002 -EXTRA MAG - Villeneuve

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002 -EXTRA MAG - Villeneuve
«Gilles mi mancherà per due motivi. Primo, lui era
il pilota più veloce della storia delle corse automobilistiche. Secondo,
lui era l'uomo più genuino che abbia mai conosciuto. Ma lui non se n'è
andato. La memoria di quello che ha fatto sarà sempre qui»
«Abbiamo perso un amico, un pilota dal talento fuori
dal comune, un ragazzo entusiasta che possedeva qualità che noi francesi
definiamo “la joie de vivre”. Penso che non verrà mai dimenticato»
«Sono troppo triste per esprimere un' opinione. E'
la prima volta da quando corro che mi accade di perdere un collega, un
amico, è terribile, terribile..»
«Si tratta della più grossa perdita che l'automobilismo di F1 potesse avere. Villeneuve era un pilota superbo, sempre al
limite, che dava il massimo di se stesso sempre. Forse qualche volta
andava anche oltre il limite. Di certo era l'immagine di quello che dovrebbe essere un pilota... Sono arrivato fra i primi sul luogo dell'incidente e la cosa mi ha sconvolto oltre ogni limite..»
Gilles, nel suo piccolo, diceva che comunque fosse stato l'esito di una corsa,
non avrebbe potuto biasimare se stesso
per non aver gareggiato al massimo delle sue possibilità. Perchè correva con il
cuore. Gilles amava il senso della velocità. Gilles conosceva il senso della vita,
l'orizzonte di senso fondante ogni valore.
Ogni pilota sa quali sono i suoi limiti e i
rischi in pista che possono scaturire dai
propri o altrui errori di calcolo. All'uomo
riesce difficile comprendere il "sollen"
della morte, il suo intimo significato aprioristico. Neanche Gilles lo poteva accettare. Si dice che l'uomo che vada alla
ricerca della massima velocità possibile
non sia nelle vesti di comprenderla.
Gilles credeva che solo vincendo si potesse divenire eroi...
Almeno fu questo il significato delle parole che rivolse all'amico Jody , questi all'apice della sua gloria, sul gradino più
alto del podio di Monza, quel gradino che gli aveva permesso di elevarsi nell'olimpo degli immortali della F1. Guardava
dall'alto della sua posizione la folla festeggiante nel delirio
"rosso", con la fiera consapevolezza di essere appena entrato nella storia. Gilles la guardava da più in basso in quel
momento, accanto al sudafricano, ma nella storia c'è entrato anche lui. Dalle scarne e vuote statistiche non si evincerebbe la veridicità di una simile affermazione, ma di quel
che provano i cuori dei tifosi non appena si accenni al suo
nome, bè , non si potrebbe dire altrettanto. Tifosi italiani,
tifosi di tutto il mondo, tifosi della Ferrari, appassionati di
questo sport, tanto di quegli anni quanto di adesso. Alex Zanardi nel suo libro autobiografico dice a proposito della sua gara in rimonta dall'ultima posizione a Long Beach nel 1998 in F.Cart "Gli americani sono molto legati alla loro bandiera e alla loro patria, in quei giri conclusivi incitavano solo un pilota a superare l'altro, non c'erano più lo statunitense Herta in testa e l'italiano Zanardi alle sue spalle,c'era un pubblico che voleva assistere fino in fondo ad uno spettacolo,voleva vedere il compimento della favola". Non
importava la nazionalità, le divisioni particolaristiche del tifo per un determinato team o pilota. Il talento di
Gilles superava ogni angusta barriera. Non potevi e non puoi tutt' ora non simpatizzare ancora oggi per
questo uomo. In alcuni è vera e propria venerazione.
Gilles non vinse che sei gare. Eppure chiunque pensi a lui non può fare
a meno di associare al suo nome
l'appellativo di "campione". Sbaglia
chi crede che l'immortalità sia solo
una prospettiva metafisica inerente
al credo religioso, qualunque indistintamente, senza eccezioni. Potremmo chiamarla "immortalità laica"
senza forzature di significato. Riposa
,a fronte dell'oblio del tempo, nell'animo delle persone.
