direi che l’emozione segnala una presenza conflittuale consistente, che coinvolge il
soggetto sul piano intrapsichico, ma ovviamente il conflitto è una dimensione più
ampia, che attiene più alla relazione che non all’emozione. Decisiva risulta la capacità
di fermarsi, di indugiare per cogliere la propria emozione e chiedersi cosa provano gli
altri con cui ho un conflitto, e porsi le domande che permettano di attivare un dialogo
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con le proprie parti più fragili e riconoscere in queste fragilità una parte umana profonda
che in qualche modo ci rende simili gli uni agli altri.
Il quarto e ultimo punto – forse quello più spinoso – è quello dei vantaggi. IL conflitto è
talmente gravido di sofferenza e di paura che è difficile cogliere come il mantenimento
conflittuale rappresenti di per sé anche un vantaggio. Però, specialmente nelle
consulenze maieutiche per la gestione dei conflitti questa è una domanda chiave, che
permette un distanziamento che consente di riconoscere come il conflitto ci appartenga
profondamente, come ognuno abbia i conflitti che incontra anche dentro di sé. La
percezione conflittuale in qualche modo coincide con il proprio stato dell’anima e
quindi non si può uscire dal conflitto senza riconoscere nel conflitto una parte di se
stessi e quindi anche un elemento di vantaggiosità.
Come contenuto di vantaggio si intende uno spazio sostanzialmente intrapersonale,
centrato su quell’elemento di difesa, di protezione o di narcisismo che permette al
soggetto di mantenere intatti una serie di presupposti che ritiene intangibili. Sono spesso
strategie che sconfinano in un certo masochismo, ma vanno colte e accettate perché solo
così si riconosce la disfunzionalità di queti pseudo-vantaggi e la possibilità di attivare
una riconnessione interna e nuovi processi trasformativi di comunicazione.
Per finire, sono quattro punti importantissimi nella lettura del conflitto, sia per se stessi
che nell’aiuto che si può dare agli altri in questo processo di decodificazione. È un
lavoro non sempre facile, molto impegnativo, le emozioni sono molto forti. Si tratta
della capacità più raffinata che permette anche di trovare delle ragioni profonde
nell’incontro e nella relazione con gli altri.
Ovviamente questa esplorazione può essere fatta a più ampio spettro, coinvolgendo
anche elementi di carattere psicoanalitico. Ritengo che questi quattro elementi siano
sufficienti perché permettono di capire cosa sta succedendo, evitando di inoltrarsi in una
ricerca spasmodica di cause che possono attenere alle dimensioni più profonde
dell’individuo, ma che nel contesto conflittuale non hanno – perlomeno sul momento –
l’importanza del saper rispondere alle domande che ho enucleato nella tabella qui
presente.
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