Continua a leggere - CRS - Centro per la Riforma dello Stato
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Cominciamo con una panoramica internazionale. Il 31 maggio scorso, a Parigi si è tenuto un simposio internazionale sul Nominalisme collectif in arte (il nostro agente ci ha riferito di una cosa molto “accademica e pallosa”). Sempre dalla Francia è scaturita l’esperienza di Nicolas Bourbaki. Pseudonimo collettivo sotto il quale, dal 1933, lavora un gruppo di matematici, fra cui André Weil (il fratello di Simone). Dal 1939 hanno dato vita a un’opera collettiva Éléments de mathématique tesa a non separare la matematica nella sue diverse specializzazioni. Quel generale, Charles Denis Bourbaki, a cui si sono ispirati faceva capocella (per usare un’espressione romanesca) in alto a destra nel manifesto dell’iniziativa. Un’altra esperienza internazionale è quella dei due cugini statunitensi che hanno dato vita a Ellery Queen. Un nome collettivo a due che ha lo stesso nome del protagonista delle loro storie. Bisognerebbe capire se la scelta dei due sia stata dettata da una precisa volontà “eversiva” o semplicemente una boutade. Come si conviene, passiamo dal globale al locale. Siamo a Roma e qui, da secoli, esiste la tradizione delle statue parlanti (Pasquino è la più celebre). E’ un nome collettivo quello di Pasquino? Anonimo, collettivo, eversivo e senza copyright … Il nome collettivo è, allo stato attuale, una cosa molto italiana e relativamente nuova. Lo diciamo non per spirito patrio, né per i 150 anni. Lo diciamo per allacciarsi a due discussioni molto recenti. Una è più “vecchia” e riguarda il New Italian Epic. In tale discussione si è parlato molto sul termine Epic. “New” e “Italian” rappresentano, invece, al meglio questo primo incontro sui Nomi Collettivi. Primo non per spirito di rivalsa (“Siamo i primi”) ma perché da qui nasca una lunga serie d’incontri. Anche perché l’Equipe Sperimentale di Storia ha redatto un importante metodo per la ricerca corale a cui tutti dobbiamo, in qualche modo, partecipare. Quella di oggi è una prima, inevitabile “sfilata di moda”, tanto per evocare Serpica Naro. Il termine “new” è legato al fatto più volte sottolineato che i nostri avversari sono sempre NEO. Ancora abbiamo a che fare con i NEO-(oramai vetero) LIBERISTI. Alla nostra parte è toccata la sorte di essere sempre “post”. Per quello è interessante sentire due voci dal mondo neo-operaista. In particolare il gruppo Epimeteo (che è anche anagraficamente il più vecchio fra i nomi collettivi) e il Gruppo Lavoro del CRS. Qui si innesta il grande problema di come riprendere una tradizione. In “Italian” risuona anche la seconda, recente discussione sull’Italian Theory evocata nel Pensiero Vivente di Esposito e in vari altri interventi. Anche qui c’è il tema della tradizione e di come, nonostante tutto, l’Italia continui a essere un laboratorio politico-culturale. Si usa l’inglese, però, per dire “Italian” e questo ci permette un aggancio con le talpe del nostro manifesto. L’animale totemico del marxismo è infatti qui impegnato nel disegnare il General Intellect. Marx indica il General intellect proprio in inglese; secondo Virno, questa espressione inglese è forse un richiamo alla Volonté générale di Rousseau o al Poietikos Nous (la “mente attiva”) di Aristotele. Dalla nostra non si vogliono leggere i Grundrisse come qualcosa di diverso, contrapposto al Capitale (né si devono leggere i Vangeli Apocrifi come qualcosa di diverso e altro rispetto ai Vangeli Canonici). Dalla nostra si vuole riprende la oramai classica categoria del General Intellect alla luce dei lavori di Laser, Ippolita e del recente Felici e sfruttati di Carlo Formenti. In questi libri il termine General Intellect e tutta la tematica dell’Open è rivista in ogni sua piega. Nel piccolo documento che abbiamo fatto girare prima del convegno usavamo un linguaggio pieno di 2.0. Lungi da noi esaltare le magnifiche sorti e progressive della nuova società 2.0, è vero però che anche il glorioso MIT ha creato uno spazio virtuale per l’intelligenza collettiva (cci.mit.edu) per cercare risposte tecnologiche ai problemi del mondo: Center for Collective Intelligence. Nel campo dello studio del clima, ad esempio, è evocato il cosiddetto Crowdsourcing, ossia la folla (crowd) come risorsa (outsourcing). Se torniamo, però, ai nostri anni novanta, ricordiamo il corso di meteorologia a La Sapienza che iniziava con un’ottima rivisitazione scientifica dei proverbi climatici: il contadino era più utile del servizio meteo… E poi, sempre sull’onda dei ricordi, si citava sempre la Società Aperta di Popper e noi, adepti dello Stile Maschio Violento, chiosavamo con un poco elegante, ma efficace: “Società aperta, culo aperto”. Žižek afferma che la spinta globale verso la privatizzazione del “general intellect” è la recente tendenza nell’organizzazione del cyberspazio verso il cosiddetto “cloud computing”. Sappiamo, dunque, bene che la gente è sempre manovrata e quindi ci muoviamo nella Società della conoscenza con cautela. Abbiamo visto il film The Social Network in cui l’inventore del Social Network per eccellenza è semplicemente triste, tristissimo: un capitalista very old. Per quello il tono ironico della nostra presentazione e quell’abbondare in cose 2.0. Da parte nostra come auspicio questo convegno servirà anche a cercare di dipanare che ruolo possa avere o abbia la rete. Concludiamo, in tal senso, con una citazione (ottimista) di un “padrone” illuminato, come Guido Rossi (un Walter Rathenau de noantri?) che affermava, in un saggio del 2006, Il gioco delle regole, “il dibattito sulle mutazioni del diritto d’autore è solo agli inizi, e al momento non si segnala per utilità o lungimiranza, ma quello che si può dire sin d’ora è che per le più sofisticare versioni della proprietà la techne è un pericolo molto più grave e radicale di quanto lo siano stati, a suo tempo, i soviet.”.