La morte non ha scalfito il suo ricordo, la sua immagine non ne è stata
corrotta, ma i tratti indelebili di essa
ne sono stati potenziati. Chissà se
negli ultimi istanti della sua esistenza, cosi' fragile perchè sempre al limite, abbia avuto l'intuizione se non
la piena cognizione, per un attimo soltanto, che la vita raggiunga la sua pienezza attraverso la coscienza
di questo dover-essere ineluttabile.
Il Canada era la sua patria e nel circuito di casa Gilles trionfò al primo anno in Ferrari. "Ile de NotreDame" ha voluto rendergli omaggio; il circuito di Montreal porta ora il suo nome. Nel piccolo cimitero di
Berthierville, una cittadina del Quebec, dove non nacque ma crebbe, una lapide ricorda il pilota canadese, le cui ceneri furono riportate a Montecarlo dalla moglie Joann.
"Tutto scorre e nulla rimane. Tutto è mutevole e soggetto al divenire universale del
tempo" soleva dire Eraclito, ed è un insegnamento che ci è stato tramandato nel corso
dei secoli a dispetto del contenuto di questa massima. Dal 1982 sono cambiate tante
cose. Molte. La dimensione del tempo non ci appartiene, noi apparteniamo ad essa.
Un'amara considerazione: i tre che salirono sul podio di Imola 1982 oggi non ci sono
più. Eppure non è passato troppo tempo da allora. La memoria conserva il ricordo di
ciò che è stato. E trae la forza di continuare ad esistere fino a quando viene alimentata.
Proprio come il mito di Gilles."
E' forse leggenda un episodio singolare che ci è stato tramandato, secondo il quale Enzo Ferrari, il patron della "Rossa", ordinò che tutte le 126 C2 ancora esistenti
venissero distrutte per sempre, cosi' come se volesse in tal modo liberarsi e purificarsi dai sensi di colpa di averle fatte venire al mondo. Forse c'è un qualche fondo
di verità. Tutte le leggende ne hanno uno. Un atto per cancellare l'infamia e la consapevolezza di mal sopportare l'idea che un progetto si sia rivelato fallimentare
umanamente parlando? O un profondo e veritiero pentimento, omaggio alla memoria del prediletto, il pilota verso il quale aveva un vero rapporto di ammirazione, lui
unico tra tutti gli "eletti" chiamati a correre per la scuderia che poteva contare sulla sua illimitata fiducia. Di Enzo Ferrari, della sua personalità, tutto si può dire, pareri alquanto discordanti e
antitetici si fronteggiano accanitamente. Cercare di analizzare un personaggio di tale levatura e
spessore è forse troppo arduo, persona schiva, di certo autoritaria, acre, scontrosa, testarda,
orgogliosa, anche fin troppo, ma una persona che invitava a farsi scoprire intimamente, a comprendere le più naturali e autentiche passioni che portavano quest'uomo ad agire ,soltanto dopo aver prima conquistato la sua fiducia. Ma si badi bene di non confondere l' "agire" personale
da quello pubblico. Noi conosciamo solo l'Enzo Ferrari che non amava dare di sè un'impressione troppo paterrnalistica e qualcuno potrebbe, forse, dire non scrupolosa eticamente quanto
invece il contrario, avida e arrivista. Molti utilizzerebbero una espressione di machiavellistica
memoria, il fine giustifica i mezzi. Si dice gli stesse a cuore più la macchina che il pilota. Semplice valore affettivo certo, d'altronde era la "sua" scuderia, un marchio che era con tanti sforzi
riuscito a far nascere e a far divenire un icona mondiale del "made in Italy". Al Drake l'Italia intera è grata e la Ferrari è sempre stato un motivo d'orgoglio per noi nati nel "Bel Paese".
