le fonti rinnovabili di energia e l`utilizzo delle biomasse

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le fonti rinnovabili di energia e l`utilizzo delle biomasse
LE FONTI RINNOVABILI DI ENERGIA E
L’UTILIZZO DELLE BIOMASSE NELL’AMBITO
DELLA RIFORMA DEL SISTEMA ELETTRICO
NAZIONALE
1 – Le fonti rinnovabili di energia
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Luigi Zuccaro
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Indice
Introduzione.
1. La fine dell’era del petrolio: una possibilità remota o una prospettiva a breve termine?
2. Fonti primarie e secondarie di energia.
3. Il punto sullo sviluppo delle fonti rinnovabili di energia.
4. L’energia idroelettrica.
5. L’energia geotermica.
6. L’energia eolica.
7. L’energia solare.
7.1. Il solare fotovoltaico.
7.2. Il solare termico.
8. L’idrogeno.
9. Le biomasse.
Conclusioni.
Riferimenti bibliografici.
Introduzione
L’umana convinzione circa l’imperturbabilità dei sistemi a livello planetario, o quanto meno l’estrema lentezza con cui si
manifestano sconvolgimenti e cambiamenti di tale portata, ascrivibili o meno all’attività dell’uomo, ha posto in serio pericolo
l’esistenza stessa del genere umano.
All’alba del terzo millennio l’uomo si trova a dover fare i conti soprattutto con uno scriteriato sfruttamento delle risorse del pianeta e
con un conseguente deterioramento delle condizioni di vita su di esso. Tale cambiamento, rapido quanto deleterio, è legato
sostanzialmente all’immissione in atmosfera di massicce quantità di sostanze inquinanti facenti capo ai cosiddetti gas serra (CO2,
CH4, N2O protossido di azoto, HFC5 idro-fluoro-carburi, PFC5 perfluoro-carburi, SF6 esafluoruro di zolfo), prodotti di risulta della
conversione energetica delle tradizionali fonti di energia impiegate dall’uomo per “alimentare” le sue innumerevoli attività.
Il notevole incremento nella frequenza con la quale si registrano disastri naturali, inondazioni, terremoti, tornado, ecc., sono la prova
che questo cambiamento non solo è in atto, ma che è così rapido da essere chiaramente avvertito dalla percezione umana.
L’effetto più imponente dell’inquinamento umano è l’ormai tristemente noto effetto serra. Tale fenomeno è legato all’accumulo negli
strati alti dell’atmosfera dei suddetti gas serra i quali, agendo da cappa (o, appunto, serra), impediscono l’allontanamento nello spazio
di tutta la radiazione solare riflessa e/o riemessa dalla superficie terrestre, oltre a tutto il calore prodotto dalle attività umane,
comportando il surriscaldamento dell’atmosfera.
A dire il vero l’effetto serra non può essere considerato dannoso a priori, ma è anzi essenziale per la vita sulla terra: nelle ore notturne
evita un eccessivo raffreddamento del pianeta e consente il permanere di condizioni di clima mite. Ciò è però vero solo entro certi
limiti, perché alti valori di schermatura comportano un surriscaldamento eccessivo del pianeta, con conseguenti effetti negativi sul
clima e sulla vita in generale.
Secondo un bilancio stimato dall’ecologo Lester Brown, a causa dell’effetto serra, negli ultimi 35 anni lo spessore dei ghiacci del
Mar Artico è diminuito del 42 per cento e la sua superficie del 6 per cento; la Groenlandia perde 51 miliardi di metri cubi di acqua
all’anno (è una quantità di acqua pari a due terzi del flusso annuale del Nilo al suo ingresso in Egitto); la calotta di ghiaccio del
Kilimangiaro potrebbe scomparire in quindici anni. Sempre secondo questo studioso, nel ventesimo secolo il livello del mare si è
innalzato di 10-20 centimetri, oltre la metà dell’aumento registrato negli ultimi 2 mila anni. In Italia sono a rischio 4.550 chilometri
quadrati di costa, il 10 per cento del totale [9].
L’inquinamento dell’aria non manca di mostrare conseguenze dirette nei confronti della salute dei singoli individui, come
testimoniato inequivocabilmente dall’aumento esponenziale dei casi di tumore alle vie respiratorie.
Bastano poche righe per mettere in evidenza i rischi che l’uomo, e con esso tutta la vita sulla terra, corre se persegue sulla strada
intrapresa. La salvezza è però possibile.
La necessità di trovare strade alternative è anche legata alla consapevolezza che le tradizionali fonti di energia quali petrolio, carbone
e gas naturale, sono destinate presto o tardi ad esaurirsi, tanto più che la domanda mondiale di energia cresce di anno in anno a ritmi
sostenibili ancora per poco tempo. Esse inoltre, sono spesso localizzate in aree politicamente instabili, forse proprio a causa della loro
stessa presenza sul territorio che, in virtù di questa “fame” mondiale di energia, diventa oggetto di notevoli interessi economici in
ragione dei quali molti paesi sono disposti a sacrificare un’ingente quantità di vite umane.
1. La fine dell’era del petrolio: una possibilità remota o una prospettiva a breve termine?
Per quanto riguarda il futuro dell’approvvigionamento energetico, esistono diverse teorie, tutte prospettanti scenari più o meno
ottimistici o più o meno pessimistici.
C’è chi, come la International Energy Agency (IEA), prevede che nei prossimi anni l’aumento di domanda di energia verrà
soddisfatto per il 90 per cento da combustibili fossili, mentre c’è chi, come Jeremy Rifkin nel suo libro Economia all’idrogeno,
prevede che tra il 2010 e il 2020 si raggiungerà il picco di produzione del petrolio1 e che quindi nel prossimo futuro le rinnovabili
1
Si raggiunge il picco quando è stata estratta la metà delle riserve sfruttabili stimate.
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avranno un grosso sviluppo. Anche la Shell è molto ottimista (o pessimista, a seconda dei punti di vista) sull’uso delle rinnovabili, in
quanto prevede che entro il 2050 più di un terzo del mercato della nuova generazione elettrica sarà coperto da fonti alternative.
Ancora più ottimista è John Brown, presidente della British Petroleum, secondo cui entro il 2050 si arriverà al 50 per cento di
rinnovabili [9].
La divergenza tra i vari scenari dipende da tre tipi di valutazioni:
ü Valutazioni tecniche, legate ad esempio alla reale entità delle riserve petrolifere;
ü Valutazioni economiche, legate per lo più all’andamento dei prezzi del greggio;
ü Valutazioni ambientali, legate alla maggiore o minore sensibilità nei confronti delle problematiche ambientali.
