quaderno 4 - la formazione dei laici

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quaderno 4 - la formazione dei laici
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La formazione dei laici
Presentazione
Questo quaderno è il frutto della riflessione del Consiglio Pastorale diocesano su una traccia
predisposta dalla direzione del Centro Pastorale sul tema della formazione del laicato. Esce con la
volontà di coinvolgere tutta la diocesi, nelle sue diverse componenti, per dare corpo ad un nuovo
impegno in campo formativo e culturale.
La sua ragione e le radici sono più profonde e si collocano nel Sinodo e nelle tre scelte
fondamentali che il Vescovo ha consegnato come falsa riga degli anni avvenire: comunione,
evangelizzazione e formazione. Quest’ultima, in particolare, appare come strumento indispensabile
per attuare i due precedenti obiettivi.
Una prima attuazione di questa scelta la si è avuta nel convegno pastorale del giugno 1997,
le cui conclusioni sono state autorevolmente presentate dal Vescovo nelle linee pastorali per l’anno
in corso e, circa la formazione, con la proposizione di un “patto formativo fra preti e laici”, che
facesse mutare il volto operativo della nostra chiesa. Questa proposta del Vescovo è approdata, con
qualche difficoltà, nella mappa dei cammini educativi diocesani per il prossimo anno curata dai
competenti Uffici di Curia con la consulenza del Centro Pastorale diocesano e che sarà resa nota
prossimamente. E’ un primo tentativo buono per le collaborazioni e le intese che ha provocato, ma
ancora lontano dall’esaurire a pieno l’intuizione del Vescovo nelle linee pastorali dell’ottobre
scorso.
Questo quaderno rilancia la proposta, attende un futuro attivando di nuovo la riflessione a
due livelli: individuare cammini formativi differenziati da poter attivare il prossimo anno; e,
soprattutto, accendere nei laici il bisogno di formazione.
Perciò consegniamo queste pagine ai laici delle parrocchie e delle aggregazioni perché
personalmente possano riflettere su questa necessità e lo consegniamo anche ai parroci e ai preti
assistenti o consulenti delle aggregazioni ecclesiali, perché nel discernimento comunitario
individuino strade coerenti e convergenti di formazione.
Cremona, nella solennità di Pentecoste, 31 maggio 1998
Don Dennis Feudatari
N.B. Il testo è stato digitalizzato e pertanto non mantiene l’impaginazione originale.
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Alcune premesse
Qui si tratta della formazione dei laici. L’orizzonte si restringe pertanto a un aspetto parziale
della vita e vocazione dei laici: dunque subito occorre percepire come l’obiettivo, la meta non è
semplicemente istituire dei cammini di formazione che promuovano un laicato più competente e
corresponsabile. Se il traguardo fosse unicamente la “formazione dei laici” si potrebbe addirittura
cadere in qualche equivoco: pensare per esempio di esaurire la missione della Chiesa in itinerari
catechisti e scolastici..., riducendo la fede a qualcosa di intellettualistico, o a un insieme di tecniche
o di istruzioni da apprendere, a un saper fare... Invece il Sinodo ponendo insieme tre obiettivi
fondamentali (e i conseguenti atteggiamenti)
— e precisamente comunione, missione e formazione — ci mostra come la “formazione dei laici”
che qui viene tratteggiata è solo uno strumento, una via che si ritiene di dover percorrere per aiutare
i fedeli laici a raggiungere quella meta che ci accomuna tutti, che è la vocazione alla santità.
Per rispondere alla chiamata alla santità, occorre davvero un impegno attivo per una più viva
comunione ecclesiale e per una testimonianza più missionaria ed evangelizzatrice: e la strada da
pèrcorrere pare sia quella di una maggiore formazione cristiana che alimenti e illumini la fede di
tutti. Non bastano le buone intenzioni o i buoni propositi: infatti la chiamata alla santità esige che
ciascuno metta a frutto pure tutta l’intelligenza che il Signore gli ha dato: l’intelligenza (da
coltivare) e la competenza (da acquisire) sono doni che Dio ci fa per riuscire meglio a portare il
Vangelo nella quotidianità della vita.
Del resto il papa Giovanni Paolo II nella sua lettera per l’Anno di S. Omobono — un santo e
patrono laico — afferma: “Il Concilio Vaticano TI fa della santità un elemento costitutivo
dell’appartenenza alla Chiesa, quando afferma che ‘tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono
chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità’ (LG 40); e rileva che ‘da
questa santità è promosso, anche nella società terrena, un tenore di vita più ‘umano’ (ibid.)... La
chiamata alla santità comporta e valorizza l’essere e l’operare del laicato...” (n. 6-7).