Con Gilles, si è detto c'era
un rapporto speciale. Chissà che cosa spinse Ferrari
a stracciare letteralmente il
contratto appena sottoscritto con un certo Eddie Cheveer che nel lontano 1978
ancora non aveva nomea,
essendo un giovane yankee
trapiantato in Italia, e a mettere sotto paga,senza pensarci due volte appena se
era presentata l'occasione,
un
canadese
semisconosciuto che aveva debuttato l'anno precedente in
un quasi anonimo gp a Silverstone. Forse le stesse
speranze che a suo tempo
aveva riposto in colui che si
sarebbe rivelato in seguito
un freddo calcolatore, un
vincente, ma all'epoca
dell'approdo a Maranello,
poco esperto e soprattutto,
dimostratosi ancora poco
vincente? Di certo è che i
due di cui stiamo parlando
erano agli antipodi, per concezione, per modo di vivere, di intendere l'essere pilota.
Al giorno d'oggi ha fatto notizia
il fatto che un tedesco di Kerpen, un certo Micheal Schumacher, detentore dei più insigni
records che la F1 moderna ricordi dai giorni dei suoi albori,
si sia ritirato. E' calato il sipario
sulla carriera del teutonico. Si
spegnerà ben presto l'eco delle
sue gesta? E' una domanda controversa, ma non troppo retorica, a
cui non c'è risposta unanime perchè, attorno a questo personaggio,
non è mai stato suscitato, nè forse accadrà mai , che vi sia un consenso su cui convergano pareri non discordi. Alcuni gli rimproverano di non essersi fatto amare troppo. I suoi connazionali e gli italiani, stampa e tifosi, per ovvi motivi lo accettano cosi' come è stato.
O perlomeno la gran parte di essi. Altre volte e spesso, le critiche di
molti, tra cui quelle di alcuni suoi colleghi in pista, lo hanno assalito,
ma ne è rimasto indenne ed indifferente, non demoralizzato ma ancora di più motivato. Paradossalmente la carriera del teutonico in
F1, può essere suddivisa in due grandi filoni, seppur decidere delle
delimitazioni si riveli sempre un qualcosa di avulso e astratto. Un'età della maturazione, dell' istinto e di converso un'età della maturità,
della freddezza calcolatrice. Si può concludere sia stato un Villeneuve e un Lauda allo stesso tempo. Nella prima epoca è prevalso
il "gene Gilles": gare all'attacco, velocità, grinta, una volontà di andare oltre i propri limiti, e quelli della vettura a disposizione, che
talvolta si è trasformata in foga inconcludente, in errori grossolani.
Una seconda in cui, magistralmente ha saputo affinare le sue doti e
coniugare le qualità dei due campioni.
"E' guerra, guerra nella maniera più
assoluta" Gilles Villeneuve
"Pironi ha sottovalutato l'invito al senso di responsabilità rivolto dai box ai
piloti con il cartello costantemente esposto dal 45° giro. Comprendo il legittimo disappunto di Villeneuve e ho
condiviso le sue preoccupazioni per i
rischi affrontati. "
Enzo Ferrari
Questi i primi pensieri del canadese al termine della gara di Imola. E forse erano gli stessi
che lo tormentavano nei suoi ultimi istanti di vita a Zolder, prima e durante quel giro di qualificazione. Lo aveva definito "tradimento" ciò che era successo nel gp in terra italica. Credeva che fra loro due ci fosse un qualche rapporto di amicizia e lealtà. Gli eventi di Imola
furono un equivoco. Non lo comprese. Neanche i tifosi perdonarono Didier quando non si
presentò per sua propria volontà al funerale. Destino. Joann la moglie di Gilles disse di
guardarsi le spalle dal francese. Dopotutto erano si amici fuori e dentro il paddock. Ma in
pista è pura competizione una volta abbassate le visiere. Sesto senso femminile? Gilles
provò la consistenza delle parole della moglie, e con esse mise anche alla prova il carattere del francese. Mancano sei giri alla fine, Gilles vuole un arrivo trionfale in parata delle due
rosse. Le Ferrari girano quasi appaiate, ma Didier nel penultimo giro dopo aver tamponato
per due volte il canadese, lo costringe ad andare fuori traiettoria sull'erba superandolo. Ignora la segnalazione box "Slow", di cui ancora oggi ne è controverso il significato. Vince.