Lo scenario pessimistico della IEA, ad esempio, si basa su due presupposti, che potrebbero non risultare realistici: il primo è una
sostanziale tenuta del livello delle tasse e dei prezzi dei combustibili fossili, mentre il processo messo in moto con il protocollo di
Kyoto sulle emissioni di gas serra tende a far salire il costo di questo genere di inquinamento (vedasi ad esempio la cosiddetta
Carbon Tax). Il secondo presupposto dubbio è che la capacità di estrazione dei combustibili continui a crescere.
In effetti esiste molta discordanza tra le diverse previsioni circa il picco di produzione: c’è chi afferma che tale picco verrà raggiunto
in un futuro più o meno lontano, c’è invece chi è convinto che addirittura tale picco è già stato raggiunto. Come detto, ciò è dovuto a
divergenze di opinioni circa l’entità delle riserve mondiali di combustibili fossili. I teorizzatori di scenari ottimistici prendono in
considerazione solo i giacimenti attualmente utilizzati, mentre i teorizzatori di scenari pessimistici sono dell’opinione che sul pianeta
esistono ancora molti giacimenti non utilizzati perché non ancora scoperti o perché la nostra tecnologia non ne permette uno
sfruttamento economicamente conveniente. Essi però prevedono che in futuro il progresso tecnologico ne renderà possibile lo
sfruttamento.
Qualunque sia lo scenario previsto, è certo però che non è rimasto molto tempo e gli investimenti crescenti da parte dei governi di
tutto il mondo nel settore delle risorse rinnovabili ne sono una prova inconfutabile. A tutto vantaggio, ovviamente, per la salute del
nostro pianeta.
2. Fonti primarie e secondarie di energia
Prima di passare ad esaminare più nel dettaglio lo stato di fatto delle rinnovabili in Europa ed in Italia, occorre fare un po’ d’ordine
con la terminologia. Quando di parla di energia, infatti, la prima distinzione che è doveroso fare è quella tra due tipologie di fonti
energetiche:
1. fonti primarie, che sono quelle presenti in natura prima di avere subito una qualunque trasformazione;
2. fonti secondarie, che sono invece quelle che derivano da una qualche trasformazione di quelle primarie.
Tanto per intenderci, a questa ultima categoria appartengono la benzina, il gas da città, l’energia elettrica.
Tra le fonti primarie distinguiamo:
a. fonti esauribili, a loro volta distinte in:
o fonti di origine fossile (petrolio, gas naturale, carbone);
o fonti di natura fissile (ad esempio l’energia nucleare);
b. fonti rinnovabili: energia solare, energia eolica, energia idraulica, energia da biomasse, energia geotermica.
Le fonti esauribili vengono anche definite fonti tradizionali di energia e sono, come noto, le maggiori responsabili dell’effetto serra.
Vengono definite esauribili perché si rigenerano con una velocità centinaia di migliaia di volte più bassa della velocità con la quale
vengono consumate dall’uomo.
Le fonti rinnovabili di energia, invece, vengono così chiamate perché, a differenza delle precedenti, si rigenerano con una velocità
notevolmente superiore e pertanto, se correttamente gestite, sono praticamente inesauribili.
Spesso queste ultime vengono denominate fonti di energia alternative, una definizione in alcuni casi non molto felice in quanto
alcune di esse erano largamente utilizzate in passato: si pensi ai mulini a vento o alla legna da ardere o all’energia idraulica. Semmai,
fino al secolo scorso erano petrolio e carbone delle vere e proprie fonti alternative, anche se in un secolo hanno avuto un vero e
proprio boom, tanto da mettere quasi nel dimenticatoio quelle che fino al allora erano le fonti tradizionali; si pensi che nel periodo
1950-2002 il consumo di combustibili fossili è quadruplicato ed ha coperto il 77 per cento della domanda di energia mondiale [9].
Le ragioni di questo enorme successo, pur in presenza di così gravi problematiche di natura ambientale, sociale ed economica, sono
da ricercarsi in una serie di vantaggi che le hanno rese così competitive rispetto alle altre fonti, identificabili essenzialmente con
un’ampia disponibilità (almeno fino a qualche tempo fa), con una facile trasportabilità, e con una tecnologia d’uso matura.
Le stime più recenti parlano chiaro: da oggi al 2020 si prevede un aumento nella domanda di energia primaria pari al 57 per cento,
concentrato soprattutto nei paesi in via di sviluppo, che tra l’altro per molto tempo ancora saranno costretti ad attingere energia da
combustibili fossili. In ogni caso si stima che ancora per qualche decennio la domanda mondiale di energia sarà coperta per il 90 per
cento da fonti fossili, con conseguenze disastrose per quanto riguarda le emissioni di gas serra nell’atmosfera, che aumenteranno del
60 per cento [9].
Il mondo, dunque, ha bisogno di sempre più energia; e se questa fame non può essere soddisfatta interamente dalle fonti fossili di
energia (come si è sempre fatto), vuoi per motivi ambientali vuoi per motivi legati al previsto imminente esaurimento delle scorte di
tali combustibili, l’unica soluzione è quella di affidarsi alle nuove “vecchie” fonti di energia, cercando di rendere sempre più
conveniente il loro impiego abbassandone il costo di trasformazione e/o aumentandone il rendimento.
3. Il punto sullo sviluppo delle fonti rinnovabili di energia
Gli sviluppi tecnologici dell’ultimo decennio hanno favorito una penetrazione seppur limitata nel mercato energetico di alcune
tecnologie che utilizzano fonti rinnovabili. Esse, comunque, hanno il grande merito di aver trasformato tali fonti di energia in una
non semplice alternativa a petrolio e simili; il passo decisivo, come spesso accade, è stato compiuto solo quando il progresso della
tecnologia ha permesso di abbassarne il costo per unità di energia prodotta.
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In realtà le fonti rinnovabili di energia hanno sempre avuto una serie di vantaggi del cui peso non si è mai tenuto conto in maniera
adeguata, per tutti i motivi che sono stati espressi in precedenza. Essi possono essere così riassunti:
ü Sostenibilità (rinnovabilità);
ü Protezione dell’ambiente (nullo, o quasi nullo, impatto ambientale);
ü Dispersione sul territorio (presidio e occupazione in aree marginali interne).
Per quanto attiene al primo punto, si è già avuto modo di chiarire che la grande disponibilità e la grande velocità di rigenerazione di
queste risorse, le rende praticamente inesauribili. A patto, ovviamente, di gestirle in modo appropriato e corretto, in una parola,
sostenibile; è il caso, ad esempio, delle biomasse forestali, fonte inesauribile di energia, previa gestione razionale dei boschi.
