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OPINIONI A CONFRONTO
Enrique Hausermann,1 Silvio Garattini 2
Farmaci biotecnologici e protezione
brevettuale: ancora alla ricerca di un equilibrio
Abstract il brevetto nel settore farmaceutico dovrebbe proteggere una reale no-
PA R O L E C H I AV E :
vità terapeutica, per non rischiare di diventare irrilevante come strumento di incentivo alla ricerca e risultare allo stesso tempo un ostacolo al controllo della spesa farmaceutica. per quanto riguarda i farmaci biotecnologici in particolare, bisognerebbe introdurre un sistema in grado di trasferire la possibilità di svilupparli allo stesso
modo in cui si produce l’originale, evitando di prolungare di fatto il brevetto indefinitamente. Di seguito vengono riportate diverse opinioni in proposito, sia dal punto di vista industriale che di sanità pubblica.
Brevetto,
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Quaderni di Farmacoeconomia
28 - ottobre 2015
Farmaci Biotecnologici,
SpeSa Farmaceutica
1
Enrique Häusermann
Presidente di Assogenerici, Milano
1
Silvio Garattini
Direttore, IRCCS Istituto di Ricerche
Farmacologiche Mario Negri, Milano
OPINIONI A CONFRONTO
scita dei prezzi è in continua evoluzione.
penso, ad esempio, ai farmaci antitumorali che vent’anni fa costavano (e quelli
maturi tuttora costano) pochi euro,
mentre i farmaci recenti arrivano a decine di migliaia di euro all’anno, diventando un costo oramai insostenibile per il
nostro Servizio Sanitario nazionale
(SSn). e, continuando di questo passo,
i miliardi di deficit della spesa farmaceutica ogni anno aumenteranno. Quindi,
dobbiamo stare molto attenti perché,
forse è bene ricordarlo, il nostro SSn
rappresenta un grande beneficio per i cittadini e la sua ‘non sostenibilità’ vorrebbe dire ritornare ai sistemi mutualistici
del passato, fondamentalmente assicurativi, che certamente non ci potrebbero
mai dare quello che invece può offrire un
servizio sanitario pubblico. e’ un problema serio, anche se molti pensano che la
spesa farmaceutica non sia così importante nell’ambito della spesa sanitaria;
però non dobbiamo nemmeno dimenticare che è ormai molto vicina al 20% della spesa totale del SSn. Quindi, non parliamo di una piccola frazione di spesa
sanitaria, a maggior ragione se separiamo
in qualche modo la spesa comprimibile
da quella incomprimibile, tipicamente
rappresentata dagli stipendi dei dipendenti del SSn. Se andiamo a vedere quale è il reale vantaggio di molti di questi
farmaci biotecnologici, trattasi, salvo pochissime eccezioni, di farmaci che aumentano la sopravvivenza mediamente
di 2/3 mesi. un beneficio sostanzialmente molto limitato rispetto al costo indotto per il SSn. un primo passo nella giusta direzione, che però non dipende dal
SSn, potrebbe essere quello di un accordo a livello ue che fissi in almeno 6-9
mesi l’aumento di sopravvivenza, accompagnato da un adeguato contenimento
degli effetti collaterali. infatti, non solo
abbiamo solamente due o tre mesi di sopravvivenza in più, ma spesso caratterizzati pure da alta tossicità. Quindi, se
guardiamo alla qualità di vita di questi
pazienti, il beneficio è ancora più ridotto. Bisogna perciò ”alzare l’asticella” del
vantaggio terapeutico a livello europeo,
affinché l’ema sia posta nelle condizioni di non approvare i farmaci che non la
E’ ANCORA POSSIBILE ACCETTARE
LA STRATEGIA DEL ‘SEMPRE
VERDE’, PROLUNGANDO LA
COPERTURA BREVETTUALE DI
MOLECOLE O FARMACI GIÀ
DISPONIBILI DA TEMPO SUL
MERCATO ANCHE ATTRAVERSO
MODIFICHE MINIME E SENZA
BENEFICIO CLINICO PER IL
PAZIENTE?