Quello che qui viene presentato vuole essere solo una traccia che aiuti la riflessione, che
provochi alla progettazione di nuovi e differenziati itinerari che sappiano valorizzare le capacità e le
aspettative di tutti. La domanda che dovrebbe echeggiare in ciascuno è “come la nostra Chiesa sta
aiutando i laici a vivere la loro specfica vocazione?”. E poi: “esiste un’unica vocazione laicale,
oppure una molteplicità di modalità dell’essere laici, a seconda del contesto in cui il singolo si
trova a vivere, delle doti che lo caratterizzano, dell’esperienza particolare di ciascuno? “.
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1. L’identità (vocazione e missione) dei laici
Non è questo l’ambito per una profonda e sistematica spiegazione della teologia del laicato.
Tuttavia alcune difficoltà che oggi si trovano nell’azione pastorale hanno la radice nella
mancata comprensione dell’identità dei laici.
Sappiamo bene come non contano solo la teologia del laicato in quanto dottrina e teoria, ma
la capacità di tradurla in prassi, in educazione, in vita concreta.
Qui ci limitiamo a qualche riferimento magisteriale, si tratta solo di veloci rimandi a una
tematica complessa e variegata.
Riprendendo i primi paragrafi del cap. 7 del Sinodo, che rimandano a Christifideles laici e a
Lumen gentium possiamo sintetizzare in quattro importanti affermazioni gli elementi essenziali
della dottrina sul laicato:
• Nell’annunciare Gesù Cristo, speranza dell’umanità, “i fedeli laici hanno un posto originale e
insostituibile: per mezzo loro la Chiesa di Cristo è resa presente nei più svariati settori del
mondo, come segno e fonte di speranza e di amore” (ChL 7, ripreso in Cost. Sinod. 413 §1).
• “Il battesimo è il fondamento della dignità dei laici. Perciò i laici non sono inferiori, ma
complementari alle altre componenti ecclesiali... Per questa comune dignità battesimale il laico è
corresponsabile della missione della Chiesa ed è chiamato a contribuire con tutte le sue forze alla
vita, alla fecondità, al cammino di santità della Chiesa” (Cost. Sinod. 413 §2).
• “Nell’unica missione della Chiesa i laici hanno una parte che è ad essi peculiare, anche se non
esclusiva, legata alla condizione di secolarità che è loro propria: vivere gli impegni temporali
secondo il disegno di Dio. Per il laico cristiano questo vivere nel secolo non è un puro dato
sociologico, ma è un dato teologico ed ecclesiologico: è la modalità secondo cui vivere l’esistenza
cristiana” (Cost. Sinod. 413 §3).
• “L’opera missionaria, corredata dalle caratteristiche proprie del laico, non è semplice
collaborazione alla missione del presbitero. I fedeli laici hanno un posto originale e insostituibile
nell’annuncio della salvezza (Cost. Sinod. 413 §4) in quanto seguendo e servendo il Signore nei più
svariati settori del mondo permettono alla Chiesa di camminare nella storia dell’umanità...
Certamente potrebbero essere molti i commenti e le esplicitazioni. Anzitutto che identità e
vocazione dei laici esigono una accurata riflessione sul modello di Chiesa che intendiamo realizzare
(in fedeltà al Signore... che significa anzitutto traduzione concreta delle indicazione del Concilio
Vaticano TI). L’attenzione che in questo periodo è stata posta sui sacramenti del battesimo e della
confermazione dovrebbero pure comportare la percezione di un apporto originale e di una effettiva
corresponsabilità di ogni credente all’interno della Chiesa e nel mondo. Il sacerdozio battesimale o
sacerdozio comune dei fedeli — altro elemento dottrinale spesso non valorizzato e non capito —
sono un’altra via per comprendere come ad ogni fedele spetta di diritto (non per concessione) e di
dovere una particolare missione all’interno della Chiesa e del mondo.
A proposito della nuova evangelizzazione, il papa nella sua lettera per l’Anno di S.
Omobono, ricorda ancora: “I fedeli laici devono sentirsi pienamente coinvolti in questo compito,
con i peculiari carismi della ‘laicità’. Le situazioni nuove, sia ecclesiali, che sociali, economiche,
politiche e culturali, reclamano con una forza del tutto particolare la loro
specifica partecipazione” (n. 7).
2.Le indicazioni del nostro Sinodo circa la formazione dei laici
Il dovere di un continuo impegno di formazione (con gli atteggiamenti che ne conseguono) è
il terzo obiettivo che ci propone il nostro Sinodo (Cost. Sinod. 032-038), ma sappiamo che i tre
obiettivi non possono essere disgiunti l’uno dall’altro, soltanto insieme essi possono crescere.