Il secondo punto risulterà molto più chiaro dando alle fonti rinnovabili un’altra definizione, e cioè quella di fonti di energia “pulite”,
a nullo o quasi nullo impatto ambientale. Produrre energia dal sole, dal vento, dall’acqua, dal calore della terra, non comporta alcuna
immissione in atmosfera di sostanze inquinanti e/o responsabili dell’effetto serra, fatta eccezione che per l’inquinamento legato al
ciclo produttivo dei macchinari necessari per accumulare o trasformare questo tipo di energia in forme utilizzabili dall’uomo; tale
inquinamento, naturalmente, è prodotto in quantità nettamente inferiori a quello di risulta dalle fonti fossili.
Un unico appunto potrà essere fatto per le biomasse, dalla cui combustione effettivamente si sviluppano discreti quantitativi di CO2,
ma in realtà come vedremo più avanti esse si dice che sono a bilancio nullo di CO2 nel senso che la quantità di CO2 rilasciata in
atmosfera, in seguito ai processi di conversione energetica, è esattamente la stessa che viene assorbita durante la crescita della
biomassa stessa; dunque, non vi è alcun contributo netto all’aumento dei livelli di CO2 nell’atmosfera. C’è poi il caso delle risorse
forestali le quali, oltre ad avere tutti i vantaggi delle altre fonti energetiche rinnovabili, costituiscono il mezzo per gestire in modo
perfettamente sostenibile il nostro patrimonio forestale e quindi, in ultima analisi, far sì che i nostri boschi esplichino al meglio quelle
funzioni di protezione del territorio e di produttori di ossigeno loro assegnate.
Anche il terzo punto, a prima vista, può non sembrare un vero e proprio vantaggio; in effetti, una delle condizioni che è necessario
verificare affinché si possa sfruttare adeguatamente una fonte di energia è che questa deve essere quanto più possibile concentrata. In
realtà, la dispersione delle energie rinnovabili sul territorio, che inizialmente era tra i motivi che ne hanno fatto stentare il decollo,
porta con se due tipi di vantaggi indiretti:
ü Un maggiore presidio e tutela del territorio;
ü Una maggiore occupazione in aree marginali interne.
E’ chiaro, però, che il fatto di avere piccole quantità concentrate in aree diverse, non permette la costruzione di grossi impianti,
quanto piuttosto di piccoli e medi impianti.
La produzione di energia da fonti rinnovabili ben si sposa, dunque, con l’occupazione e lo sfruttamento di terreni marginali che
altrimenti verrebbero abbandonati. La penetrazione delle fonti rinnovabili in queste aree, inoltre, permette di dare alle popolazioni
locali maggiori opportunità lavorative. Ciò è vero soprattutto nel Mezzogiorno d’Italia, dove i problemi di dissesto idrogeologico ed
occupazione sono maggiormente sentiti, ma dove vi è anche una maggiore disponibilità di fonti di energia primaria: si pensi, ad
esempio al solare, all’eolico, ma anche alle biomasse, non solo a quelle derivanti dallo sfruttamento del nostro patrimonio forestale o
dagli scarti dell’agricoltura o dai reflui zootecnici, ma anche a quelle derivanti dalle cosiddette colture dedicate (o colture
energetiche), le quali trovano condizioni favorevoli per lo sviluppo su terreni poco fertili e quindi poco adatti ad ospitare colture
tradizionali.
Alla luce di quanto affermato finora, è legittimo porsi la seguente domanda: come mai, nonostante tutti questi vantaggi, si parla
ancora di potenzialità di sviluppo piuttosto che di reale e diffusa implementazione di queste risorse? La risposta è ovvia quanto
importante. Perché evidentemente, a fronte di queste innumerevoli e importanti ricadute favorevoli, vi sono degli svantaggi che
attualmente limitano fortemente la loro convenienza economica e la competitività con le fonti fossili.
Gli ostacoli che impediscono una penetrazione più significativa delle rinnovabili nel mercato dell’energia possono essere così
riassunti:
ü Bassa densità energetica. Direttamente collegata con l’elevata dispersione sul territorio che spesso caratterizza le risorse
rinnovabili, la scarsa quantità di energia sfruttabile per unità di superficie di territorio, se da un lato permette di coniugare
produzione di energia con un efficace funzione presidio e protezione del territorio, dall’altro impone seri ostacoli
nell’approvvigionamento di materia prima o di concentrazione dell’energia, con conseguente crollo della convenienza
economica.
ü Tecnologia ad uno stadio di sviluppo che attualmente non è sempre in grado di assicurare rendimenti elevati nella
conversione energetica.
ü Macchina delle procedure autorizzative spesso lenta e complicata.
ü Opinione pubblica non ancora adeguatamente informata sulle possibilità offerte da questo tipo di fonte energetica.
Ipotizzando, dunque, un bilancio tra aspetti positivi e aspetti negativi, per il momento l’ago della bilancia pende dalla parte di quelli
negativi, e ciò spiega perché attualmente l’approvvigionamento energetico nel mondo dipende per circa il 90 per cento da fonti
tradizionali, mentre le rinnovabili hanno ancora poco spazio. Come chiaramente messo in evidenza dai dati relativi al 2001 presenti
nel grafico 1 [9].
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L'approvvigionamento energetico nel mondo
0,5
10,9
2,2
6,9
35,0
21,2
23,3
Petrolio
Carbone
Gas Naturale
Nucleare
Idrico
Combustibili rinnovabili e rifiuti
Altro
Grafico 1 (fonte Humus, 2004)
La situazione nell’Unione Europea non è certo migliore, anzi, sempre al 2001, la produzione di energia da fonti rinnovabili
ammontava a circa il 6 per cento (vedi grafico 2) e si calcola che se non si ricorre alle fonti rinnovabili, la dipendenza energetica
dall’estero passerà dall’attuale 50 per cento al 70 per cento nel 2030 [10].
Per scongiurare questo pericolo, tutta la politica energetica comunitaria è stata incentrata sullo sviluppo delle rinnovabili, puntando
essenzialmente su tre obiettivi:
ü Sicurezza dell’approvvigionamento;
ü Competitività;
ü Protezione ambientale.
Quantitativamente, l’obiettivo minimo da raggiungere è quello del raddoppio entro, il 2010, dell’energia prodotta da fonti rinnovabili
(Direttiva 2001/77/CE) [4] [7].
Attualmente il maggiore contributo, in termini di produzione di energia da fonti rinnovabili, è ascrivibile prevalentemente alle
biomasse ed ai rifiuti, seguiti dall’idroelettrico e dalla geotermia; più staccati l’eolico e soprattutto il solare, il cui contributo è quasi
trascurabile. Per maggiori dettagli si veda il grafico 3 [10].
