Le impari opportunità delle donne medico

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Le impari opportunità delle donne medico
DONNE MEDICO….E LE IMPARI OPPORTUNITA’
A cura di Anna Baldi, segretaria regionale della FPCGIL Medici Toscana, e delle compagne
dell’esecutivo nazionale della FPCGIL Medici
La data dell’8 marzo si lega strettamente alla storia del movimento per i diritti femminili, ma anche alle
lotte operaie. Lo dimostrano le varie ipotesi sulla genesi della celebrazione, che ricordano anche le vittime
di gravi incidenti in fabbrica nei quali furono principalmente coinvolte le donne. La versione più diffusa
ricorda l’8 marzo 1908, quando una fabbrica di Washington Square, a New York, avrebbe preso fuoco e
sarebbero morte 129 operaie.
Il Consiglio dei Ministri d'Europa il 30 gennaio 2008 ha formulato una raccomandazione agli Stati
membri nella quale ha sottolineato che "l'obiettivo per produrre uguaglianza, equità e rispetto dei diritti
umani per la dignità dell'individuo nell'ambito della salute richiede che gli effetti delle differenze di genere
e le loro conseguenze siano prese in considerazione nella pianificazione delle politiche sanitarie, nelle
prestazioni sanitarie e nei processi derivanti".
Il 5 marzo 2010 la Commissione europea ha adottato una “Carta delle donne” volta a tutelare i
diritti dell’universo femminile e contrastare ogni forma di disuguaglianza e di violenza all’interno e fuori
l’Ue. “Questa Carta rappresenta l’impegno della Commissione per rendere la parità tra uomini e donne
una realtà nell’Unione – ha affermato il presidente José Manuel Barroso -. Le donne e gli uomini
incontrano ancora disuguaglianze diffuse, con gravi ripercussioni sulla coesione economica e sociale, la
crescita sostenibile, la competitività e l’invecchiamento della popolazione europea. È quindi importante
introdurre una forte dimensione di genere nella futura strategia Europa 2020 che la Commissione
svilupperà nei prossimi cinque anni”. Tale dichiarazione politica presenta “cinque settori fondamentali
d’intervento e impegna la Commissione a integrare il concetto di parità tra uomini e donne in tutte le sue
politiche”. Ad esempio la Commissione intende favorire la parità sul mercato del lavoro, l’uguale
indipendenza economica per donne e uomini, la parità salariale per uno stesso lavoro, “la dignità,
l’integrità e la fine della violenza contro le donne”, la parità tra uomini e donne all’esterno dell’Ue.
I dati in sanità mostrano per le donne una difficoltà diffusa, con molte dottoresse in corsia e
poche nei ruoli apicali.
I dati sulla dirigenza del SSN rilevano, infatti, una situazione con molte donne in corsia e poche nei ruoli
apicali.
E' una tendenza cronica a giudicare dai dati del Conto annuale della Ragioneria dello Stato relativi agli
anni 2005-2008 e dell'Ufficio di statistica del Ministero del lavoro, della salute e delle Politiche sociali –
Settore Salute.
Le sproporzioni più rilevanti riguardano in generale proprio l'accesso alla professione medica e
specificatamente i vertici dei ruoli sanitari.
Nel Servizio Sanitario Nazionale infatti le donne costituiscono, in base ai dati del 2008, il 35 per cento dei
medici (erano il 30 per cento nel 2005) che lavorano nel SSN.
A fronte quindi di un medico donna ogni tre, soltanto una donna su dieci occupa un posto di dirigente
medico di struttura complessa, cioè l'ex primario: nel 2008 infatti su un totale di 9703 "primari" le donne
sono 1239 con una percentuale sostanzialmente stabile nel corso del periodo 2005-2008 pari circa all'1112 per cento. E la stessa proporzione di circa uno a dieci si rileva nell'ambito dei manager delle aziende
sanitarie dove nel 2007 i direttori generali sono complessivamente 941 di cui 132 donne, cioè il 14 per
cento (erano 133 nel 2006 e 113 nel 2005).
Ancor più significativo, in termini negativi, è il dato ufficiale del 2008 della Ragioneria dello Stato sulle
donne medico con rapporto di lavoro flessibile, cioè precarie: 3.725 su 6.544, il 57%.
