pagina 1 - Fausto Biloslavo

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pagina 1 - Fausto Biloslavo
12 Esteri
il Giornale 쐌 Venerdì 22 giugno 2007
ANCORA TU
Nicolas Sarkozy
ha ricevuto all’Eliseo
Ségolène Royal
prima del vertice
europeo di
Bruxelles.
È stato
il primo incontro
tra i due dopo
il duello televisivo
che ha preceduto
il ballottaggio
per le presidenziali.
Al termine, Sarkozy
ha accompagnato
l’esponente
socialista fin
sulla scalinata
d’ingresso
del palazzo
[FOTO: REUTERS]
Anche Ségolène ora si è convinta
«Avevo un programma assurdo»
da Parigi
쎲 «Contrordine compagni» sembra lo slogan di Ségolène Royal, che confessa
candidamente di non condividere affatto alcuni punti
fondamentali del programma con cui il 6 maggio scorso si è presentata al corpo
elettorale francese nella
speranza d'entrare all'Eliseo. In un incontro informale con la stampa, l'esponente socialista - reduce dalla
separazione dal segretario
del partito François Hollande, dopo un quarto di secolo
di vita comune, durante il
quale la coppia ha messo al
mondo quattro figli - ha ammesso che l'idea di aumentare lo «Smic» (sigla che sta
per «salario minimo intercategoriale di crescita») dal livello attuale di circa 1.200
euro mensili fino a 1.500 euro, nel giro dei prossimi cinque anni, era una pura assurdità. In Francia, dove
«Le 35 ore e i salari minimi per tutti non erano idee
credibili, ma sono stata costretta a difenderli»
neppure il 10 per cento della popolazione attiva è iscritta a un sindacato, la fissazione del salario minimo non è
demandata alla trattativa
di categoria, ma alla legge
dello Stato, che assegna al
governo il compito di rivalutare ogni anno (per l'esattezza il primo luglio) la cifra in
questione. L'aumento dello
«Smic» è divenuto la bandiera della sinistra radicale, alla cui logica semplicistica la
socialista Ségolène Royal
s'è adeguata nel corso della
sua recente campagna elettorale per l'Eliseo (allo scopo di ingraziarsi le sinistre
interne e soprattutto esterne al suo partito).
Adesso che non è più candidata a nulla - anche se
l'anno prossimo tenterà di
conquistare la guida del Partito socialista, sostituendosi
al dimissionario Hollande Ségolène Royal può permettersi il lusso di sparare a zero su alcuni punti del programma elettorale da lei
stessa difeso in occasione
del duello televisivo del 2
maggio contro il leader del
centrodestra
Nicolas
Sarkozy (che ha poi avuto i
favori dell'elettorato transalpino). Tra le «bandiere»
che la Royal ammette
d'aver inalberato più malvolentieri c'è quella dell'aumento demagogico del salario minimo e c'è anche quella dell'orario settimanale di
35 ore, che sono due elementi di fondo della linea
politica dei socialisti francesi. Proprio le 35 ore sono sta-
te la principale realizzazione del governo della «sinistra plurale», che ha retto
la Francia dal 1997 al 2002
sotto la guida del primo ministro Lionel Jospin. Già in
campagna elettorale la Royal aveva mosso qualche critica alla rigidità della legge
con cui nel 1998 la maggioranza di sinistra dell'epoca
decise la riduzione forzata
dell'orario lavorativo settimanale, ma adesso le sue
contestazioni sono molto
più chiare, decise e profonde.
Prendendosela con l'idea
degli aumenti esagerati dello «Smic» e con quella della
riduzione per legge dell'orario lavorativo, l'ex candidata socialista smonta due elementi chiave della linea poli-
tica del Partito socialista
francese e in pratica taglia
la «barba del profeta». Il
suo è - per l'ortodossia della
sinistra francese - un atto
quasi blasfemo, che la presenta come un'innovatrice
e che mette in rilievo le sue
contraddizioni: tanto in
campagna elettorale la Royal era parsa rassegnata a
accettare molti compromessi con le varie anime del suo
stesso schieramento, quanto adesso pare decisa a parlar chiaro ai suoi amici non
meno che ai suoi avversari.