In Italia lo sviluppo delle rinnovabili è in linea con la media dell’Unione Europea, come evidenziato dalla tabella 1, anche se nel
nostro paese il problema è maggiormente sentito perché la dipendenza dall’estero è ancora più forte, e pari a circa l’80 per cento.
Combustibili usati nella UE
6
16
41
15
22
Petrolio
Gas Naturale
Nucleare
Combustibili solidi
Rinnovabili
Grafico 2 (fonte Humus, 2004)
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5
Energia rinnovabile nella UE
0,4
3,6
31,0
1,4
63,6
Solare
Geotermica
Biomasse e rifiuti
Vento
Idrica
Grafico 3 (fonte Humus, 2004)
2001
Fonti
(Mtep)
Quota %
Variazione %
Variazione %
Rispetto al 1990
Rispetto al 2000
Combustibili solidi
13,8
7,34
-12,7
+7,8
Gas naturale
58,7
31,22
+50,1
+0,5
Prodotti petroliferi
90,9
48,35
-1,7
-0,4
Fonti rinnovabili
14,0
7,45
+66,7
+8,5
Importazioni nette di energia elettrica
10,6
5,64
+39,5
+8,2
TOTALI
188,0
100,00
+15,1
+1,5
Tabella 1: Consumo annuo italiano di energia per fonte energetica, in Mtep (fonte ENEA, Rapporto Energia e
Ambiente 2002)
La situazione è però in rapida evoluzione e si conta di raggiungere, entro il 2010, il raddoppio della produzione di energia da fonti
rinnovabili, secondo quanto imposto a livello comunitario e quanto espresso dalla Delibera CIPE 137/98; tuttavia manca ancora un
accurato studio delle riserve di energia rinnovabile, che consenta di definire, in relazione allo stato dell’arte delle tecnologie, le
risorse effettivamente sfruttabili, anche se alcuni dati forniscono elementi utili per la stima di massima del potenziale sfruttabile nei
prossimi 10-12 anni (tabelle 2 e 3).
Tecnologia
1997
2002
2006
2008-2012
MWe
Mtep
MWe
Mtep
ΔMtep
MWe
Mtep
ΔMtep
MWe
Mtep
ΔMtep
13.942
7,365
14.300
7,550
0,186
14.500
7,656
0,292
15.000
7,920
0,556
2.187
1,787
2.400
1,954
0,166
2.600
2,116
0,329
3.000
2,442
0,665
Geotermia
559
0,859
650
1,051
0,192
700
1,132
0,273
800
1,294
0,435
Eolico
119
0,026
700
0,308
0,282
1.400
0,616
0,590
2.500
1,100
1,074
Fotovoltaico
16
0,003
25
0,006
0,003
100
0,024
0,021
300
0,073
0,069
Idro > 10
MW
Idro ≤ 10
MW
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6
Biomasse &
192
0,125
380
0,502
0,377
800
1,056
0,931
2.300
3,036
2,911
Rifiuti
89
0,055
350
0,385
0,330
500
0,550
0,495
800
0,880
0,825
Totale
17.104
10,221
18.805
11,756
1,535
20.600
13,151
2,930
24.700
16,774
6,524
Biogas
Tabella 2: Situazione della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili al 1997 e previsioni di sviluppo al
2008-2012 (fonte CIPE, Libro Bianco italiano sulle fonti rinnovabili, 1999)
Tecnologia
1997
2002
2006
2008-2012
Mtep
Mtep
ΔMtep
Mtep
ΔMtep
Mtep
ΔMtep
Biocombustibili
0,060
0,280
0,220
0,554
0,484
0,940
0,880
Solare Termico
0,008
0,056
0,048
0,111
0,103
0,222
0,214
Geotermia
0,213
0,250
0,037
0,300
0,087
0,400
0,187
Biomasse & Biogas
1,070
1,400
0,330
1,600
0,530
1,750
0,680
Rifiuti
0,096
0,120
0,024
0,160
0,064
0,200
0,104
Totale
1,447
2,106
0,659
2,715
1,268
3,512
2,065
Tabella 3: Situazione della produzione di energia termica da fonti rinnovabili al 1997 e previsioni di sviluppo al
2008-2012 (fonte CIPE, Libro Bianco italiano sulle fonti rinnovabili, 1999)
Complessivamente, è possibile un contributo aggiuntivo delle rinnovabili, rispetto al 1997, di circa 8,6 Mtep, passando da 11,7 Mtep
a 20,3 Mep nel 2008-2012 in termini di combustibile convenzionale sostituito. Di questi ultimi, circa 16,7 Mtep deriveranno da
produzione di energia elettrica e 3,5 Mtep da produzione ed uso di calore e biocombustibili. La potenza elettrica alimentata da fonti
rinnovabili passerebbe, dal 1997 al 2008-2012, da 17.100 MW a 24.700 MW, con un incremento di oltre 7.600 MW. Una parte degli
incrementi rispetto al 1997 è attesa per i prossimi 3-4 anni, grazie soprattutto all’attuazione delle iniziative incluse nelle prime sei
graduatorie del provvedimento Cip 6/92 e all’obbligo in capo ai grandi produttori ed importatori di produrre o acquisire, a decorrere
dal 2001, una quota minima del 2 per cento proveniente da nuovi impianti a fonti rinnovabili. Per conseguire gli obiettivi al 2006 e al
2008-2012 è indispensabile partire sin da ora per ricercare e costruire condizioni tecniche, normative, politiche ed amministrative che
favoriscano la penetrazione di tali tecnologie [6].
I fattori di successo, dunque, derivano dal coacervo di:
ü Sostegno politico, legislativo, fiscale, finanziario ed amministrativo;
ü Sviluppo tecnologico;
ü Informazione, educazione, formazione.
Gli incrementi più significativi deriveranno dalle biomasse, per la produzione di elettricità, calore e biocombustibili, nonché
dall’idroelettrico e dall’eolico. Rilevanti saranno anche gli apporti di geotermia e dei rifiuti. Sebbene siano modesti i contributi del
solare termico e del fotovoltaico, conviene comunque non trascurare queste tecnologie per il loro significato industriale e strategico.
Nei prossimi paragrafi si forniranno, per ciascuna tecnologia, gli obiettivi perseguibili al 2008-2012; per quanto riguarda, invece, lo
stato dell’arte a livello internazionale di ciascuna tecnologia ed il relativo mercato italiano, si rimanda al Libro Verde sulle Fonti
Rinnovabili di Energia, Allegati 2 e 3.