Il cap. 7 del Sinodo (La vita cristiana dei laici) dopo la premessa teologica comincia subito
ad affrontare il tema della formazione dei fedeli laici, quasi ad indicare la priorità di questo
obiettivo o forse il deficit accumulato riguardo alla formazione. Addirittura si parla di priorità della
Diocesi: “La formazione dei laici va posta tra le priorità della Diocesi e va collocata nei programmi
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di azione pastorale, in modo che tutti gli sforzi della comunità convergano su questo fine” (Cost.
Sinod. 417).
Infatti dopo aver richiamato l’impegno ad assimilare la visione conciliare del laicato si dice
che la nostra Chiesa deve valorizzare i laici negli organismi di partecipazione e nella pastorale, ma
che “deve soprattutto promuovere l’impegno specifico dei cristiani laici nell’animazione delle realtà
terrene” visto che le concrete situazioni della vita secolare devono poter essere considerate “luoghi
teologici” della loro testimonianza e della loro santificazione (Cost. Sinod. 414).
La strada tracciata dal sinodo è quella di far crescere un’autentica spiritualità laicale (che è
compito dei laici, dei presbiteri e dei consacrati), e si dice testualmente “a tal fine è necessario un
intenso e continuo cammino di formazione, nel quale i laici sono protagonisti” (Cost. Sinod. 416).
Di tale formazione si dice che deve essere integrale e orientata a superare ogni frattura tra
fede e vita, e che ha come obiettivo:
- la crescita nella fede e nella conoscenza del messaggio cristiano,
- il senso di appartenenza alla Chiesa
- la capacità di leggere la propria esperienza nel mondo alla luce della Parola di Dio e della Chiesa.
Si tratta di una formazione (meglio: autoformazione come si insite in Cost. Sinod. 036) mai
acquisita totalmente ma che impegna tutta la vita e della quale il soggetto è il principale
responsabile (Cost. Sinod. 416-418).
• Si specificano tre ambiti particolari di formazione:
- la formazione teologica e spirituale
- la formazione culturale
- la formazione sociale e politica
Qualche veloce commento e sottolineatura:
- Si tratta di favorire una fede adulta, matura e che pertanto ha alla base una solida formazione
dottrinale e spirituale. In un tempo nel quale sembra prevalere l’appoggiarsi ai sentimenti e alle
emozioni (che è come il costruire la propria casa sulla sabbia, privandola di fondamenta adeguate),
occorre invece suscitare la volontà di una fede adulta, solida, stabile e che pertanto ha bisogno di
conoscenze oggettive (dottrinali, teologiche) e di un rapporto vivo (spiritualità, preghiera) perché il
proprio agire (la vita) sia effettiva testimonianza e sequela a Cristo.
- Una formazione che deve essere integrale, ma che si compone di diversi ambiti (da quello
pastorale a quello culturale a quello politico).
- Si insiste sul rapporto tra laici e mondo, tra laici e realtà secolari, tra fede e vita.
- Vi sono anche dei cenni sui luoghi e sui mezzi della formazione, sottolineando la parrocchia come
luogo privilegiato, anche se non esclusivo, della formazione (sottolineando però le difficoltà di
molte parrocchie). Si chiede pertanto di vivificare tale formazione... di far sì che si realizzi in
armonia fra quella svolta dalle realtà associative e quella svolta dagli organismi istituzionali. Si fa
pure riferimento all’azione del Centro Pastorale Diocesano e alle scuole zonali (Cost. Sinod. 432).
3.Uno sguardo alla nostra situazione attuale
Abbiamo alle spalle una storia variegata e una molteplicità di esperienze che rendono
difficile una esposizione sintetica circa il laicato nella nostra diocesi e le esigenze di formazione che
ne deriverebbero. Quanto qui espresso è necessariamente parziale e generico, cioè che può
benissimo essere confutato in base a qualche esperienza particolare di un certo momento storico o
di una determinata parrocchia o zona. Quanto qui riferito, tuttavia, può essere provocazione al
dibattito e alla riflessione, naturalmente non per innescare polemiche ma per ricercare modalità per
attuare quanto ci ha richiesto il Vescovo — e che sarà ripreso tra poco — circa il patto formativo.
• La nostra Chiesa — rispetto anche a diocesi a noi contigue — si distingue per una relativa
ricchezza di clero. Questo — al di là di tutti i vantaggi — ha portato forse anche a una relativa non
valorizzazione dei laici nella pastorale ordinaria. Da una parte è necessario preparare bene i laici,
poiché non può essere loro richiesto ciò che non sono stati preparati a dare, ne è sufficiente la buona
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intenzione (dei laici) per essere in grado di operare con mentalità di comunione e di missione.