Villeneuve stenta a credere a quello che sta accadendo. "Tutte le volte che io ero davanti,
giravo in 1'37"5, 1'37"8. Quando lui è passato abbiamo girato in 1'35"‘5 e con una staccata
al limite mi ha passato e mi ha chiuso alla Tosa, rischiando di far eliminare entrambe le
Ferrari. Poi, non contento, ha anticipato la frenata di 50 metri e quasi lo tamponavo. L'ho
passato, poi si è fatto tanto sotto che quasi mi tamponava.”
Pironi si giustificò dicendo che rallentare poteva risultare pericoloso se si fosse voluto preservare le pale delle turbine che avrebbero continuato a girare forte nonostante le basse
velocità. "Ecco perché ho sì rallentato, ma non troppo." - disse - "Anche Gilles sa che il cartello "SLOW" vuol dire solo usare la testa, e io credo di averlo fatto."
Sarebbe comunque pura follia affermare, anzi anche pensare o credere, che l'incrinazione dei loro rapporti fosse stata la causa principale di ciò che accadde a Zolder. Semmai una determinante occasionale che agi' in maniera contingente sull'animo del canadese
quel giorno, misto ad altri pensieri. Che vi fossero sentimenti
contrastanti è piuttosto lampante, che vi fossero pensieri legati alla
sua vita personale meno; che poi la Ferrari 126C2 fosse alquanto
pericolosa è infine un dato di fatto. Non possiamo scavare, discernere, giudicare i sentimenti, le emozioni che hanno accompagnato Gilles quel sabato. Tutti
noi dall'esterno e a distanza di anni non abbiamo questa pretesa, consci che la soggettività
umana è qualcosa di relativo e di remoto, che non possiamo arrivare a comprendere in maniera univoca. Le cause sono piuttosto oggettive e vanno ricercate altrove..
"Non puoi nel corso della tua carriera rimandare sempre ad un domani per vincere" Gilles
Villeneuve
Mancano meno di otto minuti al termine della seconda sessione di qualifiche. A Zolder
non si parlano nonostante l'ing Forghieri abbia tentato di farli riappacificare. Nell'ultima
ora, all'undicesimo passaggio, Pironi fa segnare un tempo più veloce di centoventi millesimi di secondo rispetto a quello di Villeneuve, 1'16" 620. Il canadese aspetta venti
minuti ai box prima di ripartire, ma quando
decide di farlo dopo aver percorso la pitlane
ed essersi immesso nel circuito, le gomme
si scaldano e sembrano essere già al limite.
Ha un'unica convinzione: fare meglio del francese. Il suo orgoglio non avrebbe mentito il
suo stato d'animo... Una vettura di soccorso entra in pista procedendo molto celermente
nella zona della variante retrostante ai box. E' successo qualcosa, si sparge la voce. Però
non si sa bene ancora cosa. Forse un incidente, uno di quelli gravi. L'altoparlante comunica che una vettura è ferma alla curva "Terlamen". Da questo momento si inizia a delineare
meglio il quadro della situazione e le comunicazioni si fanno più fitte. La serietà dell'accaduto sembra essere confermata. Si comprende solo in seguito che si tratta della vettura
n.27. Viene esposta la bandiera nera e le vetture cessano di girare sul tracciato. Inizia la
corsa di giornalisti, fotografi e pubblico verso la curva della fatalità, una salita e poi una
successiva discesa immette direttamente nel curvone in questione. Segni di gomme sull'asfalto, di vernice rossa, solchi sul prato ai lati della pista, buchi profondi nel terreno causato
dai successivi ribaltamenti della vettura, parti della 126c2 sparsi qua e là. In fondo un ammasso di rottami parcheggiata a centro pista, e a pochi metri da questa ,a bordo pista, la
March quasi integra di Mass....