Enrique Hausermann
il tema è estremamente complesso. Bisogna fare innanzitutto un distinguo con il
passato, quando abbiamo assistito a modifiche di farmaci di sintesi relative a brevetti che sono stati di fatto prolungati,
ma soprattutto è stato introdotto il concetto del certificato supplementare di
protezione, che ha formalmente allungato la vita a molti farmaci; di questo stiamo ancora discutendo come associazione
di genericisti. Quello che proprio non
vorremmo accadesse nel campo dei biosimilari. mi pare di poter dire che sia difficile fare delle modifiche marginali per i
biologici attualmente registrati: bisognerebbe infatti farne di abbastanza sostanziale, dopodiché si dovrebbe riprodurre
la sperimentazione (o parte di essa) per
testarne i risultati. uso il condizionale
perché, francamente, non sono specialista di questo settore e il professor garattini potrà essere sicuramente più illuminante in proposito. in generale, noi
siamo contro quello che è stato definito
l’”ever greening”, perché non produce
nessun beneficio sotto il profilo terapeutico. parimenti chiaro che noi siamo dei
forti sostenitori dei brevetti e quindi della ricerca, in quanto va da sé che siamo
destinati a scomparire senza ricerca e brevetti. infatti noi ‘viviamo’ di scadenze
brevettuali, motivo per cui non possiamo
nemmeno ipotizzare una cancellazione
di tale istituto nella situazione attuale.
Silvio Garattini
io vorrei incominciare dal problema dei
prezzi, perché credo che questo sia il vero punto di partenza dei nostri ragionamenti allo stato attuale delle cose. la cre36
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raggiungono. Questo aspetto va comunque accoppiato a un altro, ancora più
fondamentale e difficile da realizzare: la
completa autonomia dei ruoli fra il soggetto che propone un nuovo farmaco,
quello che lo esamina e quello che lo valuta. Se noi continuiamo a lasciare che
sia l’industria farmaceutica a progettare
la sperimentazione clinica, sarà evidentemente molto difficile che si rispettino le
condizioni necessarie per poter affermare che si sono raggiunti 6-9 mesi in più
di sopravvivenza. infatti, l’endpoint della
sopravvivenza viene raramente utilizzato
e si ricorre assai più frequentemente a parametri di tipo surrogato. Bisogna instaurare un confronto con chi fa la valutazione, che permetta di scegliere
anticipatamente i parametri più adatti .
tornando ai prezzi, uno degli argomenti
di cui non c’è traccia in letteratura scientifica è proprio la determinazione dei
prezzi dei farmaci. Si trovano pubblicazioni su tutto, ma non su come si fa a stabilire il prezzo dei farmaci. per il sofosbuvir ho provato a fare da solo un
calcolo molto semplice. Ho preso uno dei
tanti cataloghi di aziende che vendono
principi attivi in bulk nel settore farmaceutico e sono andato a guardarmi cosa
costerebbe il sofosbuvir. acquistandolo in
dosi minimali, ho riscontrato che mi costerebbe 2.200 euro al chilo. Quindi, un
prezzo tutto sommato molto basso, destinato a ridursi ulteriormente (forse anche del 50%) qualora ne acquistassi uno
o più quintali. Ho poi fatto un calcolo di
quanto prodotto finale potrei ottenere
con il chilogrammo di principio attivo
pagato 2.200 euro, stimando che il risultato al prezzo di vendita attuale negli Stati uniti mi porterebbe a incassare circa
2,2 milioni di euro, con un ‘fattore moltiplicativo’ del costo pari a circa mille
volte. a questo punto, per la richiesta di
prezzo di sofosbuvir è legittimo domandarsi se si tratti di un ”giusto prezzo” o di
un ”vile ricatto”. Sembra che la trattativa
sia del tipo ”siccome ho l’esclusiva di
questo farmaco, devi pagare il prezzo che
decido io se lo vuoi”. anche se scendessimo della metà (invece di €82.000) e
anche se pare che in italia il ciclo completo costerà € 23.000, il costo sarà co-
munque centinaia di volte maggiore di
quello del principio attivo. Se poi magari scopriamo che l’industria che ha sviluppato questo farmaco non è la stessa
che lo commercializza e magari pure che,
siccome si tratta di una start-up, molti
dati già disponibili erano stati raccolti
con finanziamenti pubblici, credo ci siano tutti gli elementi per poter concludere che questi prezzi non hanno alcun
fondamento logico, a maggior ragione
ricordandoci che un prodotto del genere
ha un mercato sostanzialmente assicurato dal SSn (e non perché lo possono
comprare i cittadini). anche la scusa che
in questi casi i costi di ricerca sono elevatissimi regge fino a un certo punto,
perché la loro incidenza sul prezzo non
mi risulta superi mai il 10%; piuttosto,
l’incidenza della propaganda può andare
oltre il 30.