Dall’altra è necessario elaborare
— come si è iniziato a fare con l’ultimo convegno pastorale del giugno 1997— modelli nuovi di
collaborazione tra laici e presbiteri, a partire dai consigli pastorali.
• La formazione dei laici adulti oggi appare in grosse difficoltà: le catechesi parrocchiali per adulti
raggiungono poche persone, e anche quelle fatte da movimenti e aggregazioni sono poca cosa
riguardo a quanti vengono a messa la domenica o a quanti si dicono cristiani. C’è un oggettivo
bisogno di rivitalizzare la formazione di base per tutti gli adulti, se — come dice il Sinodo — la
formazione cristiana è compito mai esaurito.
• Da un po’ di anni esistono proposte differenziate per la formazione degli adulti, sia all’interno
della parrocchia (catechesi classiche, catechesi bibliche, incontri culturali, centri di ascolto, scuole
per i genitori...) sia per i soggetti che le propongono (associazioni, movimenti...). Questa
differenziazione viene talvolta vista come segno positivo (non tutti i fedeli laici hanno le stesse
attese e capacità, la medesima spiritualità, cultura, tempo o i medesimi problemi e cammini di
fede...); altre volte invece questa pluralità di proposte viene guardata con sospetto, come se fosse un
disperdere energie, forze o addirittura una confusione e particolarismo di gruppi chiusi e con non
sufficiente ecclesialità.
• Le iniziative di formazione che sembrano più richieste dalla base pare siano quelle relative ad
una maggiore qualificazione per operatori pastorali (es. catechisti) oppure per un interesse
personale-individuale senza significativa ricaduta sulla comunità. Sembra che i laici chiedano di
essere maggiormente formati per divenire buoni operatori pastorali, dunque per una azione intraecclesiale. Per esempio da due anni è morta la scuola di formazione all’impegno socio-politico e le
ultime edizioni erano decisamente sotto-tono (il fenomeno è presente in tutta Italia) in una
indifferenza più o meno generalizzata. Inoltre si evidenzia una crisi accentuata delle associazioni
cattoliche di professionisti (medici, giuristi, farmacisti, imprenditori, maestri, insegnanti...) che
invece tendevano a promuovere una effettiva coniugazione tra fede e vita all’interno delle variegate
e complesse problematiche professionali.
• Sembra che la finalità dei nostri processi educativi e formativi sia l’avere un ricambio di
operatori pastorali laici (educatori di oratorio, catechisti, animatori sportivi...) non di formare
adulti che si collocano nel mondo per cercare Dio trattando le cose del mondo. Ma in questo modo
si svilisce la loro vocazione, la si restringe nei recinti delle attività meramente ecclesiali.
E’ vero che anche la liturgia e la catechesi sono azioni che incidono nella storia e nella cultura e
dunque hanno rilevanza sociale e politica.., ma è pur vero che i laici sono chiamati a vivere con una
famiglia, con un lavoro, in una società. Ne risulta che, concentrati sulle attività meramente
ecclesiali, i cristiani si collocano nel mondo, nelle realtà secolari (politica, economia, professione,
uso del tempo libero, uso del denaro...) senza una preparazione specifica assumendo criteri mondani
o riducendo la fede a una proclamazione formale di valori poi smentiti dalle scelte concrete. Il
rischio è che sul lavoro si è esattamente come chi non ha fede... ma poi il sabato si diventa
catechisti... o nel gruppo famiglia. In altre parole il rischio è quello che la vita ordinaria del laico sia
solo sopportata come un peso inevitabile ma non sia luogo di santificazione, luogo nel quale Dio
chiama a seguirlo e a costruire il Regno. Rimane profondamente disatteso quanto dice il Sinodo:
“questo vivere nel secolo non è un puro dato sociologico, ma è un dato teologico ed ecclesiologico:
è la modalità secondo cui vivere l’esistenza cristiana” (Cost. Sinod. 413 §3)
4. Le indicazioni del nostro vescovo
e la ricerca di modalità operative
Numerosi sono gli elementi che il nostro Vescovo ci ha offerto. Pensiamo al Sinodo, al
Convegno dello scorso giugno, alle linee pastorali per il 1997-98.
Anzitutto il Sinodo. Qui si mostrano una pluralità di interventi formativi, dei quali abbiamo
già fatto cenno. Bisogna sottolineare proprio questa pluralità: occorre dare valore a questi
interventi differenti nelle modalità, negli strumenti, nei destinatari, negli obiettivi. Ogni intervento
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formativo va valorizzato in tutte le sue potenzialità. Se una parrocchia non è in grado di fornire
questa pluralità di interventi formativi, il Sinodo esorta ad attivarli a livello inter-parrocchiale o
zonale. Es. per la lettura sistematica, continuativa e meditata della Bibbia (Cost. Sinod. 108) o per i
corsi di preparazione al matrimonio che pure sono interventi di formazione.