... Davanti c'è la bianca vettura di Mass più lenta di circa cinque secondi, nel suo giro di
rientro ai box. Il tedesco si accorge, grazie agli specchietti, che Gilles lo sta seguendo a
poco più di trenta metri. Affrontano una curva veloce a sinistra da percorrere solitamente in
quarta o in quinta marcia. Jochen per non far perdere tempo prezioso al canadese che stava tentando il suo giro veloce si sposta sulla destra cosi' da farlo passare, la Ferrari invece
tenta il sorpasso proprio sullo stesso lato. Con la ruota anteriore sinistra Villeneuve tocca la
posteriore di Mass. "Un giorno, in una curva nel bosco, una Ferrari prese il volo e il suo pilota vide il cielo venirgli incontro. Un attimo, e la traiettoria terrena era finita. Un altro attimo,
e cominciava quella celeste." ("Gilles Vivo" M. Sabbatini). La macchina compie due looping
completi per un totale di venticinque metri di volo, e sfiora il guard-rail, il tutto fa presagire il
peggio, ma nè la macchina è eccessivamente danneggiata, nè il pilota è in condizioni irreparabili. Ma non è finita. Il looping successivo sulla terra, circa mezzo metro prima dell'asfalto della curva a destra complica irrimediabilmente la faccenda. In questo preciso istante Villeneuve viene catapultato fuori dalla macchina, le cinture si staccano dalla monoscocca, il suo volo guardandolo ancor oggi a distanza di anni è terrificante. Atterra malamente
con la spalla destra sulla terra friabile, la sua testa si scontra contro un sostegno della rete
di protezione, si ha l'impressione che la spina dorsale abbia avuto la peggio. Perde il casco. E' il momento maggiormente critico: subisce l'ematoma al cervelletto e la rottura delle
vertebre cervicali. La sua vettura senza il pilota a bordo prosegue il suo calvario: i continui
ribaltamenti producono un ennesimo volo di quattro metri circa, e alleggia pericolosamente
sopra la March che nel frattempo rallenta. Jochen inizia ad acquisire la consapevolezza di
quanto sta accadendo vicino a lui. Le scarpe di Gilles vengono ritrovate a duecento metri
dal luogo dell'incidente, il suo casco a cento metri, il volante a centottanta.
La tragedia si è compiuta con il concorso di molte
cause. La foga di Gilles che ha portato ad una incomprensione con Jochen che girava più lento
davanti prima su tutte. Poi le gomme. I piloti avevano a disposizione per le qualifiche , quell'anno,
due treni di pneumatici. La miscela era tale che
potevano durare per due giri , in tutto quattro, se si
tiene in conto anche dei giri lanciati. Ecco il perchè
delle frequenti uscite di pista dei piloti nel tentativo
di fare un giro decente. La degradazione della
gomma non avrebbe permesso una perfetta aderenza necessaria per far segnare il tempo veloce
sul cronometro. La velocità dei motori turbo rispetto a quelle degli aspirati. Le cinture di sicurezza
della 126c2. La Fisa apri' un inchiesta a riguardo
indagando sulle condizioni della vettura numero
27. A causa dell'impatto i sei punti di attacco delle
cinghie di sicurezza furono strappati via, lo stesso
dicasi per il divisorio fra l'abitacolo e il motore. La
cellula di sicurezza però non era in condizioni pessime, i pezzi staccati furono rimessi al loro originario posto e si potè notare come combaciassero
perfettamente. Se il pilota si fosse trovato all'interno non avrebbe lamentato danni irreparabili per lo
schiacciamento, però c'è da dire anche che a 250
km/h le sollecitazioni create con tale velocità erano
difficili all'epoca da limitare e il collo era soggetto
ad uno sforzo fisico notevole al di là di ogni sopportazione umana e naturale. Lo scollamento
dell'ordinata divisione tra abitacolo e motore fece
saltare sia i due bulloni di fianco al pilota, quelli
che tengono le cinte laterali, che quello che passa
in mezzo alle gambe del pilota. E' per questo che
Villeneuve è stato sbalzato dalla sua auto durante i
ripetuti loops, fino ad atterrare sull'altro lato della
pista con cinture e seggiolino attaccati alla schiena.