Il documento succitato, inoltre, classifica tra le fonti rinnovabili di energia:
ü Energia idroelettrica;
ü Energia geotermica per usi elettrici e termici;
ü Energia solare termica e fotovoltaica;
ü Energia eolica;
ü Biomasse e biogas;
ü Rifiuti (la parte organica dei rifiuti solidi urbani che, in quanto organici vengono inseriti tra le biomasse).
Non si fa cenno all’idrogeno per il semplice fatto che per ottenere questo combustibile ecologico in maniera sostenibile si ricorre ad
alcune delle fonti precedentemente elencate.
4. L’energia idroelettrica
Questo tipo di energia deriva dalla trasformazione dell’energia cinetica derivante dalla caduta dell’acqua tra due punti a differente
quota tra di loro, in energia meccanica, che può essere sfruttata tal quale oppure trasformata a sua volta in energia elettrica, previo
passaggio in una turbina.
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7
In passato era molto impiegata in alternativa al lavoro muscolare dell’uomo e degli animali; si pensi ad esempio ai mulini ad acqua
usati per mettere in moto frantoi per l’olio, macchine per segherie, verricelli idraulici, ecc. Anche la tecnologia per la produzione di
energia elettrica non è certo recentissima ed ha sempre goduto di una buona considerazione.
In effetti, la produzione di energia elettrica da fonte idraulica ha raggiunto, a livello internazionale e anche in Italia, buoni livelli di
diffusione ed economicità, ed è pertanto prossima alla saturazione. In Italia, infatti, al 1997 si registrava una potenza istallata di circa
16.000 MW, e si conta di poter raggiungere antro il 2008-2012 un valore di 18.000 MW, che costituisce anche il valore limite di
questa fonte, tenuto conto dei vincoli autorizzativi e ambientali che a volte sono insuperabili e che rendono estremamente arduo il
pieno sfruttamento del potenziale [6].
Secondo alcuni esperti il territorio italiano ha una potenzialità idroelettrica annua di 65 TWh, a fronte di una produzione energetica
lorda, nel 1997, di circa 42 TWh [6]. I 23 TWh mancanti verranno coperti, tenendo conto dell’elevato impatto ambientale prodotto
dai grossi invasi, essenzialmente da:
ü Impianti di microidraulica (potenza istallata inferiore a 10 MW);
ü Interventi di ripotenziamento di impianti già esistenti, sfruttando gli incentivi del Decreto Legislativo 79/99 (Decreto
Bersani), sempre che ne sia verificata la fattibilità economica e la compatibilità ambientale e sociale;
ü Interventi di rimessa in funzione di impianti dimessi, anche qui previa verifica della sussistenza di tutte le condizioni
tecniche, economiche ed ambientali per il loro ripristino o recupero.
Il settore della microidraulica è molto promettente per questioni legate al minimo impatto ambientale, ma anche perché una sua
diffusione a livello nazionale garantirebbe quelle funzioni di presidio del territorio ed occupazione a cui si faceva cenno in
precedenza.
5. L’energia geotermica
Il termine “geotermia” deriva dal greco “gệ” e “thermos” ed il significato letterale è “calore della Terra”.
Per energia geotermica si intende quella contenuta, sottoforma di calore, all’interno della terra. L’origine di questo calore è in
relazione con la natura interna del nostro pianeta e con i processi fisici che in esso hanno luogo, e viene prevalentemente sfruttato per
la produzione di energia elettrica.
Tale calore è presente in quantità enorme e praticamente inesauribile.
In questo campo l’Italia è all’avanguardia; i costi interni dell’energia sono abbastanza vicini alla competitività. Alla fine del 1997 si
riscontrava nel nostro paese una potenza geotermoelettrica di circa 550 MW, con la prospettiva di giungere entro 3-4 anni a circa 650
MW. Il potenziale residuo per la produzione di energia elettrica viene stimato in ulteriori 200 MW, con la possibilità, dunque, di
giungere al 2008-2012 ad una potenza complessiva intorno agli 800 MW [6]; tale stima, comunque, potrà essere rivista a seconda dei
programmi di esplorazione profonda. Le possibilità di superare quota 1000 MW sono comunque modeste, tenuto conto dei problemi
di progressivo esaurimento delle disponibilità non sfruttate, del connesso incremento (non sempre giustificabile) dei costi di
sondaggio, esplorazione e produzione degli eventuali nuovi potenziali, delle crescenti esigenze di prevenzione contro il rilascio di
fluidi inquinanti, e delle conseguenti difficoltà di natura autorizzativi.
In aggiunta alla produzione di energia elettrica, è da approfondire la possibilità di un più ampio impiego delle risorse geotermiche a
bassa entalpia per l’impiego di calore, essenzialmente per il teleriscaldamento urbano, la serricoltura ed altre applicazioni industriali.
Al riguardo sono già in corso programmi di ampliamento dell’impiego degli usi diretti della geotermia, essenzialmente concentrate
nella zona tra la Toscana e l’Alto Lazio.
6. L’energia eolica
Anche questa forma di energia è stata largamente utilizzata nell’antichità in svariate applicazioni, dalla navigazione a vela alla
ventilazione dei cereali e all’essiccazione dei prodotti dell’agricoltura e della pesca. I primi mulini a vento risalgono addirittura alla
culla della civiltà, in Mesopotamia, Egitto e Cina.
A livello internazionale, la tecnologia eolica attualmente ha conseguito eccellenti livelli di diffusione ed economicità, con costi
interni per la produzione di energia quasi competitivi in buone condizioni di ventosità. In Italia la potenza istallata ammonta a circa
740 MW con opportunità per complessivi 2500 MW al 2008-2012 [6].
Le condizioni anemometriche più favorevoli, nel nostro territorio, si registrano sul crinale appenninico e nelle isole, a tutto vantaggio
non solo per la produzione di energia pulita, ma anche per limitare i problemi di spopolamento ed abbandono delle aree marginali
interne.
Interessanti, a livello internazionale, sono anche le istallazioni eoliche off-shore, anche se in Italia un potenziale di questo tipo, che
ammonterebbe a circa 3.000 MW difficilmente potrà essere sfruttato appieno, per ragioni legate all’elevata densità di popolazione ed
all’elevato pregio delle coste italiane [6].
7. L’energia solare
L’energia solare è la fonte primaria di energia per eccellenza. Ogni anno il Sole irradia sulla terra 19.000 miliardi di tep, mentre la
domanda mondiale di energia ammonta a circa 8 miliardi di tep all’anno. Si calcola che il Sole fornisce energia pari a quella di
40.000 stufette elettriche costantemente in funzione per ogni essere umano.