Il Sinodo insiste stilla maturità della fede: è evidente come la formazione dei laici deve
mirare a far crescere vocazioni laicali competenti in vari settori. Si può dire in ogni ambito — dalla
famiglia alla politica, dalla sfera educativa alla sanità... - il Sinodo esorta alla formazione di cristiani
con una competenza specifica. Se il cristiano deve essere pronto a vivere la propria fede in ogni
ambito (tutti abbiamo a che fare con diverse famiglie di conoscenti o vicini di casa, con scelte
politiche quotidiane, con giovani che si incontrano, con un qualche malato...) è anche vero che
vanno coltivate competenze specifiche e non soltanto generiche e approssimative. Dunque occorre
valorizzare la dimensione vocazionale del laico: che ciascuno sappia individuare quel campo
specifico nel quale può maggiormente formarsi per un suo apporto competente sia a livello
ecclesiale che civile (si può essere volontari in un ospizio, oppure rendersi disponibili, con
coscienza e competenza, ad entrane nel consiglio di amministrazione...).
A questo riguardo nelle linee pastorali 1997-98 “Riscoprire l’azione dello Spirito Santo”, si
insiste su un patto formativo tra i preti e i laici per valorizzare il laicato come già proposto a
conclusione del convegno di giugno ‘97. Dice il Vescovo che non si tratta di istituire strumenti
tattici o iniziative strategiche, ma di comprendere quanto lo Spirito suscita in ciascuno, nella
volontà di uno stile nuovo nelle reciproche relazioni. E poi aggiunge: “sollecito nella stima e nella
valorizzazione dei ‘carismi della laicità’, indispensabili perché i fedeli laici possano essere
operatori, animatori, testimoni nelle realtà del mondo...”. Poi chiede ai consigli pastorali
parrocchiali e zonali e alle varie aggregazioni laicali di riflettere e di segnalare quali ambiti sono da
privilegiare per istituire appropriati cammini di formazione, a livello zonale e diocesano.
5.Sollecitazioni per la riflessione e proposte
1. La maturazione della vocazione laicale
• La sfida è far sì che la vita concreta dei laici sia davvero luogo di santificazione, che naturalmente
è supportata dalla concretezza di una comunità cristiana di cui si è parte viva. Un tempo si parlava
di doveri del proprio stato. Oggi si tratta di riprendere la quotidiana e concreta esistenza fatta di
famiglia, lavoro, rapporti sociali, di divertimento... e senza cadere in prescrizioni moralistiche
aiutare ad essere consapevoli che nel quotidiano concreto si deve inscrivere la propria fede. La
famiglia e il lavoro anzitutto sono da riscoprire come luoghi in cui esprimere tutte le potenzialità
della propria fede.
•. La formazione può partire secondo due approcci, entrambi da valorizzare: a) perché il fedele
laico capisce l’esigenza di una sua preparazione-maturazione-crescita perché meglio sappia
cercare Dio trattando le cose del mondo; b) perché il fedele laico viene invitato a preparasi e
dotarsi di una specifica competenza: sarà il sacerdote o la comunità cristiana che invita (dona quasi
un “mandato”) a percorrere un certo cammino di formazione perché la persona sappia ritornare
nella propria parrocchia o comunità civile capace di svolgere meglio un particolare servizio (come
operatore pastorale oppure con particolari competenze e sensibilità sociali...). Si tratta di saper
individuare le potenzialità di ciascuno e farlo camminare a meglio prepararsi a rendere il suo
servizio nella Chiesa e nella società. L’importante è che ciascuno svolga bene e con un sentire
ecclesiale (e non come una fissazione o una prospettiva unilaterale) il suo servizio (caritativo,
liturgico, catechistico, sociale, politico...).
• Si tratta di far comprendere che la complessità dei problemi professionali che incontra un medico
oppure un insegnante oppure un imprenditore necessitano pure di luoghi di confronto tra fede e
professione che siano specifici, settoriali. Occorrerebbe incentivare la partecipazione e
rivitalizzazione delle associazioni professionali. Come? Che si conoscano anzitutto, invitandoli a
partecipare e facendo capire
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• come il proprio lavoro deve essere luogo di santificazione e che pertanto vanno scoperte le
possibilità di bene ivi iscritte.
• Per quanto riguarda la politica e l’economia vanno istituiti nuovi percorsi, con una triplice finalità:
a) preparare laici competenti e motivati dalla fede nella sfera socio-politica; b) preparare operatori
pastorali laici che sappiano mantenere viva nella comunità l’attenzione al territorio; c) preparare
operatori pastorali laici competenti nella relazione con gli enti locali, sempre più complessa e
complicata.
