Il messaggio del vescovo Diego. In occasione
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Il messaggio del vescovo Diego. In occasione
Sant’Abbondio 2011 Sabato, 3 settembre 2011 11 Il messaggio del vescovo Diego. In occasione della solennità di Sant’Abbondio, patrono principale della diocesi Brutti e Cattivi Un messaggio ai fratelli e alle sorelle credenti in Cristo e membri del Suo Corpo che è la Chiesa. Un messaggio aperto e consegnato a tutte le donne e gli uomini che hanno a cuore la bellezza e la bontà a servizio della felicità vera per la vita di tutti Brutti e cattivi... Un titolo strano? “S ei brutto e cattivo!”: quante volte ce lo siamo sentiti dire dalla nonna o dalla mamma? Quando eravamo bambini con queste due parole veniva indicato un aspro rimprovero per noi e la deplorazione per qualche nostra mancanza, o meglio per qualche atteggiamento sbagliato o difetto ricorrente nel nostro comportamento. Due parole che intendevano riassumere tutto ciò che di negativo potevamo sperimentare: un giudizio pesante sulla nostra condizione di fronte al mondo! In questo messaggio cercherò di occuparmi di bellezza e di bontà: valori alquanto rari nella nostra esperienza quotidiana, e a volte anche squalificati e trascurati. Sullo sfondo della seguente domanda, che ciascuno dovrebbe porre a se stesso, cercando una risposta non superficiale ma elaborata negli strati più profondi della propria esperienza umana: senza una dose sufficiente di bontà e di bellezza, senza una comprensione sufficiente del profondo legame che le unisce l’una all’altra, che cosa succede della nostra gioia di vivere? La tristezza in un mondo disincantato T rovo in giro per il mondo troppa gente triste. A volte rassegnata a volte infastidita, o perfino esasperata, come se fosse tesa a rivendicare una qualità della vita che sembra sfuggire alla nostra presa, lasciandoci delusi e scoraggiati. Le persone diventano così facile preda di un progetto di futuro tutto giocato sull’aumento di consumi ed esperienze superficialmente eccitanti: e perciò insaziabili. E sempre, a lungo andare, deludenti. Se questo capitasse a qualcuno, qua e là, a qualche raro soggetto marginale facilmente identificato, potremmo forse accontentarci di rimediare con singole esortazioni e con la cura del cammino educativo degli interessati. Per dire ai nostri figli che vogliamo andare oltre la nebbia avvelenata di un mondo brutto e cattivo Quando penso alla tristezza della gente che incontro, ho però l’impressione di trovarmi di fronte ad un fenomeno che investe la nostra cultura, nel senso che alimenta e manifesta stili e modi diffusi con i quali i miei contemporanei vivono l’avventura di essere persone, il difficile mestiere di essere uomini e donne. Si potrebbe quasi parlare di un’atmosfera diffusa di tristezza e insoddisfazione nella quale tutti respiriamo. Sono forse smentito dalle risate e dal clima euforico del venerdì sera o del sabato dello sballo? Mi basta prendere un treno o una corriera il lunedì mattina per essere invece confermato nella mia impressione. Per questo motivo penso che sia utile, forse perfino importante e urgente, cercare di capire da dove viene questo fenomeno: se ha qualche Foto William radice comune sulla quale possiamo incidere con scelte che vanno di là della pur necessaria buona volontà degli individui. Mi spiego con un esempio: se il comandante di una nave si trovasse di fronte a qualche raro caso di malessere tra i membri del suo equipaggio, non dovrebbe fare altro che mandarli in infermeria e affidarli al medico di bordo. Ma se la popolazione della nave fosse investita, in molti dei suoi membri e nel medesimo tempo, da una malattia che si manifesta con sintomi comuni a tutti, il comandante dovrebbe svolgere accurate indagini sul cibo, sul clima, sull’aria che si respira, per capire da dove viene una tal epidemia. Si tratta della differenza tra l’intossicazione psichica occasionale di un individuo e quella strutturale della società1. Questo