In meno di un minuto arrivano i soccorsi. Prima
dagli stessi piloti, poi quelli medici. Si tenta una
respirazione artificiale e il massaggio cardiaco, in
seguito viene trasportato al centro di rianimazione
del circuito dove gli elicotteri sono pronti per trasferirlo nell'ospedale che dia le maggiori garanzie.
Vengono avvisati, tra gli altri, Enzo Ferrari, Jody
Scheckter e la famiglia del canadese. La moglie e i
figli non lo avevano seguito in quel week-end di
gara, perchè la domenica si sarebbe dovuta celebrare la cresima di Melania. Verso le 14.30 viene
deciso il trasporto all'ospedale universitario di Leuven. Le condizioni dell'ematoma sono sempre più
gravi, Gilles diventa viola in viso. Viene rilasciato
verso le tre e mezza del pomeriggio un primo parziale bollettino medico. Perdita di conoscenza, ferite al collo e al cervelletto: le sue funzioni vitali sono
altamente precarie e l'unico sostentamento è rappresentato da cure intensive. Tutti sono scoraggiati
e anche il medico canadese Bertrand, specialista
di ortopedia del cervello non può che confermare
la diagnosi dei colleghi belgi. Poco prima della cinque di sera viene data a Gilles l'estrema unzione,
che si salvi, oramai, appare sempre più un miracolo. E nel caso in cui sopravviva, il suo corpo sarà
paralizzato. Passa un'altra ora e giungono in ospedale i famigliari e gli amici più intimi. Jody è operato all'ernia al disco, non può muoversi, al capezzale del canadese c’è la moglie Joann.
Ore 21,12. Il secondo comunicato dell'ospedale
recita mestamente: "Gilles Villeneuve è morto alle
21,12", seguono le firme dei primari sul bollettino
medico. I suoi funerali vengono celebrati a spese
dello Stato del Quebec.
"Mi sono fermato sul luogo dell'incidente e sono subito corso da Gilles per aiutarlo. Nonostante il panico, vista la gravità dell'incidente il mio sguardo si è fermato una attimo sulla
macchina. Era completamente distrutta, irriconoscibile. Sono rimasto attonito. Non osavo
pensare alle sue condizioni. Mi sono girato per cercarlo e ho visto il suo corpo accartocciato sulle reti di protezione. Il suo casco non c'era più. Il suo viso era blu. Watson era con me
e abbiamo cercato di dargli i primi soccorsi. L'ambulanza è arrivata poco dopo. Dire che
eravamo tesi è dir poco mentre stavano cercando di rianimarlo. E lo stesso dicasi per i soccorritori qualificati. Non avevano la benchè minima idea, se e in che modo, si potesse riuscire a salvarlo. E' stato un momento terribile, la prima volta che ho visto morire qualcuno
sotto i miei occhi in tal modo. La sera quando era stato reso ufficiale il suo decesso non mi
sono meravigliato. Avevo ancora l'immagine di lui agonizzante impressa nella mente".
Questo grossomodo, quanto dirà Warwick in una intervista anni dopo. Quando Pironi arriva
sul luogo dell'incidente, sconcertato viene portato via accompagnato da Jochen (Mass
ndr). Non parteciperà alla gara in segno di lutto. L'incidente lasciò un sentimento di vuoto
nel paddock e due piazzole libere in griglia. In un intervista televisiva domandarono a Didier se avrebbe rifatto il sorpasso a Gilles nel G.P. di Imola del 1982. Con gli occhi tristi e
malinconici, abbassò la testa e con una fioca voce, a stento per l'emozione ma non per le
sue reali convinzioni, disse di no. Un no pieno di dolore e pentimento. Anche lui era tormentato da quel sorpasso. Al G.P. di Hockenheim, dodicesima prova della stagione, durante le prove ufficiali sotto una pioggia incessante nonostante l'estate, Didier, in testa alla
classifica piloti fino a quel momento e molto probabilmente campione a fine anno, scorge in
ritardo la Renault di Prost e i suoi riflessi pronti, non gli permettono però di evitare l'impatto.