venendo alla brevettabilità dei prodotti
di sviluppo, bisogna sicuramente discuterne, perché rischia di vanificare la possibilità di commercializzare il farmaco
dal nome generico o il biosimilare. Se,
quando scade il brevetto dell’infliximab,
ho già pronto un altro composto che ha
un qualche valore aggiunto (ammesso e
non concesso che ce l’abbia, visto che sono sempre studi fatti dall’azienda farmaceutica), ma soprattutto costa di più, e
convinco con la propaganda che è superiore al prodotto precedente, il mio biosimilare non lo prescriverà più nessuno e
quindi è pure inutile che ci sia. Questo è
quanto spesso succede se andiamo a
guardare il passato, non dobbiamo imparare niente di nuovo per i bíosimilari
rispetto a quanto non sia già accaduto
per i generici. ad esempio, se andiamo
ad analizzare il mercato delle statine, abbiamo tutte le prime statine già disponibili in versione generica, ma si continua
a prescrivere la rosuvastatina, tuttora sotto brevetto, che costa dieci volte di più e
non ha nessuna ragione particolare per
essere prescritta. allo stesso modo, se
consideriamo i sartani, anche lì abbiamo
quasi tutti i farmaci generici già disponibili, ma viene principalmente prescritto
l’olmesartan, cioè l’unico sartano ancora
sotto brevetto. alla fine rischiamo che il
brevetto diventi irrilevante come stru37
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mento di incentivo alla ricerca e allo stesso tempo un ostacolo al controllo della
spesa farmaceutica.
il problema principale è fare in modo
che il brevetto in campo farmaceutico
protegga una reale novità, che rappresenti un reale passo avanti sotto il profilo terapeutico, motivo per cui non dovrebbe
essere concesso di brevettare un farmaco
dotato sostanzialmente della stessa attività di un altro, anche se capisco perfettamente che questo modo di pensare
contrasta con quello attuale di concepire
le cose. Si tratta di stabilire dei limiti al
di là dei quali non si deve in alcun modo
poter andare. Dopodiché, il mio parere è
ancora più radicale, sempre in risposta
alla prima domanda. io penso che, quando un farmaco è veramente un ”salvavita” (termine poco scientifico che comunque tutti capiscono), ma la spesa indotta
è eccessiva, il brevetto possa anche essere
temporaneamente abolito affinché tutti i
pazienti possano beneficiare di tale farmaco. credo che questo sia un principio
di equità e solidarietà che non possiamo
non avere nei confronti di chi non può
permettersi di acquistare il farmaco direttamente. va detto che, a fronte di un
milione e mezzo di abitanti italiani che
hanno l’epatite c, la maggior parte non
potrebbe mai permettersi il farmaco a
questi prezzi; la gravità di un problema
può anche condurre a prendere decisioni
drastiche per risolverlo.