Gli immatricolati nell’anno accademico 2007/2008 sono per il 55,2% donne; fra i laureati nel 2007, il
65,2% sono donne, e gli ultimi dati aggiornati dell’anno accademico 2008/2009 riconfermano l’aumento
della marea rosa con il 62% delle donne fra gli immatricolati; nel post-laurea, su 100 specializzati, il 58%
sono donne (dati MIUR 2007/2008). Le colleghe si laureano in medicina prima dei colleghi, in media a 26
anni, e con punteggi superiori: su cento laureati con lode ben 78 sono donne; come accade in tutti gli
ambiti lavorativi, però, alla preparazione professionale e ai massimi punteggi raggiunti dalle donne, non
corrisponde il riconoscimento negli avanzamenti di carriera. Le specializzazioni si concentrano nelle
branche in cui è più agevole conciliare lavoro e famiglia e le percentuali più basse si trovano nelle
specialità chirurgiche. Nella docenza universitaria, man mano che si sale la scala dirigenziale, la presenza
dei camici rosa si assottiglia:dal 38% dei ricercatori, si arriva al 24% degli associati, all’11% dei
professori ordinari, con una media inferiore al 30% nel corpo docente universitario.
I dati sembrano confermare come in un contesto sociale in cui si danno per acquisiti elementi
fondamentali quali le pari opportunità, sia ancora in atto un processo di differenziazione e
gerarchizzazione in grado di attribuire alle differenze biologiche una capacità di strutturazione sociale,
soprattutto in campo medico.
A fronte di un processo che ormai sembra irreversibile di "femminilizzazione del SSN" e la futura
inversione delle proporzioni, è fondamentale intraprendere una serie di misure organizzative e culturali
volte a facilitare e valorizzare il ruolo della donna medico nel SSN.
Anche la legge 102/2009 che prevede l’innalzamento dell’età pensionabile delle donne dipendenti
pubbliche a partire dal 2010, per arrivare a quota 65 anni nel 2018, è un provvedimento iniquo per le
38.000 donne medico e veterinarie, al quale ci siamo fermamente opposti. Si parte dalla necessità di una
pari opportunità, ma viene confezionata al ribasso, introducendo il principio della costrizione per tutti, e
non della flessibilità basata sulla libera scelta a fronte del nuovo sistema contributivo. Prevale lo spirito
punitivo per chi lavora nel pubblico e senza alcuna reale parità per l'organizzazione dei tempi complessivi
di vita: basti pensare alla mancanza di misure a sostegno delle famiglie, dagli asili nido, all'assistenza per
la non autosufficienza. Ciò che in altri paesi è supportato dalla comunità, in Italia spesso ricade sulle
donne, comprese le dottoresse.
Non è certamente un caso che la percentuale complessiva di 35% di donne dirigenti medico e veterinario,
sale a 50% nel part time, nonostante tutte le limitazioni, e scende a poco più del 10% per la presenza nei
posti apicali degli ospedali e dei servizi territoriali.
Anche nella sanità occorrono politiche nazionali e regionali che facilitino il raggiungimento di una piena
parità di genere nella vita sociale, culturale ed economica, la conciliazione vita-lavoro, la rappresentanza
e la partecipazione delle donne; come è stato fatto in Toscana con la Legge 16 del 2 aprile 2009, sulla
Cittadinanza di genere il cui primo obiettivo è quello di “agire nel rispetto dell’universalità dell’esercizio
dei diritti di donne e uomini” e con l’approvazione del conseguente piano attuativo 2009-2010 “Piano
Regionale per la cittadinanza di genere ”.
Il 20 febbraio è entrato in vigore il Decreto Legislativo n. 5 del 25 gennaio 2010 “Pari opportunità
e parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego”.
Il provvedimento rappresenta l’ attuazione della direttiva 2006/54 della Commissione Europea e modifica,
solo in parte, il Codice delle pari opportunità (DLgs 198/06). Fra le novità contro le disparità di
trattamento sul lavoro tra uomini e donne, il rafforzamento del divieto di discriminazione diretta e
indiretta nell’ambito della formazione e della riqualificazione professionale, inclusi i tirocini formativi e di
orientamento e la progressione professionale e di carriera.
Il decreto legislativo, però, non prevede “nuovi o maggiori oneri a carico dello Stato”, evidenziando il
perdurare del divario fra teoria e pratica e la necessità di una più incisiva forza degli accordi sindacali a
supporto.
L’impegno sindacale è per una sempre maggiore realizzazione delle pari opportunità nella sanità: vigilare
affinché siano attivati e resi funzionanti i Comitati per le Pari Opportunità nelle Aziende Sanitarie,
istituire in ogni Regione un Comitato per le Pari Opportunità per la Dirigenza Medica e Veterinaria,
intervenire sull’organizzazione del lavoro per favorire la conciliazione tra tempi di lavoro e tempi di vita,
eliminare sul lavoro ogni forma di discriminazione fra uomini e donne.
Immatricolazioni, dati per genere a.a. 2008-2009 (dati MIUR)
Il post laurea: scuole di specializzazione, a.a. 2007-2008 (dati MIUR)
Aree scientifiche e corpo docente (dati MIUR)