Non correrà mai più in F1. Per uno strano destino, nonostante il grave incidente in cui si
era potuto ritenere un miracolato e nonostante l'età ancora giovane, troverà la morte in una
gara di off-shore nell'agosto del 1987. Non
vedrà mai venire alla luce i suoi due figli:
anche per lui i soccorsi si rivelarono invani.
La moglie decise che Gilles e Didier sarebbero stati anche i loro nomi di battesimo. Ci
piace pensare a loro due, amici come una
volta, riappacificati lassu'...
Molti avevano storto il naso quando venne annunciato Patrick
Tambay come pilota ufficiale della Ferrari a partire dall'appuntamento a Zandvoort. Correva ancora l'anno 1982. La morte di Gilles
aveva scosso l'ambiente, lo stesso Ferrari commosso aveva sentito il dovere di ringraziare il canadese per le sue qualità umane. Pironi aveva corso da solo a Monaco, a Detroit e a Montreal.
Quell'anno ci lasciò anche Riccardo Paletti. In Quebec, a Montreal.
Tambay era stato uno degli amici più sinceri del canadese. Aveva
preso la decisione di mollare tutto dopo quel giorno di Maggio. Tutti
gli avevano assicurato che Gilles sarebbe stato felice se un giorno avesse corso al posto
suo con il numero ventisette e che sarebbe stato forse l'unico ad avere questo privilegio.
Un pilota non molto veloce, senza grinta.. Imola l'anno successivo alla morte di Gilles: dopo essere scattato dalla terza piazza in griglia di partenza, cosi' come l'Aviatore un anno
prima, guida autorevolmente al comando e trionfa alla fine della gara meritatamente. Tambay portava sul suo muso il numero ventisette. E' uno di quei giorni in cui verrebbe spontaneo dire che esiste un disegno divino...
"Descrivere cosa ho dentro è tanto difficile. Villeneuve era un grande pilota. Dava sempre il massimo... Era un pilota di una valutazione superiore, il classico talento naturale."
"..Con Gilles ho perso un amico, una persona che stimavo. A mio avviso era il più bravo perchè ha sempre cercato di andare al massimo delle sue straordinarie possibilità. Era un grande professionista.."
Ancor oggi Gilles
Villeneuve è osannato come soltanto
pochi eletti della F1
lo sono stati. Fans
da tutto il mondo
giungono quasi in
pellegrinaggio nella
sua casa a Bertherville in Quebec, per
vedere la statua di
bronzo a grandezza
naturale che reca
l'epitaffio
"Gilles
Villeneuve
19501982. Addio Gilles"
e che fanno la fila
per visitare il museo a lui dedicato, in
cui si possono trovare numerosi memorabilia dalla sua vita in pista e anche privata. Scritte
in suo onore come "Gilles per sempre" o "Gilles vive ancora" appaiono sui cartelloni dei
tifosi a Imola , dove la Curva che porta il suo nome commemora la scena di uno dei suoi
più pirotecnici incidenti. Personalità carismatica, della sincerità e modestia ne faceva i punti
di forza del suo carattere. Anche quando arrivò d'un colpo la fama. Sempre sicuro delle sue azioni, determinato, serio, introverso ma allo stesso tempo irriverente, e affabile con gli
amici, molto attaccato al senso della famiglia.
La leggenda di Villeneuve porta con sè molti dei elementi tipici di una vicenda tragica, per il
fatto di avere protagonista un giovane ragazzo di umili origini che realizza il suo sogno di
gloria e ricchezza consegnando se stesso alla volontà della sorte e alla passione per i motori e che alla fine si ritrova egli stesso vittima di quel fato che ha inseguito e cercato prima,
raggiunto poi. Una vita vissuta al limite al volante di una Ferrari che gli ha concesso onori,
la benevolenza dei tifosi ma anche la morte. Ed è proprio grazie alle sue eccelse capacità
fuori dall'ordinaria amministrazione e a quel suo coraggio misto a spericolatezza, al suo
innato talento nel portare al limite il suo mezzo e la pura passione, che si è potuto realizzare più di una volta un evento a cui pochi campioni ci hanno abituato, quello di una completa
simbiosi psicologica delle emozioni provate nell'assistere ad una delle sue indimenticabili
prestazioni in pista.