mi sembra il caso della nostra situazione, per così dire, ambientale. Viviamo e respiriamo in un clima che ci avvolge e ci sostiene con tante esperienze utili e sane; in mezzo ad esse, però, si possono forse individuare anche elementi inquinanti e velenosi che vanno scoperti e conosciuti per poterci difendere dal loro influsso negativo. Non si tratta di un raffreddore o di un semplice mal di testa, ma di qualcosa che colpisce la persona nel cuore pulsante, per così dire, della sua energia vitale. Qualcosa che rischia di rendere la vita brutta e cattiva (o almeno meno bella e buona di come potrebbe essere) soprattutto per i più deboli e i più giovani. Si può dire, infatti, che la persona umana, al di là delle pur necessarie funzioni fisiologiche della sua vita animale, vive soprattutto in funzione di tre esperienze fondamentali, che potrei indicare qui come tre “tensioni”, come tre “compiti” che essa svolge trovando in essi la parte, o meglio il livello più importante e fondamentale della sua vita: • l’esercizio di un inesauribile e costruttivo spirito critico, nella ricerca della verità: quello che si chiama, nel linguaggio comune, il lavoro della ragione, dell’intelligenza umana • l’esercizio di una libertà coraggiosa e responsabile, nella scelta motivata del bene: quello che viene indicato come il lavoro della volontà umana L’umanità, nel suo lungo cammino evolutivo, ha imparato almeno in teoria a stimare e difendere le due facoltà della verità e del bene. Non possiamo tuttavia fermarci qui, pena il venir meno del valore globale della persona! Le due “tensioni” al vero e al bene, che tengono viva e operante la sua dignità, si spengono o si allentano pericolosamente se viene a mancarne una terza che potremmo indicare con queste parole: • l’apertura all’esperienza, sempre sorprendente, della bellezza: un forte desiderio di imparare a gustarla; un’attesa viva e costante di imparare a percepirne la manifestazione in un modo che vada oltre l’eccitazione dei sensi o l’emozione superficiale, e apra la persona umana all’incontro con qualcosa che la “chiama fuori” da se stessa (questo è il senso profondo della parola estasi, che indica appunto l’esperienza estetica, l’esperienza del bello) e la mette in contatto con l’assoluto, con qualcosa di svincolato e liberato dalla relatività e dal consumo effimero. Ancor più delle altre due, questa apertura va educata, perché diventi sempre più consapevole, e sia sempre più cercata e gustata. Si tratta di educare lo sguardo, l’udito, il pensiero, la sensibilità profonda della persona perché l’esperienza del bello mette in gioco e chiama a raccolta tutte insieme le facoltà umane e richiede il loro impegno a un livello profondo e sintetico. La cosa è così delicata che basta poco per perdere il “gusto” della bellezza autentica e ci vuole molto tempo e passione per educarlo, più di quanto non costi l’impegnativo allenamento del corpo e dei muscoli allo scopo di offrire brillanti risultati atletici e sportivi …. Non ho nulla di pregiudiziale contro lo sport; anzi lo considero, quando è vero e non troppo agonistico o affogato nei soldi, una prima forma di accesso alla bellezza delle cose che si fanno gratis, perché sono belle, e Per vedere contemplare un mondo pieno di cose belle e buone che è già presente e operante basta. Eppure è importante domandarsi: dove sono le palestre dello spirito, le occasioni di allenamento alla percezione della bellezza? Forse qualcuno ha cominciato a pensare che il Vescovo ha del buon tempo a occuparsi di queste cose, quando sono ben altri i problemi che assediano la vita e la minacciano, ben altre le cose di cui dobbiamo occuparci se vogliamo vivere una vita bella e soddisfacente e offrirne le premesse ai nostri figli… Domando: siamo proprio sicuri che la somma di salute, benessere, divertimento e sicurezza sia sufficiente a rendere veramente bella una vita umana? Rifletto: com’è difficile descrivere con parole semplici la tensione del cuore umano