Eccola dire papale papale
che l'idea dello «Smic» a
1.500 euro e quella della generalizzazione delle 35 ore
«non erano ipotesi credibili». Resta da capire perché
abbia fatto finta di crederci
e perché abbia promesso ai
francesi di trasformarle in
realtà qualora fosse stata
eletta all'Eliseo. Immediatamente le sinistre socialiste
hanno accusato la Royal di
ipocrisia e i comunisti hanno rincarato la dose affermando che le sue contraddizioni sono costate care all'
intera sinistra francese. Finita la stagione elettorale,
gli sconfitti regolano i conti
tra loro.
ESERCITO E RIBELLI: «COLLABORAZIONE FINITA»
Padre Bossi adesso rischia
di finire ostaggio di Al Qaida
쎲 Nei giorni scorsi sembrava che la liberazione di
padre Giancarlo Bossi fosse imminente, con le buone o
con le cattive. Invece si sa sempre meno sulla sua sorte e
le notizie che arrivano dalla Filippine non sono incoraggianti. L’esercito ed i miliziani islamici del Fronte Moro,
che cercavano assieme il missionario rapito il 10 giugno
scorso hanno sospeso la collaborazione. In realtà si spera che possa riprendere nel giro di poche ore, ma il
rischio è che i rapitori riescano ad approfittare dello
stallo consegnando l’ostaggio ai tagliagole di Abu Sayaf,
la piccola Al Qaida delle Filippine.
Da alcuni giorni i marines ed i guerriglieri del Fronte
islamico Moro, che dal 2003 cercano una via negoziale
per uscire dalla crisi, stringevano il
cerchio attorno alla banda di sequestratori. Il problema è che l’accordo
fra esercito e miliziani è scaduto. Lo
ha confermato il generale dei marines
Ben Dolorfino: «Come ogni anno è scaduto il mandato del Gruppo di azione
comune istituito da Manila e dai capi
dei ribelli. Per questo, ora siamo formalmente separati e di nuovo avversari. Non possiamo collaborare fino a
che il gruppo non viene riformato».
Lo stallo deriva dalla nomina del
nuovo responsabile governativo dei
negoziati. Secondo l’agenzia missionaria Asianews, le autorità di Manila RAPITO Padre Bossi
avevano proposto per questo delicato
incarico padre Eliseo Mercato, ex rettore dell’Università cattolica Notre Dame. Il Milf si è
decisamente opposto: «Non si tratta di un conflitto fra
cristiani e musulmani – hanno spiegato i miliziani – ma
fra il governo ed un gruppo che vuole l’indipendenza.
Un sacerdote o un imam sono inutili in queste trattative». La presidente delle Filippine, Gloria Macapagal Arroyo, è intervenuta in gran fretta nominando un negoziatore ad interim, Rudy Rodil, docente all’Università
statale di Mindanao, l’isola dei musulmani ribelli. Se
questo compromesso verrà accettato le ricerche congiunte di padre Bossi potrebbero riprendere già oggi.
Altrimenti si rischia che la situazione si complichi. L’intelligence filippina ed i capi del Milf sono convinti che il
missionario italiano sia nelle mani del fratello di Abdusalam Akiddin, soprannominato Kiddie e bollato come un comandante rinnegato del Fronte Moro. La banda, metà criminale e metà politicizzata, voleva «vendere» l’ostaggio, per poche decine di migliaia di dollari, al
gruppo di tagliagole Abu Sayaf, che opera nell’arcipelago di Sulu. Padre Bossi è stato trasferito dalla provincia
di Zamboanga Sibugay, dove era avvenuto il rapimento,
a quella di Lanao del Sur. Il blocco navale della marina
filippina e l’appoggio dei velivoli di sorveglianza americani hanno impedito che il missionario venisse portato
via mare nella zona di Sulu e consegnato ai terroristi
islamici.