Tutta l’energia che oggi utilizziamo ha origine dall’irradiamento solare, compresi i combustibili fossili, ed è legata più o meno
indirettamente all’attività fotosintetica degli organismi vegetali del pianeta.
La radiazione solare può essere convertita con diverse tecnologie in energia termica ed energia elettrica.
7.1. Il solare fotovoltaico
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La conversione diretta dell’energia solare in elettricità sfrutta l’interazione tra radiazione luminosa e gli elettroni di valenza di
materiali semiconduttori (il più usato è il Silicio cristallino): tale interazione prende il nome di Effetto Fotovoltaico. In altre parole
questa tecnologia sfrutta la capacità di ciascun fotone della radiazione solare di eccitare gli elettroni di valenza del materiale
semiconduttore in questione: l’energia fornita a ciascun elettrone di valenza permette di rompere i legami Silicio-Silicio e consente ai
suddetti elettroni di passare ad un livello di energia superiore in cui sono liberi di muoversi. Un campo elettrico generato all’interno
della cellula fotovoltaica ordina e orienta il movimento di questi elettroni generando un flusso di corrente.
E’ il settore che in Italia ed in Europa mostra i maggiori problemi di sviluppo, per ragioni legate essenzialmente ad una tecnologia
ancora non in grado di garantire bassi prezzi di acquisto dei pannelli ed elevati rendimenti delle cellule fotovoltaiche.
Proprio per questo motivo, per il fotovoltaico, non si può assolutamente prescindere dall’intervento dello Stato sia per quanto
riguarda la ricerca sia per quanto riguarda la promozione del mercato dei pannelli. Da questo punto di vista numerose sono le
iniziative della Stato, la più conosciuta delle quali è il famoso programma “Tetti fotovoltaici”, le cui aspettative sono rimaste in gran
parte disattese.
Il risultato di questa inerzia è che l’Italia ha una quantità di pannelli quindici volte inferiore rispetto alla Germania e quaranta volte
inferiore rispetto all’Austria, pur avendo, rispetto a questi paesi, condizioni di insolazione notevolmente migliori, soprattutto al Sud
ed in particolare in Sicilia che, a detta del premio Nobel Carlo Rubbia, presidente dell’ENEA, potrebbe essere trasformata in una
California dell’energia solare.
7.2. Il solare termico
E’ una tecnologia sfruttata per produrre acqua calda sanitaria, ed è ormai prossima alla competitività.
Anche in questo caso, così come per il solare fotovoltaico, in Italia si registra una scarsa diffusione, nonostante le condizioni
particolarmente favorevoli, quali l’esposizione climatica, l’idoneità della maggioranza degli edifici ad uso residenziale (che è
caratterizzata da 1-2 unità abitative), la prevalenza nel riscaldamento dell’acqua sanitaria attraverso l’uso dell’elettricità (10 milioni
di scaldabagni elettrici).
Si ritiene tuttavia possibile, attraverso adeguati programmi di incentivazione del mercato dei pannelli solari termici, di poter
raggiungere, entro il 2010, l’istallazione di 3 milioni di metri quadrati di pannelli [6].
8. L’idrogeno
A differenza di quanto comunemente si pensa circa l’idrogeno, questo elemento non è una vera e propria forma di energia, ma è più
semplicemente un “vettore” o un “accumulatore” o, come definito in inglese, un “memorizzatore” di energia. Potenzialmente può
diventare uno dei migliori sistemi per il recupero di energia elettrica.
La produzione mondiale annua di idrogeno ammonta a circa 500 miliardi di metri cubi, equivalenti a 44 milioni di tonnellate, ottenuti
per il 90 per cento dal processo chimico del reforming degli idrocarburi leggeri (principalmente metano) o dal cracking di idrocarburi
pesanti (petrolio) e per il 7 per cento dalla gassificazione del carbone. Solo il 3 per cento dell’attuale produzione è ottenuta per
elettrolisi dell’acqua.
Interessante, dal punto di vista ambientale, è proprio il percorso che permette di arrivare all’idrogeno dall’acqua utilizzando come
fonte energetica il Sole o il vento. Per tale motivo esso è oggetto di grande attenzione da parte dei governi di tutto il mondo
industrializzato, anche se attualmente non sono ancora stati adottati sistemi sostenibili di produzione, accumulo e distribuzione
dell’idrogeno, nonostante le tecnologie potrebbero permetterlo.
Sono invece a buon punto varie tecnologie di produzione di fuel-cells (celle a combustibile o pile a combustibile), e sono ormai molti
e a buon punto anche i prototipi di veicoli ad idrogeno.
9. Le biomasse
Si definisce biomassa qualunque sostanza organica derivata direttamente o indirettamente dall’attività fotosintetica delle piante.
Cellulosa, lignina, emicellulose, amidi, zuccheri, ecc., costituiscono la sostanza organica derivata direttamente dalla fotosintesi
clorofilliana (biomassa vegetale). La sostanza organica derivata indirettamente dalla fotosintesi clorofilliana, invece, non è altro che
quella parte di biomassa vegetale assunta ed elaborata dagli animali erbivori e tutta quella parte che circola all’interno delle catene
alimentari degli animali carnivori, incluse le deiezioni, cioè i prodotti di scarto del loro metabolismo (biomassa animale).
La biomassa, dunque, altro non è che la forma più sofisticata di accumulo dell’energia solare, a disposizione degli organismi viventi
per il completamento dei loro cicli biologici e perché no a disposizione dell’uomo, previa gestione sostenibile, per produrre energia
ed alimentare le sue innumerevoli attività.
Alla categoria delle biomasse utilizzabili ai fini della produzione di energia rientrano molto sommariamente:
ü Tutti i prodotti ed i residui delle attività agricole e forestali;
ü Tutti i prodotti di colture erbacee ed arboree energetiche dedicate;
ü I residui del ciclo produttivo delle industrie di trasformazione del legno e di quelle facenti parte del comparto agroindustriale;
ü I residui delle cartiere
ü Le deiezioni ed i residui degli animali da allevamento;
ü La frazione organica dei rifiuti solidi urbani (RSU).