2. Distinguere vari livelli di formazione
I diversi livelli di formazione in ogni caso rimandano alla concretezza di una comunità cristiana
(che è incentrata sull’ascolto della Parola di Dio, sulla celebrazione dei sacramenti, sulla carità
fraterna) che ha come riferimento il Vescovo. In altre parole in ogni livello di formazione sem
pre va destata una forte coscienza di ecclesialità, e di una Chiesa viva e concreta, che è quella che ci
circonda. Non che ciascun livello debba coinvolgere tutti i laici contemporaneamente... e tuttavia i
diversi livelli non possono essere compresi se non nel loro intrinseco rapportarsi. E in ogni caso
ogni livello fa riferimento alla famiglia, lavoro, comunità ecclesiale e civile in cui il singolo laico è
inserito per meglio aiutarlo a vivere lì la sua fede. Distinguiamo questi quattro livelli:
• Formazione di base in parrocchia (o associazione o movimento, che però rimanda sempre alla
Chiesa locale);
• Formazione condotta in zona o in poli inter-parrocchiali (es. corsi di preparazione al matrimonio;
aggiornamento per catechisti...);
• Formazione che rimanda a 3 o 4 sedi diocesane (per es. Caravaggio, Soresina, Cremona,
Casalmaggiore/Viadana): es. la scuola di formazione teologica. Si tratta di formazione anche
impegnativa e di qualità, ma che va articolata sul nostro territorio e non centralizzata a Cremona;
• Formazione a livello diocesano — a Cremona - che richiede qualcosa di così specifico che non
può essere subito attuata a livello decentrato.
Occorre individuare cosa si deve fare, cosa compete ai diversi livelli, e che di fatto si inizi a
scegliere qualche cammino specifico. Secondo le indicazioni del Vescovo, e in base alle
segnalazioni provenienti dalle diverse parrocchie e zone, per il prossimo anno è stato predisposto un
insieme di itinerari di formazione con l’intento di offrire - dislocate sul territorio - variegate
proposte formative.
3. Che i laici siano protagonisti della loro formazione:
la questione del metodo
• Il rischio è che non si valorizzino i carismi della laicità, perché anche nella formazione essi non
possono esplicitare la loro esperienza, i loro problemi, la loro competenza, le loro aspettative.
Vanno ricercate modalità più interattive, più di partecipazione rispetto alle lezioni cattedratiche o
frontali alle quali si è abituati e rispetto a modelli formativi già preconfezionati.
• Non tutti i laici sono chiamati a vivere la loro laicità nelle stesse modalità: ognuno si caratterizza
per le sue doti, per la sua specifica competenza da curare e far crescere, per la propensione ad un
servizio piuttosto che a un altro: c’è chi è chiamato a fare il catechista, chi l’amministratore
comunale, chi l’educatore sportivo e chi il sindacalista... E’ bene pertanto istituire processi di
formazione specifici, capaci di far maturare vocazioni laicali competenti nei vari ambiti della vita e
della fede, non con la presunzione di insegnare tutto, ma con l’ambizione di innescare processi
formati e di auto-formazione che siano permanenti.
• Tutta la persona va “attivata”, con la sua intelligenza, emotività, esperienza... Occorre inoltre
tener presente che gli adulti non sono degli scolaretti: sono depositari di un’esperienza di vita e di
fede che va valorizzata, per evitare che i processi formativi siano troppo distanti dall’esperienza
oggettiva, dalla fatica quotidiana (anche se talvolta il proprio passato può risultare una sorta di
zavorra, una precomprensione che impedisce di imparare e di essere liberi).
• Investire sui formatori e anche su formatori laici...: quanto spendiamo nelle nostre comunità per
mantenere strutture, per restaurare beni... e quanto per la formazione? Da sempre l’aspetto
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educativo è stato messo al centro dell’azione pastorale della Chiesa: tuttavia occorre investire non
solo per ambienti belli e accoglienti (oratorio, impianti sportivi, centri pastorali parrocchiali..) ma
anche per preparare gli educatori, forma tori... E serve più tempo per far crescere un buon educatore
che per ristrutturare un oratorio.
• Tentare di far nascere dei laboratori, per cammini formativi diversi e specifici, consapevoli che la
formazione non può ridursi a manifestazioni di massa, ma che talvolta per essere efficace deve
svolgersi in piccoli gruppi: es. per équipe di pastorale familiare.