Lo splendido e funambolico stile di
approccio alla guida catturò l'immaginazione di chi lo vedeva in azione e
tutto ciò saltava all'occhio subito, e fu
cosi' che iniziò ad eccellere sotto
questa visuale rispetto a qualunque
altro protagonista in pista. La predisposizione, l'eleganza, lo stile, lo spirito di combattimento, la spudorata fin
troppo ovvia destrezza e il rischio
nell'osare manovre fin troppo difficili,
la capacità di rendere spettacolari
anche quelle con un minor rischio di
margine di errore, tutto questo serviva ad enfatizzare una non meno celata battaglia titanica
contro la "Velocità" che è l'essenza pura a priori della competizione motoristica. C'erano
fondamentalmente tre ragioni alla base della sua fin troppo esplicita elementare, quasi primitiva capacità di regalare emozioni alla guida di una monoposto. Sentiva ardentemente la
volontà di dimostrare di possedere, prima che agli altri a sè stesso, la qualità prima alla base dell' "essere pilota", mancando questa, tutto non sarebbe stato possibile, la competitività,
le motivazioni. In una parola gli stimoli. Se volessimo fare un paragone, potremmo dimostrare come l'esistenza stessa, o meglio di soggetto e sostrato, in termini di essenza ed esistenza in se per sè, sia la qualità principe, con ovvia doppia valenza semantica, senza la
quale le altre che connotano ontologicamente l' uomo, non potrebbero esistere nè sussistere. Una prima causa incausata in pratica. Ma qui sconfiniamo in un altro campo che non ci
pertiene. Voleva dimostrare il suo valore ovunque e contro chiunque, in ogni giro, anche in
prova, in ogni circuito, e pensava che il miglior modo fosse pretendere dalla sua Ferrari prestazioni sempre al limite. Sentiva l'obbligo di ricambiare i tifosi dell'affetto in questa maniera,
la più ovvia per un pilota. Sapeva che in loro poteva rispecchiarsi per l'amore che essi provavano e riponevano nella F1. E lo spettacolo visivo concesso non era dunque da meno.
Ma il fattore "estetica" non era tutto. Era un cultore della velocità pura, affermava sempre di
voler "portare al limite" ogni mezzo gli venisse sotto le mani che avesse un motore. Raggiungere il fatidico limite e cercare di prolungare il più possibile questo istante nel caso reputasse di averlo carpito. Che "istante" era destinato a non essere più tale. L'alto tasso del
rischio, la soddisfazione piena esperita nella consapevolezza di aver saputo pretendere ed
ottenere il controllo sul suo mezzo. La suspence. Questa era tutta la sua vita.
Sono passati venticinque anni da allora. E mi è sembrato giusto volerlo ricordare con questo ritratto commemorativo. Con queste parole. E cosi' come era iniziato, con la semplice ma evocativa l'elegia funebre
pronunciata da Jody Scheckter avrebbe la modesta
pretesa di terminare. O meglio, con il suo incipit :
«Gilles mi mancherà per due motivi...»
Perchè due validi motivi li avrete senz'altro anche voi.
Fonti e ringraziamenti:
- dinamica incidente di Zolder: Autosprint 19 maggio
1982 - articoli: “Quel corpo lassù” di Giancarlo Cevenini e “Una bandiera nera e poi=” di Mario Simoni
- citazioni: di G. Decourage, M. Alboreto, E. Cheever,
E. De Angelis, N. Lauda, E. Ferrari: Autosprint 19
maggio 1982 - articolo “Gilles è volato via”
- intervista a Warwick: Motorsport, Aprile, Speciale
per l’anniversario dei 25 anni dalla scomparsa di Gilles - ho tradotto liberamente l’intervista a pag. 61
Marco Nuvoli:
http://statistichef1mn.altervista.org/
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