Le possibili applicazioni della biomassa come fonte di approvvigionamento energetico sono innumerevoli, ma tutte sfruttano
l’energia immagazzinata all’interno dei legami chimici che compongono la sostanza organica. Questa energia può essere liberata,
attraverso un processo di degradazione termochimica (o combustione, per usare un termine più semplice, ma non sempre esatto) sotto
forma di calore che può essere poi impiegato tal quale per il riscaldamento di ambienti chiusi o per alimentare tutte le attività che
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richiedono questa forma di energia. In alternativa è possibile anche convertire questo calore in un’altra forma di energia, ad esempio
energia elettrica o meccanica. Un altro sistema che consente di sfruttare l’energia contenuta all’interno della biomassa consiste
nell’immagazzinarla all’interno di composti particolari, diversi da quelli di partenza, attraverso un processo di conversione definita
biochimica, consistente in una serie di reazioni di decomposizione attivate da enzimi, funghi e microrganismi che trovano in un
substrato molto umido e con un rapporto C/N inferiore a 30 le condizioni ideali per proliferare. I prodotti risultanti da tutta questa
serie di reazioni chimiche sono dei veri e propri combustibili, assimilabili ai più tradizionali combustibili fossili utilizzati come fonte
di riscaldamento per gli edifici o di propulsione per i veicoli a motore. I combustibili che mostrano le maggiori potenzialità di
implementazione sono il biogas, derivante dalla decomposizione della frazione solida dei rifiuti solidi urbani, ed il biodiesel e il
bioetanolo, derivanti invece dalla fermentazione dei residui di colture energetiche dedicate (mais, colza, ecc.).
Quella delle biomasse rappresenta la fonte di energia rinnovabile che offre, quanto meno in Italia, le maggiori possibilità di sviluppo.
Si tratta, infatti, di un’ottima fonte di accumulo di energia, che si mantiene intatta fino al suo utilizzo finale e facilmente convertibile
in combustibili ad alto potere energetico. Inoltre, è molto abbondante sulla terra e consente di sfruttare in modo economicamente
conveniente terre poco fertili (abbandonate dall’agricoltura o disboscate), creando così occupazione nelle aree marginali interne del
nostro Paese. Non va poi sottovalutata la funzione ambientale, soprattutto per le biomasse di origine forestale, le quali non sono solo
un prodotto aggiuntivo delle utilizzazioni, la cui unica funzione è quella di migliorare il reddito delle imprese di utilizzazione, ma più
in generale sono il mezzo che permette di aumentare la convenienza alle utilizzazioni boschive e quindi ad una gestione puntuale e
corretta delle risorse forestali, in modo che esse possano espletare nel miglior modo possibile le molteplici funzioni cui sono preposte
(funzione produttiva, protettiva, ambientale, turistico-ricreativa, paesaggistica, sociale-occupazionale).
A questo proposito non va dimenticato che l’incentivazione all’impianto di specie forestali a ciclo breve può rappresentare un’ottima
occasione di riforestazione dei terreni marginali, con conseguenti vantaggi dal punto di vista del controllo dell’erosione e del dissesto
idrogeologico di zone collinari e montane.
Sempre dal punto di vista ambientale, fondamentale risulta il contributo delle biomasse per la riduzione delle emissioni in atmosfera
di zolfo, e quindi per il contenimento del fenomeno delle piogge acide, e di CO2. Da questo punto di vista le biomasse vengono
definite fonti energetiche a bilancio nullo di CO2, in virtù del fatto che la quantità di CO2 rilasciata in atmosfera durante la
decomposizione, sia che essa avvenga naturalmente sia per effetto della conversione energetica, è esattamente la stessa che viene
assorbita durante la crescita della biomassa stessa; dunque, non vi è alcun contributo netto all’aumento dei livelli di CO2
nell’atmosfera, anzi, l’aumentare della quota di energia prodotta mediante l’uso delle biomasse, piuttosto che con combustibili fossili,
può contribuire in maniera rilevante alla riduzione della CO2 complessivamente emessa.
Infine, non certo per importanza, va ricordata la caratteristica di essere una fonte di energia rinnovabile, previa, ovviamente, una
gestione sostenibile delle risorse.
Attualmente, però, le biomasse soddisfano solamente circa il 15 per cento dei fabbisogni energetici primari nel mondo, con 55
milioni di TJ/anno (1.230 Mtep/anno), a causa dei ben noti problemi di elevata dispersione della materia prima nel territorio e di
bassi rendimenti nella conversione. L’utilizzo di tale fonte mostra, inoltre, un forte grado di disomogeneità fra i vari paesi. I paesi in
via di sviluppo, nel complesso, ricavano mediamente il 38 per cento della propria energia dalle biomasse, con 48 milioni di TJ/anno
(1.074 Mtep/anno), ma in molti di essi tale risorsa soddisfa fino al 90 per cento del fabbisogno energetico totale, mediante la
combustione di legno, paglia, rifiuti animali.
Nei paesi industrializzati, invece, le biomasse contribuiscono per appena il 3 per cento agli usi energetici primari, con 7 milioni di
TJ/anno (156 Mtep/anno). In particolare, gli USA ricavano il 3,2 per cento della propria energia dalle biomasse, equivalente a 3,2
milioni di TJ/anno (70 Mtep/anno); l’Europa, complessivamente, il 3,5 per cento, corrispondenti a circa 40 Mtep/anno, con punte del
18 per cento in Finlandia, 17 per cento in Svezia, 13 per cento in Austria.
Tra le fonti rinnovabili, comunque, le biomasse in Europa sono quelle che finora hanno avuto il maggior successo, come mostrato dal
grafico 4, e che comunque sembrano avere il maggiore potenziale.
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Le energie rinnovabili in UE
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Grafico 4 (fonte Humus, 2004)
Come è logico aspettarsi, all’avanguardia nello sfruttamento delle biomasse, sono i paesi del centro-nord Europa, che hanno istallato
grossi impianti di cogenerazione e teleriscaldamento alimentati a biomasse. La Francia, che è la più vasta superficie agricola
d’Europa, ha puntato molto sulla produzione di biodiesel ed etanolo. La Gran Bretagna, invece, di è dedicata in particolare allo
sviluppo di un vasto ed efficiente sistema di recupero del biogas. Svezia ed Austria, che contano su una lunga tradizione di utilizzo
della legna da ardere, hanno continuato ad incrementare tale impegno sia per riscaldamento che per teleriscaldamento, dando grande
impulso alle piantagioni di ceduo a turno breve (salice e pioppo), che hanno rese 3-4 volte superiori alla media della fornitura di
materia prima tradizionale.
In Italia si punta molto su questo settore, ed in particolar modo sulla cogenerazione, una tecnologia di recente introduzione che
consiste nel produrre in modo combinato energia termica ed energia elettrica dall’abbruciamento della biomassa in apposite caldaie
(cogenerazione). Tuttavia, nel quadro europeo di utilizzo energetico delle biomasse, l’Italia si pone in una condizione di scarso
sviluppo. Con il 2 per cento del proprio fabbisogno coperto dalle biomasse, infatti, è al di sotto della media europea, nonostante il
grosso potenziale non ancora sfruttato, che in base a stime condotte da fonti ministeriali non risulta inferiore a 27 Mtep.