4. I laici: valorizzare la presenza di tutti
Il Sinodo (n. 436) chiede che sia valorizzata la presenza di tutti, e in particolare della donna,
nella società e nella stessa comunità ecclesiale; che per i giovani adulti e per gli anziani sia posta
una speciale cura pastorale. Così pure per i cammini di formazione occorre tener presente le diverse
fasi della vita, con le opportunità che ciascuna presenta. Qui ci si limita a tre evidenti osservazioni:
• Siamo in una società che vede aumentare la presenza degli anziani: si tratta di aiutare soprattutto i
giovani pensionati a farsi carico di responsabilità ecclesiali e sociali, con opportuni itinerari di
formazione.
• Itinerari formativi che vedono la presenza massiccia di giovani sono i corsi di preparazione al
matrimonio: si tratta di curarli sempre meglio, se possibile di cominciare a proporne anche di più
lunghi ed articolati, in modo che davvero facilitino la riscoperta della fede.
• In certi momenti della vita, presi per es. dal lavoro e dai figli piccoli, si può far fatica a partecipare
a itinerari formativi... Anche per la complessità della vita si deve incentivare il singolo a crearsi
appropriati strumenti formativi. Qui occorre ricordare l’importanza dell’autoformazione, che
sempre rimanda ad una vita ecclesiale, anche se con ritmi e modalità differenti. “L’autoformazione
va sostenuta predisponendo strumenti; è attualmente di particolare importanza abituare al confronto
critico, nello stile della fraternità, soprattutto quando si devono affrontare problemi nuovi per i quali
manca una consolidata tradizione con cui confrontarsi” (Cost. Sinod. 036).
5. Anche per la formazione spirituale, che è la base di tutto
• Vale il discorso precedente: ci sono diversi livelli da attuare in realtà differenti (parrocchia, zona,
diocesi...) e forme diverse (ritiri, esercizi spirituali, lectio divina.., ma attuati in molteplici modalità
quanto a silenzio, partecipazione interattiva, durata, scambio della fede...).
• Non si possono rinunciare a proposte di qualità con la scusa che si tratta di piccoli gruppi. Per es.
almeno a livello zonale si organizzino brevi corsi di esercizi spirituali residenziali (due-tre giorni)
sui quali per esempio aveva parecchio insistito il nostro Vescovo qualche anno fa. E anche qui i
moduli potrebbero essere diversificati.
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Conclusione
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Questa pluralità di livelli, di modalità, di dimensioni della formazione dei laici vede
coinvolti direttamente molteplici soggetti ecclesiali, e in particolare esige che sia valorizzato
il principio di sussidiarietà anche all’interno della Chiesa: i momenti diocesani non possono essere
eccessivi rispetto a quelli zonali o parrocchiali o associativi... viceversa debbono aiutare e
promuovere una formazione decentrata. Ed è per questo che vanno accolti, valorizzati come
preziosi strumenti, esigere che sempre più siano adeguati alle articolate e variegate richieste.
In altre parole si deve riconoscere come non è con qualche bella scuola o itinerario formativo che
facciamo maturare la fede, ma solo se ciascun soggetto ecclesiale converge e contribuisce
nell’innescare — nelle persone a cui ci si rivolge — quella decisone di fede che porta alla sequela
effettiva, a non contentarsi di nulla di ciò che sia meno di Dio, che non sia sentiero che conduce a
Lui, segno della sua presenza.
I Consigli pastorali (diocesano, zonale e parrocchiale) possono essere il luogo dove in modo
egregio si cerca di attuare quel patto formativo tra preti e laici a cui ci ha impegnati il Vescovo.
Con il coraggio di fare qualche scelta operativa concreta riguardo alla formazione dei laici. Non è
possibile attuare tutto o troppo, ma è possibile suscitare un desiderio e un’attitudine positiva nei
confronti della propria formazione cristiana.
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Rimane un problema di fondo: è facile rendersi conto — e magari lamentarci — che pochi
sono i laici adulti disponibili a una profonda e vera formazione cristiana, perché essa costa
fatica, tempo, rinunce, mentre invece la vita appare già piena di stress, zeppa di impegni e
naturalmente protesa a cercare piaceri e comodità.
La formazione richiede conversione, cambiamento della vita. E’ evidente che non può venire
spontaneo intraprendere cammini seri di formazione. Da qui la necessità di suscitare un’attesa di
formazione, una volontà che muova le persone a decidersi che vale la pena “formarsi”.
Questo appare il compito fondamentale: suscitare un desiderio, un’attesa di formazione. Il
Vangelo merita di essere meglio conosciuto; se si è catechisti, vale la pena preparasi
adeguatamente; la dottrina sociale della Chiesa va conosciuta apprezzata e concretizzata perché fa
parte della missione evangelizzatrice della Chiesa... Insomma se la fede non soddisfa è
perché la si vive in modo troppo superficiale e mediocre: vale dunque la pena impegnarsi per essere
fedeli laici che davvero sappiano testimoniare in ogni momento della vita (lavoro, famiglia, società,
politica, economia, divertimento...) la bellezza della propria fede.