nalmente non avrei problemi ad accettare questa provocazione. cambiando le
‘regole del gioco’, entriamo però in un altro ordine di ragionamenti che non mi
sento in grado di affrontare. preferisco
allora fare concettualmente un ‘passo indietro’ e discutere piuttosto di un possibile cambiamento del modello di sistema
di rimborso. oggi sono presenti sul mercato una serie di farmaci che, a mio avviso, potrebbero anche essere esclusi dalla
rimborsabilità per i cittadini più abbienti, liberando delle risorse per il SSn. Bisognerebbe stabilire delle ‘fasce sociali’
come in Francia, in base alle quali definire anche livelli parziali o totali di rimborsabilità; chi poi volesse e potesse economicamente, potrebbe pure optare per
un’assicurazione privata. in generale, temo comunque sia giunta l’ora di ‘abbassare l’asticella’ della rimborsabilità se vogliamo veramente che la spesa sanitaria
rimanga sostenibile.
Silvio Garattini
al di là della scomparsa del brevetto, ci
sono altri metodi a cui si può probabilmente pensare. ad esempio, supponiamo di lanciare sul mercato un nuovo
dentifricio che proveremo inizialmente a
far pagare 1.000 euro. Siccome sono i
consumatori (e non il SSn) ad acquistare il dentifricio, quasi sicuramente non
ne venderemo neanche un pezzo perché
nessuno sarebbe disposto a pagare una
cifra del genere. proprio perché è un libero mercato, il prezzo dovrebbe scendere a un livello tale per cui un numero sufficiente di persone che intravedono un
vantaggio lo comprino, anche se costa un
po’ di più degli altri. Questo è quello che
esattamente non accade nel mercato farmaceutico. partiamo adesso da un altro
punto di vista e ipotizziamo che tutti i
paesi europei ragionassero con l’industria farmaceutica nel modo seguente:
”posso pagare solo questo prezzo, o lo accetti o non compro nulla”, impostando
una contrattazione molto forte. mi sento di scommettere che l’industria si adeguerebbe a questa situazione, trattandosi
di un’attività fra le più flessibili al mondo. Basti pensare che in inghilterra non
QUALI INTERVENTI IMPORRE
QUANDO VI SIA UNA ENORME
DISPARITÀ FRA COSTO DEL
PRINCIPIO ATTIVO E PREZZO DEL
PRODOTTO?
Enrique Hausermann
in questo caso sono le autorità regolatorie o il ministero stesso a dover negoziare il prezzo e valutare quale possa essere
il giusto valore di rimborso. temo non ci
siano altri sistemi nella situazione attuale, dal momento che c’è un ente pagatore e non trattandosi di un ‘libero mercato’. in generale, si può anche mettere in
discussione l’istituto del brevetto, perso38
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esiste la propaganda farmaceutica così
come viene praticata in italia. probabilmente per la stessa ragione , lo sforzo di
propaganda in un paese in via di sviluppo è molto diverso da quello in italia.
ci sono a mio avviso anche altri strumenti attraverso i quali cercare di risolvere il problema, volendo anche evitare
”ricatti occupazionali” da parte delle
aziende supportati da prezzi giudicati
non remunerativi. compromessi se ne
possono sempre raggiungere, però io credo ci siano anche casi estremi, quale
quello dei farmaci contro l’epatite c, che
si sarebbero potuto evitare se la ue avesse assunto un atteggiamento unitario più
deciso. ad esempio, fatico ad immaginare che la polonia e l’estonia se li possano
permettere a questi prezzi, quand’anche
abbiano tassi di prevalenza di epatite assai inferiori al nostro.
dei prodotti biologici spesso migliorano
nel corso del tempo, a prescindere dal
fatto che l’effetto terapeutico sia analogo. Ho visto personalmente il primo
impianto di eritropoietina esattamente
25 anni fa nei dintorni di Basilea e ricordo ancora oggi che avevo avuto la
sensazione di entrare in un laboratorio
di alchimisti. oggi è tutto completamente diverso.
concludendo, secondo me è un’idea che
si potrebbe perseguire se prima riuscissimo a risolvere quello che viene chiamato
in gergo il problema del “patent linkage”,
cioè la pratica di collegare qualsiasi forma
di approvazione attinente ai farmaci generici (registrazione, prezzo, rimborsabilità,
ecc.) allo status del brevetto del prodotto
originatore di riferimento.