Conclusioni
A conclusione del presente lavoro, possiamo affermare che il quadro che emerge circa l’attuale livello di implementazione delle fonti
energetiche rinnovabili, non è certo dei più confortanti, anche in relazione agli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 in
atmosfera e di incremento della produzione di energia da fonti rinnovabili che gli Stati membri dell’Unione Europea si sono
impregnati a raggiugere. In effetti, ridurre del 5% le emissioni di CO2 in atmosfera e raddoppiare la quota parte di fabbisogno
energetico soddisfatta in modo biocompatibile e sostenibile, entro il periodo 2008-2012, secondo quanto previsto dal Protocollo di
Kyoto siglato nel 1997 e da tutti i provvedimenti legislativi che da esso sono derivati, non appare un compito molto semplice. Oltre
tutto, l’Europa, spinta anche da una consistente dipendenza dall’estero per quanto riguarda l’approvvigionamento energetico, oltre
che dall’importanza che questi provvedimenti hanno dal punto di vista ambientale, sta pensando già al periodo post-protocollo,
intendendo raggiungere, entro il 2020, una riduzione delle emissioni di CO2 che va dal 20 al 40%.
Alla luce di quanto affermato finora, una volta delineate le caratteristiche per ciascuna tipologia di fonte energetica ed averne
valutato vantaggi e svantaggi, risulta chiaro che il perseguimento degli obiettivi sopra elencati non può fare affidamento
esclusivamente sul progresso tecnologico, ma è necessario anche consistente intervento da parte dei governi, sia sul fronte della
ricerca sia sul fronte degli incentivi agli investimenti nel settore. Un tale intervento, oltre ad essere necessario, sarebbe quanto mai
opportuno, in virtù di tutti quei vantaggi di natura sociale soprattutto ambientale direttamente o indirettamente connessi all’impiego
delle fonti rinnovabili, e a proposito dei quali abbiamo più volte accennato nel corso del presente lavoro.
Il problema è che molto spesso si tratta di esternalità positive che per loro natura non possono essere quantificate in termini monetari,
almeno non con i comuni sistemi economici. Il fatto è, però, che tali vantaggi ci sono ed inoltre sono anche così importanti per la
salute del nostro pianeta che non possono assolutamente essere tralasciati. Nessun privato, però, potrà mai farsi carico di questi
servizi sociali.
L’unica soluzione è che lo Stato si accolli l’onere di risarcire quanti contribuiscano, attraverso la produzione di biomasse utilizzabili
a fini energetici oppure attraverso la loro conversione energetica, alla produzione di tali esternalità positive. Il sistema attualmente
più usato per tale scopo è essenzialmente il sistema contributivo previsto per tutto il mercato energetico. Esso non va visto come un
sistema assistenzialistico volto a raggiungere una serie di obiettivi sociali tra cui la riduzione della disoccupazione e l’aumento di
reddito in zone marginali o in settori poveri, ma come un mezzo necessario quanto opportuno per incentivare l’implementazione di
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sistemi di produzione di energia alimentati da fonti rinnovabili, con il precipuo scopo di produrre anche tutte le esternalità positive
precedentemente descritte, la cui internalizzazione (o monetarizzazione), in virtù della loro natura sociale, spetta interamente al
Soggetto Pubblico.
Anche le biomasse, che pure nell’ottica della diversificazione delle fonti rinnovabili rappresentano un importante giacimento
energetico potenziale, che potrebbe permettere di ridurre la vulnerabilità nell’approvvigionamento delle risorse energetiche e limitare
la dipendenza dai Paesi produttori di petrolio, possono sì dare un contributo fondamentale al raddoppio della produzione di energia
da fonti rinnovabili, ma non sembrano in grado di raggiungere in pochi anni livelli di implementazione tali da poter garantire il
conseguimento degli obiettivi prefissati. Le biomasse, tra l’altro, costituiscono anche il tipo di risorsa rinnovabile che ha degli ottimi
livelli di rendimento e che meglio riesce ad assorbire il problema della bassa densità energetica, soprattutto se si parla di biomassa di
risulta dal ciclo produttivo delle industrie di trasformazione del legno o del comparto alimentare, oppure la parte organica dei rifiuti
solidi urbani, che invece risultano concentrate in grandi quantità in zone di limitata estensione. Non va poi dimenticato che esse
rappresentano un sistema economicamente efficiente per trasformare uno scarto, che come tale deve essere smaltito sostenendo costi
più o meno elevati, in una materia prima a costo zero. Proprio per queste ragioni sono questi i settori su cui si sta investendo molto in
ricerca, anche se i tempi per raggiungere il pareggio nel bilancio dei ricavi e costi, senza più l’aiuto dei governi, appaiono ancora
lunghi.
Il fatto è che parlare dei vantaggi delle biomasse e di tutte le possibilità offerte da questa risorsa è molto facile, ma quando, nel
passare dalla teoria alla pratica, ci si scontra con problemi che esulano dalla semplice convenienza economica e dallo scarso
rendimento nella conversione energetica, ma che hanno a che vedere piuttosto con il senso civico e la coscienza ambientalista di
ognuno di noi, le cose si fanno molto difficili. Si parla di grandi potenzialità, ma spesso si finge di non sapere dove finiscono
attualmente 11 milioni di tonnellate di rifiuti e quasi altrettante di biomasse, piuttosto che darsi dal fare sul serio nel campo del
recupero energetico. Le discariche autorizzate continuano a proliferare, nonostante una direttiva ne abbia imposto la chiusura da anni.
Per non parlare di quelle non autorizzate, gestite dall’ecomafia, che non hanno certo problemi di autorizzazioni, né di consenso, né di
costi post-mortem. La volontà del Governo è chiara e decisa, e tutte le iniziative ed i programmi messi a punto dal Libro Verde e dal
Libro Bianco in poi, lo testimoniano in modo inequivocabile, ma spesso non basta.
Riferimenti bibliografici
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elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità, Gazzetta Ufficiale n. 25 del 31
gennaio 2004.
Delibera CIPE 19 novembre 1998, n. 137, Linee guida per le politiche e misure nazionali diriduzione delle emissioni di gas
serra.
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prodotta da fonti rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità. Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee IT L283/33
del 27 ottobre 2001.
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sui cambiamenti climatici, fatto a Kyoto l’11 dicembre 1997, Supplemento Ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 142 del 19
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