Non si tratta di giudicare e di condannare. Tanti fedeli laici sono molto presi dal lavoro e
dalla famiglia (che sono il luogo primario della loro santificazione) e tuttavia spesso si perde tempo
in occupazioni frivole, davanti alla televisione o in divertimenti vuoti; anche il proprio lavoro e la
propria famiglia sembrano non colmare quelle aspettative che sono in ciascuno. Si tratta allora di far
cogliere che una fede vissuta pienamente è la risposta a quel vuoto, a quella mancanza di riferimenti
e di criteri che caratterizza la vita di tanti giovani e di tanti adulti. Far sorgere il desiderio di una
fede più matura: questo è il primo passo per innescare processi formativi.
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Nelle linee pastorali 1997-98 il Vescovo invitava i Consigli pastorali parrocchiali e zonali, come
anche le associazioni e movimenti, a riflettere su quali cammini di formazione per operatori
pastorali e per suscitare mature vocazioni laicali ci si doveva dotare nella nostra diocesi. Ai Vicari
zonali era stato consegnato uno schema di riflessione che aiutasse le zone e le parrocchie. Qui
rilanciamo la proposta.
Traccia di riflessione e di discussione
Queste le tappe:
a) Individuazione dell’obiettivo “formazione”
b) Richiamo alla situazione concreta vissuta da singoli e comunità circa l’obiettivo
c) Scelta degli obiettivi intermedi
d) Individuazione di strategie operative, metodo, tempi...
e) Distribuzione delle responsabilità...
a) L’obiettivo pastorale è quello di promuovere una maggiore formazione dei laici, che
presuppone pure una maggiore preparazione di operatori pastorali laici. Il nostro vescovo dice:
“L’intento è quello di favorire lo sviluppo di vocazioni laicali con maggiori competenze, capaci di
meglio animare cristianamente il mondo e di inserirsi nella vita della Chiesa con la ricchezza tipica
della loro identità laicale”.
Nella seduta del Consiglio Pastorale parrocchiale (o dell’aggregazione) dapprima si
chiarisca bene quale è l’obiettivo pastorale rifacendosi al Sinodo e alle linee pastorali
del Vescovo. Poi — anche mediante questo sussidio — suscitare nei laici il desiderio di
formazione.
b) Richiamo alla situazione. Si tratta di guardare brevemente, sinteticamente alla vita delle
comunità e dei singoli fedeli. Le analisi accurate non possono essere condotte in un solo incontro:
potrebbero servire molteplici riunioni. Ora invece si propone di interrogarsi su
• quali sono i cammini di formazione-catechesi (per giovani e adulti) proposti nella
parrocchia e come sono partecipati
• quali sono gli ambiti in cui maggiormente occorrono laici e operatori pastorali che si
impegnino per una rinnovata azione pastorale a partire dalla conoscenza del proprio
territorio e della propria realtà ecclesiale.
•
c) Scelta degli obiettivi intermedi. E’ evidente che la formazione non si identifica con delle
iniziative, e che una seria formazione costa fatica e pertanto molti non si renderanno disponibili.
Tuttavia occorre scegliere alcuni obiettivi intermedi, sui quali poi tornare a confrontarsi (fare una
verifica), altrimenti si rischia di limitarsi a sterili analisi e lamentele.
• Cercare di cogliere quali cammini diforrnazione possono essere pro posti nella parrocchia,
come poterli rilanciare, quali modalità possono essere più appropriate.
• Suggeriamo inoltre di prendere il sussidio degli Itinerari di formazione 1998-99 proposti
per l’anno prossimo e domandarsi: In quali campi sembra che la nostra comunità debba
attrezzarsi di persone meglio preparate, di operatori laici più competenti?
d) Strategie operative, metodi, tempi.
Si tratta di individuare persone, di porsi delle scadenze, di cercare un metodo.
Si tratta di motivare le persone, di suscitare un desiderio di formazione...
Non possiamo chiedere alle stesse persone di fare troppe cose: si tratta anche di individuare altri
laici e aiutarli a decidere che davvero vale la pena “formarsi” per meglio corrispondere alla propria
vocazione laicale.
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Indice
Presentazione
Alcune premesse
1. L’identità (vocazione e missione) dei laici
2. Le indicazioni del nostro Sinodo
circa la formazione dei laici
3. Uno sguardo alla nostra situazione attuale
4. Le indicazioni del nostro vescovo
e la ricerca di modalità operative
5. Sollecitazioni per la riflessione e proposte
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Conclusione
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Traccia di riflessione e di discussione
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