EURIPIDE Di benedetto - Liceo Classico Dettori

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EURIPIDE Di benedetto - Liceo Classico Dettori
V. Di Benedetto, Euripide. Teatro e società, Einaudi 1971
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"AMBIGUITÀ" DELL'ULTIMO EURIPIDE
Il rifiuto della "saggezza" degli uomini che si distinguono dalla massa, l'invito a seguire i
costumi e le norme del popolo incolto, 1’identificazione della vera saggezza e della virtù con
il senso del pudore, l’ideale di una vita vissuta giorno per giorno sono tutti elementi di una
concezione, alla cui base c'è un esasperato senso dei ristretti limiti della condizione umana e
della estrema instabilità delle vicende in cui l'uomo volta per volta si trova ad essere
coinvolto. La condanna dell’hybris e l'invito ad evitare l'ostilità degli dèi sono strettamente
connessi con la concezione dell'uomo, quale è quella che caratterizza il mondo poetico
dell'ultimo Euripide. La radice del diverso atteggiamento dell'ultimo Euripide di fronte alla
divinità va vista non in una poco documentabile conversione ma in una Weltanschaung, il cui
centro ideale era un senso nuovo, e pessimistico, della condizione umana: più che fede negli
dèi, nell'ultimo Euripide si deve ricercare l'espressione accorata di una profonda sfiducia nelle
capacità degli uomini. [...]
Un'impressione, nella sostanza, di ambiguità dà l'atteggiamento che Euripide tiene nello Ione
di fronte al dio di Delfi. In questa tragedia – scritta dopo la catastrofe di Sicilia – Euripide
parte da una leggenda secondo la quale Apollo si era congiunto con una donna mortale,
avendone un figlio. Si tratta di un fatto che mette in pessima luce il dio. Senonché, è costante
in tutta la tragedia l'intento di presentare le cose in modo che risulti chiaro il senso di giustizia
e la benevolenza di Apollo verso gli uomini. L'attentato di Ione nel suo tempio viene sventato
(mentre nell'Andromaca Neottolemo veniva assassinato appunto nel tempio di Apollo, non
senza la complicità del clero di Delfi) e il responso menzognero che Apollo dà a Xuto
complica all'inizio le cose, ma alla fine la vicenda si risolve nel modo migliore per Ione e
Creusa; e Atena spiega alla fine che è stato Apollo a fare in modo che Ione e Creusa si
salvassero. E soprattutto, la tragedia si conclude con l'affermazione di Atena che la giustizia
degli dèi è lenta, sì, ma alla fine trova la via di realizzarsi; e il Coro consente con la dea che
tutto questo è giusto. D'altra parte, però, è certo che il popolo ateniese non avrebbe mai potuto
riconoscere nell'Apollo dello Ione il dio che era oggetto del suo culto. Anche se a fin di bene,
Apollo nello Ione dà un responso menzognero; e, quel che è più importante, in tutta la
tragedia Apollo viene abbassato ad un livello umano, troppo umano perché si salvi il senso
della sua divinità. Nella parte iniziale della tragedia Ione avverte Creusa che è inutile chiedere
un responso al dio, dal momento che costui si vergogna per quello che ha fatto, e alla fine del
dramma la stessa Atena informa gli spettatori che Apollo ha mandato lei perché non ha avuto
il coraggio di presentarsi lui, temendo di essere rimproverato. E un atteggiamento
razionalistico si fa luce più volte nella tragedia: Creusa critica il comportamento di Apollo in
quanto non giusto; Ione ammonisce gli dèi – anch’egli in nome di un ideale di giustizia – a
non pretendere di accusare e punire i mortali per le loro nequizie quando anch'essi si comportano
in modo riprovevole; il diritto di asilo che gli dei hanno concesso ai malfattori è contestato
da Ione sulla base della considerazione che gli dèi dovrebbero piuttosto allontanare da sé chi si
trova in una condizione di impurità. C'è quindi al fondo della tragedia, per quel che riguarda
Apollo e in genere i fatti religiosi, una posizione per cui, nel momento stesso in cui si
recuperano certi elementi della religiosità tradizionale, il mito e il costumi religiosi vengono
sottoposti a critica severa, nel senso soprattutto di una "depurazione" in nome di un ideale di
equità e di giustizia.
Una posizione di "ambiguità" analoga a quella che si rivela nello Ione nei
confronti di Apollo viene fuori anche nelle Baccanti a proposito di Dioniso.
Abbiamo già visto – e non è necessario qui ripetere – come nella tragedia sia
frequente l'invito ad assumere nei confronti della divinità (e non di Dioniso
soltanto) un atteggiamento di riverente rispetto e come vengano recuperati e
valorizzati certi elementi fondamentali della pietas tradizionale. D'altra parte,
però, nella stessa tragedia il comportamento di Dioniso viene sottoposto a critica
stringente. Lo stesso Cadmo, che nella parte iniziale della tragedia si
contrappone a Penteo per il suo rispetto della religione dionisiaca e che dopo la
morte di Penteo ammonisce a credere nella divinità e a non offenderla con un
atteggiamento di superbia, questo stesso Cadmo critica Dioniso per il modo
come si è vendicato di Penteo: è giusto che il dio abbia punito chi si è macchiato
di hybris, ma egli è andato troppo in là, uniformandosi nel suo comportamento a
un meccanismo psicologico (offesa – vendetta spietata) che è proprio degli
uomini, ma che dovrebbe essere estraneo agli dèi. [...]
In realtà le Baccanti e lo Ione dimostrano come nei confronti del problema
religioso Euripide fosse lontano dall'essere arrivato a una soluzione univoca.
Più precisamente, l'esigenza del riconoscimento del potere della divinità e
della necessità del recupero della fede tradizionale scaturiva da una profonda
sfiducia nella capacità dell'uomo di far fronte al suo destino. Proprio perché
l'uomo è incapace di tenere sotto controllo una realtà imprevedibile si sente il
bisogno di richiamarsi alla coscienza dei propri limiti; ma questa coscienza del
limite viene raggiunta I di Euripide attraverso il recupero del senso della
divinità: l'uomo deve imparare a rispettare gli dèi se non vuole oltrepassare, a
suo danno, i limiti che la sua condizione gli impone e se vuole realizzare
quell'ideale di una vita vissuta giorno per giorno, che al vecchio Euripide
sembrava fosse il fine più appropriato – e più piacevole – che l'uomo si
potesse proporre. In questo Euripide seguiva, e sviluppava le indicazioni che
gli venivano, tra gli altri, da Erodoto e Pindaro e Simonide. Senonché,
l’esigenza di un recupero della pietas tradizionale non significava ancora
necessariamente l'adesione da parte di Euripide agli dèi tradizionali. È un dato
di fatto, di cui prendere atto, che Euripide non rinunziò a sottoporre a critica
gli dei e i miti che intorno ad essi si tramandavano. Anzi, paradossalmente,
quanto più il problema di un recupero della religione tradizionale si poneva in
modo urgente, tanto più egli era portato a mettere in discussione gli dèi (in
vista, magari, di una "purificazione" della religione tradizionale). [...] È chiaro
che in tal modo la sua "filosofia" dell'uomo entrava in crisi (ma Epicuro
cercherà di risolvere diversamente il problema, senza fare intervenire gli dèi
nel destino dell'uomo), e proprio per questo le ultime tragedie di Euripide sono
percorse da una dissonanza interna che sarebbe ingiusto cercare di eli mi nar e
con arti fici verbali