Silvio Garattini
penso che la prima cosa da fare sia creare cultura sul problema dei biosimilari.
ad esempio, credo che molti medici non
sappiano che, quando prescrivono il
prodotto originale ai propri pazienti, in
realtà non viene somministrata sempre
la stessa cosa. infatti, anche il prodotto
originale deve fare in modo che tutti i
suoi lotti produttivi siano sostanzialmente equivalenti; qualsiasi cambiamento produttivo rilevante richiede tutta una serie di studi per dimostrare che
si ottiene ancora lo stesso prodotto biologico. l’altro concetto da diffondere è
che, diversamente da quanto spesso pensano i medici (e lo hanno pensato anche
per i generici), non vi è ragione di assumere che l’azione dei biosimilari sia inferiore a quella del prodotto originale.
la variabilità insita nella composizione
molecolare di un anticorpo monoclonale potrebbe portare addirittura a un’azione superiore; quel concetto di variabilità naturale che, per intenderci, non si
applica ai farmaci generici (se non in
modo minimale), vale invece per i biosimilari. Se i medici non capiscono questo
concetto, difficilmente accetteranno l’idea di prescrivere un biosimilare. Dopodiché, è parimenti chiaro che bisogna
introdurre un sistema attraverso cui deve essere trasferita la possibilità di fare il
POTREBBE ESSERE RAGIONEVOLE,
ALMENO IN VIA IPOTETICA,
PROPORRE ALLE AZIENDE
FARMACEUTICHE DI “CEDERE” IL
PROPRIO KNOW-HOW ALLA
SCADENZA DELLA COPERTURA
BREVETTUALE DEI BIOLOGICI, IN
MODO TALE DA FAVORIRE LA
DISPONIBILITÀ DEI BIOSIMILARI E
MANTENERE L’ATTUALE
MONOPOLIO SUI “NUOVI” FARMACI?
Enrique Hausermann
in linea teorica, seppur su un altro fronte, noi stiamo concentrandoci su un’ipotesi di lavoro analoga. infatti, da alcuni
mesi, di concerto con l’associazione dei
genericisti americani, abbiamo presentato un libro bianco come assogenerici,
in cui chiediamo di poter esportare in
paesi dove il brevetto non c’è mai stato o
è già scaduto sia il principio attivo che il
prodotto finito di farmaci da noi ancora
sotto brevetto che vengono fabbricati in
italia. Se si riuscisse a fare questo, sarebbe già un primo passo importante nella
giusta direzione. Devo dire che i processi produttivi dei biosimilari sono spesso
più avanzati di quelli dei prodotti originali, in quanto le tecnologie produttive
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biosimilare allo stesso modo in cui si
produce il farmaco originale; altrimenti
prolunghiamo indefinitamente il brevetto e quindi perpetuiamo in modo illegale un monopolio. poiché il monopolio non è accettabile dopo la scadenza
brevettuale, dobbiamo fare in modo che
ciò non accada, analogamente a quanto
accade per qualsiasi servizio di interesse
pubblico. una società ferroviaria non
può avere il monopolio delle rotaie, tan-
to è vero che l’alta velocità è concessa sia
a trenitalia che a italicum e ambedue
usano gli stessi binari; succede lo stesso
oramai anche per le linee telefoniche,
originariamente di proprietà esclusiva
della Sip. Quindi, per concludere, non si
vede perché questa possibilità non possa
essere estesa ad altri beni di uso comune
e di pubblica utilità, fra i quali non avrei
dubbi a includere anche i farmaci biotecnologici.
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